SAN COLOMBANO Abate
Irlanda c. 525-530 - Bobbio (Piacenza) 23 novembre 615
Il santo abate Colombano è l'irlandese più noto del primo
Medioevo. Era nato intorno all'anno 543 nella provincia di Leinster, nel
sud-est dell'Irlanda.
Educato nella propria casa da ottimi maestri che lo avviarono allo studio
delle arti liberali. All'età di circa vent'anni entrò nel
monastero di Bangor nel nord- est dell'isola, ove era abate Comgall, un
monaco ben noto per la sua virtù e il suo rigore ascetico. In piena
sintonia col suo abate, Colombano praticò con zelo la severa disciplina
del monastero, conducendo una vita di preghiera, di ascesi e di studio.
Lì fu anche ordinato sacerdote. La vita a Bangor e l'esempio dell'abate
influirono sulla concezione del monachesimo che Colombano maturò
col tempo e diffuse poi nel corso della sua vita.
All'età di circa cinquant'anni, seguendo l'ideale ascetico tipicamente
irlandese della "peregrinatio pro Christo", del farsi cioè
pellegrino per Cristo, Colombano lasciò l'isola per intraprendere
con dodici compagni un'opera missionaria sul continente europeo. Intorno
all'anno 590 questo piccolo drappello di missionari approdò sulla
costa bretone. Accolti con benevolenza dal re dei Franchi, chiesero solo
un pezzo di terra incolta. Ottennero l'antica fortezza romana di Anne-gray,
tutta diroccata ed abbandonata, ormai coperta dalla foresta, dove riuscirono
entro pochi mesi a costruire sulle rovine il primo eremo. Così, la
loro rievangelizzazione iniziò a svolgersi innanzitutto mediante
la testimonianza della vita. La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo
di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano
la terra, si diffuse celermente attraendo pellegrini e penitenti. Ben presto
si rese necessaria la fondazione di un secondo monastero. Fu edificato a
pochi chilometri di distanza, sulle rovine di un'antica città termale,
Luxeuil. Il monastero sarebbe poi diventato il centro dell'irradiazione
monastica e missionaria di tradizione irlandese sul continente europeo.
A Luxeuil Colombano visse per quasi vent'anni. Qui il santo scrisse per
i suoi seguaci la Regula monachorum che è l'unica antica regola monastica
irlandese che oggi possediamo. Dopo però Colombano, a causa di vicende
politiche poco favorevoli alla sua opera, decise di attraversare le Alpi
con la maggior parte dei suoi discepoli e, giunto in Italia, trovò
un'accoglienza benevola presso la corte reale longobarda, ma dovette affrontare
subito difficoltà notevoli: la vita della Chiesa era lacerata dall'eresia
ariana ancora prevalente tra i longobardi e da uno scisma che aveva staccato
la maggior parte delle Chiese dell'Italia settentrionale dalla comunione
col Vescovo di Roma. Colombano si inserì con autorevolezza in questo
contesto. Quando il re dei longobardi, nel 612 o 613, gli assegnò
un terreno a Bobbio, nella valle del Trebbia, Colombano fondò un
nuovo monastero che sarebbe poi diventato un centro di cultura paragonabile
a quello famoso di Montecassino. Qui giunse al termine dei suoi giorni:
morì il 23 novembre 615 e in tale data è commemorato nel rito
romano fino ad oggi.
Paolo Gulisano
Colombano. Un Santo per l'Europa
Ed. Ancora 2007 - 15.00
Insieme a Benedetto e Cirillo e Metodio, san Colombano ha buone probabilità
di divenire "compatrono" d'Europa, edificatore di quell'anima
celtica che, non meno di quella "latina" e "slava",
costituisce l'identità dell'Europa cristiana. La vita del monaco
irlandese è raccontata attraverso la sua "peregrinatio"
lungo tutta l'Europa del VI sec., portando il messaggio evangelico e fondando
numerosi monasteri legati alla regola da lui stesso elaborata. Dall'Irlanda,
alla Francia, alla Baviera, fino all'abbazia di Bobbio sull'Appennino piacentino,
il libro è uno strumento per conoscere più a fondo l'anima
cristiana dell'Europa seguendo passo passo san Colombano che è detto,
nelle parole dell'autore, il "primo uomo europeo".
Servo di Dio Marcello Candia Medico missionario
Portici, Napoli, 27 luglio 1916 - Milano, 31 agosto 1983
L'eredità spirituale di Marcello Candia è scritta su una parete
della sua casa in Brasile: "Non si può condividere il Pane del
cielo, se non si condivide il pane della terra". Nato a Portici (NA)
il 27 luglio 1916, da una famiglia milanese di imprenditori, si laurea in
Chimica, Farmacia e Biologia. Aderisce alla Resistenza e, dopo la guerra,
con i Cappuccini di viale Piave, organizza a Milano l'assistenza ai soldati
rimpatriati. A Palazzo Soriani fonda il "Villaggio della madre e del
fanciullo". Ma sono le missioni ad attrarlo. Nel 1967, venduta la fabbrica,
si trasferisce a Macapà, in Brasile, dove realizza un grande ospedale.
Nonostante la fragilità dei fisico, avvia numerose altre opere, tra
cui il Lebbrosario di Marituba.
Ma l'ospedale e il lebbrosario non furono le sole opere iniziate da lui,
ben altre 14 opere sociali e assistenziali sparse in tutto il Brasile e
curate oggi dalla Fondazione Candia; la preghiera la volle al centro di
tutta la sua multiforme attività, istituendo due piccoli Carmeli,
facendo venire le suore carmelitane da Firenze, si ritirava ogni giorno
per la sua "ora di preghiera", durante la quale non esisteva più
niente per lui, si definiva il 'novizio delle carmelitane'.
Veniva ogni anno in Italia, ufficialmente per riposarsi dagli altri quattro
infarti subiti e dal delicato intervento chirurgico di ben tre by-pass,
ma in realtà, in patria egli girava per le diocesi, per incontri,
conferenze, dibattiti, raccolte di fondi, tanto da ritornare ogni volta
in Brasile più stanco di prima.
Viene scritto un libro su di lui dal titolo "Da ricco che era
",
che vende subito 100.000 copie; nascono una Comunità Spirituale Missionaria
e nel 1982 l'Associazione "Amici di Marcello Candia" per sostenere
le opere da lui iniziate. Muore il 31 agosto 1983 a Milano. La causa per
la beatificazione di questo colosso della carità cristiana, che ha
seguito il consiglio di Gesù "Lascia tutto e seguimi",
è stata avviata il 20 gennaio 1990 a Milano.
s. Roberto Bellarmino (17 settembre)
Nato a Montepulciano nel 1542 da una ricca e numerosa famiglia toscana
e nipote di un papa (sua mamma era sorella di Marcello II), Roberto Bellarmino
nel 1560 entrò nella Compagnia di Gesù, rinunciando a qualunque
speranza di carriera umana. Eppure andò molto lontano. Studiò
teologia a Padova e a Lovanio e nel 1576 divenne primo titolare della cattedra
"de controversiis", cioè di apologetica o difesa dell'ortodossia
cattolica all'Università Gregoriana, che in quell'epoca si chiamava
Collegio Romano. In quegli anni tra i suoi alunni ci fu S. Luigi Gonzaga.
Creato cardinale e arcivescovo di Capua nel 1599, probabilmente per tenerlo
lontano da Roma nel momento culminante della controversia sulla grazia,
alla morte di Clemente VIII potè tornare nella città di Pietro,
dove esercitò un grande influsso come teologo ufficiale della Chiesa,
con la sua dottrina e con l'esempio della sua carità e semplicità
di vita, che la gente ammirava. Scrisse molte opere esegetiche, pastorali
e ascetiche; fondamentali per l'apologetica sono i voluminosi libri De controversiis.
Morì a Roma il 17 settembre 1621 e il processo di beatificazione,
iniziato di lì a poco, si protrasse per ben tre secoli. Poi in un
anno solo, nel 1930, ebbe da papa Pio XI la triplice glorificazione di beato,
di santo e di dottore della Chiesa. Portati istintivamente ad ammirare il
polemista nelle abili schermaglie della parola o dello scritto, ma non ad
amarlo perché ce lo rappresentiamo come un uomo di intelligenza superiore,
scopriamo con stupore nel dotto gesuita dei lati umanissimi. Nei primi tre
anni di vita religiosa egli soffrì di lancinanti dolori al capo e
tuttavia al compimento degli studi teologici egli sostenne la difesa della
propria tesi per tre giorni consecutivi, dinanzi a un pubblico letteralmente
affascinato.
Gli impegni scolastici non lo distrassero mai dalla preghiera. Richiamato
a Roma, tra i vari incarichi ebbe anche quello di direttore spirituale,
e come tale fu accanto a S. Luigi Gonzaga fino agli ultimi istanti di vita.
Se la sua vasta erudizione e la vigorosa dialettica posta al servizio della
dottrina cattolica gli valsero il titolo di "martello degli eretici",
un'opera semplice nella struttura ma ricca di sapienza come il suo Catechismo
gli ha meritato il titolo di "maestro" di tante generazioni di
fanciulli che in quel libriccino a forma di dialogo hanno appreso le fondamentali
verità della fede professata col battesimo. Dopo aver colmato un
intero scaffale di opere teologiche, scrisse "L'arte del ben morire",
cioè il modo di congedarsi dalla vita con serenità e distacco.
S. Agostino (28 agosto)
Agostino è uno degli autori di testi teologici, mistici, filosofici,
esegetici, ancora oggi molto studiato e citato; egli è uno dei Dottori
della Chiesa come ponte fra l'Africa e l'Europa; il suo libro le "Confessioni"
è ancora oggi ricercato, ristampato, letto e meditato.
Agostino Aurelio nacque a Tagaste nella Numidia in Africa il 13 novembre
354 da una famiglia di classe media, di piccoli proprietari terrieri, il
padre Patrizio era pagano, mentre la madre Monica, che aveva avuto tre figli,
dei quali Agostino era il primogenito, era invece cristiana; fu lei a dargli
un'educazione religiosa ma senza battezzarlo, come si usava allora, volendo
attendere l'età matura.
Ultimati gli studi, nel 374 a Tagaste aprì una scuola di grammatica
e retorica. Desideroso di nuove esperienze e stanco dell'indisciplina degli
alunni , Agostino resistendo alle preghiere dell'amata madre, che voleva
trattenerlo in Africa, decise di trasferirsi a Roma, capitale dell'impero,
con tutta la famiglia, dove aprì una scuola.
Nel 384 riuscì ad ottenere, con l'appoggio del prefetto di Roma,
Quinto Aurelio Simmaco, la cattedra vacante di retorica a Milano, dove si
trasferì, raggiunto nel 385, inaspettatamente dalla madre Monica,
la quale conscia del travaglio interiore del figlio, gli fu accanto con
la preghiera e con le lagrime, senza imporgli nulla, ma bensì come
un angelo protettore.
E Milano fu la tappa decisiva della sua conversazione; qui ebbe l'opportunità
di ascoltare i sermoni di s. Ambrogio che teneva regolarmente in cattedrale,
ma se le sue parole si scolpivano nel cuore di Agostino, fu la frequentazione
con un anziano sacerdote, san Simpliciano, che aveva preparato s. Ambrogio
all'episcopato, a dargli l'ispirazione giusta.
Un successivo incontro con s. Ambrogio, procuratogli dalla madre, segnò
un altro passo verso il battesimo che roicevette da s. Ambrogio la notte
del sabato santo del 386.
Dopo qualche mese trascorso a Roma per approfondire la sua conoscenza sui
monasteri e le tradizioni della Chiesa, nel 388 ritornò a Tagaste,
dove vendette i suoi pochi beni, distribuendone il ricavato ai poveri e
ritiratosi con alcuni amici e discepoli, fondò una piccola comunità,
dove i beni erano in comune proprietà. Trasferì poi il suo
monastero ad Ippona, che in seguito divenne un seminario fonte di preti
e vescovi africani.
L'iniziativa agostiniana gettava le basi del rinnovamento dei costumi del
clero. Il vescovo Valerio nel timore che Agostino venisse spostato in altra
sede, convinse il popolo e il primate della Numidia, a consacrarlo vescovo
coadiutore di Ippona; nel 397 morto Valerio, egli gli successe come titolare.
Egli fu maestro indiscusso nel confutare ogni eresia di quel tempo e i vari
movimenti che ad esse si rifacevano; i suoi interventi non solo illuminarono
i pastori di anime dell'epoca, ma determinarono anche per il futuro, l'orientamento
della teologia cattolica in questo campo. La sua dottrina e teologia è
così vasta che pur volendo solo accennarla, occorrerebbe il doppio
dello spazio concesso a questa scheda, per forza sintetica; il suo pensiero
per millenni ormai è oggetto di studio per la formazione cristiana,
le tante sue opere, dalle "Confessioni" fino alla "Città
di Dio", gli hanno meritato il titolo di Dottore della Chiesa.
Nel 429 si ammalò gravemente, mentre Ippona era assediata da tre
mesi dai Vandali comandati da Genserico, dopo che avevano portato morte
e distruzione dovunque; il santo vescovo ebbe l'impressione della prossima
fine del mondo; morì il 28 agosto del 430 a 76 anni. Il suo corpo
sottratto ai Vandali durante l'incendio e distruzione di Ippona, venne trasportato
poi a Cagliari dal vescovo Fulgenzio di Ruspe, verso il 508-517 ca., insieme
alle reliquie di altri vescovi africani. Verso il 725 il suo corpo fu di
nuovo traslato a Pavia, nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d'Oro, non lontano
dai luoghi della sua conversione, ad opera del pio re longobardo Liutprando
, che l'aveva riscattato dai saraceni della Sardegna.
San Paolo (29 giugno, con San Pietro)
San Paolo è senz'altro il più grande missionario di tutti
i tempi, non conobbe personalmente Cristo, ma per la Sua folgorante chiamata
sulla via di damasco, ne divenne un discepolo fra i più grandi, perorò
la causa dei pagani convertiti, fu l'apostolo delle Genti; insieme a Pietro
diffuse il messaggio evangelico nel mondo mediterraneo di allora; con la
sua parola e con i suoi scritti operò la prima e fondamentale inculturazione
del Vangelo nella storia.
Nacque probabilmente verso il 5-10 d.C. a Tarso nella Cilicia, oggi situata
nella Turchia meridionale presso i confini con la Siria, città che
nel I secolo era un luogo cosmopolita, dove vivevano greci, anatolici, ellenizzati,
romani e una colonia giudaica, a cui apparteneva il padre commerciante di
tende.
Da giovane fu inviato a Gerusalemme, dove fu allievo di Gamaliele, il maestro
più famoso e saggio del mondo ebraico dell'epoca; e a Gerusalemme
conobbe i cristiani come una setta pericolosa dentro il giudaismo da estirpare
con ogni mezzo.
Negli "Atti degli Apostoli", Saul è descritto come accanito
persecutore dei cristiani, fiero sostenitore delle tradizioni dei padri;
il suo nome era pronunciato con terrore dai cristiani, li scovava nei rifugi,
li gettava in prigione, testimoniò contro di essi, il suo cieco fanatismo
religioso, costrinse molti di loro a fuggire da Gerusalemme verso Damasco.
E sulla strada per Damasco, il Signore si rivelò a quell'accanito
nemico; all'improvviso, narrano gli 'Atti', una luce dal cielo l'avvolse
e cadendo dal cavallo, udì una voce che gli diceva: "Saul, Saul,
perché mi perseguiti?". E lui: "Chi sei o Signore?";
e la voce: "Io sono Gesù che tu perseguiti. Orsù alzati
ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare"
(Atti 9, 3-7). In quei giorni conobbe la piccola comunità cristiana
del luogo, che avrebbe dovuto imprigionare; al terzo giorno si presentò
il loro capo Anania che gli disse: "Saulo, fratello, il Signore Gesù
che ti è apparso sulla via per la quale venivi, mi ha mandato da
te, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo".
Detto ciò Anania gl'impose le mani guarendolo e poi lo battezzò.
Da quel momento, si può dire, nacque Paolo, l'apostolo delle Genti;
egli decise di ritirarsi nel deserto, per porre ordine nei suoi pensieri
e meditare più a fondo il dono ricevuto; qui trascorse tre anni in
assoluto raccoglimento.
Si recò poi a Gerusalemme, incontrando Pietro il capo degli Apostoli
e Giacomo, ai quali espose la sua nuova vita. Gli Apostoli lo capirono e
stettero con lui ogni giorno per ore ed ore, parlandogli di Gesù.
Dal 39 al 43 non vi sono notizie sulla sua attività, finché
Barnaba, inviato dagli apostoli ad organizzare la nascente comunità
cristiana di Antiochia, passò da lui invitandolo a seguirlo; qui
Paolo abbandonò per sempre il nome di Saulo, perché si convinse
che la sua missione non era tanto fra i giudei, ma fra gli altri popoli
che gli ebrei chiamavano 'gentili'; ad Antiochia i discepoli di Cristo,
furono denominati per la prima volta come "cristiani". Barnaba
e Paolo decisero di intraprendere nel 45, un viaggio missionario in altre
regioni.
Si era nel 50 e Paolo decise di partire con Barnaba per un nuovo viaggio
in Asia Minore, Barnaba propose di portare con loro il nipote Marco, ma
Paolo si oppose decisamente, per non avere problemi come già successo
nel primo viaggio.
Irrigiditi sulle proprie posizioni, alla fine i due apostoli si divisero,
Barnaba con Marco andarono di nuovo ad evangelizzare Cipro e Paolo con Sila
(O Silvano) andarono nel nuovo itinerario.
Il viaggio apostolico durato fino al 53, toccò la Grecia, la Macedonia
dove Paolo evangelizzò Filippi; qui i due furono flagellati ed incarcerati,
ma dopo un terremoto avvenuto nella notte e la conversione del carceriere,
la mattina dopo furono liberati. Andarono poi a Tessalonica, a Berea ed
Atene, dove il dotto discorso di Paolo all'Areopago fu un insuccesso; dopo
una sosta di un anno e mezzo a Corinto, ritornarono ad Antiochia. Nel 53
o 54, iniziò il terzo grande viaggio di Paolo, si diresse prima ad
Efeso, fermandosi tre anni; la sua predicazione portò ad una diminuzione
del culto alla dea Artemide e il commercio sacro ad esso collegato ebbe
un tracollo, ciò provocò una sommossa popolare, da cui Paolo
ne uscì illeso; la comunità fu affidata al discepolo Timoteo.
Da Efeso fu di nuovo in Macedonia e per tre mesi a Corinto; sfuggendo ad
un programmato agguato sulla nave su cui si doveva imbarcare, continuò
il viaggio per terra accompagnato per un tratto da Luca che ne fece un resoconto
particolareggiato.
Egli visitò con commozione le comunità cristiane dell'Asia
Minore che aveva fondate, presentendo di non poterle più rivedere.
L'ultima tappa fu Cesarea dove il profeta Agabo gli predisse l'arresto e
la prigione, da lì arrivò a Gerusalemme verso la fine di maggio
58, qui portò le offerte raccolte nel suo ultimo viaggio.A Gerusalemme,
oltre la gioia di una parte della comunità, trovò un'atmosfera
tesa nei suoi confronti. I sospetti sul suo conto, da parte degli Ebrei
erano molti, alla fine fu accusato di aver introdotto nel tempio profanandolo,
un cristiano non giudeo. Nel 60, si provvide ad istruire un processo contro
di lui a Gerusalemme, ma Paolo si oppose e come "civis romanus"
si appellò all'imperatore. Appena fu possibile, fu consegnato al
centurione Giulio per essere trasferito a Roma, accompagnato da Luca e Aristarco;
il viaggio a quel tempo avventuroso, fu interrotto a Malta a causa di un
naufragio, dopo tre mesi di sosta, proseguì a tappe successive a
Siracusa, Reggio Calabria, Pozzuoli, Foro Appio e Tre Taverne, arrivando
nel 61 a Roma.Terminato qui il racconto degli "Atti degli Apostoli",
le fasi finali della sua vita, possono essere ricostruite da alcuni accenni
delle sue Lettere; probabilmente fu liberato, perché nel 64 Paolo
non era a Roma durante la persecuzione di Nerone; forse perché in
Oriente e in Spagna per il suo quarto viaggio apostolico.Si sa che lasciò
i discepoli Tito a Creta e Timoteo ad Efeso, a completare l'evangelizzazione
da lui iniziata.Nel 66, forse a Nicopoli, fu di nuovo arrestato e condotto
a Roma, dove fu lasciato solo dai discepoli. Solo Luca era con lui. Paolo
presagiva ormai la fine e lanciò un commovente appello a Timoteo:
"Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è
giunto il momento di sciogliere le vele
Cerca di venire presto da
me perché Dema mi ha abbandonato
, Crescente è andato
in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi Marco e
portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero
".Questa
volta il tribunale romano lo condannò a morte perché cristiano;
fu decapitato tradizionalmente un 29 giugno di un anno imprecisato, forse
il 67, essendo cittadino romano gli fu risparmiata la crocifissione. I cristiani
raccolsero il suo corpo seppellendolo sulla via Ostiense, dove poi è
sorta la magnifica Basilica di San Paolo fuori le Mura.
San Bernardino da Siena Sacerdote - 20 maggio
San Bernardino nacque l'8 settembre 1380 a Massa Marittima (Grosseto)
Verso i 18 anni, pur seguitando a vivere come i coetanei, entrò nella
Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Scala, una compagnia
di giovani flagellanti, che teneva riunioni a mezzanotte nei sotterranei
del grande ospedale posto di fronte al celebre Duomo di Siena.
Aveva 20 anni quando Siena nel 1400 fu colpita dalla peste; e anche molti
medici e infermieri dell'Ospedale di Santa Maria della Scala, morirono contagiati,
per cui il priore chiese pubblicamente aiuto. Bernardino insieme ai compagni
della Confraternita si offrì volontario, la sua opera nell'assistenza
agli appestati durò per quattro mesi, fino all'inizio dell'inverno,
quando la pestilenza cominciò a scemare.
In quel periodo cominciò a pensare seriamente di scegliere per la
sua vita un Ordine religioso, colpito anche dall'ispirata parola di s. Vincenzo
Ferrer, domenicano, incontrato ad Alessandria.
Alla fine scelse di entrare nell'Ordine Francescano e liberatosi di quanto
possedeva, l'8 settembre 1402 entrò come novizio nel Convento di
San Francesco a Siena. Nel 1405 fu nominato predicatore. Nel 1417 padre
Bernardino da Siena fu nominato Vicario della provincia di Toscana e si
trasferì a Fiesole, dando un forte impulso alla riforma in atto nell'Ordine
Francescano. Contemporaneamente iniziò la sua straordinaria predicazione
per le città italiane, dove si verificava un grande afflusso di fedeli
che faceva riempire le piazze; tutta la cittadinanza partecipava con le
autorità in testa, e i fedeli affluivano anche dai paesi vicini per
ascoltarlo.
Dal 1417 iniziò a Genova la sua prodigiosa predicazione apostolica,
allargandola dopo i primi strepitosi successi, a tutta l'Italia del Nord
e del Centro.
A Milano espose per la prima volta alla venerazione dei fedeli, la tavoletta
con il trigramma, un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere
IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco. Bernardino nel
1438 venne nominato dal Ministro Generale dell'Ordine Francescano, Vicario
Generale di tutti i conventi dell'Osservanza in Italia, promuovendo una
grande riforma nel loro interno. Rifiutò per tre volte di essere
vescovo di diocesi, che gli furono offerte.
Nel 1442, sentendosi oltremodo stanco e malato rassegnò le sue dimissioni
dalla carica. Ritornato a Siena si trattenne per poco tempo, perché
voleva ancora compiere una missione di predicazione nel Regno di Napoli;
accompagnato da alcuni frati senesi, toccò il Trasimeno, Perugia,
Assisi, Foligno, Spoleto, Rieti, ma già in prossimità de L'Aquila,
il suo fisico cedette allo sforzo e il 20 maggio 1444 fu portato in lettiga
al convento di San Francesco, dentro la città, dove morì quel
giorno stesso a 64 anni, posto sulla nuda terra come s. Francesco, dietro
sua richiesta.
Sei anni dopo la morte, il 24 maggio 1450, festa di Pentecoste, papa Niccolò
V lo proclamò santo nella Basilica di S. Pietro a Roma.
S. GALDINO - 18 aprile
Figlio di piccoli nobili, Galdino è nato a Milano, avviandosi poi
alla vita ecclesiastica. Nel 1160 è arcidiacono della cattedrale,
e lo troviamo con l'arcivescovo Oberto al campo dei milanesi. Nel 1162 assiste
alla distruzione della città ordinata dall'imperatore. Lui e l'arcivescovo
sono schierati con Alessandro III, eletto papa nel 1159 da una parte dei
cardinali, mentre altri eleggevano il filo-tedesco Ottaviano col nome di
Vittore VI. Scisma nella Chiesa, dunque: papa e antipapa. In Milano, Oberto
proclama la scomunica di Federico come responsabile dello scisma. Nel 1165
Galdino viene nominato cardinale. Ora deve seguire il papa nei suoi spostamenti;
e nel marzo 1166 si trova appunto con Oberto in Benevento, a fianco di Alessandro
III. Ma durante il soggiorno Oberto muore, e il papa nomina Galdino suo
successore. Lui deve raggiungere la Lombardia clandestinamente, travestito
da pellegrino, e in città lo accolgono le rovine. Nel 1167, infine,
dopo cinque anni terribili, incomincia la ricostruzione, e uno dei protagonisti
è lui. Riorganizza la Chiesa in Lombardia, confermandola nella fedeltà
ad Alessandro III, e pianifica il soccorso ai poveri che si sono moltiplicati:
quelli di prima, e quelli di miseria recente, i carcerati per debiti, quelli
che non osano chiedere. Rimesse in piedi le strutture fondamentali per miserie
vecchie e nuove, dice agli amministratori (anzi, fa incidere sulla pietra):
"Voi siete qui solo per servire i poveri". "Strappa il patrimonio
della Chiesa dalle fauci dei rapinatori", dice una sua biografia. Restaura
la cattedrale, aiutato da donne milanesi che donano i pochi gioielli salvati
dai saccheggi del Barbarossa. E ricomincia da capo a insegnare le preghiere,
a pretendere il canto degno di Dio e del suo popolo. Predica instancabilmente.
Anzi, muore sul pulpito della chiesa di Santa Tecla, dopo un sermone. E
in questo stesso anno la Lega Lombarda vince la battaglia di Legnano. Lo
stesso Alessandro III lo proclama santo.
Galdino della Sala (originario forse di Bedero, proprio per il suo nome
e per la sua presenza attraverso molti documenti di interesse locale della
Valtravaglia) era, nel 1137, cancelliere dell'arcivescovo di Milano etroli
e sottoscrisse con lui il documento che decretò il trasferimento
della Pieve di Valtravaglia da Domo a Bedero. Il documento è la più
antica pergamena conservata nell'archivio storico della Diocesi di Milano
e nell'archivio di Domo se ne conserva una trascrizione controllata sull'originale
dal parroco di Castello Giovanni Andrea Binda nell'800.
S. BENEDETTO (21 marzo)
La sua nobile famiglia lo manda a Roma per gli studi, che lui non
completerà mai. Lo attrae la vita monastica, ma i suoi progetti iniziali
falliscono. Per certuni è un santo, ma c'è chi non lo capisce
e lo combatte. Alcune canaglie in tonaca lo vogliono per abate e poi tentano
di avvelenarlo. In Italia i Bizantini strappano ai Goti, con anni di guerra,
una terra devastata da fame, malattie e terrore. Del resto, in Gallia le
successioni al trono si risolvono in famiglia con l'omicidio.
"Dovremmo domandarci a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del
Medioevo, se non si fosse levata questa voce grande e dolce". Lo dice
nel XX secolo lo storico Jaques Le Goff. E la voce di Benedetto comincia
a farsi sentire da Montecassino verso il 529. Ha creato un monastero con
uomini in sintonia con lui, che rifanno vivibili quelle terre. Di anno in
anno, ecco campi, frutteti, orti, il laboratorio... Qui si comincia a rinnovare
il mondo: qui diventano uguali e fratelli "latini" e "barbari",
ex pagani ed ex ariani, antichi schiavi e antichi padroni di schiavi. Ora
tutti sono una cosa sola, stessa legge, stessi diritti, stesso rispetto.
Qui finisce l'antichità, per mano di Benedetto. Il suo monachesimo
non fugge il mondo. Serve Dio e il mondo nella preghiera e nel lavoro. Irradia
esempi tutt'intorno con il suo ordinamento interno fondato sui tre punti:
la stabilità, per cui nei suoi cenobi si entra per restarci; il rispetto
dell'orario (preghiera, lavoro, riposo), col quale Benedetto rivaluta il
tempo come un bene da non sperperare mai. Lo spirito di fraternità,
infine, incoraggia e rasserena l'ubbidienza: c'è l'autorità
dell'abate, ma Benedetto, con la sua profonda conoscenza dell'uomo, insegna
a esercitarla "con voce grande e dolce". Il fondatore ha dato
ai tempi nuovi ciò che essi confusamente aspettavano. C'erano già
tanti monasteri in Europa prima di lui. Ma con lui il monachesimo-rifugio
diventerà monachesimo-azione. La sua Regola non rimane italiana:
è subito europea, perché si adatta a tutti. Due secoli dopo
la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua
Regola (ma non sappiamo con certezza se ne sia lui il primo autore. Così
come continuiamo ad essere incerti sull'anno della sua morte a Montecassino).
Papa Gregorio Magno gli ha dedicato un libro dei suoi Dialoghi, ma soltanto
a scopo di edificazione, trascurando molti particolari importanti. Nel libro
c'è però un'espressione ricorrente: i visitatori di Benedetto
- re, monaci, contadini - lo trovano spesso "intento a leggere".
Anche i suoi monaci studiano e imparano. Il cenobio non è un semplice
sodalizio di eruditi per il recupero dei classici: lo studio è in
funzione dell'evangelizzare. Ma quest'opera fa pure di esso un rifugio della
cultura nel tempo del grande buio.
S. VALENTINO (14 febbraio)
LA STORIA
La più antica notizia di S.Valentino è in un documento ufficiale
della Chiesa dei secc.V-VI dove compare il suo anniversario di morte. Ancora
nel sec. VIII un altro documento ci narra alcuni particolari del martirio:
la tortura, la decapitazione notturna, la sepoltura ad opera dei discepoli
Proculo, Efebo e Apollonio, successivo martirio di questi e loro sepoltura.
Altri testi del sec. VI, raccontano che S.Valentino, cittadino e vescovo
di Terni dal 197, divenuto famoso per la santità della sua vita,
per la carità ed umiltà, per lo zelante apostolato e per i
miracoli che fece, venne invitato a Roma da un certo Cratone, oratore greco
e latino, perché gli guarisse il figlio infermo da alcuni anni. Guarito
il giovane, lo convertì al cristianesimo insieme alla famiglia ed
ai greci studiosi di lettere latine Proculo, Efebo e Apollonio, insieme
al figlio del Prefetto della città. Imprigionato sotto l'Imperatore
Aureliano fu decollato a Roma. Era il 14 febbraio 273. Il suo corpo fu trasportato
a Terni al LXIII miglio della Via Flaminia. Fu tra i primi vescovi di Terni,
consacrato da S.Feliciano vescovo di Foligno nel 197. Preceduto da S.Pellegrino
e S.Antimo, fratello dei SS.Cosma e Damiano.
LA LEGGENDA
La festa del vescovo e martire Valentino si riallaccia agli antichi festeggiamenti
di Greci, Italici e Romani che si tenevano il 15 febbraio in onore del dio
Pane, Fauno e Luperco. Questi festeggiamenti erano legati alla purificazione
dei campi e ai riti di fecondità. Divenuti troppo orridi e licenziosi,
furono proibiti da Augusto e poi soppressi da Gelasio nel 494. La Chiesa
cristianizzò quel rito pagano della fecondità anticipandolo
al giorno 14 di febbraio attribuendo al martire ternano la capacità
di proteggere i fidanzati e gli innamorati indirizzati al matrimonio e ad
un'unione allietata dai figli. Da questa vicenda sorsero alcune leggende.
Le più interessanti sono quelle che dicono il santo martire amante
delle rose, fiori profumati che regalava alle coppie di fidanzati per augurare
loro un'unione felice. Oggi la festa di S.Valentino è celebrata ovunque
come Santo dell'Amore. L'invito e la forza dell'amore che è racchiuso
nel messaggio di S.Valentino deve essere considerato anche da altre angolazioni,
oltre che dall'ormai esclusivo significato del rapporto tra uomo e donna.
L'Amore è Dio stesso e caratterizza l'uomo, immagine di Dio. Nell'Amore
risiede la solidarietà e la pace, l'unità della famiglia e
dell'intera umanità.
S. SEBASTIANO (20 gennaio)
Le fonti storiche certe sono: il più antico calendario della Chiesa
di Roma, la 'Depositio martyrum' risalente al 354, che lo ricorda al 20
gennaio e il "Commento al salmo 118" di s. Ambrogio (340-397),
dove dice che Sebastiano era di origine milanese e si era trasferito a Roma,
ma non dà spiegazioni circa il motivo. Le poche notizie storiche
sono state poi ampliate e diciamo abbellite, dalla successiva 'Passio',
scritta probabilmente nel V secolo dal monaco Arnobio il Giovane. Ne facciamo
qui il riassunto integrando le due fonti, dando prima una introduzione storica.
Nel 260 l'imperatore Galliano aveva abrogato gli editti persecutori contro
i cristiani, ne seguì un lungo periodo di pace, in cui i cristiani
pur non essendo riconosciuti ufficialmente, erano però stimati, occupando
alcuni di loro, importanti posizioni nell'amministrazione dell'impero. E
in questo clima favorevole, la Chiesa si sviluppò enormemente anche
nell'organizzazione; Diocleziano che fu imperatore dal 284 al 305, desiderava
portare avanti questa situazione pacifica, ma poi 18 anni dopo, su istigazione
del suo cesare Galerio, scatenò una delle persecuzioni più
crudeli in tutto l'impero. Sebastiano, che secondo s. Ambrogio era nato
e cresciuto a Milano, da padre di Narbona (Francia meridionale) e da madre
milanese, era stato educato nella fede cristiana, si trasferì a Roma
nel 270 e intraprese la carriera militare intorno al 283, fino a diventare
tribuno della prima coorte della guardia imperiale a Roma, stimato per la
sua lealtà e intelligenza dagli imperatori Massimiano e Diocleziano,
che non sospettavano fosse cristiano.
Sebastiano per la sua opera di assistenza ai cristiani, fu proclamato da
papa s. Caio "difensore della Chiesa" e proprio quando, secondo
la tradizione, aveva seppellito i santi martiri Claudio, Castorio, Sinforiano,
Nicostrato, detti Quattro Coronati, sulla via Labicana, fu arrestato e condannato
ad essere trafitto dalle frecce; legato ad un palo in una zona del colle
Palatino chiamato 'campus', fu colpito seminudo da tante frecce da sembrare
un riccio; creduto morto dai soldati fu lasciato lì in pasto agli
animali selvatici. Ma la nobile Irene, vedova del già citato s. Castulo,
si accorse che il tribuno non era morto e trasportatelo nella sua casa sul
Palatino, prese a curarlo dalle numerose lesioni. Miracolosamente Sebastiano
riuscì a guarire e poi nonostante il consiglio degli amici di fuggire
da Roma, egli che cercava il martirio, decise di proclamare la sua fede
davanti a Diocleziano e al suo associato Massimiano, mentre gli imperatori
si recavano per le funzioni al tempio eretto da Elagabolo, in onore del
Sole Invitto, poi dedicato ad Ercole.
Superata la sorpresa, dopo aver ascoltato i rimproveri di Sebastiano per
la persecuzione contro i cristiani, innocenti delle accuse fatte loro, Diocleziano
ordinò che questa volta fosse flagellato a morte; l'esecuzione avvenne
nel 304 ca.
S. GIOVANNI BOSCO (31 gennaio)
Nacque presso Castelnuovo d'Asti il 16 agosto 1815. A soli nove anni un
sogno gli rivelò la sua futura missione volta all'educazione della
gioventù. Ragazzo dinamico e concreto, fondò fra i coetanei
la "società dell'allegria", basata sulla "guerra al
peccato".Entrò poi nel seminario teologico di Chieri e ricevette
l'ordinazione presbiterale nel 1841. Iniziò dunque il triennio di
teologia morale pratica presso il suddetto convitto, alla scuola del teologo
Luigi Guala e del santo Cafasso. Questo periodo si rivelò occasione
propizia per porre solide basi alla sua futura opera educativa tra i giovani,
grazie a tre provvidenziali fattori: l'incontro con un eccezionale educatore
che capì le sue doti e stimolo le sue potenzialità, l'impatto
con la situazione sociale torinese e la sua straordinaria genialità,
volta a trovare risposte sempre nuove ai numerosi problemi sociali ed educativi
sempre emergenti. L'8 dicembre 1841 il giovane Don Bosco iniziò a
radunare ragazzi e giovani presso il Convitto di San Francesco per il catechismo.
Torino era a quel tempo una città in forte espansione su vari aspetti,
a causa della forte immigrazione dalle campagne piemontesi, ed il mondo
giovanile era in preda a gravi problematiche: analfabetismo, disoccupazione,
degrado morale e mancata assistenza religiosa. Strada facendo, Don Bosco
capì con altri giovani sacerdoti che l'oratorio potesse costituire
un'adeguata risposta a tale critica situazione. Il giovane sacerdote era
così descritto: "Prete simpatico e fattivo, bonario e popolano,
all'occorrenza atleta e giocoliere, ma già allora noto come prete
straordinario che ardiva fare profezie di morti che poi si avveravano, che
aveva già un discreto alone di venerazione perché aveva in
sé qualcosa di singolare da parte del Signore, che sapeva i segreti
delle coscienze, alternava facezie e confidenze sconvolgenti e portava a
sentire i problemi dell'anima e della salvezza eterna". Spinto dal
suo innato zelo pastorale, nel 1847 Don Bosco avviò l'oratorio di
San Luigi presso la stazione ferroviaria di Porta Nuova. La principale preoccupazione
di Don Bosco, concependo l'oratorio come luogo di formazione cristiana,
era infatti sostanzialmente di tipo religioso-morale, volta a salvare le
anime della gioventù. Il santo sacerdote però non si accontentò
mai di accogliere quei ragazzi che spontaneamente si presentavano da lui,
ma si organizzò al fine di raggiungerli ed incontrarli ove vivevano.
Altra svolta decisiva nell'opera salesiana avvenne quando Don Bosco si sentì
coinvolto dalla nuova sensibilità missionaria propugnata dal Concilio
Ecumenico Vaticano I e, sostenuto dal pontefice Beato Pio IX e da vari vescovi,
nel 1875 inviò i suoi primi salesiani in America Latina, con il principale
compito di apostolato tra gli emigrati italiani. Pur essendo straordinariamente
attivo, Don Bosco non avrebbe comunque potuto realizzare personalmente dal
nulla tutta questa immane opera ed infatti sin dall'inizio godette del prezioso
ausilio di numerosi sacerdoti e laici, uomini e donne. Al fine di garantire
però una certa continuità e stabilità a ciò
che aveva iniziato, fondò a Torino la Società di San Francesco
di Sales (detti "Salesiani"), congregazione composta di sacerdoti,
e nel 1872 a Mornese con Santa Maria Domenica Mazzarello le Figlie di Maria
Ausiliatrice. Giovanni Bosco morì in Torino il 31 gennaio 1888. Il
pontefice Pio XI, suo grande ammiratore, beatificò Don Bosco il 2
giugno 1929 e lo canonizzò il 1° aprile 1934.
C'è una sua statua anche su una guglia del Duomo di Milano, la
città dove in passato il panettone natalizio non si mangiava mai
tutto intero, riservandone sempre una parte per la festa del nostro santo.
(E tuttora si vende a Milano il "panettone di san Biagio", che
sarebbe quello avanzato durante le festività natalizie).
San Biagio lo si venera tanto in Oriente quanto in Occidente, e per la sua
festa è diffuso il rito della "benedizione della gola",
fatta poggiandovi due candele incrociate (oppure con l'unzione, mediante
olio benedetto), sempre invocando la sua intercessione. L'atto si collega
a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente liberato
un bambino da una spina o lisca conficcata nella sua gola.
Vescovo, dunque. Governava, si ritiene, la comunità di Sebaste d'Armenia
quando nell'Impero romano si concede la libertà di culto ai cristiani:
nel 313, sotto Costantino e Licinio, entrambi "Augusti", cioè
imperatori (e pure cognati: Licinio ha sposato una sorella di Costantino).
Licinio governa l'Oriente, e perciò ha tra i suoi sudditi anche Biagio.
Il quale però muore martire intorno all'anno 316, ossia dopo la fine
delle persecuzioni. Perché?
Non c'è modo di far luce. Il fatto sembra dovuto al dissidio scoppiato
tra i due imperatori-cognati nel 314, e proseguito con brevi tregue e nuove
lotte fino al 325, quando Costantino farà strangolare Licinio a Tessalonica
(Salonicco). Il conflitto provoca in Oriente anche qualche persecuzione
locale - forse ad opera di governatori troppo zelanti, come scrive lo storico
Eusebio di Cesarea nello stesso IV secolo - con distruzioni di chiese, condanne
dei cristiani ai lavori forzati, uccisioni di vescovi, tra cui Basilio di
Amasea, nella regione del Mar Nero.
Il corpo di Biagio è stato deposto nella sua cattedrale di Sebaste;
ma nel 732 una parte dei resti mortali viene imbarcata da alcuni cristiani
armeni alla volta di Roma. Una improvvisa tempesta tronca però il
loro viaggio a Maratea (Potenza): e qui i fedeli accolgono le reliquie del
santo in una chiesetta, che poi diventerà l'attuale basilica, sull'altura
detta ora Monte San Biagio, sulla cui vetta fu eretta nel 1963 la grande
statua del Redentore, alta 21 metri.
S.GIOVANNI DI DIO (8 marzo)
Le vie della santità sono infinite e lo dimostra la vicenda terrena
di questo straordinario santo. Juan Ciudad, nato a Montemor-o-novo, presso
Evora (Portogallo) l'8 marzo 1495, all'età di otto anni scappò
di casa. A Oropesa nella Nuova Castiglia, dove sostò per la prima
tappa, la gente, non sapendo nulla di lui, neppure il cognome, cominciò
a chiamarlo Giovanni di Dio e tale rimase il suo nome. Fino a 27 anni fece
il pastore e il contadino, poi si arruolò tra i soldati di ventura.
Nella celebre battaglia di Pavia tra Carlo V e Francesco I, Giovanni di
Dio si trovò nello schieramento vincitore, cioè dalla parte
di Carlo V. Più tardi partecipò alla difesa di Vienna stretta
d'assedio dall'ottomano Solimano II.
Chiusa la parentesi militaresca, finché ebbe soldi nel borsello vagò
per mezza Europa e finì in Africa a fare il bracciante; per qualche
tempo fece pure il venditore ambulante a Gibilterra, commerciando paccottiglia;
stabilitosi infine a Granata vi aprì una piccola libreria. Fu allora
che Giovanni di Dio mutò radicalmente indirizzo alla propria vita,
in seguito a una predica del B. Giovanni d'Avila. Giovanni abbandonò
tutto, vendette libri e negozio, si privò anche delle scarpe e del
vestito, e andò a mendicare per le vie di Granata, rivolgendo ai
passanti la frase che sarebbe divenuta l'emblema di una nuova benemerita
istituzione: "Fate (del) bene, fratelli, a voi stessi".
La carità che la gente gli faceva veniva spartita infatti tra i più
bisognosi. Ma gli abitanti di Granata credettero di fare del bene a lui
rinchiudendolo in manicomio. Malinteso provvidenziale. In manicomio Giovanni
si rese conto della colpevole ignoranza di quanti pretendevano curare le
malattie mentali con metodi degni di un torturatore. Così, appena
potè liberarsi da quell'inferno, fondò, con l'aiuto di benefattori,
un suo ospedale. Pur completamente sprovvisto di studi di medicina, Giovanni
si mostrò più bravo degli stessi medici, in particolar modo
nel curare le malattie mentali, inaugurando, con grande anticipo nel tempo,
quel metodo psicoanalitico o psicosomatico che sarà il vanto (quattro
secoli dopo ... ) di Freud e discepoli.
La cura dello spirito era la premessa per una proficua cura del corpo. Giovanni
di Dio raccolse i suoi collaboratori in una grande famiglia religiosa, l'ordine
dei Fratelli Ospedalieri, meglio conosciuti col nome di Fatebenefratelli.
Giovanni morì a soli cinquantacinque anni, il giorno del suo compleanno,
l'8 marzo 1550. Fu canonizzato nel 1690. Leone XIII lo dichiarò patrono
degli ospedali e di quanti operano per restituire la salute agli infermi.
S.GIORGIO (23 aprile)
La sua figura è avvolta nel mistero, da secoli infatti gli studiosi
cercano di stabilire chi veramente egli fosse, quando e dove sia vissuto;
le poche notizie pervenute sono nella "Passio Georgii" che il
'Decretum Gelasianum' del 496, classifica tra le opere apocrife (supposte,
non autentiche, contraffatte); inoltre in opere letterarie successive, come
"De situ terrae sanctae" di Teodoro Perigeta del 530 ca., il quale
attesta che a Lydda (Diospoli) in Palestina, oggi Lod presso Tel Aviv in
Israele, vi era una basilica costantiniana, sorta sulla tomba di san Giorgio
e compagni, martirizzati verosimilmente nel 303, durante la persecuzione
di Diocleziano (detta basilica era già meta di pellegrini prima delle
Crociate, fino a quando il sultano Saladino (1138-1193) la fece abbattere).
I documenti successivi, che sono nuove elaborazioni della 'passio' leggendaria
sopra citata, offrono notizie sul culto, ma sotto l'aspetto agiografico
non fanno altro che complicare maggiormente la leggenda, che solo tardivamente
si integra dell'episodio del drago e della fanciulla salvata da s. Giorgio.
La 'passio' dal greco, venne tradotta in latino, copto, armeno, etiopico,
arabo, ad uso delle liturgie riservate ai santi; da essa apprendiamo come
già detto senza certezze, che Giorgio era nato in Cappadocia ed era
figlio di Geronzio persiano e Policronia cappadoce, che lo educarono cristianamente;
da adulto divenne tribuno dell'armata dell'imperatore di Persia Daciano,
ma per alcune recensioni si tratta dell'armata di Diocleziano (243-313)
imperatore dei romani, il quale con l'editto del 303, prese a perseguitare
i cristiani in tutto l'impero.
Il tribuno Giorgio di Cappadocia allora distribuì i suoi beni ai
poveri e dopo essere stato arrestato per aver strappato l'editto, confessò
davanti al tribunale dei persecutori, la sua fede in Cristo; fu invitato
ad abiurare e al suo rifiuto, come da prassi in quei tempi, fu sottoposto
a spettacolari supplizi e poi buttato in carcere. Qui ha la visione del
Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre
volte la resurrezione.
E qui la fantasia dei suoi agiografi, spazia in episodi strabilianti, difficilmente
credibili: vince il mago Atanasio che si converte e martirizzato; viene
tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade; risuscita operando
la conversione del 'magister militum' Anatolio con tutti i suoi soldati
che vengono uccisi a fil di spada; entra in un tempio pagano e con un soffio
abbatte gli idoli di pietra; converte l'imperatrice Alessandra che viene
martirizzata; l'imperatore lo condanna alla decapitazione, ma Giorgio prima
ottiene che l'imperatore ed i suoi settantadue dignitari vengono inceneriti;
promette protezione a chi onorerà le sue reliquie ed infine si lascia
decapitare.
Il culto per il martire iniziò quasi subito, come dimostrano i resti
archeologici della basilica eretta qualche anno dopo la morte (303?) sulla
sua tomba nel luogo del martirio (Lydda); la leggenda del drago comparve
molti secoli dopo nel Medioevo, quando il trovatore Wace (1170 ca.) e soprattutto
Jacopo da Varagine ( 1293) nella sua "Leggenda Aurea", fissano
la sua figura come cavaliere eroico, che tanto influenzerà l'ispirazione
figurativa degli artisti successivi e la fantasia popolare.
La fantasia popolare elevarono l'eroico martire della Cappadocia a simbolo
di Cristo, che sconfigge il male (demonio) rappresentato dal drago. I crociati
accelerarono questa trasformazione del martire in un santo guerriero, volendo
simboleggiare l'uccisione del drago come la sconfitta dell'Islam; e con
Riccardo Cuor di Leone (1157-1199) san Giorgio venne invocato come protettore
da tutti i combattenti.
Con i Normanni il culto del santo orientale si radicò in modo straordinario
in Inghilterra e qualche secolo dopo nel 1348, re Edoardo III istituì
il celebre grido di battaglia "Saint George for England", istituendo
l'Ordine dei Cavalieri di San Giorgio o della Giarrettiera.
In tutto il Medioevo la figura di s. Giorgio, il cui nome aveva tutt'altro
significato, cioè 'agricoltore', divenne oggetto di una letteratura
epica che gareggiava con i cicli bretone e carolingio. Nei Paesi slavi assunse
la funzione addirittura 'pagana' di sconfiggere le tenebre dell'inverno,
simboleggiate dal drago e quindi di favorire la crescita della vegetazione
in primavera; una delle tante metamorfosi leggendarie di quest'umile martire,
che volle testimoniare in piena libertà, la sua fede in Cristo, soffrendo
e donando infine la sua giovane vita, come fecero in quei tempi di sofferenza
e sangue, tanti altri martiri di ogni età, condizione sociale e in
ogni angolo del vasto impero romano.
San Giorgio è onorato anche dai musulmani, che gli diedero l'appellativo
di 'profeta'. Enrico Pepe sacerdote, nel suo volume 'Martiri e Santi del
Calendario Romano', conclude al 23 aprile giorno della celebrazione liturgica
di s. Giorgio, con questa riflessione: "Forse la funzione storica di
questi santi avvolti nella leggenda è di ricordare al mondo una sola
idea, molto semplice ma fondamentale, il bene a lungo andare vince sempre
il male e la persona saggia, nelle scelte fondamentali della vita, non si
lascia mai ingannare dalle apparenze".
S. FILIPPO NERI (26 maggio)
L'uomo che sarebbe stato chiamato "l'Apostolo della città di
Roma" era figlio di un notaio fiorentino di buona famiglia. Ricevette
una buona istruzione e poi fece pratica dell'attività di suo padre;
ma aveva subito l'influenza dei domenicani di san Marco, dove Savonarola
era stato frate non molto tempo prima, e dei benedettini di Montecassino,
e all'età di diciott'anni abbandonò gli affari e andò
a Roma. Là visse come laico per diciassette anni e inizialmente si
guadagnò da vivere facendo il precettore, scrisse poesie e studiò
filosofia e teologia. A quel tempo la città era in uno stato di grande
corruzione, e nel 1538 Filippo Neri cominciò a lavorare fra ? g?ovam
della città e fondò una confraternita di laici che si incontravano
per adorare Dio e per dare aiuto ai pellegrini e ai convalescenti, e che
gradualmente diedero vita al grande ospizio della Trinità. Filippo
passava molto tempo in preghiera, specialmente di notte e nella catacomba
di san Sebastiano, dove nel 1544 sperimentò un'estasi di amore divino
che si crede abbia lasciato un effetto fisico permanente sul suo cuore.
Nel 1551 Filippo Neri fu ordinato prete e andò a vivere nel convitto
ecclesiastico di san Girolamo, dove presto si fece un nome come confessore;
gli fu attribuito il dono di saper leggere nei cuori. Ma la sua occupazione
principale era ancora il lavoro tra i giovani.
Sopra la chiesa fu costruito un oratorio in cui si tenevano conferenze religiose
e discussioni e si organizzavano iniziative per il soccorso dei malati e
dei bisognosi; là, inoltre, furono celebrate per la prima volta funzioni
consistenti in composizioni musicali su temi biblici e religiosi cantate
da solisti e da un coro (da qui il nome "oratorio"). San Filippo
era assistito da altri giovani chierici, e nel 1575 li aveva organizzati
nella Congregazione dell'Oratorio; per la sua società (i cui membri
non emettono i voti che vincolano gli ordini religiosi e le congregazioni),
costruì una nuova chiesa, la Chiesa Nuova, a santa Maria "in
Vallicella". Diventò famoso in tutta la città e la sua
influenza sui romani del tempo, a qualunque ceto appartenessero, fu incalcolabile.
Ma san Filippo non sfuggì alle critiche e all'opposizione: alcuni
furono scandalizzati dall'anticonvenzionalità dei suo discorsi, delle
sue azioni e dei suoi metodi missionari. Egli cercava di restituire salute
e vigore alla vita dei cristiani di Roma in modo tranquillo, agendo dall'interno;
non aveva una mentalità clericale, e pensava che il sentiero della
perfezione fosse aperto tanto ai laici quanto al clero, ai monaci e alle
monache. Nelle sue prediche insisteva più sull'amore e sull'integrità
spirituale che sulle austerità fisiche, e le virtù che risplendevano
in lui venivano trasmesse agli altri: amore per Dio e per l'uomo, umiltà
e senso delle proporzioni, gentilezza e gaiezza - "riso" è
una parola che compare spesso quando si tratta di san Filippo Neri.
San Giacomo il Maggiore Apostolo (25 luglio)
E' detto "Maggiore" per distinguerlo dall'apostolo omonimo, Giacomo
di Alfeo. Lui e suo fratello Giovanni sono figli di Zebedeo, pescatore in
Betsaida, sul lago di Tiberiade. Chiamati da Gesù (che ha già
con sé i fratelli Simone e Andrea) anch'essi lo seguono (Matteo cap.
4). Nasce poi il collegio apostolico: "(Gesù) ne costituì
Dodici che stessero con lui: (...) Simone, al quale impose il nome di Pietro,
poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il
nome di Boanerghes, cioè figli del tuono" (Marco cap. 3). Con
Pietro saranno testimoni della Trasfigurazione, della risurrezione della
figlia di Giairo e della notte al Getsemani. Conosciamo anche la loro madre
Salome, tra le cui virtù non sovrabbonda il tatto. Chiede infatti
a Gesù posti speciali nel suo regno per i figli, che si dicono pronti
a bere il calice che egli berrà. Così, ecco l'incidente: "Gli
altri dieci, udito questo, si sdegnarono". E Gesù spiega che
il Figlio dell'uomo "è venuto non per essere servito, ma per
servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Matteo cap. 20).
E Giacomo berrà quel calice: è il primo apostolo martire,
nella primavera dell'anno 42. "Il re Erode cominciò a perseguitare
alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di
Giovanni" (Atti cap. 12). Questo Erode è Agrippa I, a cui suo
nonno Erode il Grande ha fatto uccidere il padre (e anche la nonna). A Roma
è poi compagno di baldorie del giovane Caligola, che nel 37 sale
al trono e lo manda in Palestina come re. Un re detestato, perché
straniero e corrotto, che cerca popolarità colpendo i cristiani.
L'ultima notizia del Nuovo Testamento su Giacomo il Maggiore è appunto
questa: il suo martirio.
Secoli dopo, nascono su di lui tradizioni e leggende. Si dice che avrebbe
predicato il Vangelo in Spagna. Quando poi quel Paese cade in mano araba
(sec. IX), si afferma che il corpo di san Giacomo (Santiago, in spagnolo)
è stato prodigiosamente portato nel nord-ovest spagnolo e seppellito
nel luogo poi notissimo come Santiago de Compostela. Nell'angoscia dell'occupazione,
gli si tributa un culto fiducioso e appassionato, facendo di lui il sostegno
degli oppressi e addirittura un combattente invincibile, ben lontano dal
Giacomo evangelico (a volte lo si mescola all'altro apostolo, Giacomo di
Alfeo). La fede nella sua protezione è uno stimolo enorme in quelle
prove durissime. E tutto questo ha un riverbero sull'Europa cristiana, che
già nel X secolo inizia i pellegrinaggi a Compostela. Ciò
che attrae non sono le antiche, incontrollabili tradizioni sul santo in
Spagna, ma l'appassionata realtà di quella fede, di quella speranza
tra il pianto, di cui il luogo resta da allora affascinante simbolo. Nel
1989 hanno fatto il "Cammino di Compostela" Giovanni Paolo II
e migliaia di giovani da tutto il mondo.
S. EDOARDO
Re, detto "il Confessore", salì sul trono inglese nel 1042. In precedenza era stato in esilio in Normandia e proprio qui aveva maturato una salda fede cristiana. Fu un sovrano giusto, che promulgò diverse leggi che rimasero alla base del diritto britannico. Avendo deciso, di comune accordo con la moglie, di vivere nella castità, sant'Edoardo non ebbe eredi. Si spense il 5 gennaio 1066 e fu sepolto nell'abbazia di Westminster. Il suo nome significa "guardiano dei propri beni".
S. VENCESLAO
Duca di Boemia, visse nella prima metà del X secolo. A quell'epoca il territorio boemo era ancora abitato per la maggior parte da popoli pagani. Anche la famiglia di Venceslao credeva ancora negli idoli, ad eccezione della nonna Ludmilla. Fu quest'ultima l'educatrice del nipote, che crebbe rispettando i valori del cristianesimo. Quando egli assunse il potere, si battè perché ciascun suddito potesse liberamente professare la propria religione, nel tentativo di porre fine alle continue persecuzioni contro i fedeli di Cristo. S. Venceslao morì assassinato il 28 settembre 929 per mano di sicari mandati dal fratello Boleslav, che era a capo del partito anticristiano. Patrono della ex Cecoslovacchia e della Polonia, S. Venceslao fu il primo slavo ad essere proclamato santo. Il suo nome significa "che ha maggior gloria".
S. ROCCO (16 agosto)
E' un santo popolarissimo in Europa. Uno dei santi occidentali più
raffigurati da ogni genere di artisti. E tutti lo hanno dipinto o scolpito
in un modo da ricordare la sua vita di pellegrino, con bastone, mantello,
bisaccia, sandali e che cammina nonostante una piaga su una gamba con accanto
un cane suo unico amico. Rocco di nazionalità francese nacque a Montpellier
in una famiglia agiata della grande borghesia mercantile tra il 1345 e il
1350. Secondo la tradizione una volta morti i genitori e donate ai poveri
tutte le sue ricchezze, lasciò la Francia e si mise in cammino verso
l'Italia. Scelse l'Italia dove infuriavano pestilenze e guerre, perché
percorrendo la via Francigena, sperava di raggiungere meglio il suo scopo:
quello di curare i pellegrini ammalati, ma soprattutto di alleviare le sofferenze
degli appestati. Andando su e giù per l'Italia lavorò per
anni in favore di questi ammalati. Giunto a Roma vi rimase tre anni. Sulla
via del ritorno a Piacenza, nel luglio del 1371, mentre assisteva ammalati
di peste dell'ospedale si ammalo lui stesso. Tormentato da un doloroso bubbone,
non solo non trovò nessuno disposto a curarlo, ma addirittura si
ritrovò cacciato dagli altri ammalati, stanchi dei suoi lamenti.
Trascinatosi fino a Sarmato ( non lontano dalla città ), Rocco si
riparò in una grotta ad aspettare la morte. Un segno di predilezione
di Dio, Rocco l'ebbe allora nel cane, per mezzo del quale il Signore, dopo
avergli provveduto l'acqua per dissetarsi, volle provvedergli il pane quotidiano.
Gottardo Palestrelli, nobile signore di Piacenza, viveva in un castello
poco distante dalla grotta dove si era ritirato Rocco. Stando a mensa notò
che un cane addentò un pane e si diede alla fuga e il fatto si ripetè
più volte. Incuriosito un giorno lo seguì e dopo aver camminato
tra gli alberi del bosco, vide la bestiola entrare in una capanna. Meravigliato
la seguì : e quale non fu lo stupore allorché vide un uomo
scarno e macilento che accoglieva con gioia il fedele cane, che poi si accovacciava
ai suoi piedi lambendogli le piaghe. Commosso e impressionato stava per
entrare, ma una flebile voce lo trattenne: " Non entrare, ma sta lontano
perché sono affetto di peste violenta". E gli mostrò
una grossa piaga sulla coscia sinistra. Bastò il nome temuto di peste
a mettere in fuga il nobile piacentino. Gottardo tutta la notte non chiuse
occhio finché il giorno dopo si portò alla capanna dell'appestato
per somministrargli le cure necessarie. Voleva trasportare Rocco nel suo
castello ma questi non accondiscese, preferendo l'estrema povertà
in cui si trovava. Quando Rocco ritornò in Francia voleva seguirlo
ma non ci fu ragione. Rocco giunto a Montpellier no fu riconosciuto da nessuno,
anzi scambiato per un malfattore fini in carcere, e vi rimase per cinque
anni fino a morire trentaduenne il 16 agosto. L'improvviso scampanio delle
campane della città segnalò alla popolazione la morte di quell'uomo
straordinario che solo allora fu riconosciuto dai concittadini. Nel secolo
successivo i suoi resti furono portati a Venezia. Nel 1584 papa Gregorio
XIII iscriverà il suo nome tra quello dei santi.
S. CRISTOFORO
Cristoforo era un cananeo, di nome Reprobo, un gigante dotato di grande
forza e imponenza fisica. Narra la leggenda che Cristoforo, aveva un grande
desiderio, mettersi al servizio dell'uomo più forte. Trovò
dapprima un re potente e ben contento si mise a seguirlo. Ma un giorno in
presenza di un giocoliere che cantava una canzone nella quale si nominava
il diavolo ,vide che il re si faceva il segno della croce. Cristoforo dubbioso
chiese la spiegazione. Quando sento nominare il diavolo, disse il re, mi
faccio il segno della croce per toglierli la possibilità di nuocermi.
Cristoforo concluse che il diavolo era più forte del re. Lo lasciò
e si mise alla ricerca del diavolo. Mentre percorreva una landa deserta
vide venirgli incontro un personaggio dall'aspetto terribile che gli chiese
-dove vai e chi cerchi-? Cristoforo gli rispose: " Sto cercando il
Signor Diavolo perché ho sentito dire che è il più
forte." " E il Diavolo: - Sono io quello che cerchi-. Ed ecco
Cristoforo andargli dietro, un vero discepolo: Ma un giorno incontrarono
una croce e il diavolo cambiò precipitosamente strada. La cosa non
gli sfuggì e gli chiese: " Perché eviti la croce?"
Il diavolo fu costretto a confessare la sua paura davanti alla croce da
quando un certo Gesù Cristo vi era morto sopra. Se hai paura concluse
Cristoforo vuol dire che non sei il più forte e io camminerò
fino a trovare questo Gesù Cristo.
Chiedeva alla gente. "Dov'è Gesù Cristo"? Gli dissero
vai da quell'eremita laggiù e ti mostrerà Gesù Cristo.
Era un povero eremita tutto penitenza e preghiera. Che cosa devo fare per
vedere Gesù Cristo? - chiese-. Il sant'uomo rispose "Digiunare
o Pregare". Lo guardò perplesso e gli disse :- non so né
digiunare né pregare-. L'Eremita allora gli indicò il fiume
dicendogli: "Mettiti sulla riva e la tua forza e la tua statura ti
serviranno a trasportare i viaggiatori da una riva all'altra, e così
faresti un servizio che a Gesù Cristo sarebbe molto gradito, ed allora
potrai vederlo". Soddisfatto con impegno giorno e notte senza distinzioni
trasportava tutti da una riva all'altra. Una notte sentì la voce
di un bambino: "Cristoforo, vieni, aiutami ad attraversare il fiume".
Cristoforo usci dalla sua capanna ma non vide nessuno. Una seconda, una
terza volta sentì la voce e finalmente vide un bambino che lo pregava
di aiutarlo. Cristoforo si caricò il bambino sulle spalle e cominciò
la traversata. Doveva essere una traversata semplice e invece il peso sulle
spalle aumentava sempre più e lui il gigante per la prima volta provo
paura. Arrivato alla fine all'altra riva disse al bambino- Tu mi hai messo
in un bel pericolo, pesavi così tanto come se avessi il mondo sulle
spalle.- Non meravigliarti Cristoforo, tu hai portato sulle tue spalle non
solo il mondo intero ma anche colui che l'ha creato. Io sono Gesù
Cristo, il padrone che tu servi. In segno che dico il vero pianta il tuo
bastone fuori della tua capanna e domattina lo vedrai carico di fiori e
di frutti. L'indomani il suo bastone era una palma carica di datteri. Nel
medioevo Cristoforo era il protettore dei viandanti oggi degli automobilisti.
S. Michele arcangelo (29 settembre)
Il nome dell'arcangelo Michele, che significa "chi è come
Dio ?", è citato cinque volte nella Sacra Scrittura; tre volte
nel libro di Daniele, una volta nel libro di Giuda e nell'Apocalisse di
s. Giovanni Evangelista e in tutte le cinque volte egli è considerato
"capo supremo dell'esercito celeste", cioè degli angeli
in guerra contro il male, che nell'Apocalisse è rappresentato da
un dragone con i suoi angeli; esso sconfitto nella lotta, fu scacciato dai
cieli e precipitato sulla terra.
In altre scritture, il dragone è un angelo che aveva voluto farsi
grande quanto Dio e che Dio fece scacciare, facendolo precipitare dall'alto
verso il basso, insieme ai suoi angeli che lo seguivano.
Michele è stato sempre rappresentato e venerato come l'angelo-guerriero
di Dio, rivestito di armatura dorata in perenne lotta contro il Demonio,
che continua nel mondo a spargere il male e la ribellione contro Dio. Raffigurato
con nella mano una bilancia, è considerato come il pesatore dell'anima
dei defunti.
Egli è considerato allo stesso modo nella Chiesa di Cristo, che gli
ha sempre riservato fin dai tempi antichissimi, un culto e devozione particolare,
considerandolo sempre presente nella lotta che si combatte e si combatterà
fino alla fine del mondo, contro le forze del male che operano nel genere
umano.
In Occidente si hanno testimonianze di un culto, con le numerosissime chiese
intitolate a volte a S. Angelo, a volte a S. Michele, come pure località
e monti vennero chiamati Monte Sant'Angelo o Monte San Michele, come il
celebre santuario e monastero in Normandia in Francia, il cui culto fu portato
forse dai Celti sulla costa della Normandia; certo è che esso si
diffuse rapidamente nel mondo Longobardo, nello Stato Carolingio e nell'Impero
Romano.
La sua festa liturgica principale in Occidente è iscritta nel Martirologio
Romano al 29 settembre e nella riforma del calendario liturgico del 1970,
è accomunato agli altri due arcangeli più conosciuti, Gabriele
e Raffaele nello stesso giorno, mentre l'altro arcangelo a volte nominato
nei sacri testi, Uriele non gode di un culto proprio.
Per la sua caratteristica di "guerriero celeste" s. Michele è
patrono degli spadaccini, dei maestri d'armi; poi dei doratori, dei commercianti,
di tutti i mestieri che usano la bilancia, i farmacisti, pasticcieri, droghieri,
merciai; fabbricanti di tinozze, inoltre è patrono dei radiologi
e della Polizia.
S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA (17 ottobre)
Sant'Ignazio fu il terzo Vescovo di Antiochia, in Siria, cioè
della terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d'Egitto.
Lo stesso San Pietro era stato primo Vescovo di Antiochia, e Ignazio fu
suo degno successore: un pilastro della Chiesa primitiva così come
Antiochia era uno dei pilastri del mondo antico.
Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, e che anzi
si convertisse assai tardi. Ciò non toglie che egli sia stato uomo
d'ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo. I suoi discepoli dicevano
di lui che era " di fuoco ", e non soltanto per il nome, dato
che ignis in latino vuol dire fuoco. Mentre era Vescovo ad Antiochia, l'Imperatore
Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli
uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella
fama e nella santità.
Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto, in catene, con un
lunghissimo e penoso viaggio, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste
in onore dell'Imperatore vittorioso nella Dacia e i Martiri cristiani dovevano
servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve. Durante
il suo viaggio, da Antiochia a Roma, il Vescovo Ignazio scrisse sette lettere,
che sono considerate non inferiori a quelle di San Paolo: ardenti di misticismo
come quelle sono sfolgoranti di carità. In queste lettere, il Vescovo
avviato alla morte raccomandava ai fedeli di fuggire il peccato; di guardarsi
dagli errori degli Gnostici; soprattutto di mantenere l'unità della
Chiesa. D'un'altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai
cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure
di salvarlo dal martirio.
" lo guadagnerei un tanto - scriveva - se fossi in faccia alle belve,
che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi,
perché mi divorassero d'un tratto, e non facessero come a certuni,
che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei
". E a chi s'illudeva di poterlo liberare, implorava: " Voi non
perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi
capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque
immolare, ora che l'altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità,
cantate: Dio s'è degnato di mandare dall'Oriente in Occidente il
Vescovo di Siria! ". Infine prorompeva in una di quelle immagini che
sono rimaste famose nella storia dei Martiri: " Lasciatemi essere il
nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo
sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché
sia trovato puro pane di Cristo ". E, giunto a Roma, nell'anno 107,
il Vescovo di Antiochia fu veramente " macinato " dalle innocenti
belve del Circo, per le quali il Martire trovò espressioni di una
insolita tenerezza e poesia: " Accarezzatele, scriveva infatti, affinché
siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali
non siano a carico di nessuno".
S. MARTINO DI TOUR (11 novembre)
Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia
di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d'Europa e nelle
Americhe: Martino il supernazionale. Nasce in Pannonia (che si chiamerà
poi Ungheria) da famiglia pagana, e viene istruito sulla dottrina cristiana
quando è ancora ragazzo, senza però il battesimo. Figlio di
un ufficiale dell'esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo,
nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. E' in quest'epoca
che può collocarsi l'episodio famosissimo di Martino a cavallo, che
con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante
dal freddo. Lasciato l'esercito nel 356, raggiunge a Poitiers il dotto e
combattivo vescovo Ilario: si sono conosciuti alcuni anni prima. Martino
ha già ricevuto il battesimo (probabilmente ad Amiens) e Ilario lo
ordina esorcista: un passo sulla via del sacerdozio. Per la sua posizione
di prima fila nella lotta all'arianesimo, che aveva il sostegno della Corte,
il vescovo Ilario viene esiliato in Frigia (Asia Minore); e quanto a Martino
si fatica a seguirne la mobilità e l'attivismo, anche perché
non tutte le notizie sono ben certe. Fa probabilmente un viaggio in Pannonia,
e verso il 356 passa anche per Milano. Più tardi lo troviamo in solitudine
alla Gallinaria, un isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio
di cristiani al tempo delle persecuzioni. Di qui Martino torna poi in Gallia,
dove riceve il sacerdozio dal vescovo Ilario, rimpatriato nel 360 dal suo
esilio. Un anno dopo fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers)
una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero
databile in Europa. Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo,
tuttavia, risiede nell'altro monastero da lui fondato a quattro chilometri
dalla città, e chiamato Marmoutier. Di qui intraprende la sua missione,
ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è
ancora "il Dio che si adora nelle città". Non ha la cultura
di Ilario, e un po' rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte
edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che
adesioni. Ma l'evangelizzazione riesce perché l'impetuoso vescovo
si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la
giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa.
Sapere che c'è lui fa coraggio. Questo spiega l'enorme popolarità
in vita e la crescente venerazione successiva.
Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano
il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. Questi ultimi, di notte,
lo portano poi nella loro città per via d'acqua, lungo i fiumi Vienne
e Loire. La sua festa si celebrerà nell'anniversario della sepoltura,
e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin.
S. FRANCESCA SAVERIO CABRINI (22 dicembre)
Tra il 1901 e il 1913 emigrarono nella sola America 4.711.000 italiani,
di cui 3.374.000 provenivano dal meridione; un vero morbo sociale, un salasso,
come lo hanno definito politici e sociologi (anche se non è mancato
chi, come Nitti, ha avuto il coraggio di dire che l'emigrazione era un affare
per lo Stato, cui recava valuta estera senza rischi di capitali). Ma accanto
ai drammi che l'emigrazione suscitò, bisogna ricordare ancor oggi
una fragile maestrina di S. Angelo Lodigiano, Francesca Cabrini, nata nel
1850, ultima di una nidiata di tredici bambini, che al fenomeno della emigrazione
non guardò con gli occhi del politico né del sociologo, ma
con quelli umanissimi di donna, cristiana, meritando il titolo di madre
degli emigranti.
Orfana di padre e di madre, Francesca avrebbe voluto chiudersi in convento,
ma non fu accettata a causa della sua malferma salute. Accettò allora
l'incarico di accudire a un orfanotrofio, affidatole dal parroco di Codogno.
La giovane, da poco diplomata maestra, fece molto di più: invogliò
alcune compagne a unirsi a lei, costituendo il primo nucleo delle Suore
missionarie del Sacro Cuore, poste sotto la protezione di un intrepido missionario,
S. Francesco Saverio, di cui ella stessa, pronunciando i voti religiosi,
assunse il nome. Come il santo gesuita, avrebbe voluto salpare per la Cina,
ma quando venne a conoscenza della colpevole incuria e del dramma della
disperazione di migliaia e migliaia di emigranti italiani, scaricati dalle
stive delle navi nel porto di New York privi della minima assistenza materiale
e spirituale, Francesca Saverio Cabrini non ebbe esitazioni.
Anche lei nella prima delle sue ventiquattro traversate oceaniche condivise
i disagi e le incertezze dei nostri compatrioti; ma è straordinario
il coraggio con cui affrontò la metropoli statunitense e seppe districarvici
per stabilirvi il punto d'incontro e di soccorso degli emigranti. Per prima
cosa badò agli orfani e agli ammalati, costruendo case, scuole e
un grande ospedale a New York, poi a Chicago, quindi in California, allargando
poi la sua opera in tutta l'America, fino all'Argentina.
A chi si mostrava con lei ammirato per il successo di tante opere, madre
Cabrini rispondeva con sincera umiltà: "Tutte queste cose non
le ha fatte forse il Signore? ". Tradotte in cifre queste opere costituivano
ben trenta fondazioni in otto diverse nazioni. La morte la colse sulla breccia,
dopo un ennesimo viaggio, a Chicago, nel 1917. Il suo corpo venne portato
trionfalmente a New York, nella chiesa annessa alla "Mother Cabrini
High School", perché fosse vicino agli emigrati.