Da questo mese, per chi vorrà farlo con noi, iniziamo un viaggio
che ci porterà a navigare nel Mare della Parola di Dio, la Bibbia:
Antico e Nuovo Testamento.
Chi può fare questo viaggio? Tutti, naturalmente! Soprattutto coloro
che vorranno conoscere qualcosa di più e che magari non hanno il
tempo di sfogliare dei voluminosi libri di esegesi o di teologia.
Sarà un viaggio facile, ve lo prometto, senza grosse difficoltà
o cose per dei cervelloni che sanno già tutto di tutto. Al contrario,
spero che risulterà addirittura un viaggio piacevole, una navigazione
tranquilla, anche se non mancherà qualche burrasca: qualcosa di nuovo
che proprio non immaginavamo oppure delle cose che pensavamo che fossero
così e che, invece, se ci pensiamo bene, hanno un significato diverso.
Ad esempio, la celebre frase di Gesù: "Porgi l'altra guancia!"(Luca
Cap. 6, vers. 29) che ci hanno sempre spiegato che significa di non contrastare
il male, di non opporvisi, ma che in realtà, in origine - ai tempi
di Gesù - aveva un significato molto diverso.
E poi, percorrendo la rotta nel Mare della Parola di Dio, ci potremmo forse
anche togliere dei dubbi che ci sono venuti ascoltando alcune pagine della
Bibbia. Domande che vengo a molti. Ad esempio:
Perché Dio, nell'Antico Testamento, a volte si comporta in maniera
spietata e terribile?
Perché nella Bibbia Dio interviene spesso in favore di chi lo invoca
e con noi non lo fa quasi mai?
Cominciamo con qualcosa che sappiamo già per renderci le cose
più semplici. Le Sacre Scritture - la Bibbia - si dividono in Antico
Testamento e Nuovo Testamento.
La differenza è che l'Antico Testamento contiene dei Libri che sono
stati scritti molto prima della nascita di Gesù, mentre il Nuovo
Testamento racchiude tutti i Libri scritti dopo la Resurrezione e l'Ascensione
del Signore.
Credo che mettersi a ragionare su quanti siano i Libri che compongono l'Antico
Testamento e quanti il Nuovo non è che ci interessi molto. Anche
perché il ricordare il loro numero o quali siano esattamente i loro
titoli, è un esercizio di memoria che non ha molto a che fare con
il nostro navigare nel Mare della Parola di Dio.
Ci basta sapere che i Libri che fanno l'Antico Testamento sono ovviamente
molto più antichi di quelli che formano Nuovo e sono anche più
numerosi.
Poi, così per darci un punto di riferimento, possiamo ordinare
i Libri dell'Antico Testamento in tre grandi gruppi.
Al Primo Gruppo appartengono i primi cinque Libri della Bibbia, come la
Genesi che contiene il racconto della Creazione, le storie di Adamo e di
Eva, di Caino e Abele, della Torre di Babele, di Abramo, Isacco e Giacobbe.
Poi c'è l'Esodo con il grande racconto dell'Uscita dall'Egitto, dell'attraversamento
del Mar Rosso, delle Tavole della Legge: i Dieci Comandamenti, Mosè,
il Deserto fino ad arrivare alla frontiera della Terra Promessa: Israele.
Poi ci sono gli altri tre Libri: Levitico Numeri e Deuteronomio, che li
possiamo considerare - sotto certi aspetti - un approfondimento dei primi
tre. Questo Gruppo viene detto "Pentateuco" e, in Ebraico: "Torah".
Dopo questi primi cinque Libri, che sono i principali, i più importanti dell'Antico Testamento, abbiamo il Secondo Gruppo che raccoglie i Libri dei "Profeti". Qualcuno di loro sicuramente ce lo ricordiamo senza bisogno di andarci a leggere i titoli: Isaia ad esempio, oppure Elia, le cui vicende, in realtà, sono contenute alla fine e all'inizio di due Libri che prendono il Nome di 1° e 2° Libro dei Re.
L'ultimo, il Terzo Gruppo, che compone l'Antico Testamento è quello chiamato, un po' indefinitamente, degli "Scritti" o, con una parola più difficile: "Agiografi". Tra questi Libri, quello che sicuramente è più conosciuto è quello dei Salmi. I Salmi sono delle bellissime preghiere nate per essere cantate. Molto spesso sono delle invocazioni personali, intime, dal profondo del Cuore, che l'Uomo rivolge a Dio per lodare la sua bontà, per chiedere aiuto o il suo perdono.
Ora, vi propongo una piccola domanda, così per farci riflettere
un pochino e per rompere la monotonia del discorso.
Il Libro di Giona, ad esempio, che parla di un uomo rimasto per tre giorni
nel ventre della balena, in quale gruppo dell'Antico Testamento lo collochiamo?
Nei Profeti, perché Giona era naturalmente un Profeta di Dio.
E ora, una domanda un po' più difficile, ma non tanto dopo tutto.
Il Libro di Giobbe, che racconta tutte le disavventure capitate a quell'uomo
pio, buono e timorato di Dio dove lo collochiamo?
In questo caso, possiamo ragionare per esclusione. Nei primi cinque Libri
della Bibbia non può essere, perché si parla di una Storia
attraverso il tempo: dalla Creazione fino all'entrata del Popolo d'Israele
nella Terra Promessa datagli da Dio come Eredità Eterna. E nemmeno
nei Profeti, perché Giobbe, a differenza di Giona, non è un
Profeta ma è l'immagine dell'Uomo davanti al dolore e al perché
Dio difficilmente interviene personalmente per togliere la sofferenza umana.
Allora, non ci resta che il gruppo dei Libri degli "Scritti" o,
meglio "Agiografi". E, in effetti, il Libro di Giobbe si trova
proprio lì.
Ecco che la prima mappa della nostra Navigazione nel Mare della Parola
di Dio è bella e pronta. È la Mappa dei Libri che compongono
l'Antico Testamento. È una mappa molto semplice, ma dobbiamo tenerla
ben presente perché ci servirà.
La prossima volta ci faremo una nuova semplice mappa: quella dei Libri che
parlano di Gesù, di Maria e dei Discepoli: il Nuovo Testamento.
Riprendiamo la navigazione che abbiamo iniziato il mese scorso, preparandoci
la seconda mappa utile per il nostro viaggio. La prima, ce la ricordiamo,
riguarda i Libri dell'Antico Testamento. Quella di oggi, naturalmente, traccerà
la nostra rotta nel Nuovo Testamento.
Questa mappa è ancora più facile della prima. Nell'Antico
Testamento, infatti, ci sono molti più Libri da ricordare. Inoltre,
il tempo storico di cui parlano è lunghissimo: dalla Creazione fino
a circa duecento anni prima della nascita di Gesù. Insomma, una mappa
come ce la siamo fatta noi era proprio necessaria per orientarci.
Per i Libri del Nuovo Testamento è tutta un'altra cosa. È
più semplice ricordarli. Sono molti meno e il periodo storico che
raccontano va da pochi mesi prima del giorno in cui nacque Gesù,
fino a pochi anni precedenti la morte dell'ultimo Apostolo: Giovanni l'Evangelista.
Infatti, con la morte dell'ultimo Apostolo, avvenuta più o meno,
nell'anno 95 d.C., per la nostra Chiesa - è bene saperla questa cosa
- termina in modo definitivo la Rivelazione. Da quel momento, non si può
più parlare di Rivelazione - di una comunicazione diretta da parte
di Dio a tutta l'Umanità - ma solo di Interpretazione e di Tradizione.
Sono anch'esse molto importanti, ma nel modo più assoluto non possono:
aggiungere, togliere o modificare qualcosa della Parola di Dio scritta nella
Bibbia: Antico e Nuovo Testamento.
Come abbiamo fatto per l'Antico Testamento, anche per il Nuovo divideremo
i Libri in Gruppi.
Al Primo Gruppo appartengono i Vangeli che, come sappiamo bene, sono quattro:
Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Li ho elencati in ordine di antichità.
Il Vangelo di Marco è quello che è stato scritto per primo
e quello di Giovanni per ultimo.
I primi tre Vangeli sono simili, hanno molte cose in comune: miracoli, discorsi
di Gesù, guarigioni e così via. Quello di Giovanni invece
è diverso. Non perché racconta un'altra storia, un'altra vita
di Gesù. Semplicemente è differente l'angolazione dalla quale
viene considerata. Il Vangelo di Giovanni, infatti, è molto più
elaborato degli altri tre. I concetti sono spesso espressi con ragionamenti
ricercati, con metafore, con similitudini difficili, con simboli a volte
molto complicati da interpretare. Quello di Giovanni è un Vangelo
difficile anche se molto bello e, quando attraverseremo quella parte di
Mare della Parola di Dio, ci capiterà di sicuro qualche burrasca.
Ma tranquilli, non affonderemo! Ve lo prometto sin d'ora.
Riassumendo: Primo Gruppo, i quattro Vangeli.
Secondo Gruppo: Le Lettere degli Apostoli. Anche queste le conosciamo piuttosto bene, soprattutto quelle di Paolo, perché spesso le sentiamo leggere in chiesa durante la Messa. Ma non ci sono solo le Lettere di San Paolo. Ci sono quelle di Pietro, di Giovanni - lo stesso che ha scritto il Vangelo che porta il suo nome -, quelle di Giacomo, e ce n'è anche una di Giuda. Ovviamente, anche se lui è stato un Discepolo di Gesù, non è lo stesso Giuda che ha tradito il Signore. Aveva lo stesso nome ma non era lui. Il nome Giuda, come quello di Gesù, era molto diffuso ai tempi del Signore, come lo sono per noi i nomi: Antonio, Marco, Francesca o Claudia.
Passiamo agli altri Libri. In questo caso non facciamo dei gruppi. Sono dei Libri a sé stanti. Si tratta degli Atti degli Apostoli e dell'Apocalisse. Negli Atti degli Apostoli, San Luca che ne è l'autore, narra le vicende della Prima Chiesa - quella con a capo gli Apostoli - che sorse immediatamente dopo che il Signore Gesù ascese al Cielo in Anima e Corpo. Ma negli Atti degli Apostoli non si parla solo di questo. Si raccontano anche le vicende di San Paolo che, da strenuo persecutore dei Cristiani divenne - dopo il suo incontro con il Signore sulla Via di Damasco - il più appassionato ed instancabile propagatore della Fede fra le comunità Ebraiche e Pagane sparse nel vasto territorio dell'Impero Romano.
Infine: l'Apocalisse, che è l'ultimo libro della Bibbia. È un altro Libro attribuito a San Giovanni l'Evangelista e, a prima vista, sembra un Libro terribile, perché paurose sono le vicende che vi sono narrate. In realtà, al contrario, è un Libro che ci vuole rassicurare dicendoci di avere sempre Fede nel Signore anche quando le cose sembrano andare terribilmente male.
Ecco qua che abbiamo finito di disegnare la seconda mappa utile per tracciare la rotta della nostra navigazione nel Mare della Parola di Dio: quella del Nuovo Testamento.
Per la prossima volta dobbiamo solo decidere da quale molo salpare. Dal
molo dell'Antico o dal molo del Nuovo Testamento.
Da dove iniziamo?
Quella parte del Mondo in cui è stata scritta la Bibbia - tutta
la Bibbia: Antico e Nuovo Testamento - e si sono svolte le vicende che vi
sono narrate, non è molto grande.
Non preoccupiamoci! Non ci sono né nomi da imparare né tantomeno
c'è da ricordare la lunghezza dei fiumi, l'altezza delle montagne
o la superficie dei territori degli Stati.
Abbiamo bisogno solo di qualche riferimento, giusto per non navigare in
un mare completamente sconosciuto. Perciò, più che di tante
parole, quello che ci occorre di più è una cartina geografica
che, a colpo d'occhio, ci faccia vedere dove sono collocati i vari Stati
e i territori principali. Più avanti, ci servirà una carta
geografica più precisa d'Israele per renderci conto dove sono i villaggi,
i paesi e le città in cui Gesù visse, predicò e fece
i miracoli.
Per quanto riguarda l'Antico Testamento, ci basterà conoscere
dove si trova Israele e dove l'Egitto. Ci interessa soprattutto sapere che
i loro territori sono confinanti e che in mezzo c'è anche il Monte
Sinai in cima al quale Dio in persona consegnò a Mosè le Tavole
della Legge: i Dieci Comandamenti. Non è una cosa difficile per la
quale occorre imparare tutto a memoria. Dobbiamo solo sapere dove è
l'Egitto, dove il Sinai e dove Israele.
Ci capiterà anche di parlare della Terra fra il fiume Tigri e l'Eufrate,
dalla quale Abramo inizia il suo viaggio verso Canaan. Ma anche in questo
caso, non ci sarà niente di difficile. Si tratta infatti del territorio
che oggi chiamiamo Iraq e che purtroppo conosciamo bene a causa di Saddam
Hussein, delle guerre che vi sono state combattute di recente e degli attentati
che hanno causato così tanti morti.
Ecco la carta della Regione che comprende Israele, la Penisola del Sinai e l'Egitto. Quella dell'Iraq, della Terra da cui partirono Abramo e sua moglie Sara la vedremo in seguito quando parleremo di loro.
Leviamo le ancore! Si parte!
Abbiamo deciso. Il molo da cui partiamo oggi è quello dei Vangeli.
Innanzitutto, da quello di Marco che è il più antico dei quattro.
Infatti, è stato scritto non più tardi di quarant'anni dopo
la Morte, la Risurrezione e l'Ascesa al Cielo di Gesù.
Perché Marco ha deciso di scrivere un Vangelo, quasi una biografia
di Gesù? E chi era Marco?
Marco non era un Apostolo in senso stretto. Forse aveva conosciuto Gesù
o forse no. Sicuramente era lo scrivano di San Pietro e gli faceva un po'
anche da "badante". Pietro diventava sempre più anziano
e si rendeva conto che non sarebbe vissuto in eterno. E poi c'era anche
il concreto pericolo - come poi effettivamente avvenne - che i Romani lo
arrestassero e lo crocifiggessero. Perciò, Pietro sapeva che non
avrebbe potuto per sempre raccontare la Vita di Gesù: quello che
aveva detto e fatto, i miracoli, le guarigioni e tutto il resto. Perciò
decise di far scrivere al fido Marco "La Storia di Gesù"
come l'aveva vissuta lui che era stato sempre con il Signore, che l'aveva
amato, ma anche tradito e che da Lui era stato nominato Capo dei Dodici.
Nientemeno che il Primo Capo della Chiesa: in effetti, il primo Papa.
Il Vangelo di Marco, che ha molti punti in comune con quelli di Matteo
e di Luca - l'abbiamo già detto - è il più antico di
tutti. Nel suo Vangelo manca un pezzo della Vita di Gesù: la sua
nascita e l'infanzia. Nel suo Vangelo, Marco comincia a narrare la Vita
di Gesù da quando ha iniziato la sua attività pubblica: dal
Battesimo nel fiume Giordano, per la precisione. Il racconto comincia con
una frase memorabile: "Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio
di Dio." Con una sola frase Marco, ci dice tutto di Gesù. Ci
dice che è lui il Messia d'Israele (il Cristo, che è la parola
Greca per dire che è il Messia) ed è anche Figlio di Dio,
ovvero, al contempo, Vero Uomo e Vero Dio.
La parola Vangelo, lo sappiamo sicuramente, significa "Buona Novella".
E la Buona Novella, la Buona Notizia per l'appunto è che con Gesù
inizia il Regno di Misericordia di Dio.
Basta così, se non ci annoiamo! Possiamo solo immaginare che il
Vangelo di Marco sia quello più vicino alla vera Vita di Gesù.
Un po' perché è stato scritto pochi decenni dopo che il Signore
ha concluso la sua Vicenda nella Storia Umana. Perciò, la memoria
di ciò che era accaduto era ancora ben viva nelle persone che lo
avevano visto e ascoltato, specie in quella di San Pietro che era stato
davvero un testimone d'eccezione e che era lì a suggerire a Marco
quello che doveva scrivere.
Provate a fare questa cosa: ad immaginare di dover scrivere qualcosa di
una persona che avete conosciuto benissimo, che avete frequentato e che
magari è morto o è partito per un Paese lontano trent'anni
fa. È vero che vi ricordate molte cose di quella persona? Il viso,
il portamento, i suoi atteggiamenti, il suo modo di parlare, e anche le
sue idee, che cosa ne pensava su certe cose, ciò che gli piaceva
o non gli piaceva. Sicuramente abbiamo ancora dei ricordi ben distinti e
sufficientemente particolareggiati. Non è così?
Lo stesso è stato per San Pietro che aveva ancora una memoria ferrea
e che ricordava proprio tutto di Gesù. Certo, ha tralasciato di dettare
a Marco la nascita di Gesù a Betlemme. Ma forse l'ha fatto perché
lui a quel tempo era un bambino e, soprattutto, non aveva ancora incontrato
Gesù. Perciò, non se l'è sentita di narrare qualcosa
che non conosceva personalmente, ma che sapeva solo per sentito dire.
La Storia di Gesù la conosciamo: la nascita a Betlemme, la Predicazione
e i Miracoli quando cioè, attorno ai trent'anni, da il via alla sua
Vita Pubblica. E poi: la Passione, la Morte in Croce, la Risurrezione e,
infine, la sua Ascesa al Cielo.
Sono tutte cose che naturalmente troviamo raccontate in tutti i quattro
i Vangeli.
Tranne la nascita. Perché di Betlemme, degli Angeli
e dei Pastori ce ne parla solo il Vangelo di Luca, mentre dei Re Magi solo
quello di Matteo. Marco e Giovanni su queste cose tacciono.
A questo punto abbiamo lasciato il Molo del Nuovo Testamento, ma non
ci siamo ancora allontanati dalla Riva. Però, l'aria del Mare della
Parola di Dio si sente già. La prossima volta ne respireremo ancora
un po'.
L'ultima volta abbiamo parlato del Vangelo di Marco. Purtroppo non possiamo
narrare fatto per fatto, parola per parola l'intero Vangelo. Ci vorrebbe
molto più spazio e molto più tempo. Riprendiamo perciò
la nostra tranquilla navigazione nel Mare della Parola di Dio approdando
ad uno solo dei fatti narrati nel Libro di Marco. Poi rientreremo al nostro
Porto e la prossima volta salperemo facendo rotta verso un altro Vangelo,
quello di Luca e in particolare esamineremo gli avvenimenti che portarono
alla nascita di Gesù. Il mese prossimo inizierà l'Avvento
e qualcosa del Vangelo di Luca c'accompagnerà nella nostra personale
preparazione al Natale.
Ma torniamo a Marco. Scegliamo uno dei brani che sta all'inizio del suo
Vangelo: il Battesimo che Gesù ricevette sulle sponde del fiume Giordano
da parte di Giovanni Battista figlio di Zaccaria e di Elisabetta, coetaneo
e cugino di Gesù. La vicenda è narrata nel I Capitolo. E'
un brano è piuttosto breve perciò, per questa volta, lo riportiamo
per intero. Per le altre volte vi ricordo che dobbiamo avere a portata di
mano il Vangelo. Se non l'abbiamo, ce ne saranno alcune copie (gratuite)
a vostra disposizione nelle chiese parrocchiali di Domo e Porto a partire
dal periodo dell'Avvento.
[9] In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. [10] E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. [11] E si sentì una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto".
Giovanni sta predicando la conversione sulle sponde del fiume Giordano, nel bel mezzo del Deserto di Giuda, molto vicino alla città di Gerico e al Mar Morto.
Ecco la cartina con la freccia che ci indica il luogo preciso.
Iniziamo con il precisare che il Battesimo che il Signore riceve da Giovanni
non deve essere confuso con il Battesimo Cristiano.
È vero che hanno lo stesso nome. E' vero che ambedue hanno nell'acqua
un elemento comune, ma non sono la stessa cosa. Sono qualitativamente differenti.
Innanzitutto il Battesimo di Giovanni è soltanto simbolico, ma del
tutto inefficace per togliere i peccati: sia quello originale, sia tutti
gli altri.
Chi ascoltava Giovanni sottomettendosi al suo Battesimo, compiva solo un
atto simbolico con il quale manifestava pubblicamente la sua volontà
di convertirsi, di cambiare vita, di volgersi nuovamente a Dio. Tuttavia,
sapeva che con quel gesto non otteneva "formalmente" il Perdono
di Dio.
La seconda cosa - semplicemente logica, ma che è utile sottolineare
- è che il Battesimo di Giovanni non è la stessa cosa del
Battesimo Cristiano, semplicemente perché il Cristianesimo ancora
non c'era. Gesù non aveva ancora incominciato a predicare. Anzi,
è proprio con quel Battesimo che inizia la Vita Pubblica del Signore
e perciò anche la sua predicazione.
Nella Bibbia, molto spesso l'acqua ha un significato ambivalente - un doppio
significato -: quello di affogare - di morire - che è rappresentato
dall'immersione, e quello del rinascere alla vita, all'atto di riemergere
dall'acqua.
Nel rito nostro Battesimo accade la stessa cosa, anche se il rito per immersione
completa - per ragioni pratiche - non viene fatto quasi mai. L'uomo peccatore
muore nell'acqua e dall'acqua riemerge Figlio di Dio.
Gesù - ovviamente - non si fa battezzare per dimostrare la sua volontà
di cambiare vita, d'allontanare da sé i peccati commessi e di convertirsi.
Piuttosto, è vero che lo fa perché, con questo gesto egli
mostra pubblicamente che Lui, in obbedienza al Padre, darà la Vita
- morirà, attraverserà la Dimensione della Morte - per poi
risorgere vivo insieme a tutti coloro che crederanno in Lui.
Consideriamo anche che esiste un fortissimo legame fra il Battesimo di Gesù
e l'Antico Testamento. Infatti, è attraversando il Fiume Giordano
che il Popolo d'Israele - alla cui testa c'era Giosuè, succeduto
a Mosè - entra definitivamente nella Terra Promessa.
Gesù si fa battezzare - s'immerge nel Giordano e ne riesce - proprio
nel punto in cui il Popolo d'Israele attraversò il fiume entrando
per sempre nella Terra Promessa.
E non è un caso, una coincidenza!
E c'è di più: Gesù e Giosuè - anche se siamo
abituati a considerarli due nomi diversi - in realtà sono lo stesso
nome. Entrambi significano: "Jaweh salva!" Jaweh è il nome
personale di Dio che Lui stesso ha rivelato a Mosè sul Monte Sinai.
Per concludere e tirare le somme, nel caso del Battesimo di Gesù,
non c'entra il perdono dei peccati, ma la prefigurazione della sua Morte
e Resurrezione. C'entra invece il manifestare pubblicamente di Gesù
della sua ferma volontà di portare a compimento l'Amore del Padre,
attraversando Lui stesso - e facendolo attraversare ai Credenti - il fiume
della Morte, per poi riemergere nella definitiva Terra Promessa del Cielo;
proprio come molti secoli prima fece Giosuè che attraversò
e fece attraversare al Popolo d'Israele il Fiume Giordano conducendolo così
- per sempre - nella Terra Promessa.
La nostra attenzione deve orientarsi soprattutto sul Mistero della Salvezza,
sul Mistero della Vita oltre la Vita, perché il Battesimo nel Fiume
Giordano è la prefigurazione della Morte e Risurrezione di Gesù.
È un annuncio di Salvezza: il primo annuncio pubblico di Gesù.
Ora però dobbiamo sbarcare sul molo. Anche questa volta il tempo
di navigare è finito. La prossima volta partiremo alla volta del
Vangelo di Luca.
Ah! Dimenticavo! Portatevi qualcosa di pesante perché già comincia a far freddo, soprattutto se si va in barca.
Shalom!
Ed eccoci in partenza da un nuovo molo del Porto del Nuovo Testamento.
Come vi è sembrata finora la navigazione? Non molto difficile vero?
Bene! Allora siamo pronti ad affrontare il secondo Vangelo, quello di Luca.
Il Vangelo di Luca da molti è ritenuto il più bello perché
è il Vangelo che fonda la sua narrazione sulla Misericordia di Dio.
Sicuramente molti di noi ricordano le vicende di Zaccheo, l'uomo piccolino
che a Gerico sale su un albero di sicomoro per vedere passare Gesù.
Gesù lo vede e lo chiama e lui risponde subito trasformando la sua
vita brutta in una bellissima fatta di gioia e di generosità. Ma
iniziamo con ordine. Luca, come del resto Marco, non era uno dei Discepoli
che ha seguito Gesù durante la sua vita terrena lungo il suo spostarsi
da un capo all'altro dell'Israele di duemila anni fa per predicare l'avvento
del Regno di Dio. Però, al pari di Marco, è stato uno dei
più fidi collaboratori degli Apostoli, in particolare di Paolo come
Marco lo fu di Pietro. Luca ha frequentato anche gli altri Apostoli. Infatti
ha scritto un libro che parla proprio della Chiesa dei Primi Apostoli. Quel
Libro, per l'appunto, si chiama "Gli Atti degli Apostoli". E poi,
come dice esplicitamente all'inizio del suo Vangelo, Luca ha svolto ricerche
accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, per fare un resoconto ordinato
della vita di Gesù. Luca parte proprio dall'inizio e cerca di collocare
cronologicamente ogni avvenimento che riguarda il Signore. Così,
parte proprio dalla nascita o, meglio, ancora prima, dal tempo in cui a
Zaccaria l'angelo preannuncia la nascita di Giovanni il Battista da sua
moglie Elisabetta. Giovanni Battista, che è anche secondo cugino
di Gesù, nasce pochi mesi prima di lui nei dintorni di Gerusalemme.
Luca scrisse il suo Vangelo un po' di anni dopo Marco. Quasi tutti gli studiosi
moderni collocano la stesura fra gli anni 80 e 100 d.C. Come per quasi tutti
i testi antichi è difficile stabilire una datazione precisissima
ma l'importante è l'essere certi che anche il Vangelo di Luca è
stato composto non molti anni dopo la morte, la resurrezione e l'ascesa
al cielo di Gesù. Perciò, come nel caso di Marco, le notizie
erano ancora di prima mano e i ricordi ancora vivi nelle persone che avevano
vissuto quegli avvenimenti. Nel Vangelo di Luca, come dicevo all'inizio,
si parla molto della Misericordia di Dio. Ho citato l'episodio di Zaccheo
ma ce ne sono molti altri. Ad esempio si narrano numerose guarigioni. Gesù
racconta molte parabole che hanno come tema la misericordia: quella del
Buon Samaritano, della Pecora smarrita e così via. Ma parliamo proprio
di Zaccheo che troviamo al capitolo 19. A questo punto, se non vi ricordate
bene la storia dovete andare a prendere il Vangelo. Zaccheo è un
tipo poco raccomandabile. E' addirittura un pubblicano. Che la parola Pubblicano
sia di per sé negativa lo sappiamo. I Pubblicani erano dei dipendenti
statali dell'Impero Romano che avevano il compito di riscuotere i tributi
e quasi sempre lo facevano vessando la popolazione più debole. Zaccheo
era ancor più disprezzabile per la gente della città di Gerico
perché, oltre ad essere un Pubblicano, era Ebreo come loro. Era uno
che aveva tradito il suo Popolo mettendosi al servizio degli invasori, dei
Pagani. Non si sa bene cos'è capitato a Zaccheo. Il Vangelo non ci
dice i motivi della sua radicale conversione. Certamente aveva già
sentito parlare di Gesù. Sicuramente le notizie su Gesù, dal
Nord di Israele, dalla Galilea, erano giunte anche in quella città
del Sud adagiata in un oasi del Deserto di Giuda vicino al Mar Morto. E
poi, il Signore, a Gerico aveva già fatto un miracolo restituendo
la vista a un cieco nato. Zaccheo riteneva Gesù un Uomo straordinario
e desiderava vederlo di persona. Non si sa - perché il Vangelo non
ce lo dice - se Zaccheo avesse già maturato l'idea di convertirsi,
di cambiare vita, di smetterla di servire gli invasori Romani che occupavano
Israele. Però, è certo, quello che accadde al piccolo Zaccheo
arrampicatosi su un albero di sicomoro, ha qualcosa di straordinario. Gesù
lo chiama. Gli dice di sbrigarsi, di scendere subito che ha bisogno di lui.
"Di me?!" Si sarà domandato Zaccheo "
Di me?!
Proprio di me, che tutti mi evitano come la lebbra?! No! Non è possibile!
Eppure, sì! Sta proprio chiamando me! Addirittura mi chiede
di ospitarlo a cena! A casa mia!" Un attimo dopo, passato lo stupore,
Zaccheo - a costo di rompersi l'osso del collo - corre giù dall'albero
e s'avvicina al Signore per ringraziarlo per averlo chiamato, per aver avuto
così tanta considerazione di lui. Gesù in quel modo ha salvato
un Uomo. Ha ottenuto la conversione di un'altra sua Creatura. E lo ha fatto
con delicatezza, semplicemente chiamandolo. Non lo ha rimproverato. Non
l'ha neppure seriamente ammonito a cambiare vita. Non lo ha minacciato dicendogli
che, se non avesse mutato condotta, sarebbe bruciato per sempre nelle fiamme
dell'Inferno. No! Gesù lo tratta come nessun altro aveva fatto prima.
Gli si rivolge con bontà, con fiducia. E con quel gesto d'attenzione,
di simpatia, piuttosto che con un rimprovero - anche se giustificato dalla
vita scellerata che Zaccheo aveva condotto sino a quel momento - Gesù
lo conquista all'Amore del Padre. Con quel gesto di benevolenza, d'attenzione,
gli fa capire che deve assolutamente cambiare strada. E Zaccheo effettivamente
cambia, non per paura della punizione di Dio, ma perché sollecitato
dal suo Amore. La gente si scandalizza. "Ma come fa un Uomo Pio e Religioso
come Gesù, come fa un Maestro delle Sacre Scritture come lui, a farsi
invitare a cena da un Pubblicano, da un traditore del suo Popolo?"
Sembra che tutta quella gente non si rende conto della Forza che ha l'Amore,
di che cosa sia capace l'Amore più che la condanna, il disprezzo
e l'emarginazione. Quella gente pare proprio non aver capito che l'Amore
può tutto. Zaccheo, ancora una volta, si sente messo da parte, escluso,
accusato dai suoi concittadini. E allora sente il bisogno di dare subito
prova del suo cambiamento, del suo desiderio di vivere secondo le Leggi
di Dio: "Darò metà dei miei beni ai poveri. E se ho frodato
qualcuno, restituisco quattro volte tanto."
In fondo tutti vorremmo essere un po' come Zaccheo. La Felicità di
scoprirsi amati da Dio nonostante i nostri peccati, le nostre imperfezioni,
è davvero una cosa grande. Tutti vorremmo essere un po' come Zaccheo
e, in realtà, lo siamo perché tutti siamo amati dello stesso
Amore che Gesù ha per il piccolo Pubblicano di Gerico.
Il Vangelo di Luca, nel suo secondo capitolo, ci parla in dettaglio della
nascita di Gesù. È meglio andare a rileggerlo anche se naturalmente
ce lo ricordiamo molto bene. Inizio subito col dire che Gesù è
nato in una grotta che però non era solo una grotta perché
era anche la stanza di una normalissima casa di Betlemme.
A quei tempi molte casette erano formate da una grotta dove s'andava a dormire
e ci si mettevano gli animali più fidati, come la Mucca e l'Asinello.
Davanti a quella grotta si costruiva un'altra piccola stanza con dei mattoncini
o dei sassi e lì si stava per cucinare e per mangiare. Era una specie
di sala con angolo cottura. Gesù è nato proprio in una grotta
che era la stanza di una casa dove forse c'era già un bue e poi l'asinello
che Giuseppe e Maria hanno portato con sé durante il lungo viaggio
da Nazareth fino a Betlemme dove dovevano andare per registrarsi durante
il Censimento ordinato dall'Imperatore Romano Augusto.
Maria, per far nascere Gesù, si è sistemata nella grotta innanzitutto
perché lì faceva meno freddo. Era più riparata rispetto
all'altra stanza della casa. E poi, c'erano il bue e l'asinello che con
il fiato e il calore del loro corpo riscaldavano un po' l'ambiente.
Far nascere un bambino è una cosa seria che non si può fare
davanti a tutti, magari quando altri nella stessa stanza cucinano, giocano,
chiacchierano o fanno tante altre cose.
"Meglio la grotta che la stanza per far nascere mio Figlio
"
Avrà pensato la Madonna. "
E' più riparata, più
calda, e non c'è confusione, con gente che va e viene e che aprendo
la porta fa uscire il caldo ed entrare il freddo."
Un po' di pace insomma. Ma questa pace non dura molto, perché Dio
- il vero papà di Gesù - è talmente felice per la venuta
al mondo di suo figlio, che ordina agli Angeli di correre giù sulla
Terra ad annunciare la venuta al mondo di Gesù Bambino.
Loro - gli Angeli - naturalmente obbediscono e volano sul cielo di Betlemme
cantando e urlando di gioia ai Pastori d'andare subito in paese perché
è nato un Bambino straordinario che porterà la Pace a tutti
gli Uomini della Terra.
A dire il vero, all'inizio i Pastori non credono ai loro occhi e si spaventano
un po'.
Immaginatevi se nel cuore della notte, all'improvviso vedete volare migliaia
di Angeli che cantano e urlano di gioia. Io, di certo, mi spaventerei moltissimo.
Ma poi, alla fine, i Pastori si tranquillizzano. Gli Angeli, dopotutto,
non sono pericolosi. I cani non hanno neanche abbaiato e le pecore sono
rimaste tranquille al loro posto. Non sono scappate via terrorizzate come
c'era d'aspettarsi che facessero. Solo qualche ochetta ha cominciato a starnazzare,
ma loro lo fanno sempre anche senza motivo.
"Va bene! Andiamo a vedere questo Bambino!" Avrà certamente
detto qualcuno. E tutti dietro a lui sono entrati nel paese chiamato Betlemme.
Hanno bussato alla porta della casa dove c'era Maria, Giuseppe e da qualche
minuto anche Gesù Bambino.
Sicuramente, la Madonna e San Giuseppe, all'inizio si saranno un po' arrabbiati
per tutta quella gente che voleva entrare in casa loro per vedere il Bambino
appena nato.
Ma quando i Pastori gli hanno detto che non era un'idea loro, ma che degli
Angeli Celesti glielo avevano detto, ecco che li fanno entrare tutti quanti.
Qualcuno entra anche con qualche pecora, con il cagnolino e c'erano anche
le solite ochette che non la smettevano di starnazzare.
Chissà! Magari in quel momento Gesù Bambino dormiva, oppure
sorrideva accarezzando gli animaletti che erano entrati nella stanza.
Ma la storia non è ancora finita perché - come tutti
sappiamo - sopra la grotta, presto si sarebbe posata una grande Stella Cometa
e, dietro di lei, sarebbero arrivati nientemeno che dei Re: i Re Magi, venuti
da Paesi lontanissimi, da Terre ricche di Leggende e di Fiabe.
Ma questa cosa è narrata in un altro Vangelo: quello di Matteo.
Fermiamoci qui e torniamo pian piano al porto, magari seguendo la Stella
Cometa come fecero i Magi.
Buon Natale a tutti! E che sia un bel Natale di Pace!
Eccoci qui, all'inizio dell'Anno Nuovo, a riprendere la nostra navigazione
nel mare della Parola di Dio. La volta scorsa siamo approdati al Vangelo
di Luca. Sicuramente lo ricordate perché si è giustamente
parlato del Natale.
Dopo il Vangelo di Marco e di Luca ora ci dirigiamo verso l'Isola del Vangelo
di Matteo. Anche il Vangelo di Matte ci parla dell'annuncio della nascita
di Gesù Bambino, ma lo fa con un'angolazione diversa. Luca sottolinea
la figura di Maria, Matteo, invece, quella di Giuseppe. Giuseppe, in sogno,
riceve dall'Angelo la notizia che sua Moglie Maria darà alla luce
un figlio straordinario.
Matteo l'autore del Vangelo di cui parliamo era davvero un Apostolo di Gesù.
Lo conosceva bene perché ha seguito il Signore dappertutto sin da
quando, a Cafarnao, sulle rive del Lago di Tiberiade (che si trova in Galilea,
a Nord d'Israele) Gesù lo aveva chiamato. Matteo, prima di diventare
un Discepolo di Gesù, era un esattore delle tasse e un poco di buono
che se la faceva con gente della sua risma. Ma di questo e di altre notizie
su Matteo e il suo Vangelo parleremo nel prossimo approdo. Siamo a Gennaio
e a Gennaio c'è una festa importantissima che è quella dell'Epifania.
Neanche farlo apposta, è proprio Matteo che ce la racconta nel secondo
capitolo del suo Vangelo.
Il Messaggio Centrale dell'Epifania è che l'Era Messianica, il Tempo
della Salvezza, inizia con la nascita di Gesù ed è Universale,
cioè riguarda tutti gli Uomini e le Donne. E ciò lo si capisce
subito per la presenza dei Magi. Il Vangelo non precisa il loro numero.
Il Testo - se ci fate caso - non lo dice. Tuttavia, una tradizione antichissima
attesta che erano tre.
Ma se il brano del Vangelo non precisa il loro numero, perché la
Tradizione afferma che sono proprio tre e non due, oppure quattro o cinque?
Abbiamo detto che la Festa dell'Epifania vuole sottolineare l'Universalità
del Messaggio che Cristo rivela all'Umanità. Questo è, infatti,
il suo significato principale. I Magi sono stati anticamente identificati
in Tre Re Sapienti perché Tre erano i Continenti e ancora Tre erano
le Tipologie Umane conosciute dalla Civiltà Occidentale del tempo.
E questi Continenti erano: l'Europa, l'Asia e l'Africa e le Tipologie Umane
i Bianchi, i Neri e i Semiti che si credeva fossero discendenti dai Tre
figli di Noè. Noè è quello dell'Arca e del Diluvio
Universale. A quei tempi non si sapeva nulla né delle Americhe né
dell'Oceania, né dei Popoli che le abitavano. La Tradizione è
un grande valore. Ma se volessimo essere il più aderenti possibile
alle Intenzioni del Vangelo - a quello che vuole significare - ai giorni
nostri dovremmo aggiungere almeno altri Due Re Magi ai Tre che ci sono già:
uno per l'America e uno per l'Oceania che ai tempi di Gesù erano
dei continenti sconosciuti. Se immaginiamo i Re Magi da aggiungere ai nostri
Presepi, sicuramente dovremmo aggiungere: una statuina, con le sembianze
di un Capo Pellerossa o di un Imperatore Maya, e una seconda con i tratti
di un Aborigeno Australiano, magari accompagnati da un lama e da un canguro
e non da cavalli e cammelli.
Certo, questa riflessione non deve portare a modificare i nostri Presepi.
I Magi, nei Presepi, restano tre come vuole la Tradizione. Tuttavia, ora
sappiamo perché sono tre e sappiamo anche che ciascuno di loro rappresenta
un continente e una delle tipologie umane conosciute ai tempi in cui fu
scritto il Vangelo di Matteo.
Anche se la Parola di Gesù è Universale - è cioè
diretta a Tutti i Popoli della Terra senza alcuna distinzione di Razza,
di Cultura, di Religione: (i Re Magi di certo non erano Cristiani e nemmeno
Ebrei) - il Vangelo non dice se i Magi, una volta tornati alle loro Terre
d'origine, si convertirono insegnando ai loro Popoli ad essere dei Buoni
Cristiani. Ed è del tutto probabile che non fu così. E questo
semplicemente perché la Fede Cristiana si diffuse in quei luoghi
molti anni dopo il loro Leggendario Viaggio. I Vangeli non dicono che i
Magi diventarono Cristiani e nemmeno che lo diventarono i loro Popoli; e
questo ha la sua importanza.
Un tempo si riteneva che fosse assolutamente necessario battezzare il maggior
numero possibile di persone per assicurare la loro salvezza. Addirittura,
si credeva che in quel modo si obbediva al Comando di Gesù di portare
il Vangelo dappertutto, raggiungendo ogni singolo Uomo.
Poi, si scoprì che - nonostante le parole di Gesù - ciò
era impossibile. Oggi, per Forza o per Amore, non si punta più sul
battezzare il maggior numero di persone. Al contrario, si fa sempre più
strada il convincimento che il Sacramento del Battesimo deve essere amministrato
e ricevuto consapevolmente. Allora, come interpretare ora - ai nostri giorni
- l'Epifania del Signore, la sua Manifestazione a tutto il Genere Umano,
indipendentemente dalle Razze, dalle Fedi Religiose, indipendentemente dalle
Culture, così come simboleggia l'arrivo dei Re Magi a Betlemme?
La risposta è che i Valori insegnati da Cristo sono talmente Universali,
talmente connotati dal Bene e volti alla Promozione dell'Uomo e della Donna,
dal poter essere riconosciuti e condivisi da Tutti, anche da chi non crede
oppure ha una fede diversa.
E questo - lo ripeto - indipendentemente dalla razza, dalla cultura e dalla
religione che si professa.
Non uccidere, non rubare, non odiare il nemico. Amare Dio, volere il bene
degli alti, sono Valori Positivi in sé. Perché non si tratta
più di convertire le Persone da una Fede all'altra, ma di far sì
che esse abbiano la possibilità - abbiano tutti gli strumenti possibili
- per trasformarsi in Uomini Buoni e Veri, in Individui che hanno cura e
rispetto di sé stessi, di ogni singolo uomo o donna e di ogni singola
creatura. Non si tratta più di battezzarli esteriormente - solo con
un rito - ma di trasformarli in Cristiani, in Persone animate da Principi
e Valori autenticamene Cristiani, e questo anche se formalmente rimangono
appartenenti ad altre religioni, credenti in altri Dei o, addirittura, in
nessun Dio. La Festa dell'Epifania è un invito pressante di Dio a
Trasformare il Mondo e le coscienze degli Uomini senza per questo pretendere
di cambiare la loro Fede e la loro Cultura.
Sono i Valori che devono essere cambiati: tutti quei Valori che non si fondano
sull'Amore, sulla Libertà e l'Uguaglianza e che, inevitabilmente
- a prescindere dalla Razza, Fede o Cultura - ci allontanano dal nostro
Dio e dal nostro Prossimo.
Siamo ormai a Febbraio e fa ancora un po' freddino per navigare. Comunque
sia, anche oggi leviamo gli ormeggi dal Porto del Nuovo Testamento e ritorniamo
ad approdare al Vangelo di Matteo. Matteo era un Ebreo come del resto lo
erano anche gli altri Evangelisti: Marco, Luca e Giovanni. Matteo ha scritto
il suo Vangelo sicuramente entro l'anno 100 d.C. Essendo stato un Discepolo
di Gesù, lo conosceva personalmente e gli era molto vicino.
Matteo è stato convertito da Gesù che gli ha detto di seguirlo,
che lo ha fatto suo Discepolo. L'episodio è narrato nel Nono Capitolo
del suo Vangelo. Andiamo a rileggerlo se non lo ricordiamo bene. Gesù,
nella cittadina di Cafarnao, chiama Levi, un esattore delle tasse, un approfittatore,
un collaborazionista dei Potenti Prepotenti Antichi Romani che in quel momento
occupano la Terra d'Israele.
Gesù, addirittura, si siede a tavola con quel ricettacolo di peccatori,
di profittatori, di buoni a nulla - amici di Matteo - che vivevano in modo
sconsiderato sulle spalle della gente. Il Signore Ama tutti allo stesso
modo, ma - in modo particolare - i peccatori. Amarli non significa che approvi
il loro comportamento. Questo è fuori discussione! Dio condanna le
loro azioni ma - allo stesso tempo - è disposto a fare di tutto perché
quei suoi Figli si ravvedano: comprendano gli sbagli impegnandosi a cambiare
vita, ad essere più vicini a Lui e a i Fratelli.
Il Signore vede lontano - molto più lontano di noi - e conosce meglio
di chiunque altro l'animo umano. Sa, che se si toccano le corde giuste del
Cuore, anche la persona più incallita nel fare il male ha la capacità
di ravvedersi e di convertirsi a Dio.
Gesù ritiene che non si può escludere qualcuno a priori perché
magari si pensa che quella persona sia così lontana da Dio dall'essere
incapace di cambiare vita. Il Signore ha fiducia anche in loro, sempre!
E Levi-Matteo risponde in modo grandioso alla chiamata del Signore. Lui
è l'esempio concreto che la fiducia che il Signore ha nei nostri
confronti - nei confronti di ogni persona - dà i suoi risultati.
Dal brano quasi pare che Levi si converta improvvisamente, che la sua sia
una folgorazione nell'Anima giunta nel preciso istante in cui Gesù
lo chiama e i suoi occhi fissano lo sguardo del Signore. Probabilmente non
accadde così. Gesù già da un po' di tempo viveva a
Cafarnao a casa di Simon Pietro - Cafarnao è una cittadina della
Galilea sul Lago di Tiberiade -. Lì il Signore aveva iniziato a predicare,
a fare dei miracoli, e perciò era conosciuto. Tutti gli abitanti
di Cafarnao sapevano ciò che egli faceva e diceva. Matteo a Cafarnao
faceva l'esattore delle tasse - era una persona pubblica - e naturalmente
anche lui conosceva Gesù. Più di una volta l'aveva sentito
predicare perché il Signore radunava i Discepoli e la gente che stava
ad ascoltarlo, nella piazzetta principale del paese proprio vicino a dove
passava la strada che collegava il Nord d'Israele al resto del Paese.
Questa infatti è la realtà emersa dagli scavi archeologici.
Le rovine di quella che fu Cafarnao esistono ancora. Gesù, da Nazareth,
dove aveva trascorso la sua fanciullezza, si era trasferito a Cafarnao proprio
perché - a differenza di Nazareth - Cafarnao non era un paesino isolato
sulle alture della Galilea, ma un vivace e attivo centro cittadino posto
proprio su di una delle strade principali. E dove c'è una strada
importante c'è tanta gente che passa. Perciò c'è più
possibilità di rivolgersi ad un numero consistente di persone che,
a loro volta, uditi gli insegnamenti di Gesù, avrebbero potuto propagarli
in altri Paesi e in altre Città. Matteo aveva il suo ufficio che
s'affacciava sulla piazza dove solitamente predicava Gesù. Probabilmente
Matteo ha ascoltato il Maestro e qualche frase, qualche suo insegnamento
lo hanno colpito. Ha cominciato a pensarci e a ripensarci. Si sarà
detto: "Non è vero che sono un uomo cattivo che tutti vogliono
evitare. Gesù dice che Dio mi ama lo stesso." - "Non è
vero che la mia vita ormai è questa, che non posso più cambiare.
Se Dio mi ama, io posso cambiare. Io devo cambiare!" Non sappiamo quante
notti Matteo ha trascorso insonne voltandosi e rivoltandosi nel suo letto
ripensando alle parole di Gesù. Sta di certo che un tarlo aveva cominciato
a rodere la sua Anima. Prima il dubbio, poi la certezza dell'Amore che Dio
ha per ogni Creatura. Gesù lo sa. Lui sa tutto. E quando chiama Levi
non lo faper caso. Sa che ormai è pronto a seguirlo in maniera convinta.
Sarà addirittura uno dei più entusiasti sostenitori del Maestro
e un giorno scriverà il Vangelo che prende il suo nome. Forse la
chiamata di Levi e la cena a cui Gesù partecipa ospite dei Pubblici
Peccatori della Cittadina di Cafarnao, dovrebbe far riflettere sullo stile
di Gesù nei confronti di tutti, perché tutti gli Uomini e
le Donne, agli occhi di Dio sono uguali. Tutti siamo amati con l'identico
Amore.
Eccoci di nuovo di ritorno al porto. Anche per oggi basta navigare nella
Parola di Dio. Comunque, tempo permettendo, riprenderemo il mese prossimo.
Io ci sarò e spero che ci sarete anche voi.
Parleremo ancora del Vangelo di Matteo e ci soffermeremo su una frase che
è diventata famosissima: "Se uno ti percuote la guancia destra,
tu porgigli anche l'altra."
E ne sapremo delle belle!
L'ultima volta c'eravamo lasciati dicendo che questo mese avremmo parlato
di una frase molto importante che Gesù pronunciò sulle rive
del lago di Tiberiade, in Galilea. La frase è questa: "Se uno
ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra." (Matteo
Cap. 5, versetto 39).
Voi cosa rispondereste se qualcuno vi chiede di spiegare il significato
delle Parole di Gesù di porgere l'altra guancia? La prima cosa che
viene in mente - se non fosse stato Gesù a dirlo - è che chi
afferma una cosa del genere è matto, nel senso che è del tutto
illogico farsi picchiare senza opporre resistenza, quasi invogliando chi
fa del male ad arrecarcene ancora di più. Inoltre, la maggior parte
di noi Cristiani, pensa che l'affermazione di Gesù vuol significare
di non opporre resistenza al male, oppure di non rispondere alla violenza
con altra violenza. Quest'ultima, a dire il vero, sembra una buona risposta.
E infatti lo è.
Tuttavia, c'è dell'altro e l'affermazione di non rispondere alla
violenza con altra violenza deve essere precisata bene.
Gesù parlava a gente del suo tempo. S'esprimeva nella loro lingua:
l'Aramaico; e per farsi capire doveva utilizzare delle espressioni e dei
concetti che - seppur senza tempo, validi sempre - dovevano esser compresi
dagli Apostoli, dai Farisei e da tutti coloro che lo stavano ad ascoltare.
Perciò, prima di tutto, per capire cosa realmente il Signore voleva
dire con le parole: "Porgi l'altra guancia", occorre conoscere
il significato che quelle parole avevano duemila anni fa. Che cosa significava,
per un Ebreo del Primo Secolo, porgere l'altra guancia?
Certamente non significava rimanere impassibili e inerti di fronte alla
violenza. La violenza deve essere arginata in ogni modo, specie se è
ingiusta e gratuita, ovvero senza uno scopo, senza una giustificazione.
A qualcuno che fa violenza - intesa nel senso fisico, ma anche in quello
morale - è un dovere l'opporsi. Ciò che non è permesso
è eccedere, esagerare. Un esempio: se uno ci dà un pugno,
dobbiamo fare ciò che possiamo affinché non ce ne dia un altro,
ma non possiamo riempirlo di botte una volta che lo abbiamo immobilizzato.
La violenza che subiamo in nessun caso può essere il pretesto per
eccedere o, peggio, per vendicarci, restituendo puntualmente il male che
ci è stato fatto.
Tuttavia, Gesù, come spesso ha fatto con altri principi della sapienza
ebraica contenuta nell'Antico Testamento, ha aggiunto un nuovo significato
che prima quasi non esisteva e che a quei tempi poteva sembrare assurdo.
E cioè, che non solo non si devono odiare i nemici, quelli che vogliono
farci del male. Un Cristiano deve fare di più e, questo di più,
è il mai chiudere la porta del dialogo con chi ci percuote sulla
guancia. Mai chiudere la porta in faccia al nemico. Mai troncare ogni forma
di relazione. Mai opporsi a una possibile rappacificazione. Ma piuttosto
sperare sempre in una possibilità di pace, anche se il farlo c'esporrebbe
ad altri attacchi, ad altre violenza
anche a costo di porgere l'altra
guancia, di prenderle di nuovo! Ed è questo un principio - proclamato
da Gesù - che dobbiamo sempre avere in mente nella vita di tutti
i giorni. Ne siamo capaci o, piuttosto, preferiamo troncare qualsiasi relazione
con chi ci fa del male, per non rischiare di farci colpire una seconda volta,
di farci ferire nuovamente? Il Principio è quello di non odiare.
Non odiare per nessuna ragione al mondo. E mai impedire, ma piuttosto incoraggiare,
la rappacificazione con coloro che si sono dimostrati dei nemici, anche
a rischio di rimetterci o di essere picchiati un'altra volta.
Lo so, può essere difficile, ma bisogna comunque provarci.
Almeno
bisogna pensarci sopra!
Con questa puntata lasciamo l'Isola del Vangelo di Matteo e puntiamo dritti
verso la Domenica di Pasqua che festeggeremo il prossimo 20 Aprile.
Ci rivediamo il mese prossimo con un appuntamento tutto speciale!
Shalom!
Questa è una puntata speciale in occasione della Pasqua che celebriamo
il 20 di Aprile! Naturalmente, tutti e quattro i Vangeli parlano della Pasqua.
Indico i capitoli di riferimento così, se qualcuno vorrà e
avrà tempo, potrà andare a rileggerseli tutti. Fatelo, mi
raccomando, perché sono molto belli
e misteriosi.
- Vangelo di Matteo: Capitolo 28, Versetti 1-10;
- Vangelo di Marco: Capitolo 16, Versetti 1-13;
- Vangelo di Luca: Capitolo 24, Versetti 1-35;
- Vangelo di Giovanni: Capitolo 20, Versetti 1-18.
"Il Signore è veramente risorto ed è realmente apparso
alle donne davanti al Sepolcro!"
Qualche volta, questo annuncio - il più grande dell'intera Storia
Umana - non l'abbiamo considerato nella sua eccezionalità sconcertante.
Eppure, Gesù Crocifisso - morto sulla Croce - è risorto per
davvero!.
Se non fosse così - se non fosse vero - come potrebbe essere storicamente
possibile che Undici Discepoli - non erano più dodici perché
Giuda non c'era più - che all'arresto del loro Maestro fuggono impauriti
o, addirittura, lo rinnegano - come fece Pietro - trovarono immediatamente
la forza, il coraggio di riprendersi e d'annunciare a tutto il Mondo la
Buona Notizia del Vangelo? L'unica risposta possibile è che Cristo
è veramente Risorto dai Morti ed è veramente apparso alle
Donne venute al Sepolcro, ai Discepoli che discorrevano sulla via per Emmaus
e anche a quelli che se ne stavano impauriti - le porte e le finestre sbarrate
- all'interno della loro casa. Cristo è veramente apparso, ha parlato,
ha mangiato e bevuto insieme a loro! "Guadatemi!", ha esclamato,
"
Sono proprio Io, non sono un fantasma!"
Era davvero Risorto nella sua umanità! Era proprio Lui, lo stesso
Gesù nato a Betlemme, figlio di Maria e di Giuseppe, che aveva percorso
con loro tutta la Terra d'Israele per annunciare l'Avvento del Regno di
Dio!
E loro lo conoscevano bene!
All'inizio non ci potevano credere! Avevano avuto persino paura di quella
presenza che gli sembrava l'apparizione di uno spettro! Ma poi, subito dopo,
rinfrancati dalle parole del Maestro, ed aver visto con i loro occhi e toccato
con le loro mani che era realmente Gesù risorto dai morti, hanno
creduto! Nonostante l'insicurezza e i dubbi che li avevano assaliti dopo
la disperazione per i tragici eventi degli ultimi giorni - l'arresto, l'umiliazione,
il processo e la morte del Maestro - ecco che ora credevano fino in fondo!
Tutto era diventato chiaro. Tutto s'era illuminato alla luce della Risurrezione!
Era tutto vero quello che lui aveva detto! Sarebbe morto ma anche risorto
il terzo giorno: proprio come aveva detto Gesù! Tutto ora era chiaro
e si doveva gridarlo al Mondo Intero!
Il Dio d'Israele aveva mantenuto le sue promesse! Il Messia era veramente
venuto sulla Terra, aveva rivelato la pienezza di Dio, aveva sofferto, era
Morto ed era Risorto, esattamente come era stato preannunciato dai Profeti!
Ormai non c'era più ombra di dubbio! Gesù Cristo era veramente
il Messia! E loro - i Discepoli - avevano avuto la grazia e la fortuna d'essere
vissuti con lui, la fortuna di averlo ascoltato, di aver assistito ad ogni
suo gesto, ad ogni miracolo, ad ogni cosa che aveva fatto!
E la loro gioia - dobbiamo proprio immaginarcelo - è stata enorme,
più grande di qualsiasi gioia che si possa immaginare!
Cristo è veramente Risorto dai Morti in Carne ed Ossa! Non è
una storiella messa in giro dai suoi Discepoli e nemmeno - come dice un
Vangelo - un vaneggiamento di Donne sconvolte per la tragica scomparsa del
Maestro!
"Gesù è risorto! Non è più qui! Perché
cercate tra le tombe colui che è vivo?"
Allora, Buona Pasqua! Che sia una Pasqua davvero felice per tutti.
Noi ci diamo appuntamento per la prossima navigazione.
E sarà
già primavera!
Shalom!
Eccoci, festeggiata la Pasqua del Signore, nuovamente imbarcati ed in
partenza! C'attende l'ultima grande isola dei Vangeli, quella di San Giovanni.
Prima di salpare, mi raccomando di tenere a portata di mano il salvagente
e il testo del Vangelo!
Il Vangelo di Giovanni, infatti, è piuttosto difficile e burrascoso.
Più che in tutti gli altri Vangeli, Gesù ha delle dispute
molto accese con chi lo contesta. E poi, usa un linguaggio difficile da
capire. A volte sembra parlare come un filosofo. La gente che l'ascolta
spesso fraintende le sue parole; in alcuni casi capisce addirittura l'esatto
contrario di quello che Gesù intende dire. Insomma, è un Vangelo
per niente facile. Ma noi lo percorreremo ugualmente. Voi rimanete ben saldi
ai vostri posti e vedrete che tutto andrà per il meglio!
Che i Vangeli Sinottici (ovvero quelli simili l'uno all'altro) siano tre
lo sappiamo già. Sono quelli di: Marco, Matteo e Luca. Quindi, quello
di Giovanni non è un Vangelo Sinottico e perciò non è
simile agli altri tre.
Infatti, tante cose che ci sono negli altri Vangeli non sono riportate nel
Vangelo di Giovanni; allo stesso modo, tante cose che troviamo nel Vangelo
di Giovanni non sono scritte negli altri tre.
Facciamo due esempi: la resurrezione di Lazzaro - che certo tutti ricordiamo
bene - non è narrata né da Marco, né da Matteo e neppure
da Luca. Solo Giovanni ne parla. Viceversa, il racconto dell'istituzione
dell'Eucarestia - quando Gesù nell'Ultima Cena trasforma realmente
e veramente il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue - è
puntualmente descritto nei Vangeli di Marco, Matteo e Luca, mentre Giovanni
non ne parla e al suo posto riporta il bellissimo discorso che Gesù
fece il Giovedì Santo durante l'Ultima cena dopo aver lavato i piedi
ai Discepoli.
Bene! Ora avviciniamoci un pochino di più all'isola del Vangelo di
Giovanni e cerchiamo di conoscerla meglio anche se ancora la vediamo un
po' da lontano.
Il Vangelo di Giovanni, in ordine di tempo, è stato scritto per ultimo.
Giovanni era molto vecchio, siamo attorno all'anno 100 dopo la nascita di
Gesù. Il Signore era già morto, risorto ed asceso al cielo
da una settantina d'anni. Giovanni, ai tempi di Gesù, era il più
giovane dei Discepoli, era quasi un ragazzo. Più o meno poteva avere
vent'anni. Perciò, facendo i conti, quando scrisse il suo Vangelo
aveva circa ottant'anni. Probabilmente non era lui che scriveva di suo pugno
il Vangelo. Qualcuno dei suoi amici più giovani s'incaricava di farlo.
Giovanni dettava e quello scriveva ordinatamente ciò che l'Apostolo
diceva. Giovanni era il più raffinato ed istruito dei 12 Discepoli.
Anche lui aveva iniziato come pescatore al pari di suo fratello Giacomo,
ma di certo era uno che gli piaceva studiare. Dopo la Risurrezione e l'Ascensione
al cielo di Gesù, lui, insieme a Maria - che Gesù stesso gli
aveva affidato quando stava morendo in croce -, da Gerusalemme dove si trovavano,
era partito per Efeso, che ai quei tempi era una città molto importante
dove si studiava e si faceva molta filosofia.
Giovanni nel suo Vangelo utilizza alcune espressioni e delle idee che, seppur
autenticamente cristiane, vengono espresse con una sensibilità e
un linguaggio molto simili a quelli dei filosofi greci.
Perché Giovanni ha scritto il suo Vangelo in quel modo e non similmente
ai Vangeli Sinottici?
La risposta è questa: siccome l'ha scritto con l'intenzione di diffonderlo
fra i pagani e le persone colte di origine ebraica, ha pensato bene di raccontare
gli insegnamenti di Gesù con dei termini, dei modi di dire e con
delle parole che fossero il più possibile comprensibili alle persone
che avrebbero letto il suo Vangelo. Insomma, Giovanni ha aggiustato il tiro
per farsi capire da chi sapeva pochissimo delle tradizioni ebraiche e dell'Antico
Testamento, ma viveva immerso nei modi di pensare e d'esprimersi dei greci
o che comunque a quella cultura faceva riferimento.
Anche questa volta è finito il tempo e lo spazio!
Ora sbarchiamo sulla spiaggia dell'isola del Vangelo di San Giovanni dandoci
appuntamento per il mese prossimo. Io ne approfitto per fare merenda.
Shalom!
Ci eravamo lasciati sulla spiaggia dell'isola del Vangelo di San Giovanni
ed eccoci qui pronti ad esplorarla. Come abbiamo detto, questo Vangelo è
più difficile di tutti gli altri perché bisogna essere un
po' filosofi per capirlo.
Tuttavia, niente paura! Parleremo di un fatto che già conosciamo
molto bene, così le cose saranno un po' più semplici del previsto.
Ad esempio: Lazzaro sapete chi è? Vero che lo sapete?
Certo
che sì!
La resurrezione di Lazzaro, amico di Gesù e fratello di Marta e Maria
- che vivevano tutti a Betania, un villaggio adagiato sulle colline intorno
a Gerusalemme - è narrata nel capitolo 11 versetti 1-57. Il brano
è troppo lungo per riportarlo per intero. Se non lo ricordate bene,
dovete andare a rileggerlo. Prima di questo avvenimento che lo porta alla
ribalta, di Lazzaro non si parla nei Vangeli. Tuttavia, l'evento di cui
è protagonista - la sua risurrezione - è davvero una cosa
straordinaria. Altre volte Gesù aveva resuscitato qualcuno, come
nei casi del figlio della vedova di Nain o della figlia di Jairo, citati
nel Vangelo di Luca.Tuttavia, queste resurrezioni - altrettanto sconcertanti
- non hanno avuto la notorietà di quelle di Lazzaro. In realtà,
le altre resurrezioni Gesù le aveva operate in piccoli villaggi lontani
da Gerusalemme. Al contrario, la risurrezione di Lazzaro - è accaduta
a Betania, una località che è quasi un sobborgo di Gerusalemme.
Per giunta, erano presenti tanti abitanti della città venuti per
consolare Marta e Maria. La Risurrezione di Lazzaro aveva suscitato molto
scalpore e tanta invidia. Infatti, il Vangelo ci dice che da quel giorno
i Capi delle Autorità Civili e Religiose decretano d'uccidere Gesù
e, in seguito, decideranno anche d'ammazzare lo stesso Lazzaro.
Abbiamo riflettuto su ciò che accadde storicamente e perché
la Risurrezione di Lazzaro è molto più importante delle altre
che Gesù operò durante i suoi spostamenti in lungo e in largo
per la Terra d'Israele. Ma, oltre a questo, qual è il significato
della Risurrezione di Lazzaro? Nel racconto evangelico, le parole più
importanti - più forti - di Gesù sono queste:
"Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore,
vivrà. Chiunque vive e crede in me, anche se muore, vivrà."
E poi aggiunge qualcosa. In questo caso lo dice a Marta, ma è una
domanda che in realtà Gesù fa a ciascuno di noi in prima persona.
"Credi tu questo?"
Ci credi?
A noi pare quasi ovvio che il Signore con la parola "Morte" intende
la morte fisica, il non esserci più. Tuttavia, se ci pensiamo bene,
le parole di Gesù sono intese anche nel senso della "Morte Spirituale",
la Morte dell'Anima oppressa dal Peccato. Gesù, probabilmente, intendeva
entrambe le morti. Dio, quindi, concede la Vita - la Vita Eterna intesa
come Resurrezione fisica e spirituale - a chi dimostra di credere in Lui.
Infatti, la dottrina della Chiesa c'insegna che la nostra resurrezione non
sarà o solo spirituale o solo fisica. Noi risorgeremo con la nostra
individualità che è formata non solo dall'Anima - dallo Spirito
- ma anche dal nostro Corpo Fisico: dal nostro essere Carne. Un Corpo Fisico
che sarà trasformato - certo - ma che conserverà comunque
la nostra individualità, la nostra unicità rispetto a tutti
gli altri.
"Io sono la risurrezione e la vita". Dio è l'autore della
vita. Ne è il Signore. E' colui che può tutto su di essa e
quindi ha anche il potere di farla resuscitare. La risurrezione di Lazzaro
è dunque un segno. Oppure, potremmo considerarla una "prova
certa" che Dio dà di sé a Maria, a Marta e a tutte quelle
persone che piangevano attorno al sepolcro. Ed è stata una prova
così chiara e indiscutibile, che le Autorità Civili e Religiose
di Gerusalemme, venutene subito a conoscenza, decidono d'uccidere Gesù
perché ormai costituiva un serio pericolo per il loro potere.
Ok, per il momento è tutto. Abbiamo imparato a conoscere un po' di
più Vangeli. Rientriamo al Porto. La prossima volta ci lasceremo
alle spalle le isole dei Vangeli e faremo vela verso il libro degli Atti
degli Apostoli.
Ciao a tutti! Dopo qualche mese di pausa estiva riprendiamo la nostra
navigazione nel Mare della Parola di Dio. Lasciato l'arcipelago dei quattro
Vangeli, oggi sbarchiamo sull'isola degli Atti degli Apostoli.
Questo libro, fondamentale per ricostruire i primi anni della Storia e della
Fede della Chiesa, è stato scritto da un Evangelista: San Luca. Vi
ricordate del suo Vangelo?
E' quello che parla soprattutto della Misericordia
di Dio, del Perdono, della certezza che tutti - anche i più cattivi
- possano cambiare e diventare più buoni.
Bene! Luca scrisse anche il resoconto della Prima Comunità Cristiana.
Inizialmente si parla della Chiesa di Gerusalemme, in Israele. Poi, Luca
segue Paolo nei suoi lunghi viaggi in quelli che oggi sono la Turchia e
la Grecia fino all'arrivo a Roma: la Capitale dell'Impero. I Protagonisti
del racconto sono tutti gli Apostoli, ma soprattutto Pietro, che è
il Primo Capo, il Primo Papa. E poi: San Paolo, ma anche Santo Stefano,
il Primo Martire, il primo a perdere la vita per testimoniare la sua Fede
in Gesù. Qualcosa viene detto anche su Maria, la Madre di Gesù,
ma non è molto a dire il vero.
Tanti sono gli avvenimenti importanti descritti negli Atti degli Apostoli.
All'inizio si parla dell'Ascensione al Cielo del Signore del suo tornare
alla destra di Dio Padre. A seguire, si narra la discesa dello Spirito Santo
su Maria e gli Apostoli che stavano in preghiera all'interno del Cenacolo:
proprio dove Gesù aveva istituito l'Eucarestia durante l'Ultima Cena
e tante altre cose, compresi i viaggi avventurosi di San Paolo. Dire tutto
è impossibile. Perciò oggi ci fermeremo su uno dei tanti importanti
temi contenuti in questo meraviglioso libro. E questa cosa importante è
il filo che unisce tutte le pagine degli Atti degli Apostoli: dalla prima
all'ultima pagina, dalla prima all'ultima riga. Questo filo conduttore è
la Testimonianza di Fede. Partiamo proprio dall'inizio: l'Ascensione del
Signore.
Pochi istanti prima di congedarsi dai suoi Discepoli ed Ascendere al Cielo,
Gesù spiega il senso fondamentale della sua Missione in mezzo agli
Uomini, invitandoli ad annunciare la Buona Novella a tutti i Popoli della
Terra: a predicare la conversione e a proclamare il perdono dei peccati.
Tuttavia, l'annunciare il Vangelo non è una prerogativa, un diritto-dovere
riservato solo agli Apostoli o, ai giorni nostri, solo ai Preti. Annunciare
il Vangelo è compito di ogni Cristiano. Annunciare è Testimoniare.
Testimoniare significa dare atto della verità e della bontà
della Parola del Signore. Ma per Testimoniare la Verità occorre essere
dei Testimoni credibili. Se alle parole non seguono fatti concreti - se
non riusciamo a dare dei Buoni Esempi - non siamo Testimoni degni di fede
e nessuno ci crederà. Predicare bene e razzolare male non è
annunziare Cristo!... Anche se tanti lo fanno.
Dare il buon esempio per testimoniare la Fede è essenziale. Testimoniare
Cristo con il proprio stile di vita, più che con tanti discorsi,
è Evangelizzare, è trasmettere positivamente la Fede in Gesù
Cristo. Questo è precisamente quello che hanno fatto i Primi Cristiani
anche a costo di rimetterci la vita, come è accaduto a Santo Stefano.
Approfondiremo questo argomento la prossima volta. E poi cercheremo di capire
il senso del valore della Libertà che li ha animati portandoli a
respingere ogni forma di fondamentalismo facendoli invece incamminare sull'unica
via possibile indicata da Gesù: quella dell'Amore!
A presto!
Se non ricordo male, durante la nostra navigazione ultimamente siamo
approdati all'Isola degli Atti degli Apostoli e abbiamo iniziato ad esplorarla
scoprendo che il tema principale di tutte le cose che vengono dette e narrate
è la "Testimonianza della Fede in Gesù". Una Testimonianza
che, per essere credibile, deve essere Vera e Coerente. Oggi parliamo del
Primo Martire Cristiano. Si tratta di Santo Stefano che, a quanto si sa,
era un Diacono. Nel Libro degli Atti degli Apostoli, le sue vicende sono
trattate nel 6 e 7 capitolo. Santo Stefano è il primo Martire: il
primo uomo che ha testimoniato la Fede in Cristo fino all'estremo sacrificio.
Perché lo ha fatto? Era un folle o credeva veramente in quello che
diceva? Ma vale proprio la pena di morire per la propria Fede? E se questo
poteva essere vero ai suoi tempi, può esserlo anche oggi? Attraverso
i secoli, la Storia della Chiesa ha mostrato due facce di una stessa medaglia.
Ci sono stati tanti uomini e tante donne che sono morti, che muoiono e ancora
moriranno per testimoniare la loro Fede, per non rinunciare a quella speranza
che è venuta nel Mondo con la nascita di Gesù. Ma, purtroppo,
la seconda faccia della medaglia è più triste perché
- nel nome della stessa Fede per la quale i martiri si sono offerti - noi
Cristiani abbiamo ucciso e discriminato. Pensiamo alle persecuzioni contro
gli Ebrei, contro le cosiddette streghe, contro coloro che disobbedivano
alla Chiesa: gli Eretici, i Protestanti, gli Ortodossi. E questo, solo per
quanto riguarda il passato. Un passato che non è sempre così
lontano come si verrebbe credere. Pensate che una certa parte della Chiesa
non uccida più per ragioni legate alla Fede?Sì, è così,
ma di sofferenza ne causa ancora. Il condannare, l'allontanare coloro che
vivono uno stile di vita diverso da quello prescritto dalla Chiesa, non
è forse arrecare grande dolore esaltando esageratamente dei principi
che col tempo cambiano e che pur se sono una diretta conseguenza del Vangelo,
non sono il "Cuore della Legge di Dio?" La Fede può davvero
diventare un peso insostenibile e causa di sofferenza. Dio ama tutte le
sue creature. Noi non dovremmo fare altrettanto, e non solo a parole? Ci
vogliono delle regole, certo! Ma qual è la regola fondamentale del
Vangelo - del Cuore di Dio - alla quale la nostra Fede, il nostro essere
Cristiani, deve ispirarsi? Non l'ha detto una persona qualsiasi e nemmeno
i contestatori della Chiesa! Lo ha detto Gesù! E la Chiesa è
sua, non nostra, e non è nemmeno dei preti o dei vescovi.
"Amerai il Signore tuo Dio sopra ogni cosa e il Prossimo tuo come te
stesso!"
Ci sono tanti martiri che sono morti, che muoiono e che moriranno per testimoniare
la Fede in Dio e nella Chiesa e noi gli rendiamo onore sempre com'è
giusto che sia. Ma non dimentichiamo che ci sono tanti credenti che ogni
giorno vivono il loro martirio, la loro sofferenza, e che del loro martirio
sono responsabili quegli uomini di Chiesa che non sanno offrire loro che
delle parole che non si fondano sul Cuore di Dio e dell'Uomo, ma su dei
discorsi per i quali è più importante il principio che si
afferma che non il dolore che si causa. C'è solo l'amore delle regole
da rispettare?
Non credo.
Qualche domanda, ce la dobbiamo proprio fare. Gli Atti degli Apostoli ci
ricordano il martirio di Santo Stefano morto per testimoniare la sua Fede.
E noi, cosa testimoniamo? In quale Fede crediamo? In una Fede fatta unicamente
di regole o una Fede fondata sull'Amore, come fu quella che animava la Chiesa
dei Primi Cristiani, descritta negli Atti degli Apostoli? È importante
chiedercelo!
Oggi approdiamo all'arcipelago delle Lettere scritte dagli Apostoli.
Il più importante di questi autori è sicuramente San Paolo.
Tuttavia, anche San Pietro, San Giovanni e San Giacomo hanno scritto delle
Lettere e poi ce n'è anche una di Giuda che naturalmente non è
quel Giuda che ha tradito Gesù, ma un altro Discepolo con lo stesso
nome. Lo spazio a nostra disposizione per fare un giretto in questo nuovo
arcipelago nel Mare della Parola di Dio non è sufficiente per considerare
tutto ciò che è racchiuso nelle Lettere dei Discepoli. Perciò,
tratteremo un solo concetto dei tantissimi esposti e spiegati in questi
Testi del Nuovo Testamento. C'occupiamo del rapporto tra Fede e Opere. Per
farlo consideriamo due scritti: uno di San Paolo - tratto dalla Lettera
ai Romani - e l'altro dalla Lettera di San Giacomo, che paiono divergere
fra loro per quanto riguarda il modo d'intendere il valore delle Opere e
della Fede. La domanda di fondo è: ci si salva semplicemente perché
si ha fede o ci salva perché si adempiono dei precetti e si fanno
delle opere buone? Nella Lettera ai Romani San Paolo afferma:
"L'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere
della legge." E più avanti, San Paolo continua: "A chi
lavora, il salario non viene calcolato come un dono, ma come debito; a chi
invece non lavora, ma crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede
gli viene accreditata come giustizia."
San Giacomo invece dice qualcosa di diverso: "Abramo, nostro padre,
non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo
figlio, sull'altare? Vedete che l'uomo viene giustificato in base alle opere
e non soltanto in base alla fede."
Voi cosa ne pensate? Chi dei due ha ragione? Avete mai pensato che noi Uomini
e Donne abbiamo nei confronti di Dio non solo dei Doveri, ma anche dei Diritti?
Certo, la domanda è insolita. Magari non ce la siamo mai fatta. Non
è una di quelle domande ricorrenti nel Catechismo. Abbiamo certo
dei Doveri verso Dio - a lui infatti dobbiamo tutto - ma vantiamo anche
dei Diritti? Ad esempio: il diritto d'andare in Paradiso se ci siamo comportati
bene, se abbiamo osservato le sue Leggi oppure abbiamo dei diritti dal fatto
stesso che abbiamo Fede in Gesù? È un Diritto che s'acquisisce
quello d'essere salvati o è un Dono gratuito di Dio? Siamo certi
che, se ci siamo comportati bene, finiremo in Paradiso e se ci siamo comportati
male andremo all'Inferno? Certo, uno si sforza - come può - ad osservare
la Legge, ma poi, per tornare alla domanda iniziale, siamo certi che del
nostro essere dei Buoni Cristiani, ne consegue un Diritto da poter rivendicare
davanti a Dio? Gesù condanna la Fede algebrica del più e del
meno del peccato e delle buone opere. Dice che così non va bene.
Dice che il formalismo nei rapporti con Dio è un'illusione, che le
Leggi di Dio e il suo senso di Giustizia non sono come quelli umani.
Ok!
Mi stanno dicendo che il tempo è scaduto. Continuiamo la prossima
volta. Buon Avvento a tutti!
E non dimenticate di leggere la Bibbia!
Proseguiamo il discorso della volta precedente sulla Fede e le Opere e se noi Uomini e Donne abbiamo solo dei Doveri nei confronti di Dio o anche dei Diritti. Consideriamo questo: Per Gesù, e quindi anche per Paolo e Giacomo, la Fede non si basa su Diritti e Doveri. Per Gesù ci vuole soprattutto il Cuore. Si deve mettere il Cuore nelle cose ed anche un po' di cervello per comprendere il perché bisogna fare delle cose evitando di farne altre. Allora, chi ha ragione dei due: San Paolo o San Giacomo? La Fede non è principalmente un cammino da seguire per salvarsi - è anche questo - ma è soprattutto adempiere alla Volontà di Dio perché da questo deriva il nostro Bene. Non si fa il Bene perché si riceverà qualcosa in cambio o s'evita il Male per non ricevere una punizione. Si fa il Bene perché è giusto in sé stesso e non si fa il Male perché farlo è semplicemente una cosa sbagliata. Ma torniamo alla domanda iniziale: ha ragione San Paolo oppure Giacomo in fatto di Fede e di Opere? In realtà è scorretto - nei confronti di Dio - parlare di Diritti e di Doveri. Non se ne può parlare in questi termini. Il rapporto fra Dio e l'Uomo non è un Contratto che deve essere rispettato da entrambe le parti, ma piuttosto un'Alleanza che si fonda sull'Amore e sull'Amicizia. Nell'Amore umano - ad esempio - ci sono dei Diritti e dei Doveri. Ce ne sono se consideriamo il Matrimonio come un Contratto tra due persone. E questo serve a regolare i rapporti fra i coniugi al fine di tutelare entrambi. Ma se in una famiglia s'arriva al punto d'invocare l'adempimento dei Doveri e il rispetto dei Diritti significa che qualcosa non funziona, che l'amore non c'è più oppure è diventato un amore malato. Quando invece c'è l'Amore Vero s'agisce sollecitati dal Cuore il più spontaneamente possibile. Se si ama veramente, non si pensa nemmeno d'avere dei Diritti o dei Doveri. L'unica cosa che si desidera è il bene dell'altro e la sua vicinanza. Tale è il rapporto che Dio ha con noi e tale deve essere il nostro rapporto con Dio. Un Amore in cui ciò che conta è il Bene dell'altro, è il renderlo felice, è il condividere l'esperienza della Vita. La Fede, il nostro rapporto con Dio, non si basa su Diritti e Doveri, ma sull'Amore ricambiato. Dio non è qualcuno con cui stipuliamo un contratto del tipo: io ti do questo se tu mi dai quest'altro. Ciò significherebbe la fine disonorevole della Fede. La Fede non è solo espressa dalle opere né le opere possono da sole esprimere la Fede. Con Dio non abbiamo un contratto di Diritti o di Doveri, ma un legame familiare, affettivo. Coltiviamo giorno per giorno il nostro Amore per Dio con naturalezza, con spontaneità, certi che il Signore mai considererà il nostro rapporto con Lui nei termini di un Contratto di Diritti e di Doveri, di cose da fare da non fare. Ciò che conta nella Fede e nelle Opere non è l'idolo del contraccambio o l'idolo dell'efficienza e nemmeno l'idolo della paura, ma l'Amore. Questo è il Dio degli Ebrei e dei Cristiani: un Dio che è Amore, non un idolo di calcolo e di efficienza! La prossima volta concluderemo la nostra navigazione nel Nuovo Testamento con l'ultimo libro della Bibbia: l'Apocalisse di San Giovanni. Buon Natale e Felice Anno Nuovo!
Ci eravamo lasciati sulla spiaggia dell'isola del Vangelo di San Giovanni
ed eccoci qui pronti ad esplorarla. Come abbiamo detto, questo Vangelo è
più difficile di tutti gli altri perché bisogna essere un
po' filosofi per capirlo.
Tuttavia, niente paura! Parleremo di un fatto che già conosciamo
molto bene, così le cose saranno un po' più semplici del previsto.
Ad esempio: Lazzaro sapete chi è? Vero che lo sapete?
Certo
che sì!
La resurrezione di Lazzaro, amico di Gesù e fratello di Marta e Maria
- che vivevano tutti a Betania, un villaggio adagiato sulle colline intorno
a Gerusalemme - è narrata nel capitolo 11 versetti 1-57. Il brano
è troppo lungo per riportarlo per intero. Se non lo ricordate bene,
dovete andare a rileggerlo. Prima di questo avvenimento che lo porta alla
ribalta, di Lazzaro non si parla nei Vangeli. Tuttavia, l'evento di cui
è protagonista - la sua risurrezione - è davvero una cosa
straordinaria. Altre volte Gesù aveva resuscitato qualcuno, come
nei casi del figlio della vedova di Nain o della figlia di Jairo, citati
nel Vangelo di Luca.Tuttavia, queste resurrezioni - altrettanto sconcertanti
- non hanno avuto la notorietà di quelle di Lazzaro. In realtà,
le altre resurrezioni Gesù le aveva operate in piccoli villaggi lontani
da Gerusalemme. Al contrario, la risurrezione di Lazzaro - è accaduta
a Betania, una località che è quasi un sobborgo di Gerusalemme.
Per giunta, erano presenti tanti abitanti della città venuti per
consolare Marta e Maria. La Risurrezione di Lazzaro aveva suscitato molto
scalpore e tanta invidia. Infatti, il Vangelo ci dice che da quel giorno
i Capi delle Autorità Civili e Religiose decretano d'uccidere Gesù
e, in seguito, decideranno anche d'ammazzare lo stesso Lazzaro.
Abbiamo riflettuto su ciò che accadde storicamente e perché
la Risurrezione di Lazzaro è molto più importante delle altre
che Gesù operò durante i suoi spostamenti in lungo e in largo
per la Terra d'Israele. Ma, oltre a questo, qual è il significato
della Risurrezione di Lazzaro? Nel racconto evangelico, le parole più
importanti - più forti - di Gesù sono queste:
"Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore,
vivrà. Chiunque vive e crede in me, anche se muore, vivrà."
E poi aggiunge qualcosa. In questo caso lo dice a Marta, ma è una
domanda che in realtà Gesù fa a ciascuno di noi in prima persona.
"Credi tu questo?"
Ci credi?
A noi pare quasi ovvio che il Signore con la parola "Morte" intende
la morte fisica, il non esserci più. Tuttavia, se ci pensiamo bene,
le parole di Gesù sono intese anche nel senso della "Morte Spirituale",
la Morte dell'Anima oppressa dal Peccato. Gesù, probabilmente, intendeva
entrambe le morti. Dio, quindi, concede la Vita - la Vita Eterna intesa
come Resurrezione fisica e spirituale - a chi dimostra di credere in Lui.
Infatti, la dottrina della Chiesa c'insegna che la nostra resurrezione non
sarà o solo spirituale o solo fisica. Noi risorgeremo con la nostra
individualità che è formata non solo dall'Anima - dallo Spirito
- ma anche dal nostro Corpo Fisico: dal nostro essere Carne. Un Corpo Fisico
che sarà trasformato - certo - ma che conserverà comunque
la nostra individualità, la nostra unicità rispetto a tutti
gli altri.
"Io sono la risurrezione e la vita". Dio è l'autore della
vita. Ne è il Signore. E' colui che può tutto su di essa e
quindi ha anche il potere di farla resuscitare. La risurrezione di Lazzaro
è dunque un segno. Oppure, potremmo considerarla una "prova
certa" che Dio dà di sé a Maria, a Marta e a tutte quelle
persone che piangevano attorno al sepolcro. Ed è stata una prova
così chiara e indiscutibile, che le Autorità Civili e Religiose
di Gerusalemme, venutene subito a conoscenza, decidono d'uccidere Gesù
perché ormai costituiva un serio pericolo per il loro potere.
Ok, per il momento è tutto. Abbiamo imparato a conoscere un po' di
più Vangeli. Rientriamo al Porto. La prossima volta ci lasceremo
alle spalle le isole dei Vangeli e faremo vela verso il libro degli Atti
degli Apostoli.
Shalom!
Rieccoci, col freddo freddissimo di Gennaio, a mollare gli ormeggi della
nostra barchetta e far vela verso l'ultima isola del Nuovo Testamento che
ci resta da esplorare: il libro dell'Apocalisse di San Giovanni.
A molti, il solo nominare la parola apocalisse, vengono in mente grandi
sciagure, cose terrificanti, scontri epici, un vorticoso susseguirsi di
avvenimenti terribili.
Apocalisse, nel nostro vocabolario e nel nostro immaginario è diventato
sinonimo di catastrofe, cataclisma, distruzione.
Eppure, non è così, perché la parola apocalisse - che
è un vocabolo di origine greca - significa "rivelazione".
E tale, infatti, vuole essere nell'intento di San Giovanni che la scrisse,
ormai vecchio, quando era prigioniero nell'isola di Patmos, una specie di
Alcatraz del Mondo Antico, che si trova in Grecia nel mare Egeo.
Ora addentriamoci nel libro o, se preferite, all'interno dell'isola dell'Apocalisse
dove siamo appena approdati con la nostra barchetta.
Apocalisse, quindi, significa "rivelazione" e non "un disastro
terribile".
In realtà, con questo libro Dio, attraverso San Giovanni, ci vuole
dire cosa accadrà alla fine dei tempi e che fine faremo noi, la Terra,
il Cielo e tutto quanto l'Universo.
Ma occorre fare molta attenzione
a ciò che si legge, perché il linguaggio del libro dell'Apocalisse
è simbolico: non è la cronaca, riga per riga, fatto per fatto,
di quello che esattamente accadrà.
Sono infatti utilizzati dei "simboli e delle allegorie". Il simbolo
e l'allegoria rappresentano un qualcosa, un concetto, un significato molto
più vasto e profondo rispetto a ciò che lo rappresenta. Facciamo
un esempio per rendere tutto più chiaro: nelle fiabe la Fata rappresenta
il bene, mentre la Strega, rappresenta il male. Oppure, nel regno animale:
la lumaca può simboleggiare tutte quelle persone che sono lente,
così come il cavallo coloro che sono veloci; la volpe le persone
astute mentre l'asinello simboleggia chi non è istruito.
Eccoci ancora a navigare sul Mare del Nuovo Testamento. L'abbiamo esplorato da cima a fondo anche se correndo a vele spiegate. Per la seconda volta ci troviamo sull'isola del libro dell'Apocalisse. Oggi ultimiamo la sua scoperta soffermandoci sulla parte conclusiva in cui viene mostrata la Città di Dio, la Nuova Gerusalemme: la città perfetta a misura d'Uomo che esisterà in eterno e per sempre. Essa sarà la capitale del Regno Messianico di Pace, di Bellezza e di Gioia. Per descriverla, San Giovanni utilizza dei simboli espressivi e potenti, fatti di numeri e di cose preziose. È una simbologia straordinariamente bella che ci vuole dire un'unica cosa: la Città di Dio sarà perfetta e realizzerà pienamente il dono della Vita Eterna. È il compimento delle promesse di Dio, della Rivelazione, della Storia Universale scaturita dai Sette Giorni della Creazione e continuata con il lunghissimo cammino dell'Uomo iniziato da Adamo e subito interrotto dal peccato originale, da quel mettere da parte Dio - da quel desiderio di essere come Lui perché di Lui non se ne sentiva più la necessità - che ha avuto come dolorosa conseguenza la cacciata dal Paradiso Terrestre, dallo stato di Grazia e di Felicità che deriva all'Uomo, dall'essere vicino a Dio. Un cammino, tuttavia, subito fatto riprendere da Dio con la promessa che, alla fine, tutto sarebbe ritornato come prima, grazie all'Amore, alla sua Misericordia e alla buona volontà dell'Uomo nel dimostrarsi il più possibile degno di tornare a vivere nel Paradiso di cui la Nuova Gerusalemme del Libro dell'Apocalisse ne è l'immagine meravigliosa. Vi svelo un piccolo segreto, che non è un segreto vero e proprio, tuttavia è una cosa che molti non conoscono perché il più delle volte non viene detta parlando dell'Apocalisse di San Giovanni. Questa cosa un po' particolare, un po' nascosta, è l'Albero della Vita che cresce dentro la Città. Guardate che è lo stesso Albero di cui parla la Genesi, il primo libro della Bibbia, proprio all'inizio della Storia della Salvezza. Vi ricordate? Eva ed Adamo mangiano il frutto dell'Albero del Bene e del Male e così facendo sfidano Dio e vengono allontanati dal Paradiso. Ma poi, poco dopo, si parla di un secondo albero piantato anch'esso nel Giardino dell'Eden, nel Paradiso. Si tratta per l'appunto dell'Albero della Vita a guardia del quale, Dio vi pone un Cherubino con la spada sguainata e fiammeggiante che ha il preciso compito di non far avvicinare nessuno: né uomini, né animali: nessun essere vivente! Ed ecco che, meravigliosamente, nella Nuova Gerusalemme, nella Città Messianica di Dio, quell'albero - l'Albero della Vita - c'è ancora. Ma la novità è che l'Angelo di guardia con la spada non c'è più e perciò tutti gli esseri viventi possono mangiarne i frutti e curarsi con le sue foglie. Nella Città di Dio, in Paradiso, non ci sarà più nessun divieto: nemmeno il divieto di vivere per sempre, un divieto originato dal Peccato Originale, dal voler essere come Dio, o meglio: dei di sé stessi. Nella Nuova Gerusalemme non ci sarà più la morte, mai più nessun essere vivente morirà perché in quella Città, Dio, che è l'autore della Vita, "sarà tutto in tutti!". Ora risaliamo sulla nostra barca e rientriamo al porto. La Navigazione nel Mare del Nuovo Testamento si conclude. La prossima volta salperemo alla volta delle acque dell'Antico Testamento. Mi raccomando: nel frattempo leggete la Bibbia!
Conclusa la navigazione nel Mare del Nuovo Testamento - come abbiamo
visto: soprattutto i Vangeli, ma non solo quelli! - oggi prendiamo un po'
di fiato perché c'attende un Mare ancora più vasto da visitare
in lungo e in largo. È quello dell'Antico Testamento, che è
la Prima Parola rivelata da Dio ai nostri Antenati molti anni prima della
venuta di Gesù. Si tratta infatti della raccolta di tutti i libri
scritti prima della nascita di Gesù, ma comunque redatti in vista
della sua venuta fra noi. Li possiamo quindi considerare come una meticolosa
e paziente preparazione al compimento delle promesse che Dio Padre ha fatto
lungo i secoli: a partire da Adamo ed Eva e dal Serpente del Peccato Originale.
Vi do solo alcuni riferimenti schematici sufficienti però per orientarsi
in quella parte del Gran Mare della Parola di Dio che riguarda l'Antico
Testamento. I Libri contenuti sono davvero tanti!
Ma non preoccupatevi,
non li visiteremo tutti come se fossero tante isole disperse nell'Oceano.
Infatti, queste moltissime isole, questi numerosissimi Libri, per comodità,
li raggruppiamo in 3 Grandi Arcipelaghi.
Il primo è quello del Pentateuco (o, più precisamente, si
dovrebbe dire "Torah", una parola Ebraica che a volte viene tradotta
come "Legge" ma che, in realtà, significa "Insegnamento")
che comprende i primi 5 Libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri
e Deuteronomio. E' sicuramente la parte più importante dell'Antico
Testamento.
Il secondo Grande Arcipelago è formato dai Libri chiamati Storici,
perché ci vogliono raccontare, anche se un po' a modo loro e non
sempre con rigore storico, le vicende degli Ebrei e di Israele nei tempi
antichi. Ve ne cito solo alcuni: il 1° e 2° Libro di Samuele, nei
quali si parla di Saul e di Davide o, anche il 1° e 2° Libro dei
Maccabei che racconta la guerra d'indipendenza condotta degli Ebrei nei
confronti dei re Pagani che li avevano invasi.
L'ultimo Grande Arcipelago di Libri dell'Antico Testamento - il terzo -
raccoglie gli Scritti Sapienziali e dei Profeti. Ad esempio: il Libri di
Isaia, Geremia, il Libro dei Salmi, il Cantico dei Cantici e così
via.
Credo che per questa puntata possa bastare. C'incontreremo nuovamente il
mese prossimo per solcare le onde del Mare Meraviglioso della Parola di
Dio!
E cominceremo proprio dal come tutto ebbe inizio: dalla Creazione!
"In principio
" Sono queste le meravigliose parole con
le quali si apre la Genesi, il primo Testo del Libro dei Libri: la Bibbia.
"In principio
" perché, prima che Dio creasse qualcosa,
non c'era proprio niente: nemmeno il Tempo.
"In principio
", all'inizio del Tempo, c'è solo Dio
e la sua Parola che crea dal nulla ogni cosa che: vediamo, sentiamo, percepiamo,
e anche tutte quelle cose che a noi sfuggono perché non riusciamo
ad avvertire con i nostri sensi umani.
"In principio ", all'inizio del Tempo, all'inizio della Storia del Creato, all'inizio della Storia dell'Universo, all'inizio della Storia dell'Uomo - all'inizio di tutto - c'è Dio che Crea e Ama: che crea amando e che ama creando.
In Sette Giorni Dio crea l'Universo in un crescendo d'amore e di perfezione.
Il Primo Giorno crea il Cielo e la Terra, la Notte e il Giorno.
Il Secondo Giorno crea il Mare e il Firmamento.
Il Terzo Giorno crea gli Alberi, le Piante e tutti i Vegetali.
Il Quarto Giorno crea il Sole e la Luna.
Il Quinto Giorno crea i Pesci e gli Uccelli.
Il Sesto Giorno, dapprima crea tutti gli Animali Terrestri, infine, al vertice
dell'Amore che crea, Dio plasma l'Uomo e la Donna e li pone al centro del
Creato, al centro del Giardino dell'Eden, al centro del suo Amore, al centro
del suo Cuore.
Poi, Dio crea per sé e per l'Uomo e la Donna un dono meraviglioso:
il Sabato, il giorno di riposo, il giorno in cui s'interrompe qualsiasi
attività fisica e si fa festa e ci si riposa. Si pensa ad altro,
non al lavoro, non allo studio; ma ci si dedica a noi stessi, alla nostra
famiglia, ai nostri cari, agli altri e a Dio.
E tutto il Creato, tutti gli esseri che partecipano nel rendere migliore
la creazione hanno il dovere ed il diritto garantito da Dio di riposare.
Così, ci dice la Genesi: di Sabato, dovranno riposare non solo gli
uomini e le donne, ma anche gli animali cui viene attaccato l'aratro, le
mucche e le pecore, i cammelli e tutti gli altri esseri viventi che servono
l'Uomo.
Il Sabato - il riposo - è un evento grandioso che coinvolge l'Universo
Intero, tutta la Creazione.
Ma ora è arrivato il tempo d'ammainare la vela e ritornare al nostro
porto di partenza. Ripartiremo il mese prossimo e scopriremo Adamo ed Eva
che ne combinano delle belle in quel meraviglioso Paradiso Terrestre al
cui centro li ha collocati Dio in persona.
Per il momento: "Buona Pasqua a tutti!"
La volta scorsa avevamo detto che Dio, al vertice del suo Amore che crea,
ha posto l'Uomo e la Donna: Adamo ed Eva, al centro del Giardino dell'Eden,
al centro del Suo Cuore.
In realtà, Dio ama tutto il Creato e tutti gli Esseri Viventi in
ugual modo; ma è solo con l'Uomo e la Donna - con l'Essere Umano
- che ha un vincolo particolarmente intenso e profondo perché sono
gli Esseri Viventi che in assoluto gli assomigliano di più. Sono
più simili a Lui rispetto a tutti gli altri. Nemmeno gli Angeli sono
così simili a Lui come lo siamo noi. Siamo unici e Dio lo sa perché
è Lui ad averci creato e voluto così somiglianti a Lui: uno
per uno, singolarmente, irrepetibilmente.
Ora, nonostante che Adamo ed Eva sappiano di essere amati da Dio sopra ogni
cosa, spinti dal Diavolo Tentatore, commettano un peccato: quello che viene
detto "Peccato Originale". In quella circostanza, Adamo ed Eva
fanno in assoluto la loro prima scelta libera e autonoma. E questo è
di per sé un bene - una cosa positiva - perché, in questo
modo, l'Uomo e la Donna manifestano la propria autonomia, possono decidere
fra il Bene e il Male, fra la Cattiveria e la Bontà, fra l'Amare
e l'Odiare.
Solo che il loro primo atto libero di scelta coincide
con una cosa cattiva, con un peccato, e non con un qualcosa di buono, positivo,
come ad esempio il resistere alla tentazione e scacciare il Serpente.
Mangiare il frutto dell'Albero del Bene e del Male che Dio aveva proibito
di cibarsi, è stata una scelta libera, consapevole, autonoma, da
parte dell'Uomo e della Donna. Purtroppo è stata una scelta errata.
La prima volta che l'Uomo e la Donna esercitano il diritto alla Libertà
sbagliano in modo clamoroso.
Per fortuna non sarà sempre così e lo vedremo proseguendo
la nostra navigazione nello straordinario Mare della Parola di Dio. Per
il momento Dio, accortosi di ciò che avevano fatto, chiede conto
dell'accaduto ad Adamo, ad Eva e anche al Serpente. Nessuno di loro seppe
pentirsi. Al contrario, saranno solo capaci di scaricarsi l'un l'altro le
colpe senza assumersi alcuna responsabilità. A quel punto, Dio scaccerà
l'Uomo e la Donna dal Giardino dell'Eden. Tuttavia, promette che non sarà
per sempre. Un giorno tutto tornerà come prima
Un giorno che
sarà nel tempo futuro.
Per il momento fermiamoci qui. Riprenderemo il discorso il mese prossimo.
Rieccoci al nostro Porto, pronti per salpare nuovamente verso l'Isola
della Genesi. Nell'ultimo appuntamento abbiamo visto quanto cara costò
ad Adamo ed Eva la scelta sbagliata di dare ascolto al Serpente. Furono
cacciati dal Paradiso e raggiunsero la Terra così come la conosciamo
noi, con le meravigliose, ma a volte crudeli, Leggi della Natura e le Leggi
che saranno via via poste dalle società degli Uomini. Più
che un cambiamento di luogo - dal Paradiso alla Terra - si tratta di un
cambiamento di dimensione: dalla dimensione della Perfezione dell'Amore
di Dio, all'Imperfetta Caducità della Vita.
Lasciati Adamo ed Eva, è giunto il momento di parlare dei loro figli:
Caino ed Abele e non solo di loro, perché dopo di loro, il primo
Uomo e la prima Donna ebbero altri figli e figlie.
A proposito di Caino ed Abele, talvolta, alcuni si domandano perché
mai Dio preferiva i sacrifici di Abele a quelli di Caino che per questo
si sentiva un po' trascurato da Dio rispetto a suo fratello. Oltretutto,
Abele era un pastore e faceva le sue offerte a Dio uccidendo dei poveri
animali, delle pecore, degli agnelli. Caino, invece, era un agricoltore
e pertanto le sue offerte consistevano in ortaggi e frutta e quindi non
è che togliesse la vita a degli animali. Perché Dio preferisce
le offerte di Adamo? Dio non è dunque il Dio della Vita? Allora perché
non preferisce le offerte di Caino che erano solo frutta e verdura a quelle
di Abele che erano degli animali uccisi bell'apposta per onorarlo?
La domanda è molto interessante, specie per una mentalità
come la nostra che inorridisce all'idea che un animale possa essere ucciso
per fare un'offerta a Dio, per ringraziarlo o chiedergli qualcosa. Secondo
la nostra mentalità moderna, prima che Caino uccidesse Abele, era
quest'ultimo il cattivo. Tuttavia, dobbiamo sapere che la maggior parte
dei personaggi di cui parla la Genesi, prima delle vicende di Abramo, non
sono persone vere, storiche, esistite realmente, ma personaggi protagonisti
di Miti, di Racconti, di persone che magari non sono mai esistite, di fatti
che forse non si sono mai verificati, ma che comunque hanno un enorme valore
perché sono Parola di Dio e vogliono spiegare qualcosa d'importante,
qualcosa di vero, qualcosa di fondamentale per la Fede.
Così, Caino ed Abele non sono mai esistiti davvero in carne ed ossa.
Tuttavia, ciascuno di loro rappresenta qualcosa di molto importante. A questo
punto dobbiamo spiegare una cosa importante, così tutto diventerà
più chiaro e comprensibile. State tutti molto attenti.
Ahi!
Tempo e spazio scaduti! Pazienza, continuiamo la volta prossima.
Eravamo rimasti al fatto che c'è qualcosa d'importante da sapere
per capire perché Dio preferisce le offerte di Abele rispetto a quelle
del fratello Caino.
Abele è preferito da Dio rispetto a Caino, non perché le sue
offerte comportano l'uccisione di animali, ma perché Abele è
un pastore nomade così come lo erano gli Ebrei che avrebbero letto
quella storia. Il Popolo Eletto da Dio - quello a cui il Signore aveva consegnato
la Bibbia - si poteva così immedesimare con la figura positiva di
Abele. Al contrario, Caino è rappresentato come un agricoltore, simboleggia
gli abitanti pagani delle antiche città che erano stanziali, cioè
abitavano sempre nello stesso luogo - non nomadi come gli Ebrei - e perciò
potevano dedicarsi all'agricoltura. Per questa ragione, sin dall'inizio,
Dio preferisce Abele e le sue offerte. Tuttavia, questa predilezione per
Abele, per il pastore nomade, per il Popolo Ebraico, non diminuisce l'Amore
che Dio nutre per Caino perché anch'egli è suo figlio. Anche
le persone che credono in altri dei, o che non credono affatto, sono ugualmente
amate da Dio. Tutti - nessuno escluso - sono suoi figli.
Dio ama Caino e si rattrista quando Caino si fa vincere dalla gelosia verso
il fratello Abele. Dio spera che Caino vinca sé stesso e si riconcili
con il fratello tornando ad essergli amico e, infatti, gli dice: "
Il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il
suo istinto, ma tu dominalo." Ciò significa una cosa importante
e cioè che molte sono le tentazioni, le occasioni di peccato, tuttavia
l'uomo - che è dotato della ragione, della capacità di distinguere
ciò che è bene da ciò che è male - deve scegliere
la cosa migliore, cioè: non solo il proprio Bene, ma anche quello
di tutti, specie quando la ricerca del bene per sé stessi può
comportare un male per altri.
Lo sappiamo: alla fine, Caino non seguirà il consiglio di Dio - la
voce della sua buona coscienza - ed ucciderà il fratello Abele: il
Buono, il Giusto, l'Amato da Dio.
Però, nonostante questo, Dio non punisce terribilmente Caino con
la morte, ma lo esilia soltanto. Addirittura lo protegge dalla vendetta
di chi vorrebbe vendicare Abele.
Nonostante tutto, nonostante che abbia ucciso il fratello, a Caino non è
negata la speranza di poter un giorno riconciliarsi con Dio e di essere
perdonato per il male che ha fatto.
Dio, fin dal principio, mostra il suo Volto Misericordioso.
Dopo le vicende di Caino ed Abele, la Genesi prosegue con l'ulteriore
discendenza di Adamo ed Eva che ebbero un altro figlio e lo chiamarono Set.
Successivamente, sale alla ribalta un personaggio che certamente tutti noi
conosciamo bene: Noè, quello dell'Arca con tutti gli animali salvati
dal diluvio.
È una storia bella che conosciamo molto bene, anche se non siamo
mai riusciti a capire -
io per primo - come facevano a starci tutti gli animali sulla nave costruita
da Noè, compresi gli enormi elefanti, gli ippopotami, i rinoceronti,
le altissime giraffe e le puzzole che sicuramente hanno creato dei grossi
problemi a causa del loro cattivo odore.
E poi, gli orsi bianchi e i pinguini come facevano senza ghiaccio?
Be! È un mistero! Ora, però vi dico una cosa che sono certo
non conoscete ancora. Ve la propongo come un indovinello e vediamo se sapete
rispondere.
Dio, a causa di tutti i peccati commessi dagli uomini, manda il diluvio
universale per distruggere ogni essere vivente: tutti gli animali e gli
umani, ad eccezione di Noè, dei suoi familiari e dalle coppie di
ciascun tipo di animale terrestre, compresi gli uccelli. Ma allora, ditemi,
essendo anch'essi degli esseri viventi, perché Dio non distrugge
anche i pesci?
I pesci durante il diluvio non sono morti perché mica potevano annegare!
Non vi pare? I pesci vivono nell'acqua! E allora?
Chi lo sa, per il momento alzi la mano, perché non abbiamo più
spazio per rispondere. Prometto che ve lo dirò alla prossima puntata
in cui, oltre al diluvio, parleremo anche dell'altissima Torre di Babele.
Vi ricordate che l'ultima volta avevo promesso che avrei svelato l'indovinello
del perché Dio, mandando il diluvio, non ha ucciso anche tutti i
pesci, dato che i pesci ovviamente non annegano perché vivono nell'acqua?
Qualcuno ha alzato la mano perché forse la sa già. Comunque,
la riposta è semplice: a quei tempi, in cui qualcuno ha pensato di
raccontare - prima oralmente, poi per iscritto - la storia di Noè,
dell'Arca e del Diluvio Universale, i pesci non erano ritenuti dei veri
e propri animali come gli animali terrestri e gli uccelli ma, semplicemente,
si pensava fossero delle semplici creature non del tutto animali. Si riteneva
che non avessero il Soffio della Vita.
A tal proposito, se vi ricordate, anche all'inizio della Genesi - di questo
Libro della Bibbia di cui stiamo parlando - Dio crea i pesci in un giorno
diverso da quello in cui crea - tutti nello stesso giorno - gli animali
terrestri, gli uccelli e l'uomo. Dio, creando, separa i pesci dall'Uomo
e dal resto degli animali.
Dio, con il Diluvio, non distrugge i pesci insieme a tutti gli altri animali,
agli uccelli e all'uomo, semplicemente perché i pesci, a quei tempi,
non erano considerati dei veri e propri esseri viventi al pari degli altri
animali e dell'uomo.
Ma veniamo ora ad un altro grande evento della Genesi. È anch'esso
molto conosciuto anche se non come il Diluvio Universale. Si tratta della
Torre di Babele: quell'altissima torre che gli uomini di tutti i popoli
del Mondo decidono di costruire per fare un dispetto a Dio raggiungendo
il Cielo dove lui abita. Dio non è che s'arrabbia molto. A sua volta
tira un brutto scherzetto agli uomini. Distrugge la torre e li confonde
tutti facendoli parlare l'un l'altro delle lingue diverse. Insomma, succede
una grande confusione in cui non si capisce più niente!
E, infatti, ancor oggi, si dice che c'è una gran Babele quando le
cose diventano così complicate che alla fine non ci si capisce più
nulla!
Eravamo rimasti al fatto che c'è qualcosa d'importante da sapere
per ca-pire perché Dio preferisce le offerte di Abele rispetto a
quelle del fratello Caino.
Abele è preferito da Dio rispetto a Caino, non perché le sue
offerte com-portano l'uccisione di animali, ma perché Abele è
un pastore nomade così come lo erano gli Ebrei che avrebbero letto
quella storia. Il Popolo Eletto da Dio - quello a cui il Signore aveva consegnato
la Bibbia - si poteva così immedesimare con la figura positiva di
Abele. Al contrario, Caino è rappresentato come un agricoltore, simboleggia
gli abitanti pagani delle antiche città che erano stanziali, cioè
abitavano sempre nello stesso luogo - non nomadi come gli Ebrei - e perciò
potevano dedicarsi all'agricoltura. Per questa ragione, sin dall'inizio,
Dio preferisce Abele e le sue offerte. Tuttavia, questa predilezione per
Abele, per il pastore no-made, per il Popolo Ebraico, non diminuisce l'Amore
che Dio nutre per Caino perché anch'egli è suo figlio. Anche
le persone che credono in altri dei, o che non credono affatto, sono ugualmente
amate da Dio. Tutti - nessuno escluso - sono suoi figli.
Dio ama Caino e si rattrista quando Caino si fa vincere dalla gelosia verso
il fratello Abele. Dio spera che Caino vinca sé stesso e si riconcili
con il fratello tornando ad essergli amico e, infatti, gli dice: "
Il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il
suo istinto, ma tu dominalo." Ciò significa una cosa importante
e cioè che molte sono le tentazioni, le occasioni di peccato, tuttavia
l'uomo - che è dotato della ragione, della capacità di distinguere
ciò che è bene da ciò che è male - deve scegliere
la cosa migliore, cioè: non solo il proprio Bene, ma anche quello
di tutti, specie quando la ricerca del bene per sé stessi può
comportare un male per altri. Lo sappiamo: alla fine, Caino non seguirà
il consiglio di Dio - la voce della sua buona coscienza - ed ucciderà
il fratello Abele: il Buono, il Giusto, l'Amato da Dio.
Però, nonostante questo, Dio non punisce terribilmente Caino con
la morte, ma lo esilia soltanto. Addirittura lo protegge dalla vendetta
di chi vorrebbe vendicare Abele. Nonostante tutto, nonostante che abbia
ucciso il fratello, a Caino non è negata la speranza di poter un
giorno riconciliarsi con Dio e di essere perdonato per il male che ha fatto.
Dio, fin dal principio, mostra il suo Volto Misericordioso.
Dopo le vicende di Caino ed Abele, la Genesi prosegue con l'ulteriore discendenza
di Adamo ed Eva che ebbero un altro figlio e lo chiamarono Set. Successivamente,
sale alla ribalta un personaggio che certamente tutti noi conosciamo bene:
Noè, quello dell'Arca con tutti gli animali salvati dal diluvio.
È una storia bella che conosciamo molto bene, anche se non siamo
mai riusciti a capire - io per primo - come facevano a starci tutti gli
animali sulla nave costruita da Noè, compresi gli enormi elefanti,
gli ippopotami, i rinoceronti, le altissime giraffe e le puzzole che sicuramente
hanno creato dei grossi problemi a causa del loro cattivo odore. E poi,
gli orsi bianchi e i pinguini come facevano senza ghiaccio?
Be! È un mistero!ma ne parleremo alla prossima puntata.
Ora, però vi dico una cosa che sono certo non conoscete ancora.
Ve la propongo come un indovinello e vediamo se sapete rispondere.
Dio, a causa di tutti i peccati commessi dagli uomini, manda il diluvio
universale per distruggere ogni essere vivente: tutti gli animali e gli
u-mani, ad eccezione di Noè, dei suoi familiari e dalle coppie di
ciascun tipo di animale terrestre, compresi gli uccelli. Ma allora, ditemi,
essendo anch'essi degli esseri viventi, perché Dio non distrugge
anche i pesci?
I pesci durante il diluvio non sono morti perché mica potevano annegare!
Non vi pare? I pesci vivono nell'acqua! E allora?
Comunque, la riposta è semplice: a quei tempi, in cui qualcuno ha
pensato di raccontare - prima oralmente, poi per iscritto - la storia di
Noè, dell'Arca e del Diluvio Universale, i pesci non erano ritenuti
dei veri e propri animali come gli animali terrestri e gli uccelli ma, semplicemente,
si pensava fossero delle semplici creature non del tutto animali. Si riteneva
che non avessero il Soffio della Vita.
A tal proposito, se vi ricordate, anche all'inizio della Genesi - di questo
Libro della Bibbia di cui stiamo parlando - Dio crea i pesci in un giorno
diverso da quello in cui crea - tutti nello stesso giorno - gli animali
terrestri, gli uccelli e l'uomo. Dio, creando, separa i pesci dall'Uomo
e dal resto degli animali.
Dio, con il Diluvio, non distrugge i pesci insieme a tutti gli altri animali,
agli uccelli e all'uomo, semplicemente perché i pesci, a quei tempi,
non erano considerati dei veri e propri esseri viventi al pari degli altri
animali e dell'uomo. Ma veniamo ora ad un altro grande evento della Genesi.
È anch'esso molto conosciuto anche se non come il Diluvio Universale.
Si tratta della Torre di Babele: quell'altissima torre che gli uomini di
tutti i popoli del Mondo decidono di costruire per fare un dispetto a Dio
raggiungendo il Cielo dove lui abita.
Dio non è che s'arrabbia molto. A sua volta tira un brutto scherzetto
agli uomini. Distrugge la torre e li confonde tutti facendoli parlare l'un
l'altro delle lingue diverse. Insomma, succede una grande confusione in
cui non si capisce più niente!
E, infatti, ancor oggi, si dice che c'è una gran Babele quando
le cose diventano così complicate che alla fine non ci si capisce
più nulla!
La prossima volta incontreremo un personaggio della Bibbia veramente unico:
Abramo. E' lui il primo uomo storico della Bibbia. Il primo di cui siamo
certi che esistette veramente.
Dal Mito, con Abramo passeremo alla Storia Vera: quella con la "S" maiuscola! (agosto 2015)
Ed eccoci, navigando nell'arcipelago del libro della Genesi, approdare
finalmente alla spiaggia dell'Isola di Abramo. Abramo è un protagonista
essenziale. Tanto è vero che: Ebrei, Cristiani e Musulmani, se ne
sono appropriati elevandolo a modello del Perfetto Credente.Abramo è
anche il primo uomo - storicamente esistito - ad aver avuto Fede nell'Unico
e Vero Dio.
Così - per dirla in modo molto sintetico - per gli Ebrei è
il loro capostipite carnale, per ragioni di stirpe e di sangue. Abramo è
il primo uomo che la Bibbia afferma essereun Ebreo. Abramo è il Primo
Ebreo comparso sulla faccia della Terra.
L'Islamismo - invece - loconsidera il Primo Musulmano, ovvero il primo vivente
che si sottomette completamente alla volontà di Dio. Gli Islamici
conservano una tradizione moltodifferente da quella Ebraica e Cristiana
riguardo le vicende di questo Patriarca. Affermano - ad esempio - che, in
realtà, il sacrificio del figlio, chiesto da Dio ad Abramo, non era
quello di Isacco, ma dell'altro figlio, Ismaele, avuto dalla schiava egiziana
Agar. Comunque, per la nostra esplorazione, noi terremo ben orientata la
bussola sulla Bibbia Ebraica che è diventata anche la nostra con
il titolo di Antico Testamento.
L'abbiamo già detto: innanzitutto, Abramo non è una figura
astratta. Abramo non è il personaggio di un mito. È una persona
concreta e realmente esistita. È un personaggio storico: il primo
personaggio storico della Bibbia.Fondamentale nella vicenda di Abramo è
la chiamata.
Dio improvvisamente entra nella Storia Umana - fino a quel momento avvolta
nel mito- e si rivela in prima persona ad un uomo in carne ed ossa. Un Uomo
che è il figlio di un capo di una tribù seminomade di pastoriche
circa quattromila anni fa dimorava in Mesopotamia, più o meno dove
oggi c'è l'Iraq.Abramo, fino a quel momento, è un pagano.
Come tutti gli uomini del tempo crede in molti dei. Ma forse, qualcosa di
diverso rispetto a tutti gli altri,in lui c'era già. Abramo aveva
una sensibilità religiosa non comune, un'intelligenza superiore agli
altri uomini. Probabilmente stava già ragionando sull'impossibilità
che nell'Universo possano coesistere più dei. A quel punto, Dio lo
sceglie. Una scelta che cambierà radicalmente il Mondo Umano. Gli
dice:"Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre,
verso il paese che io ti indicherò."Nella Bibbia, le scelte
fondamentali - quelle che contano - s'accompagnano sempre ad una uscita,
all'emigrare da un luogo all'altro: Abramo esce da Carran per entrare nella
Terra Promessa. Mosè e il Popolo d'Israele escono dall'Egitto per
entrare in Canaan. Gesù per entrare nel Regno della Vita, esce dalla
Terra della Morte simboleggiata dal Sepolcro. La Bibbia non è fatta
per le persone pigre: si cammina sempre, si è sempre in movimento.
Si esce da qualcosa per entrare in altro. Non ci si ferma mai! I Credenti
sono Seminomadi per vocazione.
Almeno, così dovrebbe essere.Perciò,
la cosa più brutta che potrebbe capitargli è proprioquella
di fermarsi, di non progredire, di rimanere sempre allo stesso punto, con
le stesse idee, di conservare e mai aprirsi al nuovo e alla scoperta
Insomma: fare esattamente l'opposto di quello che fece il nostro amico Abramo.
Lo vedremo la prossima volta. Per ora ci fermiamo qui. (ott. 2015)
Riprendendo l'ultima puntata della nostra Navigazione nel Mare della
Parola di Dio, torniamo ad Abramo, alla sua Chiamata e all'ordine datogli
da Dio di uscire dalla Terra in cui sta.
Abramo ha due scelte davanti a sé: rimanere dov'è, non rischiando
il noto per l'ignoto (anche se le promesse fatte da Dio sono per lui molto
allettanti: una Terra, una Discendenza numerosa); oppure fidarsi di Dio
- un Dio che ha conosciuto da poco. Anzi, che per il momento non conosce
affatto - e partire lasciando tutto quello che era ed aveva fino a quel
momento. Doveva lasciare tutte le sue sicurezze.
Ma Abramo è un Genio! E' un Uomo Creativo e di Coraggio! Abramo possedeva
un intuito che prima di lui nessun altro aveva avuto. Non esita! Parte immediatamente!
Lascia tutto per una promessa!
Pensateci bene. Non è una grande Fede la sua? La sua è una
Fede che non si basa su verità concrete, su delle prove tangibili,
ma su una promessa, nemmeno molto precisa, di Dio.
Lui parte! Non esita neppure! Non si mette a calcolare a tavolino i pro
e i contro. Non si chiede quanto gli frutterà in denaro, potere,
prestigio, autorità, autorevolezza, considerazione!
Potremmo anche definirlo un incosciente, un temerario!
Un genio!
Non importa! Lui parte e basta: perché chi gli ha parlato, Abramo
è sicuro che sia Dio. E se è Dio che ha parlato - anche se
non può dimostrare che è così, che questa cosa è
vera - lui parte!
Non facciamo paragoni fra la Fede di Abramo e la nostra. È meglio
di no! Per molti la Fede esprime tranquillità, rassegnazione, immobilità,
sottomissione; e i precetti di Dio sono solo: gerarchia, obbedienza, rispettabilità
e ordine sociale.
Nulla di paragonabile all'impeto della Fede che ha fatto uscire il nostro
amico Abramo dalle solide certezze idolatriche della sua vita per andare
incontro a qualcosa d'inesplorato: ad una Fede straordinaria, unica, vincente;
ad una Fede in Dio del tutto nuova e rivoluzionaria per quei tempi.
Anche noi abbiamo avuto dal Signore la stessa chiamata. La chiamata di Abramo
è una chiamata che ha avuto inizio con lui e continua nel tempo sino
ai giorni nostri, fino ad arrivare a ciascuno di noi. Se davvero anche noi
vogliamo fare qualcosa per rispondere a questa continua chiamata che perdura
nei secoli, andiamo a rileggere - nella Bibbia - nella Genesi - l'intera
vicenda di Abramo.
E se proprio non riusciamo a leggerla tutta, soffermiamoci almeno su un
episodio importante: la sua Vocazione e l'Alleanza con Dio - ad esempio
- oppure l'apparizione dei tre angeli alle querce di Mamre o la Legatura
di Isacco.
Dobbiamo leggere di più la Bibbia perché è una cosa
che sicuramente torna a nostro vantaggio.
La prossima volta parleremo di Giacobbe, nipotino di Abramo, figlio di Isacco,
quel Figlio che Abramo era disposto a sacrificare, semplicemente perché
Dio glielo chiedeva. Un Figlio che, oltre ad essere un Figlio amato, era
fino a quel momento, l'unica tangibile prova che il Signore manteneva le
sue promesse. (nov 2015)
Continuiamo la nostra navigazione nell'arcipelago del Libro della Genesi.
L'ultima volta ci eravamo lasciati ultimando la visita all'Isola di Abramo.
Oggi inizieremo a conoscere quella di Giacobbe, figlio di Isacco a sua volta
figlio del grande Abramo.
A Giacobbe ne sono capitate davvero tante e molti sono gli episodi importanti
della sua vita; addirittura, uno di questi gli è capitato al momento
stesso della sua nascita. Infatti nel ventre di sua madre, oltre a lui,
c'era anche il fratello gemello Esaù che dei due era il più
grande, il primogenito destinato a nascere per primo. Ebbene, il nostro
Giacobbe, al momento della nascita afferrò con la mano il calcagno
del fratello perché voleva nascere lui per primo, voleva essere lui
il primogenito così da avere in eredità il lascito spirituale
del nonno Abramo e del padre Isacco. Tuttavia, quella volta non poté
farlo; ci sarebbe riuscito più in là negli anni grazie ad
uno stratagemma ideato da sua madre Rachele.
Ma ecco, qui di seguito, le principali tappe delle peripezie di Giacobbe:
- Giacobbe, al momento della nascita trattiene il fratello gemello Esaù
per il calcagno facendo intendere che sarà lui l'erede spirituale
di Abramo e di Isacco
Ma questo l'abbiamo già detto.
- In seguito, l'episodio è celebre, Giacobbe costringe l'affamato
Esaù, di ritorno da una pesante giornata di caccia, a cedere la primogenitura,
che gli spetta di diritto, in cambio di un "piatto di lenticchie".
Esaù, accettando quello scambio, dimostra così quanto poco
gli importava dei suoi Avi e del cammino che avevano iniziato accanto all'Unico
Vero Dio.
- Successivamente, l'abbiamo accennato all'inizio, allorquando il padre
Isacco, ormai quasi completamente cieco, sta per spegnersi sul suo letto
di morte, Giacobbe, guidato dalla madre, si traveste da Esaù, si
sostituisce a lui ingannando Isacco così da poterne carpire la benedizione:
quella della discendenza, e del patto sublime di Alleanza stretto da Dio
con Abramo. Grazie a quella benedizione, è Giacobbe che diventa ufficialmente
il primogenito, l'erede, quello che guiderà il Popolo di Dio nel
solco dell'Alleanza con il Signore. Ma poi Esaù se ne accorge e vuole
vendicarsi. Giacobbe, a quel punto, è costretto a fuggire in un paese
lontano, sarà accolto da un parente di sua madre, per la precisione
il fratello, un certo Labano.
- Lungo il viaggio, in un luogo in cui s'era addormentato durante la notte,
Giacobbe ha una visione, si tratta di un sogno, in cui vede una scala che
unisce la Terra al Cielo e su di essa centinaia di angeli che scendono e
salgono. Ode anche la voce di Dio che espressamente gli conferma tutte le
promesse fatte ad Abramo ed Isacco. La volontà di Dio è stata,
fin dal principio, quella che fosse lui l'erede e non l'idolatra Esaù.
Giacobbe sa che è un sogno, ma sa anche che è tutto vero.
Sarà lui l'erede di Dio, sarà lui il prediletto e l'amato
.
Ok! Temo che lo spazio della pagina sia terminato. Alla prossima volta!
P.S.
Nel frattempo, andatevi a leggere le avventure di Giacobbe direttamente
nella Bibbia. Iniziano al capitolo 25, versetto 24, della Genesi. (dic.
2015)
Rieccoci ancora una volta sull'Isola di Giacobbe. La puntata precedente
eravamo rimasti al nostro Eroe che sogna la scala su cui scendono e salgono
dal Cielo alla Terra centinaia di angeli e la voce di Dio che, pur non mostrandosi,
conferma che sarà lui, Giacobbe, e non il fratello Esaù ad
essere l'erede delle promesse divine.
Giunto alla casa di Labano, fratello di sua madre Rachele, Giacobbe ci rimane
molti anni e sposa due delle sue figlie. Dapprima sposa Lia, poi l'amatissima
Rachele;ebbe anche dei figli: dodici per l'esattezza che la Bibbia e la
Tradizione Ebraica indicano come i capostipiti delle Dodici Tribù
d'Israele tra le quali, naturalmente c'è anche quella cui apparteneva
Gesù, ossia la Tribù di Giuda o, ancora, quella di San Paolo,
la Tribù di Beniamino e così via. Al giorno d'oggi, di tutte
quelle Dodici Tribù, ne sono rimaste solo due e mezzo ossia: quella
di Giuda e di Beniamino e parte di quella di Levi, quest'ultima è
la Tribù sacerdotale, quella di Mosè e di Aronne
ma
avremo modo di vedere queste cose più avanti. Per ora, l'importante
è sapere che le Dodici Tribù d'Israele nascono con i figli
di Giacobbe al quale Dio muterà il nome in quello di Israele. Sì,
Israele, all'inizio non è il nome di uno Stato, di una Nazione o
di un Popolo, ma il nome proprio di una persona dato personalmente da Dio.
Un po' se vi ricordate, come accadde ad Abramo e a Sara. Anche a loro Dio
mutò il nome. Allo stesso modo, Gesù muterà il nome
del Capo degli Apostoli, da Simone in Pietro. Dunque, Giacobbe si sposò
ed ebbe dei figli, ma successivamentecrebbero sempre di più i dissidi
tra lui e il suocero Labano. Egli è un uomo profondamente avaro,
che vessava il genero e lo imbrogliava sempre per trarne profitto. Così
Giacobbe se ne va via di nascosto - con tutta la sua famiglia, i servi,
gli averi e gli animali che possedeva - facendo ritorno alla Terra di suo
padre, alla Terra Promessa.
Ma lungo il viaggio accade qualcosa di straordinario e di terribile.
Quella notte, Giacobbe ha appena terminato di far attraversare il piccolo
fiume Iabbok a tutta la sua carovana di gente, animali e cose e s'attarda
sulla riva prima di guadare anch'egli il corso d'acqua.
Improvvisamente, come fosse sbucato dal nulla, qualcuno lo getta a terra
e comincia a lottare con lui con tutte le sue forze. Giacobbe vinto lo stupore,
gli tiene testa tanto che nessuno dei due riesce a prevalere sull'altro.
Sta per giungere l'alba e lo sconosciuto personaggio sa che alle prime luci
del Sole dovrà ritirarsi andandosene da lì. Allora, per vincere
definitivamente l'avversario, gli colpisce violentemente il femore lesionandogli
per sempre il nervo della gamba. Tuttavia, anche così, l'indomito
Giacobbe continua a lottare immobilizzando l'Entità che lottacon
lui, e gli pone come condizione per lasciarlo andare via, di benedirlo e
di rivelargli chi sia. Mail personaggio nega risolutamente di rivelare il
suo nome e chiede a Giacobbe il perché lo vuole sapere. A quel punto,
accade una cosa meravigliosa destinata a cambiare per sempre la Storia Umana
Lo vedremo meglio la volta prossima. (Genn. 2016)
La volta scorsa abbiamo lasciato il nostro Giacobbe mentre lotta con
la misteriosa Entità che lo aveva aggredito sulle rive del fiume
Iabbok. Ora riprendiamo proprio da lì, dal momento in cui Giacobbe
ha appena ordinato a quell'Essere di rivelargli il nome e di benedirlo.
L'oscuro personaggio - forse un angelo con sembianze d'uomo, forse Dio stesso
- chiede a sua volta il nome a Giacobbe. E Dio gli dice: "Non ti chiamerai
più Gia-cobbe, ma Israele, perché hai combattuto con gli Uomini
e con Dio e hai vinto!"
In quel preciso momento nasce il nome Israele, l'idea stessa di dalla stessa
bocca di Dio che muta il nome a Giacobbe dopo che ha lottato, a volte con
l'inganno - con il fratello Esaù e con il padre Isacco - per ottenerne
la Primogenitura, l'Eredità Spirituale e soprattutto il Patto dall'Alleanza
con Dio. Giacobbe non è il Patriarca per diritto di nascita,perché
doveva essere il fratello Esaù che però non ne era degno dato
che aveva abbandonato la Fede di Abramo e di Isacco ritornando ad essere
un pagano adoratore di idoli.
Giacobbe lotta e vince: lotta con tutte le sue forze e con Dio stesso per
quella primogenitura perché la vuole, perché sa che è
sua! Sa che è Dio stesso a scegliere lui e non l'indegno fratello
Esaù.Alla fine, attraversato anch'egli il fiume Iabbok, dopo aver
lottato tutta la notte con l'oscuro personaggio, Giacobbe, zoppicante e
doloran-te per il colpo sferratogli al femore, incontra Esaù e si
riappacifica con lui. Sarà sempre una pace sull'orlo della guerra,
ma sostanzialmente la tregua durerà per molto tempo.
Giacobbe rientra nella( Terra Promessa con i suoi figli che crescendo avranno
tanti figli dando origine alle Dodici Tribù che formano il Popolo
d'Israele, cioè di Gia-cobbe, al quale Dio aveva mutato il nome in
Israele. Tuttavia, Giacobbe, alla fine dei suoi giorni, non morirà
nella sua Terra, in Israele, nella Terra Promessa, ma in Egitto. Infatti,
una dette tante carestie che in quel tempo colpivano il Vicino Oriente,
lo costringerà a lasciare la sua Patria, la Terra promessagli da
Dio, per scendere in Egitto dove già l'attendeva il figlio Giuseppe.
Giuseppe è forse un personaggio che già conosciamo bene. Badate
che non si tratta del papà di Gesù Bambino, ma di un uomo
vissuto centinaia di anni prima e la cui storia narreremo la prossima volta.
A presto! (febb. 2016)
Oggi facciamo conoscenza con Giuseppe, uno dei Dodici figli del Patriarca Giacobbe.E' l'ultima Isola che esploreremo del grande Arcipelago della Genesi. Vi ricordate? Abbiamo parlato della Creazione, del Diluvio Universale,della Torre di Babele, di Abramo, di Giacobbe e di tante altre cose ancora. Quello delle vicende di Giuseppe è l'ultimo racconto della Genesi, dopodiché riprenderemo la nostra navigazione nel Mare della Parola di Dio facendo vela verso un altro importantissimo Libro della Bibbia: l'Esodo. Ma torniamo al nostro Giuseppe. Suo padre, Giacobbe, se ve lo ricordate, sposò due moglie: Lia e Rachele: dieci figli li ebbe dalla prima e due dalla seconda. Giuseppe, insieme al fratello Beniamino che di tutti i figli di Giacobbe è l'ultimo nato, erano figli di Rachele, la mogli che Giacobbe amava di più e che morì proprio dando alla luce Beniamino.Giuseppe era il figlio preferito da Giacobbe che non nascondeva la sua predilezione suscitando le gelosie di tutti gli altri fratelli, Beniamino escluso perché a quel tempo lui era veramente molto piccolo, quasi un neonato.Giuseppe, che era un ragazzino, influenzato dall'atteggiamento del padre, ben presto diventò molto superbo sentendosi superiore a tutti i suoi fratelli. Così loro s'ingelosirono sino ad arrivare adodiarlo meditandolo di ucciderlo, anche perché Giuseppe faceva sempre strani sogni nei quali i fratelli e finanche i genitori - simboleggiati da dei covoni, da stelle, dalla Luna e dal Sole - s'inchinavano a lui in segno di sottomissione. "Inaudito!" Lo aveva rimproverato suo padre Giacobbe: " Tua madre, i tuoi fratelli e io dovremmo inchinarci a te? Ma chi credi di essere?" (In realtà la madre Rachele era già morta da un pezzo).Un giorno, mentre tutti i fratelli stavano pascolando le greggi in aperta campagna, Giacobbe mandò il figlio Giuseppe - che a quanto pare neppure lavorava portando al pascolo le pecore come facevano tutti gli altri suoi fratelli - a chiamare il resto dei figli. Giuseppe, c'è da dirlo, era sempre pulito e vestito bene e questo irritava ancor più gli altriperché, dovendo badare alle pecore, spesso puzzavano ed erano vestiti con abiti sporchi e sgraziati. Ebbene, dato che in giro non c'era nessuno e perciò potevano farla franca, decisero di sbarazzarsi dell'antipatico fratello. Dapprima pensarono di ucciderlo poi, non volendo macchiarsi di un peccato così grande - il peccato di Caino - decisero di venderlo a una carovana di mercanti che scendeva in Egitto.Detto fatto, consegnarono il fratello ai mercanti e corsero dal padre dicendo che era accaduta una grave disgrazia, che Giuseppe era stato sbranato dagli animali feroci. Come provagli portarono il vestito del ragazzo macchiato con il sangue di un animale del gregge. Immaginatevi la disperazione del povero Giacobbe! La moglie Rachele, madre del ragazzo, come abbiamo detto all'inizio era morta dando alla luce Beniamino e ora, quella crudele notizia: Giuseppe era morto in modo orribile sbranato dagli animali feroci. Davvero era troppo anche per un granduomo come Giacobbeche da quel momento si legò ancor di più - in modo quasi viscerale - al piccolo Beniamino che era l'unico figlio sopravvissuto dell'amatissima moglie Rachele. E' quello di Giuseppeun racconto che inizia con vicende molto negative: la superbia di Giuseppe, l'odio dei suoi fratelli e il dolore del padre Giacobbe . Ma Dio - ed è questo il grande insegnamento contenuto in questa Storia - è sempre lì a scrivere nelle vicende umane - anche le più difficili e dolorose - per dirci che c'è sempre una speranza possibile, anche quando di speranze sembrano non essercene più .Per ora è tutto. La prossima volta ritroveremo Giuseppe in Egitto: prima come schiavo di un potente notabile, poi in prigione e infine - grazie all'intervento di Dio che gli permette d'interpretare correttamente dei sogni che predicono il futuro - diventare l'Uomo più importante, subito dopo il Faraone, del più potente Impero del tempo: l'Antico Egitto. A presto! (marzo 2016)
La volta scorsa, parlando di Giuseppe, figlio di Giacobbe, eravamo rimasti al momento in cui i fratelli lo vendono a dei mercanti diretti in Egitto e danno al padre la terribile falsa notizia che il ragazzo è stato sbranato dalle belve. Allora, anche noi oggi scendiamo in Egitto e seguiamo il nostroeroe che, ricordiamolo, al tempo era un tipo molto pieno di sé ed antipatico ma che crescendo diventerà un uomo fantastico. Giunto in Egitto, Giuseppe viene venduto ad un potentissimo ministro - un tale Potifar - il quale ben presto si rende conto delle grandi abilità del suo nuovo schiavo e della sua straordinaria intelligenza organizzativa. Nel giro di poco tempo lo pone a capo di tutta l'amministrazione dei suoi ricchissimi beni. In realtà, il segreto di Giuseppe - la sua grande capacità - è sì un dono naturale ma è soprattutto dovuta al fatto che Dio è con lui e gli fa riuscire molo bene ogni impresa che compie. Ecco il grande insegnamento che il Signore ci rivela operando con Giuseppe: Dio c'è sempre anche quando ci si trova in una terribile situazione d'abbandono come lo è la schiavitù. In ogni circostanza, anche la più dura, Dio è presente e opera nella nostra storia personale. In altre parole, anche in circostanzetremende si può scorgere la speranza - c'è sempre speranza - perché Dio realmenteesiste anche seogni cosa sembra andare per il verso sbagliato!Tutto finalmente sembra andare bene per Giuseppe chenonostante: il tradimento dei fratelli, l'esilio dalla sua Terra, la lontananza dal Padre e la perdita della libertà, ha raggiunto, grazie alle sue capacità e alla benevolenza di Dio, un rango sociale del tutto invidiabile. Tuttavia, ancora una volta succede qualcosa che nuovamente viene a sconvolgere la vita di Giuseppe. La moglie di Potifar - il suo padrone - desidera Giuseppe che era un bellissimo ragazzo pieno di fascino, e cerca di averlo fisicamente. Lui però resiste. Sa che si tratta di un grave peccato davanti a Dio perché quella donna è sposata e poi è proprio la moglie del suo padrone che si è sempre comportato bene con lui e di lui si fida ciecamente. Non può fare una cosa del genere! È un peccato ed è una grande stupidaggine perché se il padrone lo venisse a sapere gli toglierebbe tutta l'autorità che gli aveva dato,arrivandoanche al punto diucciderlo con le sue stesse mani. La donna,indispettita dal rifiuto del ragazzo s'infuria e lo denuncia al marito dicendo che Giuseppe aveva tentato di abusare di lei.Potifar probabilmente non crede fino in fondo alle parole della moglie perché la conosce bene e sa di che pasta è fatta. Tuttavia non può nemmeno fare una figuraccia con i suoi amici non punendo Giuseppe. Così, anche se dubita fortemente della sua colpevolezza, gli toglie ogni incarico, non lo uccide ma lo spedisce in prigione. In prigione, certo, ma non una prigione qualsiasi o, peggio, una prigione da schiavi. Lo fa rinchiudere nella sua prigione, quella che sta sotto il suo palazzo, destinata ai nobili e ai ministri del Faraone: una prigione in cui si è trattati bene e dove l'unica cosa che manca davvero è la libertà . Giuseppe ne uscirà molti anni dopo grazie all'interpretazione di due sogni, similima al contempo diversi fra loro La vita di Giuseppe sarà ancora una volta scandita dai sogni. Lo vedremo meglio la prossima puntata. (aprile 2016)
Lo ricordate? Abbiamo seguito Giuseppe in Egitto e l'abbiamo lasciato
nel carcere di Potifar. Qui ci rimane un bel po' di tempo. Un giorno, vengono
imprigionati anche due alti ministri del Faraone accusati di chissà
quale grave scorrettezza nei suoi confronti. Si tratta del Coppiere e del
Panettiere personali del Faraone. Ora, stiamo ben attenti che con il termine
coppiere e panettiere non si vuole indicare colui che materialmente spreme
l'uva per fare il vino e chi impasta ed inforna il pane. No! Loro sono i
ministri preposti al vino e alle vivande che giungono alla tavola del Faraone.
Sono persone importantissime perché sono i diretti responsabili di
cosa beve e mangia il Faraone e la sua famiglia! Naturalmente questi due
alti dignitari dell'Egitto sono molto preoccupati perché il Faraone
potrebbe anche decidere di giustiziarli. Giuseppe viene assegnato come loro
servitore per tutto il periodo che i due stanno in prigione e ben presto
anche loro ne apprezzano le grandi doti umane ed organizzative. Giuseppe
ha conservato la calma, la perspicacia e la serenità anche dopo l'ennesima
disavventura che gli è capitata e che lo ha abbassato - dalla più
alta considerazione da parte di Potifar - alla prigione in cui sta ora.
Ma in realtà, per lui nulla è veramente cambiato perché
sa che Dio è ancora con lui, al suo fianco, e sa che mai lo abbandonerà
in baliadegli eventi.Ebbene, i due alti dignitari imprigionati fanno entrambi
un sogno. Il primo - il Coppiere - sogna di porgere nuovamente la coppa
del vino al Faraone, mentre il secondo - il Panettiere - sogna che degli
uccellacci divorano tutto il pane che lui stava portando in una cesta di
vimini sopra la sua testa. A questo punto Dio interpreta il sogno e lo rivela
a Giuseppe chea sua volta predice ai due ministri il significato: il Coppiere
tornerà a fare quello che faceva prima alla corte del Faraone mentre
il secondo sarà giustiziato.
In realtà accadrà
proprio così. Il Coppiere, ovviamente molto felice della spiegazione,
ringrazia Giuseppe che lo prega di ricordarsi di lui quando sarà
nuovamente libero e potente.
.Ma come succede spesso, i debiti di
gratitudine si dimenticano presto e anche il Coppiere, ritornato potente
accanto al Faraone, si dimenticò del povero Giuseppe che rimase in
prigione ancora due anni.
Ancora una volta però, grazie proprio
ad un sogno, Giuseppe riacquisterà la libertà e non solo quella,
ma anche un potere smisuratamente più grande di quello che aveva
prima nella casa di Potifar. Questa volta a sognare sarà la persona
più potente di tutti in Egitto: il Faraone!
Ascolteremo il suo sogno la prossima volta. Ciao! (maggio 2016)
Continuando dalla volta scorsa, Giuseppe esce dalla prigione e compare
al cospetto del Faraone che ha un'urgente necessità che qualcuno
interpreti il suo strano sogno in cui sette vacche grasse vengono divorate
da sette vacche magre, così come sette ricche spighe di grano vengono
divorate da sette spighe rinsecchite. Il Faraone ne ha un estremo bisogno
perché, come tutti gli Antichi, crede che le divinità attraverso
i sognipredicono il futuro agli Umani. Ebbene, il nostro Giuseppe, grazie
all'aiuto di Dio, dà al Faraone un'interpretazione chiara e inoppugnabile:
in Egitto ci saranno presto sette anni di grande abbondanza a cui seguiranno
sette lunghissimi anni di carestia e non ci sarà nulla, ma proprio
nulla, da mangiare.Incredibile! Quello schiavo ne sa più di tutti
i suoi Ministri e dei suoi sapienti Sacerdoti! Il Faraone non ha un attimo
di esitazione: sarà lui, Giuseppe, ad amministrare l'Impero Egiziano,
sarà lui ad occuparsi di tutto in vista degli anni di carestia! Sarà
lui a salvare l'Egitto!
Giuseppe, che in quel tempo ha già trent'anni, viene subito ricolmato
di onori e gli viene affidata ogni cosa. Lui si mette immediatamente all'opera
e i risultati sono a dir poco stupefacenti. Nei sette anni d'abbondanza
fa provviste e riempie i granai di tutto l'Egitto che alla fine sono stracolmi
di cose da mangiare. Dopo sette anni di grande abbondanza, immancabilmente
- come aveva predetto Giuseppe interpretando esattamente il sogno del Faraone
grazie all'aiuto di Dio - giungono i sette anni di grande carestia: una
carestia che non colpisce solo l'Egitto ma anche tutto il Vicino Oriente,
compresa la Terra Promessa, Patria di Giuseppe, dove ancora vivevanosuo
padre Giacobbe e i suoi undici fratelli con i loro parenti, il bestiame
e tutti i loro averi. Di cose da mangiare non ce ne sono più e Giacobbe,
i suoi figli, e tutti coloro che stavano con loro, muoiono letteralmente
di fame. Ma ecco giungere la notizia che in Egitto ci sono ancora grandi
scorte di cibo. Perciò i dieci fratelli di Giuseppe (Beniamino, il
più piccolo, rimane a casa con il Padre), con il consenso di Giacobbe,
si mettono in cammino dalla Terra Promessa verso l'Egitto. Là di
sicuro potranno comprare ciò che gli serve per tirare avanti. Dopo
un lungo viaggio entrano nella terra d'Egitto e si presentano da colui cheè
a capo di tutto per implorare qualcosa da mangiare per sé e per le
loro famiglie rimaste nella Terra di Canaan. Ancora non sanno che quell'uomo
potente è proprio il loro fratello Giuseppe che molti anni prima
avevano venduto ai mercanti e che Giacobbe, ormai rassegnato, credeva fosse
morto divorato dagli animali feroci.
D'altra parte, Giuseppe appena li scorge li riconosce subito nonostante
i tanti anni trascorsi dall'ultima volta che li aveva visti. Con loro però
(come abbiamo detto) non c'è il fratellino più piccolo -Beniamino
- il fratello che Giuseppe amava di più perché entrambi erano
gli unici ad essere nati dalla stessa madre: Rachele.In tutti quegli anni
Giuseppe neppure una volta ha meditato la vendetta e nemmeno ha nutrito
del rancore contro i suoi fratelli. Tuttavia, decide di non farsi riconoscere
e per questo - pur parlando l'Ebraico - conversa con quei dieci fratelli
attraverso un interprete dato cheloro non conoscevano la lingua degli Egiziani.
Giuseppe però si commuove e uscito dalla sala dove riceveva gli stranieri,
scoppia a piangere ripensando a suo padre e al fratellino Beniamino che,al
tempo in cui Giuseppe fu venduto come schiavo, era poco più che un
lattante.
.Cosa succede a quel punto? Giuseppe si mostrerà molto crudele,
non per cattiveria, ma per uno scopo buono: capire se i fratelli crescendo
erano diventati migliori e, soprattutto, per rivedere Beniamino e poi il
padre Giacobbe.
Cosa escogiterà lo vedremo la prossima volta.
(giugno 2016)
Continuiamo a narrare la meravigliosa storia di Giacobbe che ora, potente
com'è, può decidere della vita e della morte dei suoi fratelli
scesi in Egitto per comprare il cibo necessario a far fronte alla grande
carestia che aveva colpito anche la Terra Promessa dove abitavano insieme
al loro padre Giacobbe e al fratellino più piccolo - Beniamino -rimasto
a casa accanto al padre.
Giuseppe vuole assolutamente provare i buoni sentimenti dei fratelli e soprattutto
desidera riabbracciare Beniamino. A questo scopo decide di far arrestare
tutti i fratelli accusandoli falsamente di spionaggio. I fratelli provano
a difendersi in ogni modo e, alla fine Giuseppe, del quale ancora non riconoscono
la vera identità, dichiara che crederàalla loro innocenza
se gli condurranno il fratellino più piccolo, Beniamino. Quindi libera
tutti i dieci fratelli, tranne uno, Simeone, che tiene in ostaggio a garanzia
che gli altri torneranno. I fratelli si disperano, Giacobbe il quale credeva
di aver già perso l'amato figlio Giuseppe,per nessuna ragione al
mondo consentirà a Beniamino di partire. Ma cos'altro possono fare?
In quel momento la loro vita è in pericolo, quel potente ministro
del Faraone avrebbe potuto ucciderli. Perciò, anche se oppressi dal
dolore, ripartono ritornando alla loro Terra, dal loro padre Giacobbe, al
quale raccontano ogni cosa. Giacobbe non vuole! Non vuole far partire Beniamino!
Non vuole che quel figlio amato alla follia corra dei rischi! E se il Ministro
del Faraone decidesse di tenerselo, di farne uno schiavo?! No, Giacobbe
non può proprio separarsi da Beniamino perché lui è
l'ultimo figlio rimastogli dell'amatissima moglie Rachele morta molti anni
prima mettendolo al mondo!
Ma ancora una volta i viveri scarseggiano e la grande carestia non finisce
mai! Il dilemma di Giacobbe era: morire tutti di fame o rischiare di perdere
il figlio più piccolo. Alla fine, a malincuore, con l'angoscia che
lo divora, è costretto a lasciarpartire tutti i suoi figli, compreso
Beniamino.Tutti i fratelli tornano in Egitto e supplicano Giuseppe ottenendo
la liberazione di Simeone. Poi Giuseppe decide di pranzare con loro, in
diparte però, perché un funzionario egiziano di alto rango
non poteva mangiare allo stesso tavolo di pastori di infimo grado. Tuttavia,
vedendo Beniamino, ancora una volta, senza farsi vedere da nessuno, si commuove
e piange.
Poi Giuseppe pensa ad un nuovo stratagemma per mettere alla prova i fratelli,
per capire se si sono davvero ravveduti dalla loro crudeltà . Al
contempo vuole che anche il padre Giacobbe lo raggiunga lì, in Egitto,
almeno per tutto il tempo della carestia.
Così fa nascondere una preziosissima coppa - la sua coppa personale
- in uno dei sacchi di grano trasportati dell'asino di Beniamino. Fatto
questo, al momento della partenza della carovana per far ritorno alla Terra
Promessa, ordina alle guardie di perquisire tutti i sacchi di grano dei
fratelli. Quest'ultimi sonocosternati perché sono certi che nessuno
di loro ha rubato alcunché. I soldati scoprono la coppa e il destino
di Beniamino è segnato! La disperazione e lo strazio s'abbattono
sui fratelli di Giuseppe. Non è possibile che possa accadere una
cosa del genere! Beniamino accusato di un crimine terribile forse per questo
sarà ucciso, forse diventerà per sempre schiavo del ministro
del Faraone! Come faranno a tornare dal padre Giacobbe senza di lui?! Giacobbe
morirà dal dolore! Non è possibile! Non potranno tornare senza
Beniamino!
Tutto sembra perduto, ma accadrà una cosa stupenda,
una cosa che cambierà la loro storia e la storia di tutto il Popolo
d'Israele.
Lo vedremo la prossima volta! A presto! (luglio 2016)
L'ultima volta abbiamo lasciato il piccolo Beniamino - il figlio prediletto
da Giacobbe - in balia del potente ministro del Faraone d'Egitto che lo
accusa di avergli rubato la sua preziosissima coppa personale. La vita di
Beniamino è appesa a un filo: o morirà o diventerà
per sempre schiavo dell'Egitto. Comunque andranno le cose non potrà
più tornare indietro e il padre Giacobbe non lo rivedrà mai
più e per questo di certo morirà per il dispiacere.
I fratelli si disperano, sono straziati dal dolore non vedono vie d'uscita.
Non possono tornare dal padre Giacobbe senza il piccolo Beniamino perché
anche loro lo amano, amanodavvero quel fratellino! E' un cambiamento radicale:
gli stessi fratelli che molti anni prima non hanno esitato a vendere Giuseppe
come schiavo perché accecati dalla gelosia e dal rancore, ora sono
cambiati, non sono più persone che odiano, ma che amano e amano moltissimo.
A quel punto Giuda, pur sapendo a cosa va incontro, cosa rischia, offre
la sua vita in cambio del fratellino. E' un evento epocale che molto spesso
non viene sottolineato nella sua importanza. Giuda si offre in sostituzione
di Beniamino e spinto dall'amore per il fratellino implora il ministro del
Faraone di punire lui al suo posto. Sarà lui - Giuda - a scontare
la pena di Beniamino; ma Beniamino deve assolutamente vivere ed essere restituito
al padre Giacobbe!
Considerate che in quel preciso momento, grazie a quel gesto di estrema
generosità nei confronti di un suo fratello, Giuda è scelto
per sempre da Dio come capo delle Dodici Tribù e dalla sua discendenza
nasceranno tutti i Veri Re d'Israele a cominciare da Davide (il primo Re
d'Israele in realtà sarà Saul, non a caso discendente della
tribù di Beniamino). E non c'è solo questo: anche Gesù
- il Figlio di Dio - nella sua natura umana, è un autentico Ebreo
della Tribù di Giuda, è un discendente di quel Giuda che molti
secoli prima,per amore del fratello Beniamino, si era offerto di sostituirsi
a lui e di patire al suo posto la condanna che il ministro del Faraone avrebbe
decretato. Gesù, discendente di Giuda, farà la stessa cosa,
anche se in un contesto diverso:per amore del genere umano offrirà
la sua vita. La Parola di Dio non cambia, non ha ripensamenti, e si esprime
nella storia concreta degli uomini con lo stesso unico progetto: Dio agisce
nelle pagine della vita degli uomini - anche in quelle più dolorose
- per farci sapere che lui alla fine ci salva sempre!
Giuseppe davanti all'atto di eroismo di Giuda si commuove. Ancora una volta
piange, ma questa volta è finalmente giunto il momento di svelarsi,
di far conoscere ai suoi fratelli chi è veramente spiegando che,
in realtà, non è per causa loro che lui ora si trova in Egitto,
bensì per volontà di Dio, affinché un giorno lui -
proprio Giuseppe -avrebbe così potuto salvare loro e il padre Giacobbe
dalla morte per carestia. Insomma: ogni cosa che è accaduta è
sicuramente opera di Dio chericorre alla libera volontà degli uomini
per calarsi in prima persona nella Storia Umana. Giuseppe testualmente proclama
ai fratelli: "Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a
voi la sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente."
(Genesi, cap.45)
E' a dir poco straordinario! Immaginatevi la gioia di Giacobbe quando tutti
i figli, compreso Beniamino, tornano indietro da lui e gli dicono che: "No,
Giuseppe non è morto sbranato dagli animali feroci! Giuseppe è
vivo ed è diventato l'uomo più potente del grande Egitto!"
Credo che la gioia di Giacobbe non si possa nemmeno immaginare!
Cosa accadrà alla fine lo vedremo la prossima puntata. Ciao! (agosto
2016)
Rieccoci ancora una volta a parlare dell'ultimo racconto
del Libro della Genesi. Ci eravamo lasciati che Giuseppe desidera che il
padre Giacobbe lo raggiunga in Egitto insieme a tutti i suoi figli, alle
loro famiglie, ai loro greggi, alle loro mandrie e, grazie al Faraone, gli
concede una delle più fertili terre poste sul delta del Nilo: la
terra di Goshen.
Così infatti fanno e tutta la Tribù d'Israele parte. Tuttavia
Giacobbe ha ancora un timore: quella che lascia è la Terra che Dio
gli ha promesso, come può abbandonarla?
Ma Dio gli parla -
ancora una volta si rivela all'amico Giacobbe - e lo rassicura. Gli dice:
"Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare!"
(Genesi Cap.46). A quel punto il Grande Padre Giacobbe non avrà più
dubbi e subito raggiunge il figlio Giuseppe in Egitto.
Infine, il Libro della Genesi termina con un grande atto d'amore di Giuseppe
per la sua Terra: la Terra Promessa, la Terra d'Israele. Lui, ormai vecchissimo,
in punto di morte, si fa giurare che quando il Popolo d'Israele finalmente
tornerà nella sua Terra - nella Terra che gli ha dato Dio - dovrà
riportare là anche il suo corpo. Ecco, qui di seguito, senza ulteriori
commenti, le ultime parole con cui si conclude la Genesi e con essa la vita
terrena di Giuseppe:
"Poi Giuseppe disse ai fratelli: "Io sto per morire, ma Dio verrà
certo a visitarvi e vi farà uscire da questo paese verso il paese
ch'egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe".
Giuseppe fece giurare ai figli di Israele così: "Dio verrà
certo a visitarvi e allora voi porterete via di qui le mie ossa" (Genesi
Cap.50).
La prossima volta inizieremo un'altra grande avventura, una straordinaria
navigazione: entreremo nel secondo libro della Bibbia, l'Esodo, e lo percorreremo
in lungo e in largo. Incontreremo il più grande Profeta di tutti
i tempi: Mosè. Lo vedremo sul monte Sinai quando il Signore da un
roveto ardente si rivelerà proclamando il suo Santo Nome. Assisteremo
alle dieci piaghe che colpiscono l'Egitto, all'attraversamento miracoloso
del Mar Rosso, alla consegna delle due Tavole della Legge sulle quali Dio
in persona scrive i Dieci Comandamenti. Saremo con Israele nei quarant'anni
passati nel deserto. Infine, con Mosè ci affacceremo sulla Terra
Promessa dove il Popolo d'Israele farà ritorno dopo più di
quattrocento anni! Tanti ne sono passati dal momento in cui Giacobbe e i
suoi figli, lasciata la loro Patria,scesero in Egitto accolti da Giuseppe.
Sarà davvero una grande Storia: la storia di Dio che forgia il suo
Popolo e lo guida verso la Libertà! (settembre 2016)
Proseguiamo la nostra navigazione lasciandoci alle spalle l'Arcipelago del Libro della Genesi e puntando decisi verso l'immensa Isola dell'Esodo che gli Ebrei chiamano "Shemòt" - in Italiano significa "Nomi" - perché è proprio con quella parola che inizia il secondo libro della Bibbia. "Questi sono i nomi dei figli d'Israele entrati in Egitto con Giacobbe". Sono trascorsi 430 anni dal momento in cui gli undici fratelli di Giuseppe e il loro padre Giacobbe, dalla Terra Promessa sono emigrati in Egitto. Si tratta di una permanenza del tutto transitoria - anche se molto lunga - perché Dio li ricondurrà nel Paese che aveva loro promesso in proprietà per sempre. Ora, il Popolo Ebraico, grazie ad un condottiero straordinario e soprattutto all'intervento prodigioso di Dio, potrà finalmente tornare a casa. Esplorando l'Esodo daremo un'occhiata anche ad altri tre Libri della Bibbia: quelli immediatamente successivi che tutto sommato riguardano il medesimo periodo storico delle vicende narrate nel libro dell'Esodo: dalla schiavitù in Egitto alla libertà fino ai confini della Terra Promessa, quasi all'istante prima di entrarvi. Questi tre Libri sono: Levitico, Numeri e Deuteronomio. In particolare, il libro del Deuteronomio è assai importante perché ripercorre, più o meno, le stesse vicende narrate dall'Esodo, però da un'angolazione diversa o, se preferite, con delle sfumature e delle sensibilità diverse. Come paragone potremmo senz'altro indicare i Vangeli, che sono quattro e raccontano la Vita di Gesù ciascuno con parole ed espressioni differenti. Circoscrivere in poche pagine la vastità degli argomenti contenuti nell'Esodo è impossibile, perciò propongo di concentrarci solo su alcuni episodi e su qualche aspetto soltanto. Tuttavia, delle informazioni per inquadrare la Storia dell'Esodo ci sono utili. Siamo attorno all'anno 1300 a.C., Mosè nasce durante una delle tante persecuzioni che colpiscono il Popolo d'Israele nella sua millenaria esistenza. Il Male non cessa mai di combattere il Bene anche se mai ne uscirà vincitore. Il Faraone, non per odio raziale, ma per calcolo politico, decide di contenere l'esplosione demografica degli schiavi Ebrei ordinando alle levatrici di sopprimere i neonati maschi. In realtà, esse disobbediscono lasciando in vita i bambini. Allora, il Faraone cambia strategia disponendo che siano le sue guardie ad ucciderli annegandoli nelle acque del Nilo. Su questa cosa ci sarebbe molto da dire ma non ne abbiamo il tempo. Una cosa però è importantissima per noi Cristiani ed è questa: Mosè - l'Eroe dell'Esodo, il più grande Profeta d'Israele - nasce in un contesto di persecuzione, di strage di bambini, proprio come accadrà a Gesù. Re Erode, infatti, farà uccidere tutti i bambini nati a Betlemme e negli immediati dintorni. È un'analogia interessante, vero? Tanto più che lo stesso Matteo, nel suo Vangelo, al termine della fuga in Egitto della Sacra Famiglia, cita un passo del profeta Osea che dice: "Dall'Egitto ho chiamato mio Figlio." ed è ovviamente riferito al Popolo Ebraico. Questa citazione serve a Matteo per sottolineare una equivalenza: così come Israele è stato chiamato ad uscire dall'Egitto, anche Gesù è protagonista di un Esodo dall'Egitto ad Israele. Tempo scaduto! Continueremo la volta prossima. (ottobre 2016)
Riprendiamo da dove ci eravamo lasciati. Stiamo muovendo i primi passi
sull'Isola dell'Esodo, il secondo libro della Bibbia, di cui Mosè
è l'indiscusso protagonista umano. La vicenda della nascita del grande
profeta è assai nota. Sua madre, della tribù di Levi - come
del resto lo è suo padre, sua sorella Miriam e il fratello Aronne
- nasconde il bambino appena nato fin che può. Poi, essendo troppo
pericoloso, lo affida alla misericordia di Dio e lo lascia andare lungo
le acque del Nilo in un cesto galleggiante. Fortuna volle - ma forse è
meglio parlare, non di fortuna, ma di un intervento diretto di Dio - la
figlia del Faraone - o piuttosto una delle tante figlie del Faraone - vede
il bambino, lo salva e lo adotta. Il nome Mosè significa proprio
"salvato dalle acque", almeno questo afferma la Bibbia. In realtà
non è proprio così, ma è inutile complicarci le cose
con delle sottigliezze filologiche.
Così Mosè, un bambino Ebreo, che appartiene ad un Popolo di
schiavi maltrattati, viene allevato come un autentico Principe Egiziano.
È un evento prodigioso che determinerà profondamente il susseguirsi
degli avvenimenti.
Già ormai grande, Mosè - Principe della dinastia regnante
su tutto l'Egitto - scopre di essere Ebreo e non un "Egiziano doc"
come credeva fino a quel momento. Dopo il primo comprensibile turbamento,
non è che - come farebbero molti - cerca di cancellare ogni prova
ed ogni indizio della sua origine per non perdere i privilegi, l'autorità,
il rispetto e quant'altro! No! Al contrario! Il Sangue e il DNA Ebraico
di Mosè esplodono d'amore verso il suo Popolo fino al punto di desiderane
di farne parte vivendone le tradizioni e i costumi. Tuttavia, tranne che
per sua madre, per sua sorella Miriam e per suo fratello Aronne, Mosè,
per tutti gli altri Ebrei rimane un Egiziano, un nemico, qualcuno da cui
stare molto in guardia. Mosè è l'Egitto! Non è uno
di loro! Non è un discendente dei Figli di Giacobbe!
Ma Mosè sente ugualmente di amare fortemente il suo Popolo e, al
contempo, per sua natura odia visceralmente l'ingiustizia, il sopruso, la
slealtà e la vigliaccheria. Perciò, un giorno, arriva ad uccidere
un sorvegliante egiziano - quello che in teoria è un suo connazionale
- per difendere un Ebreo, uno straniero e per di più uno schiavo,
un uomo senza valore!
Bel gesto davvero! Ma ora Mosè deve assolutamente fuggire per sottrarsi
alla giustizia del Faraone che lo avrebbe messo a morte; non tanto perché
si era reso responsabile dell'uccisione di un uomo, ma perché aveva
tradito il suo popolo e la sua Patria. Mosè aveva ucciso un Egiziano
per salvare la vita di uno schiavo straniero! Mosè ha compiuto un
crimine molto più grave di aver tolto la vita ad un uomo. Ha tradito
l'Egitto!
E dove scappa Mosè?
.Lo vedremo la prossima volta. (novembre
2016)
Abbiamo lasciato il Principe Mosè che, ucciso un sorvegliante
Egiziano, deve fuggire dalla Giustizia del Faraone per non essere giudicato
e punito per alto tradimento.
E dove scappa Mosè?
Semplicemente dove a quel tempo scappavano
i criminali e i ricercati! Scappa nel Deserto! Viene accolto da una tribù
di Beduini e sposa una delle figlie di Ietro, il loro Capo/Sacerdote. Ora,
tutto sembra procedere proprio bene. Mosè ha quasi dimenticato l'Egitto
e le comodità di una reggia. Si è felicemente adattato a fare
il pastore di pecore e capre; una specie di ritorno alle origini, all'esistenza
che conducevano i suoi avi: Abramo, Isacco e Giacobbe, anche loro pastori.
In Egitto sembra che di Mosè non ci si ricordi più o, quantomeno,
con il passare degli anni, anche il fatto che si sia comportato da traditore
uccidendo un sorvegliante Egiziano per salvare uno schiavo straniero è
stato rimosso. Tanto è vero che, quando inviato da Dio, torna nella
Terra Egiziana per ordinare al Faraone di lascare libero il Popolo Ebraico,
nessuno lo arresterà per quel vecchio omicidio di cui si era reso
responsabile anni prima.
Bene! Se vi chiedessi quali sono gli eventi più portentosi raccontati
nel libro dell'Esodo, molti risponderebbero:
1. le dieci piaghe;
2. l'attraversamento del Mar Rosso.
Questi due episodi sono certamente spettacolari, sicuramente i migliori
per una straordinaria rappresentazione che colpisca l'immaginazione di credenti
e non credenti.
Proprio per questo, se mi permettete, noi li salteremo a piedi pari eccezion
fatta per l'ultima delle piaghe che colpiscono l'Egitto. Non perché
non siano cose straordinarie! Assolutamente no! Solo che, come dicevo all'inizio
di questa nostra esplorazione nell'immensa Isola dell'Esodo, non possiamo
dire tutto e ci dobbiamo concentrare solo su taluni eventi. Innanzitutto
parleremo dell'incontro di Mosè con Dio sul Monte Sinai; poi, la
notte della Pasqua Ebraica, quando l'Angelo Sterminatore passerà
per le case degli Egiziani uccidendo tutti i primogeniti, sia degli uomini
che degli animali, ma risparmierà i Figli d'Israele. Successivamente,
e non potrebbe che essere così, narreremo dei Dieci Comandamenti
che Dio consegna a Mosè sul Monte Oreb, detto anche Sinai
scegliete
voi come chiamarlo perché, in realtà, sono dei sinonimi (Oreb,
in Ebraico, significa Monte del Deserto).
Infine, a conclusione di questa nostra esplorazione dell'isola dell'Esodo,
tratteremo una cosa di per sé assai affascinante e misteriosa: la
"Morte di Mosè" il cui corpo nessuno ha mai saputo dove
è sepolto.
Ora la mappa per esplorare l'Esodo è tracciata!
Dalla prossima puntata inizieremo a seguirla con grande impegno
Vi
aspetto! (dicembre 2016)
Riprendiamo l'esplorazione del Libro dell'Esodo. Nella precedente puntata
avevamo detto che avremmo affrontato solo alcuni episodi.
In ordine strettamente cronologico, iniziamo dalla chiamata di Mosè,
dall'episodio che è conosciuto come quello del "Roveto Ardente".
Una vibrante raccomandazione: andate a leggere ciò che è scritto
nel Libro dell'Esodo. L'episodio è raccontato con un brano assai
breve ma densissimo di significati nei Capitoli 3° e 4°. Come è
nostro solito fare, parlando di questo straordinario incontro tra Dio e
l'Uomo - che gli esperti direbbero una Teofania (una apparizione di Dio)
- cercheremo di mettere in luce degli aspetti che normalmente non vengono
considerati oppure sono dati per scontati. Insomma, continueremo a navigare
il "Mare della Parola di Dio!" con un po' di creatività,
così che - almeno in qualche caso - riusciremo a sorprenderci e a
conoscere più cose e non dai soliti punti di vista. Molto concretamente,
il motivo principale per il quale Dio si rivela a Mosè sul Monte
Sinai è quello di affidargli la missione impossibile - umanamente
del tutto irrealizzabile - di liberare il Popolo Ebraico dalla schiavitù,
così da presentarsi da uomini liberi al cospetto del Dio dei loro
Padri per rendergli culto.
Tutto qua!
Il Tema della Libertà - dell'Uomo e di un Popolo - è uno dei
principi cardine presenti nella Bibbia e, in generale, in tutta la Rivelazione.
Per credere in Dio, gli Uomini devono essere liberi. Innanzitutto, liberi
dalla tirannia da parte di una nazione straniera; ma anche liberi da condizionamenti
imposti da Società e Religioni opprimenti.
Se non si è liberi non si può credere liberamente!
Ovvio!
Mosè, pur avendo frequentato per qualche tempo il Popolo Ebraico
in Egitto, non sa esattamente quale divinità straordinaria ha davanti
a sé
Di che Dio si tratta?
La risposta di Dio è precisa. Anzi, di più! È inequivocabile:
"Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe!" Ed affinché
sia ancor più chiaro, in tutto il discorso che fa, lo ripete più
volte!
Ma a Mosè tutto questo non basta; addirittura ardisce
di chiedere a Dio qual è il suo nome, come si chiama. In realtà
non è proprio così perché, nelle lingue occidentali,
come: l'Italiano, l'Inglese o il Francese, quando ci si rivolge confidenzialmente
a qualcuno per sapere il suo nome, normalmente si chiede: "Come ti
chiami?" oppure, "Che nome hai?"
Vero?
Invece, in Ebraico - la Lingua del Popolo Ebraico, la Lingua con cui Dio
parla a Mosè - per chiedere il nome a qualcuno si dice semplicemente
"Miatà?" che significa: "Chi sei tu?"
Non
"Come ti chiami?" e neppure "Che nome hai?". Perciò,
in Ebraico non si chiede specificatamente il nome ma solo: "Chi sei
tu?"Questa cosa, anche se sembra marginale, cambia radicalmente le
cose o, meglio, le prospettive ed il senso.
Perché?
Se
vi va, lo scopriremo la prossima volta! (gennaio 2017)
La volta scorsa abbiamo introdotto la straordinaria vicenda di Dio che
parla a "Tu per Tu" con Mosè sul Monte Sinai da un roveto
che arde ma non si consuma. Mosè è comprensibilmente sbalordito
e chiedea Dio "chi è". Per prima cosa - e questo concetto
lo ripeterà più volte nel breve dialogo che fa con Mosè
-Lui gli rispondere di essere il Dio dei suoi Padri: Abramo, Isacco e Giacobbe.
Tuttavia, a Mosè questo non basta.
Certo, lui è Ebreo! Certo, lui è anche un Principe dell'Egitto
e la corte del Faraone la conosce bene, sa come muoversi in quell'ambiente.
Ma è anche solo e per di più è ricercato come
criminale perché - uccidendo un guardiano egiziano per salvare uno
schiavo Ebreo - si è reso responsabile di alto tradimento. A Mosè
non basta sapere che chi gli sta davanti e gli parla è il Dio di
Abramo, Isacco e Giacobbe! Vuole sapere di più! Vuole conoscere chi
è veramente Dio! Dice: "Ecco io vado ai figli d'Israele, e dico
loro: Il Dio de' vostri padri mi mandò a voi; se mi dicono: Qual
è il suo nome? Che cosa ho da dir loro? E Dio disse a Mosè:
EhjèascèrEhjè (Io Sarò quel che Io Sarò).
Indi disse: Così dirai ai figli d'Israel: Ehjè (Io Sarò)
mi mandò a voi." (Traduzione della Bibbia Ebraica). Ancora Dio
non si spazientisce con Mosè per la sua impertinenza. Lo farà
però poco dopo quando Mosè - schiacciato da una missione così
enorme per le sue forze, cercherà di sottrarsi per l'ultima voltaall'ordine
datogli da Dio. Mosè, ancora non l'abbiamo detto, era - come lui
stesso ammette: "Tardo di parola" cioè "Balbuziente!"
Incredibile, vero?! Dio, per parlare al Faraone - al Padrone assoluto
di tutto l'Egitto - e convincerlo a liberare di punto in bianco un popolo
di schiavi che gli era indispensabile come forza lavoro per costruire grandi
città, sceglie uno che inciampa nelle parole e perciò nemmeno
potrebbe fare dei discorsi - non dico persuasivi - ma almeno comprensibili!
Ma si sa che Dio è Dio ed è il Signore anche dell'Impossibile!
Quindi, dicevamo, Mosè insiste perché vuole sapere con più
precisione chi è quel Dio che gli sta davanti e gli parla.
E
Dio glielo dice.
E da qui nasce il primo problema d'interpretazione
e non è
neppure un problema da poco! Lo abbiamo detto, Dio a Mosè parla in
Ebraico. E, in tutte le traduzioni della Bibbia fatte da Esperti Ebrei,
da sempre, queste parole con le quali Dio si autodefinisce - precisa la
sua essenza che può essere comprensibile all'Uomo -sono tradotte
con: "Io sarò quel che sarò!" mentre noi Cristiani
preferiamo tradurle con: "Io sono colui che sono!"
.Come
dicevamo, è un bel problema, perché - a parte le semplici
sfumature linguistiche - la realtà del concetto cambia radicalmente
La
volta prossima riusciremo a concludere il discorso sul Nome di Dio ed annunceremo
un altro straordinario evento: la Morte dei Primogeniti di coloro che non
celebrano la Pasqua, ovvero gli Egiziani, compresi i loro animali. E' quella
della Pasqua, la notte in cui il Popolo Ebraico, sotto la guida di Dio e
di Mosè, sarà libero! (febbraio 2017)
Eravamo rimasti a ciò che Dio dice di sé o, se volete,
attenendoci alla tradizione Ebraica e Cristiana, al "Nome". Un
Nome che, per centinaia di anni è stato pronunciatounicamente
dal Sommo Sacerdote in carica e soltanto una volta all'anno -nel Santo dei
Santi del Tempio di Gerusalemme - in occasione della Festa d'Espiazione
(una confessione generale dei peccati) detta Yom Kippur che, tuttora viene
solennemente celebrata ogni anno dagli Ebrei ma con modalità diverse
da quei tempi perché il Santo Tempio di Gerusalemme è stato
distrutto dai Romani nel 70 d.C. e, sino a tutt'oggi, non è stato
ancora ricostruito.Questa tradizione o, meglio, questo Rito durante il quale
il Sommo Sacerdote pronunciava il Nome di Dio rivelato sul Sinai, è
scomparso insiemeall'esatta pronuncia del Santo Nome di Dio, con la distruzione
del Tempio.
Ma perché Dio risponde in quel modo alla domanda
di Mosè?Bene! Se il Signore voleva presentarsi come un Dio convincente
al quale affidarsi, doveva trovare le parole giuste per dire chi era, per
presentarsi. Ricordo una cosa che ho già detto e che è molto
importante: in Ebraico, per chiedere il nome si dice: "Miatà?",
che significa: "Chi sei?" e non: "Che nome hai?", oppure:
"Come ti chiami?" come invece accade nella maggior parte delle
nostre Lingue Occidentali.Dio doveva necessariamente presentarsi nella sua
essenza, come un Grande Liberatore, come colui che è provvidenzialmente
accanto ad un Popolo nel "presente" e nel "futuro" così
come lo "era stato" per Abramo, Isacco e Giacobbe. L'autodefinirsi
da parte di Dio sul Monte Sinai, non indica una Entità Divina astratta
ed essenzialmente trascendente, ma un Dio molto concreto.È un Dio
che c'è, che mai s'è allontanato, s'allontana o s'allontanerà
da Israele. E questa è una realtà molto diversa dall'interpretare
il "Io sono quello che sono!" con i principi di una certa parte
della Filosofia Grecache nulla ha a che fare con il Pensiero Ebraico Antico
e che vede nelle Parole pronunciate da Dio un autoproclamarsi Eterno e Immutabile.
Dio non aveva la necessità di autodefinirsi come Eterno ed Immutabile,
ma di convincere un Popolo vessato e schiavo che Lui - il Dio dei loro Padri
-sicuramente lo strapperà dalle mani del Faraone rendendolo Libero
per davvero, in modo concreto. Rivelandosi per quello che è, Dio
deve essere assolutamente convincente perché, se il Popolo Ebraico
non si fiderà di Lui, nemmeno lo seguirà. E questo accade
perché Dio può solo essere persuasivo, ma mai e poi mai toglie
all'Uomo la Libertà di decidere.Ne consegue che anche Dio, come tutti
noi, rischia degli insuccessi quando l'Uomo non si fida di Lui e fa delle
scelte diverse da quelle che Dio desidera. Bene!
Certamente, il discorso
sulla rivelazione del Nome di Dio non si esaurisce qui.
Ma, visto
lo spazio a disposizione, dobbiamo essere assolutamente sintetici.
Dalla
volta prossima riprenderemo con il racconto della notte della Prima Pasqua
(Ebraica, non quella di Gesù che avverrà molti secoli dopo).
Però, questa volta, vi lascio con qualcosa da meditare bene. E' una
frase che fa parte del racconto dell'ultima piaga mandata da Dio contro
gli Egizi: lo sterminio di tutti i primogeniti maschi a cui seguirà
subito la Libertà del Popolo Ebraico. La frase è questa: "Io
vedrò il sangue e passerò oltre." (Esodo capitolo 12,
versetto 13). E sapete perché proprio questa frase è importante?
Bè! Provate a fare un collegamento con la Pasqua Cristiana
e poi, di sicuro, mi saprete dire se e come avete compreso meglio il significato
autentico della Pasqua di Cristo! (marzo 2017)
"Io vedrò il sangue e passerò oltre." (Es. 12,13).
E' la frase con la quale Dio preannuncia l'Angelo Sterminatore per mano
del quale punirà gli Egiziani e il loro concetto di Divinità
(
punirò i loro dei) sopprimendo i primogeniti maschi, uomini
o animali che siano. Vedendo che c'è del sangue sugli stipiti e gli
architravi delle porte delle case d'Israele - segnate con il sangue dell'agnello
- l'Angelo con la spada sguainata passerà oltre quella casa e non
vi entrerà per portare la condanna e la Morte. È un evento
realmente accaduto che dice molto, non solo della Pasqua - che ininterrottamente
da più di tre millenni è celebrata ogni anno dagli Ebrei di
tutto il Mondo - ma dice molto anche dalla nostra Pasqua Cristiana che ne
è una diretta discendente e ne presuppone numerose simbologie che
sono tuttora evidenti.
Bene! La Pasqua (una parola di origine Ebraica che significa: Passaggio
o, più precisamente, Passare Oltre) è l'evento più
importante, sia per la Fede Cristiana che per quella Ebraica anche se viene
celebrata con riti differenti e in date diverse. Quella di cui si parla
nel Libro dell'Esodo è naturalmente la Pasqua Ebraica. Cristo, a
quei tempi (siamo circa nel 1.250 a.C.) non era ancora nato (nel senso di
incarnarsi - Vero Uomo e Vero Dio - in un bambino) e perciò la sua
Risurrezione era ancora molto lontano dal realizzarsi. La Pasqua, inizialmente
è esclusivamente la festa di Israele liberato da Dio dalle mani del
Faraone;perciò dobbiamo tornare alle pagine dall'Esodo che ci spiegano
cosa significa per davvero la parola Pasqua. E' importante, perché
noi Cristiani che prendiamo come riferimento la Pasqua di Gesù,crediamo
che la Pasqua significhi: il passaggio dalla morte alla vita, in altre parole:
la Risurrezione. Ciò è corretto per la nostra Fede Cristiana,
ma in parte non lo è per la Pasqua Ebraica.
La Parola Italiana Pasqua è una traduzione dal Latino Pascha che
a sua volta deriva da una vocabolo Greco che indica, non "Passare Oltre",
ma "Patire/Soffrire" e perciò viene riferito alla Passione
di Gesù. In Ebraico non è così, perché la parola
Pesach significa "Passare oltre, oltrepassare" e non è
riferita al "Passaggio dalla Morte alla Vita" ma piuttosto allo
"Scampare alla Morte". La Pesach - il passare oltre - è
indicato nel versetto 13° del 12° Capitolo del Libro dell'Esodo:
"Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro:
io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per
voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d'Egitto."
Comunque sia, l'esito della Pasqua Cristiana e quello della Pesach Ebraica
è il medesimo: la Salvezza e la Liberazione, anche se è interpretata
dalle due Fedi con caratteristiche proprie. Attraverso la sua Passione,
Morte e Resurrezione in Anima e Corpo, Gesù libera definitivamente
l'Uomo dalla schiavitù del peccato e della morte fisica e spirituale.
Con il passaggio dell'Angelo Sterminatore che risparmia i primogeniti Ebrei
ed uccide chi non celebra la Pasqua, il Signore fa giustizia degli oppressori
del suo Popolo spianando ad Israele la strada verso la Libertà: li
rende per sempre autenticamente liberi. Bene, la prossima volta concluderemo
il nostro ragionare sulla Pasqua spiegando una cosa che molti forse si domandano:
perché Ebrei, Cattolici e Ortodossi celebrano la Pasqua in date diverse
e solo rarissimamente lo stesso giorno?
C'è da fare dei calcoli
un po' complicati e noiosi, ma vedrete che ce la faremo! (aprile 2017)
Come promesso, oggi concludiamo il discorso sulla Pasqua Ebraica, raccontata nel Libro dell'Esodo ma che ha chiari riferimenti anche nei Libri del Levitico, dei Numeri e del Deuteronomio che, insieme alla Genesi sono il fondamento dell'Antico Testamento e che gli Ebrei onorano con il nome di Torah (Torah viene comunemente tradotta dai non Ebrei, con la parola "Legge". Tuttavia, questa parola non è molto precisa, e sarebbe meglio tradurla con "Insegnamento".Noi Cristiani, con il passare dei secoli, abbiamo imparato ad utilizzare, per comprendere le Sacre Scritture, dei principi filosofici e logici della Classicità Greca allontanandoci sempre di più dall'originario "Sentire Ebraico". Questo porta a fraintendere delle espressioni e dei concetti cambiandone addirittura il significato etimologico. Lo abbiamo visto la puntata precedente considerando la parola Pasqua e lo vediamo ora con la parola Torah. Ma, torniamo al calcolo della celebrazione della Festa di Pasqua che è differente per Ebrei, Cattolici ed Ortodossi. Facciamo un esempio per capirci bene. Nel 2016 la Pasqua Cattolica è stata celebrata Domenica 27 marzo, quella Ortodossa il 1° Maggio e quella Ebraica è iniziata la sera del 22 aprile che corrisponde all'inizio del giorno del 14 del mese di Nissan (liturgicamente, ricordo che sia per Cattolici, Ortodossi ed Ebrei, il giorno inizia al Vespro - ossia alla sera - del giorno civile precedente).Dunque? Quand'è veramente Pasqua? Solo per dare un'idea di come si calcola la data della Pasqua Cristiana, segnaliamo che il Primo Concilio di Nicea, nel lontano 325 d.C., decretò per tutte le Chiese che la Pasqua fosse celebratala Domenica seguente il primo plenilunio dopo l'Equinozio di Primavera. Ne deriva che la data della Pasqua (ovviamente sempre prevedendola di Domenica) risulta compresa fra il 22 marzo e il 25 aprile. Gli Ortodossi fanno tuttora la stessa cosa. Solo che loro, per il Calendario Liturgico utilizzano quello Giuliano precedente a quello Gregoriano - che è del 1582 - che invece usano le Chiese Occidentali. Di fatto, grosso modo - salvo ulteriori complicazioni di computo dovuto al trascorrere degli anni - la differenza è di tredici giorni. Almeno, questo è vero per le Feste a data fissa. Un esempio? Il Natale Ortodosso è celebrato il 7 gennaio, mentre noi lo festeggiamo il 25 dicembre. Per la Pasqua più o meno è così ma, essendo una festa a data mobile e non fissa come il Natale, ci sono delle eccezioni che portano al fatto che, in alcuni casi, ancorché rari, le date delle Pasque coincidono e, in altri, sono distanti l'una dall'altra in un numero differente dai canonici tredici giorni. .Ma stiamo divagando e nemmeno possiamo diventare troppo complicati. E poi stiamo ancora navigando nel Libro dell'Esodo e quello che ci importa in questo momento è soprattutto la Pasqua Ebraica. L'abbiamo detto più volte: la data dell'inizio della Pasqua Ebraica è il 14 del mese di Nissan e il giorno, comincia il Vespro del giorno civile precedente. Tanto per intricare ulteriormente le cose, il calendario Ebraico non è solare ma lunare e il calcolo dei mesi e dei giorni è diverso dal nostro. Comunque sia, gli Ebrei - per determinare quando cade il giorno 14 di Nissan - considerano il plenilunio seguente all'equinozio di primavera (ovvero il 21 marzo). Tuttavia, l'anno Ebraico è, in media, più lungo di alcuni minuti rispetto a quello Gregoriano che usiamo noi, perciò nei secoli s'accumulano ritardi di alcuni giorni a cui si pone periodicamente rimedio con dei correttivi. Ciò significa altri problemi di calcolo! Alla volta prossima, con i Dieci Comandamenti . Almeno quelli li conosciamo bene e non c'è da fare tanti calcoli matematici Basta saper contare fino a 10! (maggio 2017)
Nelle due precedenti puntate, abbiamo raffrontato le versioni dei Dieci
Comandamenti (la prima dell'Esodo e la seconda del Deuteronomio) e poi abbiamo
visto in che modo i Dieci Comandamenti sono espressi ed enumerati nella
Tradizione Ebraica e in quella Cattolica.
Spero che abbiate colto
le analogie e le differenze. Alcune parole sono proprio diverse. La prima
cosa che salta subito all'occhio è che l'elenco Ebraico divide in
due distinti Comandamenti quello che noi consideriamo il Primo Comandamento,
ossia: 1) la proclamazione dell'Unicità di Dio, 2) la proibizione
di costruire idoli e figure che rappresentino il Vero Unico Dio e, tantomeno,
di ciò che gli Uomini considerano divinità del Cielo, della
Terra o delle Acque.
E poi, consideriamo il Sesto Comandamento (il
Settimo Comandamento per la versione Ebraica) che nei testi delle Sacre
Scritture (sia esso l'Esodo o il Deuteronomio) prescrive di "Non commettere
adulterio" e che da noi, soprattutto fino a qualche anno fa, veniva
tradotto arbitrariamente con: "Non commettere atti impuri", ricomprendendo
così in questo Comandamento tutto ciò che riguarda la "sfera
sessuale".
Fermiamoci a questa semplice considerazione perché,
se ne parlassimo più specificatamente, entreremmo in un ginepraio
di pro e contro dal quale difficilmente riusciremmo ad uscirne interi
E noi - dopo aver esplorato la grande Isola dell'Esodo - dobbiamo riprendere
immediatamente la navigazione correndo verso la Terra Promessa dove finalmente
entrerà il Popolo Ebraico al Comando di Giosuè che, dopo la
morte di Mosè, assume il comando delle Dodici Tribù e guaderà
il Giordano prendendo possesso della Terra Promessa. Poi esploreremo, anche
se in tutta velocità, l'Isola dei Giudici ed approderemo ai Libri
di Samuele, dei Re, delle Cronache ed incontreremo i tre più Grandi
Re d'Israele: Saul, Davide e suo figlio Salomone.
Questa volta siamo
stati veramente brevi! La prossima volta scopriremo uno degli episodi più
affascinanti ed oscuri dell'Antico Testamento: la Morte di Mosè a
cui Dio impedirà di entrare nella Terra Promessa a causa di una disobbedienza
apparentemente trascurabile e sicuramente marginale se si tiene in giusto
conto l'instancabile impegno di Mosè.
Un'ultima cosa che sicuramente avete notato anche voi: la numerazione
del Decalogo della versione Ebraica e di quella Cattolica, ridiventa identica
al 10° Comandamento perché per la rubricazione Cattolica, il
desiderare la donna d'altri è scisso da quello del desiderio del
possesso degli degli animali e di tutte le cose materiali appartenenti al
prossimo. (agosto 2017)
Con la morte di Mosè, narrata nel Deuteronomio, si conclude l'ultimo
Libro del Pentateuco (Torah). Dopo oltre quarant'anni di vicissitudini e
di peregrinazioni nel Deserto del Sinai, le Dodici Tribù d'Israele,
grazie ai prodigiosi interventi di Dio e sotto l'illuminata guida di Mosè
e di suo fratello Aronne, si forgiano in un Popolo coeso e ben motivato
che è pronto a sfidare i secoli e i millenni nonostante le persecuzioni,
l'odio e il pregiudizio di molti. E' questo un evento di per sé prodigioso
dato che, di fatto, è l'unico popolo millenario che non è
stato inghiottito dalla Storia. Ma torniamo a Mosè e seguiamolo negli
ultimi istanti della sua vita terrena. Per farlo, riportiamo il breve passo
del 34° capitolo del Deuteronomio:
"Poi Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima
del Pisga, che è di fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò
tutto il paese:
"Questo è il paese per il quale io ho
giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza.".
Te l'ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!". Mosè,
servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo
l'ordine del Signore. Fu sepolto nella valle, nel paese di Moab, di fronte
a Bet-Peor; nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba. Mosè
aveva centoventi anni quando morì; gli occhi non gli si erano spenti
e il vigore non gli era venuto meno.
Non è più sorto
in Israele un profeta come Mosè con il quale il Signore parlava faccia
a faccia."
Mosè e, insieme ad Elia, il più grande Profeta d'Israele,
il più importante. E questo è vero anche per noi Cristiani
o, perlomeno, per Gesù, perché se lo ricordate, quando il
Signore si trasfigurò sul Monte Tabor - alla presenza di Pietro,
Giacomo e Giovanni - apparve in compagnia proprio di Mosè e di Elia
a testimonianza del fatto che Lui è davvero Dio (nella Persona del
Figlio).
Per una sola trasgressione ad un comandamento dato da Dio, Mosè e
Aronne, nonostante tutto quello che avevano fatto insieme al Signore per
liberare Israele dalla mano del Faraone e guidarlo per quarant'anni nel
Deserto del Sinai; nonostante che Mosè fosse Amico di Dio e gli parlasse
faccia a faccia, ambedue sono spietatamente condannati a non entrare nella
Terra Promessa. Aronne morirà qualche tempo prima di Mosè,
addirittura senza neppure veder da lontano la Terra Promessa. Con Mosè,
Dio è - per così dire - più clemente: non ci entrerà,
è vero, ma potrà vederla da lontano, dalla cima di un monte,
il monte Nebo che, ai giorni nostri, si trova in territorio della Giordania,
e dal quale si domina la Valle del Fiume Giordano, la città di Gerico,
il Mar Morto e il Deserto di Giuda.
Vedremo il perché di questa
sproporzionata punizione
. La prossima volta! (settembre 2017)
Riprendiamo il discorso sulla Morte di Mosè e questa volta lo
completiamo.
Ci eravamo lasciati con linterpretazione psicoanalitica
esposta da Sigmund Freud nel suo libro: Luomo Mosè e
la religione monoteista.
In realtà, come siano andate
veramente le cose soprattutto il perché del divieto di Dio
imposto a Mosè e al fratello Aronne di entrare nella Terra Promessa
verso la quale, con tanta fatica ed abnegazione avevano condotto il Popolo
dIsraele forse ancora nessuno lo sa con precisione e neppure
possiamo azzardare ipotesi diverse da quelle formulate dagli esegeti e dai
teologi Ebrei e Cristiani. Tuttavia, cè da dire che la Letteratura
Rabbinica, stante limpossibilità di chiarire inequivocabilmente
la vicenda, ha prodotto molti racconti e aneddoti che vorrebbero illuminare
la vicenda con differenti luci, cercando delle risposte alla sbalorditiva
e umanamente incomprensibile condanna di Dio. Ne voglio riportare uno molto
significativo. Si tratta della ricostruzione che, lo
sottolineo, non ha riscontro nella Bibbia dellultimo dialogo
fra Dio e Mosè proprio poco prima che questultimo morisse o,
come dice la tradizione, che con un bacio sulla bocca, Dio in persona, raccogliesse
lAnima di Mosè per portarla in Cielo. E importante perché
questo dialogo è di per sé una spiegazione e perché
appartiene alla Tradizione dellEbraismo Italiano e, più precisamente,
di quello della Comunità di Roma. Si tratta solo di alcuni brani,
non dellopera completa:
Mosè supplica Dio di risparmiargli la vita e Dio gli risponde:
Mosè: Quando ancora ero nel grembo di mia madre Tu segnasti
la mia perfezione e mi scegliesti per parlare in Tuo nome. Perché
dunque dovrei morire?
Dio:Perché non si dica: luomo di Dio salì a Dio
e divenne simile a Dio.
Mosè: Quando Israele lavorava con argilla e malta, fui messo
in un cesto di vimini. E adempii la Tua parola. Perché dunque dovrei
morire?
Dio:Perché non si dica: parlò a quattrocchi con
Dio, poi la pelle del suo volto risplendette ed egli divenne simile a Dio.
Mosè: Tu conducesti la figlia del tiranno al Nilo, la costringesti
ad affrettare il passo, acciocché la mia vita si prolungasse. Perché
dovrei morire?
Dio: Perché non si dica: esultò quando fu inviato al
popolo amato e con gioia lo condusse fuori dallEgitto e divenne simile
a Dio.
A questo punto, Mosè si congeda dal suo popolo:
Mosè: Questo è il mio ultimo giorno; così ha
decretato Colui che è Primo e Ultimo; come mio fratello Aronne, mi
ricongiungerò agli antenati. Popolo mio, vivi in pace!
Il Popolo Ebraico: Tale è il destino; tanto gli eletti quanto
gli umili devono accettarlo; chi mai vivrà senza vedere la morte?
Nostro Pastore va in pace!
Il significato è che, dopotutto, Mosè, anche se è il
più Grande Profeta dIsraele, è pur sempre soltanto un
uomo. ! (novembre 2017)
Salpiamo con tutta calma allontanandoci dalle Isole dei cinque Libri
che formano il Pentateuco e facciamo vela verso il testo di Giosuè.
Da tempo Giosuè è il braccio destro di Mosè e, una
volta morto il Grande Profeta di Dio, egli assume il comando delle Dodici
Tribù d'Israele. Lo attende un compito difficilissimo maentusiasmante:
far attraversare al suo Popolo il fiume Giordano, la frontiera che li separa
dalla Terra Promessa.C'è un legame forte fra Giosuè e Gesù
di Nazareth, il Figlio di Dio. Ne avevamo già parlato quando navigavamo
nel Mare del Nuovo Testamento. Ricordo brevemente ciò che si disse
a tal proposito. Innanzitutto, i nomi Gesù e Giosuè sono in
realtà lo stesso nome e perciò hanno l'identico significato:
"Dio salva!". Poi, c'è un luogo che unisce strettamente
Giosuè a Gesù. Il luogo è proprio il tratto del Giordano
che Giosuè attraversò e fece attraversare alle Dodici Tribù
d'Israele per entrare nella Terra Promessa. Ebbene, nello stesso puntoGesù
sarà "battezzato" da Giovanni (
se vi va, potete andare
a rileggere quello che avevamo detto a suo tempo. Si tratta della puntata
numero 5 che potrete reperire all'indirizzo:www.parrocchiaportodomo.it -
itinerario biblico - le nostre rubriche ).Di lì a poco, Israele -
con l'aiuto provvidenziale di Dio - inizierà la conquista della Terra
che comincerà dalla prima città che incontrerà dopo
aver attraversato il Giordano: Gerico, le cui mura crolleranno al suono
degli "Shofroth", i corni d'ariete suonati come trombe dai Sacerdoti
d'Israele. Ma prima accadrà qualcosa di altrettanto straordinario:
un misterioso e sorprendente incontro. Ecco cosa ci dice a tal proposito
il 5° Capitolo del Libro di Giosuè: "Mentre Giosuè
era presso Gerico, alzò gli occhi ed ecco, vide un uomo in piedi
davanti a sé che aveva in mano una spada sguainata. Giosuè
si diresse verso di lui e gli chiese: "Tu sei per noi o per i nostri
nemici?". Rispose: "No, io sono il capo dell'esercito del Signore
".
Allora Giosuè cadde con la faccia a terra, si prostrò e gli
disse: "Che dice il mio signore al suo servo?". Rispose il capo
dell'esercito del Signore a Giosuè: "Togliti i sandali dai tuoi
piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo".Molti
hanno identificato in San Michelel'uomo in piedi davanti a Giosuè
che impugna una spada sguainata.E' lui l'Arcangelo Capo delle Schiere Celesti,
l'Angelo Guerriero difensore d'Israele edi tutti i Popoli Cristiani. Inizia
da quel momento la conquista della Terra Promessa, a cominciare da Gerico,
seguita da tante altre città e dai territori caduti sotto il controllo
delle Tribù d'Israele. Tuttavia, alla morte di Giosuè non
tutta la Terra Promessa era stata presa. Addirittura, la Città di
Gerusalemme - la futura Capitale d'Israele e Città Santa per eccellenza
- era ancora in mano alla tribù dei Gebusei. Sarà liberata
solo qualche secolo dopo da Re Davide. Con Giosuè inizia anche la
ripartizione delle terre conquistate fra le Dodici Tribù d'Israele.
Ma, nel frattempo, stavasorgendo contro Israele un temibile Popolo
del Mare che diventerà il suo nemico giurato: i Filistei. A Giosuè
seguiranno i Giudici d'Israele. Giudici- a volte anche nel senso di amministratori
della giustizia -dei formidabili Capi Militari, come Deborah e Gedeone,
odei Grandi Eroi, come Sansone che difenderanno la Terra Santa dai popoli
idolatri. (dicembre 2017)
L'epoca Giudici d'Israele ricomprende il periodo che va dalla morte di
Giosuè sino al Profeta Samuele che sarà l'ultimo dei Giudici.
L'ultimo perché - a seguito della pressante richiesta da parte dell'Assemblea
degli Anziani rappresentanti delle Dodici Tribù - Samuele otterrà
da Dio il permesso di trasformare la Confederazione delle Dodici Tribù
d'Israele in una Monarchia. Lui stesso ungerà e consacrerà
Saul come primo Re. Ma procediamo con ordine. Trattando del Libro dei Giudici,
non possiamo, per evidenti limiti di spazio, occuparci delle vicende di
tutti quegli Eroi. Scegliamo perciò un personaggio, per così
dire, emblematico perché si tratta di una Donna: l'unica Donna del
nutrito gruppo di Giudici. Il suo nome è Deborah, che in Ebraico
significa Ape. Oltre ad essere Giudice, Deborah è anche Profetessa.
La situazione era alquanto problematica perché un potente re cananeo
minacciava l'integrità della terra abitata dagli Ebrei ed era il
mandante di continue scorribande dagli effetti disastrosi. Deborah riceve
da Dio l'incarico di nominare un capo militare e di sollecitare alcune delle
Tribù d'Israele a muovere guerra al re cananeo, il cui esercito -
ci dice la Bibbia - è fornito di novecento carri di ferro (un arsenale
enorme per le forze armate presenti a quei tempi nella regione). La battaglia
avrà luogo ai piedi del Monte Tabor (lo stesso in cima al quale,
molti secoli dopo, Gesù si trasfigurerà apparendo in compagnia
di Mosè e di Elia). Seppur disponendo di una forza militare nettamente
inferiore a quella nemica, Israele sbaraglia l'esercito cananeo annientandolo.
In particolare, i terribili carri di ferro s'impantanarono nella pianura
acquitrinosa alle pendici del Tabor e così, senza più possibilità
di manovra, vennero tutti distrutti dai soldati d'Israele. Tuttavia, il
generale cananeo Sisara, comandante dell'esercito sconfitto, riesce momentaneamente
a salvarsi scappando a gambe levate dal campo di battaglia. Cerca di nascondersi
nell'accampamento di una popolazione che crede neutrale e viene accolto
da una donna di nome Giaele la quale, resasi conto della pericolosità
dell'ospite, lo uccide conficcandogli un picchetto da tenda nel cranio.
Al di là degli aspetti a volte truculenti, la vicenda di Deborah
dimostra la solidità e la determinazione del Popolo Ebraico quando
è chiamato a difendere la propria Terra anche in presenza di forze
nemiche soverchianti. Ma non si tratta solo di determinazione, di grande
intelligenza creativa nell'affrontare le più difficili situazioni.
Sì, è anche questo, ma soprattutto, si tratta del fatto che
Dio è con il Popolo Ebraico anche quando sembra averlo abbandonato.
E' tempo di lasciare l'Isola del Libro dei Giudici ed issare le vele verso
il Primo e il Secondo Libro di Samuele e verso tutti quei Libri che narrano
del Regno Unito d'Israele, i cui protagonisti sono i Re: Saul, Davide e
Salomone, nonché i Profeti: Samuele e Natanad essi seguirà
la dolorosa divisione della Terra Promessa in due regni separati: il primo,
al Nord, con capitale Samaria, che sarà distrutto nel 722 a.C. dagli
Assiri e quello del Sud, il Regno di Giuda, che sopravvivrà fino
al 587 a.C. quando Nabucodonosor distruggerà Gerusalemme e il Primo
Tempio, deportando in Babilonia gran parte della popolazione ebraica.
Tenetevi
forte, si parte!
(gennaio 2018)
Come promesso, eccoci giunti in vista dell'Arcipelago dei Libri della
Bibbia che narrano le vicende del Periodo Monarchico, quando Israele scelse
di avere un re "come gli altri popoli", fino alla caduta di Gerusalemme,alla
distruzione del Primo Tempio e alla deportazione di gran parte della popolazione
ebraica superstite lungo i fiumi di Babilonia.
E' un periodo di tempo (dal 1.030 al 587 a.C.) densissimo di avvenimenti
e di personaggi molto importanti. Cominciamo col costruirci uno schema -
una mappa - per organizzare al meglio la nostra non facileesplorazione.
Iniziamo proprio dai Libri che compongono l'Arcipelago che c'accingiamo
ad esplorare. Sono:
il Primo e il Secondo Libro di Samuele;
il Primo e il Secondo Libro dei Re;
Il Primo e il Secondo Libro delle Cronache,
a cui seguono i Libri, dedicati ciascuno ad un Profeta diverso: Isaia, Geremia,
Ezechiele e altri, che si riferiscono al medesimo periodo storico dei Regni
d'Israele e Giuda.
A questo punto, però non spaventatevi! Non
li esploreremo tutti! Faremo solo un rapido giro per occuparcidi pochi ma
significativi personaggi biblici di quel periodo: Re Saul, Re Davide, quest'ultimo
importantissimo per noi Cristiani, perché è dalla sua stirpe
che nascerà Gesù.Diremo anche di Re Salomone, e soprattutto
della costruzione del Santo Tempio di Gerusalemme. Poi parleremo di Elia,
che, subito dopo Mosè, è il più grande Profeta d'Israele
e che, con Enoch, è l'unico Uomo di cui le Sacre Scrittureesplicitamente
affermano essere stato assunto in Cielo vivo e vegeto: anima e corpo (qualcuno
potrebbe obiettare che anche Gesù, Vero Dio ma anche Vero Uomo, è
salito al Cielo.
E, ovviamente, ha ragione da vendere! Tuttavia, prima
di ascendere al Cielo, anche Gesù morì, seppur risorgendo
tre giorni dopo. Enoch ed Elia, invece, non morirono mai!) Se ne avremo
tempo, cercheremo di occuparci di un altro Profeta molto conosciuto: Isaia
e, probabilmente, anche di Giona.
Molto brevemente, parleremo anche della divisione dell'Unico Regno, in due
distinti stati monarchici: uno, al nord, con capitale Samaria e il secondo,
a sud - il Regno di Giuda - con capitale la Città Santa di Gerusalemme.
Due regni che spesso, durante la loro esistenza, saranno in lotta fra loro.Concluderemo
l'esplorazione di questo vasto arcipelago di Libri, con la fine dei due
Regni Ebraici avvenuta, rispettivamente, ad opera degli Assiri e dei Babilonesi
.
Ora la rotta è finalmente tracciata e possiamo salpare.
Ma, innanzitutto, cerchiamo di capire il perché ad un certo momento,
le Dodici Tribù d'Israele decidono di rinunciare alla loro tradizionale
forma di governo confederativo e sostanzialmente egualitario, per abbracciare
un regime monarchico con a capo un re
Una cosa, sotto certi aspetti,
quantomeno inaudita per il Popolo Ebraico il cui Unico e Vero Re è
Dio e nessun'altro
Alla prossima volta!
E sarà davvero interessante! (febbraio
2018)
Ritorniamo brevemente sul perché, ad un certo punto della sua
Storia, il Popolo dIsraele chiede di avere un Re in carne ed
ossa come tutte le altre genti pagane che lo circondavano
Dopotutto,
le Dodici Tribù dIsraele un Re ce lavevano già.
Si trattava addirittura di un Grande Re il miglior Re che si possa
desiderare che li aveva liberati dalla schiavitù, gli aveva
fatto attraversare indenne le acque del Mar Rosso, aveva dato loro una Legge
allavanguardia, con dei principi, degli ordini e dei divieti che,
oltre ad attraversare i millenni, diventarono la base etica della gran parte
delle popolazioni e delle società del Mondo. E ora, in quel preciso
momento, il loro Re-Dio stava anche ultimando di dar loro la Terra Santa:
la Terra che aveva promesso fin dai tempi di Abramo.
Ma, allora, cosera
successo in quei Capi, in quegli Anziani delle Dodici Tribù, per
spingerli a chiedere a Samuele di dar loro un re terreno in carne ed ossa?
Non gli bastava più Dio come unico loro Re?
No, non gli bastava
più perché, pur avendo sperimentato la potenza del loro Dio-Re,
che li aveva sì rigorosamente puniti, ma anche sempre salvati dalle
catastrofi umane e dalle guerre (che, senza un suo intervento diretto, li
avrebbero cancellati per sempre dalla faccia della Terra), ad un certo punto,
non si fidano più di Lui. Ci credono ancora sicuramente
ma hanno anche una grande paura che i Filistei,e tutte quelle popolazioni
contro le quali avevano aspramente combattuto, potessero avere un giorno
il sopravvento ricacciandoli nel deserto.Vogliono un re in carne ed ossa
che si veda!
Che sia il simbolo dellunità delle Dodici
Tribù dIsraele e che li guidi nelle battaglie
E non importa
se, come risponde Dio al Profeta Samuele, così facendo oltre
a disconoscere la sua regalità rinunceranno a gran parte del
dono più prezioso che Dio stesso gli aveva fatto: la Libertà!
Da quel momento infatti non saranno più sostanzialmente uguali gli
uni agli altri: con pari dignità, con gli stessi diritti a cui Dio
li aveva elevati.
Cè da dire che, in realtà, nei regni che si succederanno
in Israele specie in quello di Giuda, nel quale la discendenza Davidica,
della casa regnante, non verrà mai meno il re terreno non
verrà mai considerato un vero e proprio re e questo anche se di fatto
ne portava il titolo. Il Vero, Unico ed Autentico Re dIsraele continuava
ad essere Dio e Dio soltanto. Il re terreno era più esattamente un
Principe, una specie di Vicario del Re, che in realtà era ancora
Dio.
Dio si riprenderà completamente la sua regalità non
solo su Israele, ma su tutta la società umana con Gesù
(anchegli Dio nella Persona del Figlio) quando, la Domenica delle
Palme, entrerà trionfalmente in Gerusalemme come Re-Messia, guarda
caso e non è una semplice coincidenza compiendo gli
stessi gesti, gli stessi riti, dei tempi della Monarchia in occasione dellincoronazione
del nuovo re. Usando unimmagine molto eloquente possiamo dire che:
con lingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, Dio si rimette
in capo la corona di Re dIsraele. Dalla prossima volta inizieremo
a parlare di Saul, Davide e Salomone, ovvero dei più conosciuti Re
del Regno Unito dIsraele: il Regno delle Dodici Tribù Unite.
(marzo 2018)
Lo accennavamo la volta scorsa, la personalità di
Saul è controversa e contraddittoria. Abbandonato da Dio a causa
della sua stoltezza e per la sua incapacità di vero pentimento, Saul
sprofonda nella disperazione e nell'isolamento fino a precipitare nel più
assurdo dei peccati. Non ottenendo più risposte: né direttamente
da Dio, né tramite i Profeti, decide di fare un qualcosa di estremamente
grave. Per conoscere il futuroricorre alle streghe! Si reca dalla Strega
di EnDor la qualeevoca lo spirito del Profeta Samuele ormai morto da tempo.
L'Uomo di Dio, prima rimprovera duramente Saul per quel peccato e poi, confermandogli
ancora una volta che Dio l'ha abbandonato, gli predice che presto: lui e
i suoi figli - tra i quali il prediletto Gionata - sarebbero morti in battaglia
e li avrebbero raggiunti nello Sheol (il regno dei morti).
E così
avvenne! Saul e suo figlio Gionata troveranno la morte in Galilea, sul monte
Gelboe (ma lo potete trovare scritto in maniere diversa, ad esempio: Ghilboa),
scontrandosi brutalmente con i Filistei.In realtà, Saul non fu ucciso,
ma si suicidò trafiggendosi con la spada per non cadere vivo in mano
ai nemici Filistei.
Davide in quel momento si trovava in esilio per sfuggire per l'ennesima
volta da Saul che lo voleva uccidere ossessionato com'era all'idea che fosse
un traditore che aspiravaa strappargli il trono. Avuta la triste notizia,
Davide si disperò perché, nonostante tutto quello che gli
aveva fatto, voleva bene a Saul e soprattutto amava visceralmente Gionata.
In preda al dolore più straziante, Davide compose uno struggente
lamento funebre di rara bellezza, conosciuto come "Il Canto dell'Arco".
Ve lo ripropongo perché, anche se straordinariamente toccante, è
poco conosciuto e raramente abbiamo la possibilità di ascoltarlo
nelle letture della Messa o in altre celebrazioni liturgiche. Eccolo!
Leggetelo
piano, piano
riga per riga.
19 'I tuoi uomini più forti, o Israele,
giacciono trafitti sulle tue colline:
perché sono morti gli eroi?
20 Non portate questa notiziaagli abitanti di Gat,
non date l'annunzio nelle stradedi Ascalon:
non devono far festa le ragazze filistee,
non devono esultare le donne di quella gente senza Dio.
21Colline di Gelboe, rugiada, pioggia e acque di sorgente
non bagnino più la vostra terra:
perché là rimasero abbandonati
gli scudi degli eroi,
nessuno più ripulì con olio lo scudo di Saul22
L'arco di Gionata
spargeva il sangue dei nemici,
trafiggeva le carni di eroi.
La spada di Saul
mai cessava di colpire.
23Saul e Gionata, cari e amati,
uniti nella vita, uniti nella morte,
veloci come aquile, forti come leoni.
24Ragazze d'Israele, piangete il re Saul:
egli vi dava vestiti di porpora,
vi rivestiva d'oro e di gioielli.
25Perché sono caduti gli eroi
nel furore della battaglia?
Gionata è morto e giace sulla collina.
26Tu eri carissimo per me,
Gionata, come un fratello.
Per me il tuo amore era dolce
più che l'amore di donna.
Grande dolore hai lasciato in me.
27Perché sono morti gli eroi?
Perché sono a terra le loro armature?'.
(maggio 2018)
La volta scorsa con lo struggente "Canto dell'Arco"
ci siamo accostati alla figura di Re Davide, di certo il più grande
re "umano" d'Israele. Dalle parole di accorato doloreabbia potuto
intuire la profondità della sua sensibilità umana. La stessa
sensibilità,creatività ed ingegno che ha espressoin forma
sublime componendo un numero considerevole dei centocinquanta Salmi dell'intero
salterio.I Legami fra Davide e Gesù,il Messia, sono noti a tutti.
Gesù, Vero Uomo e Vero Dio, nella sua Natura Umana è Ebreo,
appartiene alla Tribù di Giuda, e discende dalla stirpe di Re Davide.
A tal proposito, ricordo una particolarità che non tutti conoscono.
Gesù è nato a Betlemme, la stessa città in cui nacque
Re Davide! Anche questo è un segno potente delle Parole Profetiche
di Dio riguardo al suo Messia.
E' impossibile ripercorre la storia e le vicende che hanno segnato la vita
di Re Davide in così poco spazio. Le ricorderò solo a sommi
capi. Dapprima, il giovanissimo Davide, è unto Re d'Israele a Betlemme
perché viene scelto da Dio a preferenza di tutti i suoi numerosi
fratelli. Un giorno, trovandosi occasionalmente nell'accampamento dell'esercito
d'Israele, Davide sfida il guerriero campione dei nemici Filistei, il Gigante
Golia. Fra lo stupore di tutti, che stimavano inverosimile una vittoria
del ragazzo, egli guidato dalla mano potente di Dio, senza armatura, senza
spada né lancia, ma con una semplice fionda, colpisce a morte il
Gigante Golia. Da quel momento iniziano le fortune ma anche le sfortune
di Davide. Col passare del tempo, Davide diventa il migliore Generale e
Stratega di tutto Israele e ciò, invece di rallegrare Re Saul - già
non proprio sano di mente - fa esplodere in lui una gelosia viscerale che
lo porterà a perseguitare Davide e a cercare in più occasioni
di ucciderlo. Tuttavia Davide, costretto a fuggire in esilio per sottrarsi
alle ire immotivate del suo re, continua a volergli bene e a voler bene
atutta la sua famiglia, in particolare a Gionata, figlio prediletto di Saul,
che abbiamo già incontrato nei versi del "Canto dell'Arco".
Alla morte di Saul, che si uccide in battaglia, Davide diventa ufficialmente
re di Tutto Israele e, fra le sue prime imprese, conquistaGerusalemme. In
quella città decide di fondare la Capitale dello Stato e vi fa portare
l'Arca dell'Alleanza che però rimarrà al riparo della Tenda
Santa come ai tempi di Mosè. Davide non potrà mai concretizzare
il sogno di costruire il Santo Tempio che accoglierà l'Arca dell'Alleanzaperché,
come dice il Signore, nella sua vita ha versato troppo sangue. Lo farà,
alla sua morte, il figlio Salomone, ma di questo ne parleremo più
avanti. Successivamente, Davide si macchia di un terribile peccato. Per
avere Betsabea -una donna bellissima ma sposata - con un ordine scellerato
fa in modo che il marito, un ufficiale del suo esercito, muoia in battaglia.
Il profeta Natan, subentrato a Samuele, già morto da tempo, rimprovera
aspramente il re per il crimine commesso e predice le sciagure che s'abbatteranno
sulla sua famiglia a causa di quel peccato,non da ultima, la morte del bambino
che Betsabea aveva concepito e che stava per nascere.
La prossima volta ci fermeremo proprio su questo evento perché, al
pari del Canto dell'Arco, è poco conosciuto ma illumina l'umanità
di Davide e la franchezza dei suoi rapporti con il suo Dio. Una franchezza,
una schiettezza, che ricorda molto da vicino quella di altri straordinari
personaggi del Primo Testamento: Abramo e Mosè. (giugno 2018)
Nell'ultimo tratto di navigazione nell'esteso arcipelago
di libri che raccontano il periodo della Monarchia in Israele, ci eravamo
occupatidi Re Davide. Ne abbiamo enunciato sommariamente le vicende ma,
soprattutto,ci siamo focalizzati sullesue qualità umane che fanno
di lui un campione dell'ideale rapporto fra l'Uomo e Dio. La cosa che più
colpisce di Davide è la sua schiettezza, l'assenza dicalcolata passività
nei rapporti con Dio, ma anche il coraggio el'entusiasmo della sua incondizionata
fede nel Signore. La sua amicizia è sincera amicizia, non è
viziata da una preoccupata sudditanza. Davide, come avevano fatto secoli
prima Abramo e Mosè,dice a Dio ciò che pensa realmente anche
se sa che così facendo potrebbe irritare Dio. Come Abramo intercedette
per le città di Sodoma e Gomorra,opponendosi a Dio per una sua paventata
ingiustizia nel far perire il Malvagio con l'Innocente; così come
Mosè protestòenergicamente alla minaccia di Dio di distruggere
il suo Popolo; anche Re Davide non esiterà a manifestare a Dio la
sua ribellione interiore per la durezza e la crudeltà con cui lo
punisce uccidendogli il primo figlio avuto dall'amore per Betsabea, nonostante
che di quel peccato si fosse sinceramente e amaramente pentito. Ve ne riporto
il breve racconto perché è sorprendente se si pensa che si
tratta di un passo della Bibbia e delle parole e dei gesti di uno dei più
grandi personaggipositivi delle Sacre Scritture.
Il Profeta Natan si rivolge a Re Davide comunicandogli la Parola dettatagli
da Dio:
"Tu hai colpito di spada Uria l'Hittita, hai preso in moglie la moglie
sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si
allontanerà mai dalla tua casa
. Così dice il Signore:
Ecco io sto per suscitare contro di te la sventura dalla tua stessa casa
".Allora
Davide disse a Natan: "Ho peccato contro il Signore!". Natan rispose
a Davide: "Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai.
Tuttavia, poiché in questa cosa tu hai insultato il Signore, il figlio
che ti è nato dovrà morire". ... Il Signore dunque colpì
il bambino che la moglie di Uria aveva partorito a Davide ed esso si ammalò
gravemente. Davide allora fece suppliche a Dio per il bambino e digiunò
e rientrando passava la notte coricato per terra
Ora, il settimo giorno
il bambino morì e i ministri di Davide temevano di fargli sapere
che il bambino era morto
Ma Davide comprese che il bambino era morto
e disse ai suoi ministri: "È morto il bambino?". Quelli
risposero: "È morto".Allora Davide si alzò da terra,
si lavò, si unse e cambiò le vesti; poi andò nella
casa del Signore e vi si prostrò. Rientrato in casa, chiese che gli
portassero il cibo e mangiò. I suoi ministri gli dissero: "Che
fai? Per il bambino ancora vivo hai digiunato e pianto e, ora che è
morto, ti alzi e mangi!". Egli rispose:
"Quando il bambino era ancora vivo, digiunavo e piangevo, perché
dicevo: Chi sa? Il Signore avrà forse pietà di me e il bambino
resterà vivo. Ma ora che egli è morto, perché digiunare?
Posso io farlo ritornare? Io andrò da lui, ma lui non ritornerà
da me!"(II Samuele Cap.12).
Questo passo della Bibbiaè meraviglioso!Nelle Sacre Scritture ne
sono contenuti parecchi di brani come questo.Se attentamente meditati, se
non letti in maniera superficiale, ci aiutano a scoprire ciò che
intende la Bibbia a proposito delperfetto rapporto fra Dio e l'Uomo; una
relazione che sovrasta il concetto di peccato legalisticamente inteso come
violazione e conseguente sanzione, quasi che la Legge di Dio si possa considerare
alla stregua diuna qualsiasi legge umana che viene imposta e fatta rispettare
con la minaccia e l'applicazione di una pena. Re Davide, con la sua vita,
seppur non sempre limpida e segnata da tragedie e vittorie, dal peccato
e del pentimento, ci insegna anche questo. (Luglio 2018)
La volta scorsa con lo struggente Canto dellArco
ci siamo accostati alla figura di Re Davide, di certo il più grande
re umano dIsraele. Dalle parole di accorato dolore abbia
potuto intuire la profondità della sua sensibilità umana.
La stessa sensibilità,creatività ed ingegno che ha espresso
in forma sublime componendo un numero considerevole dei centocinquanta Salmi
dellintero salterio.
I Legami fra Davide e Gesù,il Messia, sono noti a tutti. Gesù,
Vero Uomo e Vero Dio, nella sua Natura Umana è Ebreo, appartiene
alla Tribù di Giuda, e discende dalla stirpe di Re Davide. A tal
proposito, ricordo una particolarità che non tutti conoscono. Gesù
è nato a Betlemme, la stessa città in cui nacque Re Davide!
Anche questo è un segno potente delle Parole Profetiche di Dio riguardo
al suo Messia.
E impossibile ripercorre la storia e le vicende che hanno segnato
la vita di Re Davide in così poco spazio. Le ricorderò solo
a sommi capi. Dapprima, il giovanissimo Davide, è unto Re dIsraele
a Betlemme perché viene scelto da Dio a preferenza di tutti i suoi
numerosi fratelli.
Un giorno, trovandosi occasionalmente nellaccampamento dellesercito
dIsraele, Davide sfida il guerriero campione dei nemici Filistei,
il Gigante Golia. Fra lo stupore di tutti, che stimavano inverosimile una
vittoria del ragazzo, egli guidato dalla mano potente di Dio, senza armatura,
senza spada né lancia, ma con una semplice fionda, colpisce a morte
il Gigante Golia. Da quel momento iniziano le fortune ma anche le sfortune
di Davide. Col passare del tempo, Davide diventa il migliore Generale e
Stratega di tutto Israele e ciò, invece di rallegrare Re Saul
già non proprio sano di mente fa esplodere in lui una gelosia
viscerale che lo porterà a perseguitare Davide e a cercare in più
occasioni di ucciderlo. Tuttavia Davide, costretto a fuggire in esilio per
sottrarsi alle ire immotivate del suo re, continua a volergli bene e a voler
bene a tutta la sua famiglia, in particolare a Gionata, figlio prediletto
di Saul, che abbiamo già incontrato nei versi del Canto dellArco.
Alla morte di Saul, che si uccide in battaglia, Davide diventa ufficialmente
re di Tutto Israele e, fra le sue prime imprese, conquista Gerusalemme.
In quella città decide di fondare la Capitale dello Stato e vi fa
portare lArca dellAlleanza che però rimarrà al
riparo della Tenda Santa come ai tempi di Mosè. Davide non potrà
mai concretizzare il sogno di costruire il Santo Tempio che accoglierà
lArca dellAlleanza perché, come dice il Signore, nella
sua vita ha versato troppo sangue. Lo farà, alla sua morte, il figlio
Salomone, ma di questo ne parleremo più avanti. Successivamente,
Davide si macchia di un terribile peccato. Per avere Betsabea una
donna bellissima ma sposata con un ordine scellerato fa in modo che
il marito, un ufficiale del suo esercito, muoia in battaglia. Il profeta
Natan, subentrato a Samuele, già morto da tempo, rimprovera aspramente
il re per il crimine commesso e predice le sciagure che sabbatteranno
sulla sua famiglia a causa di quel peccato,non da ultima, la morte del bambino
che Betsabea aveva concepito e che stava per nascere.
La prossima volta ci fermeremo proprio su questo evento perché, al
pari del Canto dellArco, è poco conosciuto ma illumina lumanità
di Davide e la franchezza dei suoi rapporti con il suo Dio. Una franchezza,
una schiettezza, che ricorda molto da vicino quella di altri straordinari
personaggi del Primo Testamento: Abramo e Mosè. (giugno 2018)
Nell'ultimo tratto di navigazione nell'esteso arcipelago
di libri che raccontano il periodo della Monarchia in Israele, ci eravamo
occupatidi Re Davide. Ne abbiamo enunciato sommariamente le vicende ma,
soprattutto,ci siamo focalizzati sullesue qualità umane che fanno
di lui un campione dell'ideale rapporto fra l'Uomo e Dio. La cosa che più
colpisce di Davide è la sua schiettezza, l'assenza dicalcolata passività
nei rapporti con Dio, ma anche il coraggio el'entusiasmo della sua incondizionata
fede nel Signore. La sua amicizia è sincera amicizia, non è
viziata da una preoccupata sudditanza. Davide, come avevano fatto secoli
prima Abramo e Mosè,dice a Dio ciò che pensa realmente anche
se sa che così facendo potrebbe irritare Dio. Come Abramo intercedette
per le città di Sodoma e Gomorra,opponendosi a Dio per una sua paventata
ingiustizia nel far perire il Malvagio con l'Innocente; così come
Mosè protestòenergicamente alla minaccia di Dio di distruggere
il suo Popolo; anche Re Davide non esiterà a manifestare a Dio la
sua ribellione interiore per la durezza e la crudeltà con cui lo
punisce uccidendogli il primo figlio avuto dall'amore per Betsabea, nonostante
che di quel peccato si fosse sinceramente e amaramente pentito. Ve ne riporto
il breve racconto perché è sorprendente se si pensa che si
tratta di un passo della Bibbia e delle parole e dei gesti di uno dei più
grandi personaggipositivi delle Sacre Scritture.
Il Profeta Natan si rivolge a Re Davide comunicandogli la Parola dettatagli
da Dio:
"Tu hai colpito di spada Uria l'Hittita, hai preso in moglie la moglie
sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si
allontanerà mai dalla tua casa
. Così dice il Signore:
Ecco io sto per suscitare contro di te la sventura dalla tua stessa casa
".Allora
Davide disse a Natan: "Ho peccato contro il Signore!". Natan rispose
a Davide: "Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai.
Tuttavia, poiché in questa cosa tu hai insultato il Signore, il figlio
che ti è nato dovrà morire". ... Il Signore dunque colpì
il bambino che la moglie di Uria aveva partorito a Davide ed esso si ammalò
gravemente. Davide allora fece suppliche a Dio per il bambino e digiunò
e rientrando passava la notte coricato per terra
Ora, il settimo giorno
il bambino morì e i ministri di Davide temevano di fargli sapere
che il bambino era morto
Ma Davide comprese che il bambino era morto
e disse ai suoi ministri: "È morto il bambino?". Quelli
risposero: "È morto".Allora Davide si alzò da terra,
si lavò, si unse e cambiò le vesti; poi andò nella
casa del Signore e vi si prostrò. Rientrato in casa, chiese che gli
portassero il cibo e mangiò. I suoi ministri gli dissero: "Che
fai? Per il bambino ancora vivo hai digiunato e pianto e, ora che è
morto, ti alzi e mangi!". Egli rispose:
"Quando il bambino era ancora vivo, digiunavo e piangevo, perché
dicevo: Chi sa? Il Signore avrà forse pietà di me e il bambino
resterà vivo. Ma ora che egli è morto, perché digiunare?
Posso io farlo ritornare? Io andrò da lui, ma lui non ritornerà
da me!"(II Samuele Cap.12).
Questo passo della Bibbiaè meraviglioso!Nelle Sacre Scritture ne
sono contenuti parecchi di brani come questo.Se attentamente meditati, se
non letti in maniera superficiale, ci aiutano a scoprire ciò che
intende la Bibbia a proposito delperfetto rapporto fra Dio e l'Uomo; una
relazione che sovrasta il concetto di peccato legalisticamente inteso come
violazione e conseguente sanzione, quasi che la Legge di Dio si possa considerare
alla stregua diuna qualsiasi legge umana che viene imposta e fatta rispettare
con la minaccia e l'applicazione di una pena. Re Davide, con la sua vita,
seppur non sempre limpida e segnata da tragedie e vittorie, dal peccato
e del pentimento, ci insegna anche questo. (luglio 2018)
La volta scorsa dicevamo della seconda totale distruzione del Tempio, avvenuta nel 70 d.C. da parte delle Legioni Romane. Da quel giorno, il 9 di Av (tra laltro è lo stesso giorno in cui fu distrutto anche il Primo Tempio), secondo il calendario Ebraico (che corrisponde ad un giorno compreso tra lultima decina di Luglio e la prima del mese di Agosto), del luogo più sacro dellEbraismo, fisicamente non rimane che un tratto dellenorme muro di contenimento della spianata sulla quale sorgeva il maestoso edificio. È quello che viene detto: Muro Occidentale o, più comunemente, anche se impropriamente: Muro del Pianto. Dopo duemila anni, ora che la speranza di rifondare uno Stato Ebraico è finalmente realizzata, il desiderio di molti Ebrei è quello di ricostruire anche il Tempio di Gerusalemme. Desiderio più che legittimo, ma che si scontra con gli inciampi della Storia Umana perché, sulla sommità del Monte Morià (il colle su cui sorgeva il Tempio), i musulmani che sottrassero la Terra Santa ai Cristiani Bizantini, vi costruirono due edifici: la moschea di al-Aqsa e la Cupola della Roccia (quella dorata che si vede in molte vedute di Gerusalemme) Perciò, per il momento, il sogno di ricostruire il Santo Tempio resta chiuso in un cassetto che chissà quando verrà riaperto. Completiamo il discorso su Salomone e sul Sacro Tempio di Gerusalemme citando due brani della Bibbia. Nel primo, Re Davide manifesta la volontà di costruire un edificio di pietra per custodire lArca dellAlleanza, mentre il secondo descrive la consacrazione del Primo Tempio alla presenza di Re Salomone. Sono due brani che dimostrano lambivalenza di Dio allidea di dimorare in mezzo agli uomini in una casa di pietra, Lui che aveva sempre vissuto in una tenda di nomadi contraddistinta dal movimento: dellessere smontata e rimontata in luoghi diversi, e non certo caratterizzata dallimmobilità di un edificio in muratura. Sembra di sentire le parole di Gesù alla donna Samaritana: né su questo monte (dove cera il tempio più importante dei Samaritani), né in Gerusalemme (dove cera il Santo Tempio) adorerete il Padre. i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità... Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità".(Giov. Cap. 4) Anche Gesù Dio nella Persona del Figlio non sembra molto daccordo con la faccenda dei templi di pietra.
Il re(Davide) disse al profeta Natan: "Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l'arca di Dio sta sotto una tenda". quella stessa notte questa parola del Signore fu rivolta a Natan: "Và e riferisci al mio servo Davide: Dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall'Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. Finché ho camminato, ora qua, ora là, in mezzo a tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei Giudici, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi edificate una casa di cedro? (Samuele II, Cap. 7)
I sacerdoti introdussero l'arca dell'alleanza del Signore al suo posto nella cella del tempio, cioè nel Santo dei santi, sotto le ali dei cherubini.
Appena i sacerdoti furono usciti dal santuario, la
nuvola riempì il tempio e i sacerdoti non poterono rimanervi per
compiere il servizio a causa della nube, perché la gloria del Signore
riempiva il tempio. Allora Salomone disse: "Il Signore ha deciso di
abitare sulla nube. Io ti ho costruito una casa potente, un luogo per la
tua dimora perenne".
Ma è proprio vero che Dio abita sulla
terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno
questa casa che io ho costruita! (Libro dei Re I, Cap. 8) (ottobre
2018)
Alla morte di Re Salomone, il Regno Unito dIsraele
si spaccò in due regni distinti: uno al Nord e uno al Sud. Ebbero
così inizio le alterne vicende dei due stati ebraici, spesso in lotta
fra loro e quasi mai retti secondo il Cuore di Dio. Alla fine, entrambi
saranno distrutti, ma questo lo abbiamo già detto più volte
nel corso della nostra Navigazione nel Mare della Parola di Dio.
Una cosa davvero importante da sottolineare è che nel Regno del Sud,
il Regno di Giudea a differenza di quello del Nord, in cui varie
dinastie si alterneranno sul trono perdurerà sempre lo stesso
casato, quello di Re Davide, esattamente come aveva promesso Dio. E, noi
Cristiani lo sappiamo molto bene, da quella stirpe di re nascerà
Gesù, il Messia. Con Gesù le Profezie di Dio Padre si adempiono
fedelmente.
Anche se a volte, per talune di esse, occorre essere molto
pazienti ed aspettare a lungo.
Unaltra cosa fondamentale è che, nel periodo della Monarchia
divisa, dalluna e dallaltra parte, si assiste alla fioritura
di un fenomeno che, seppur sempre presente nelle vicende bibliche, proprio
in quegli anni ha un valore del tutto particolare: lazione e la parola
dei Profeti.
Ce ne sono tanti e di molto importanti. Alcuni di loro purtroppo sono poco
conosciuti perché di loro se ne parla, per lo più, solo per
citarli di volta in volta al fine di provare ladempimento di qualche
profezia o valorizzare degli aspetti della vita di Gesù.
Non potendo parlare di tutti i Profeti di quel periodo, cercheremo perlomeno
di tratteggiare le immagini di tre di loro. Il più importante è
sicuramente Elia e di lui diremo qualcosa in più. Poi non potremmo
non parlare di Isaia che la teologia Cristiana, con la vicenda del Servo
Sofferente, ha probabilmente un po frainteso
E, infine,
Giona che visse per tre giorni nel ventre della Balena. Ma tutto questo
lo vedremo dalla prossima volta. Per ora, Buona navigazione!
Ci rivediamo ad un nuovo arcipelago: quello dei Profeti!
A Davide, ormai molto anziano, succedette il figlio Salomone.
Salomone, nella Tradizione, sia Ebraica che Cristiana, è considerato
un campione di sapienza e di giustizia anche se, in realtà, negli
ultimi anni del suo regno, le cose non andarono poi così bene. Non
seppe governare Israele con la sua proverbiale saggezza politica. Tanto
è vero che, alla sua morte, il regno si spezzò in due: quello
del Nord, con capitale Samaria, popolato da ben dieci delle dodici Tribù;
e quello del Sud - di Giudea - con capitale Gerusalemme, formato dalle sole
Tribù di Giuda e Beniamino (per inciso, le Tribù a cui appartenevano,
rispettivamente, Davide e Saul e dalle quali nasceranno, circa mille anni
più tardi, Gesù e San Paolo), alla quale si deve aggiungere
quella di Levi che svolgeva i compiti sacerdotali per lo più al Santo
Tempio.
A Salomone sono tradizionalmente attribuiti alcuni Libri della Bibbia come,
ad esempio, il Libro di Qoelet (detto anche Ecclesiaste), il Libro dei Proverbi
e, soprattutto, il Libro del Cantico dei Cantici, che è uno splendido
inno all'amore che lega Dio al suo Popolo: Israele.
Tuttavia, la cosa più importante portata a termine da Re Salomone
fu l'edificazione del Santo Tempio di Gerusalemme, quello che è passato
alla Storia come il Primo Tempio e che sarà distrutto dai Babilonesi
di Nabucodonosor che conquisteranno Gerusalemme nel 587 a.C.
Con la caduta di Gerusalemme, inizierà anche la Cattività
Babilonese, durante la quale gran parte della popolazione ebraica verrà
deportata nella città di Nabucodonosor. Decine di anni dopo,grazie
ad un editto di Re Ciro - l'Imperatore Persiano che aveva annientato i Babilonesi
- parte degli Ebrei rientra in Terra d'Israele e riedifica il Tempio (il
Secondo Tempio). In realtà, sarà un edificio di modesta dimensione,
imparagonabile con lo splendore di quello di Re Salomone.
Per ultimare il discorso squisitamente storico sulle vicende del Secondo
Tempio di Gersualemme, arriviamo all'epocadi Re Erode il Grande (lo stesso
della strage degli innocenti) che diede il via alla costruzione di un colossale
edificio che fu terminato nel 64 d.C., quando lui era già morto da
un pezzo.
E' lo stesso Tempio che frequentava Gesù con i suoi
Discepoli (dove scacciò i mercanti). Ufficialmente, il Tempio costruito
da Re Erodenon fu un vero e proprio nuovo Tempio, ma piuttosto un maestoso
ampliamento del Secondo Tempio. Perciò non si tratta di un "Terzo
Tempio", ma sempre di Secondo, anche se gigantescamente e spelndidamente
ristrutturato.
Bene! Pensate che,dopo solo sei annidal suo completamento, fu nuovamente
distrutto; questa volta dai Romani che lo saccheggiarono, lo bruciarono
e lo rasero al suolo quasi del tutto
Continuiamo la prossima volta!
(ottobre 2018)
Elia, il primo grande profeta di cui parleremo, non ha
un'isola tutta sua - uno o più libria lui intitolati - come ad esempio
Geremia, Amos o Isaia. Infatti, le sue gestasono narrate in due Testi, che
già più volte abbiamo incontrato nel corso della nostra navigazione
nell'esteso arcipelago dei libri dedicati alla monarchia ebraica del periodo
biblico, e cioè: il Primo e il Secondo Libro dei Re.Più precisamente,
le vicende di Elia sono poste come una "cerniera" fra i due Libri
perché riguardano gli ultimi capitoli del primo e i primi del secondo.
Di Elia, ciò che ci colpisce è la sua forte caratterizzazione
ascetica (un modello a cui si sono ispirati anche i Carmelitani) e la sua
feroce intransigenza nello scannare i 450 sacerdoti di Baaldopo aver gareggiato
con loro nell'offrire un sacrificio a quello che sarebbe stato proclamato
l'unico vero Dio. Ve lo ricordate l'episodio? Di certo, sì perché
è molto noto!
Tuttavia, la cosa più strabiliante è che Elia, in un certo
senso, è come se ripercorresse - anche se in modo del tutto personale
- le vicende di Mosè. Ad esempio, anche lui, come Mosè, attraversa
il deserto, anche se solo per quaranta giorni e non 40 anni, e si reca sul
Monte Sinai per ricevere una rivelazione da Dio: il Signore non è
nel vento gagliardo, non è nel terremoto e nemmeno nel fuoco... E'
nel sussurro silente, nel mormorio di una leggerissima brezza appena percepita.
Anche Elia, come Mosè, attraversa all'asciutto le acque anche se,
in realtà, quelle attraversate da Elia, sono le acque del Giordano,
non quelle del Mar Rosso. L'episodio ricorda più le vicende di Giosuè
che fece passare le Dodici Tribù fermando, grazie all'Arca dell'Alleanza,
il flusso del fiume.
Comunque sia, con l'attraversamento del Giordano (però nel senso
contrario a quello di Giosuè e delle Dodici Tribù, il ché
costituisce una chiara sottolineatura l'azione Missionaria del Popolo Ebraico
che esce dai confini della sua Terra, per essere lievito della "conoscenza
di Dio" in tutti i Popoli del Mondo senza per questo pretendere la
"conversione" alla loro Religione),siamo così giunti agli
ultimi istanti della vita terrena del nostro profeta. Lui, che in quel momento
è con il discepolo Eliseo, di lì a poco sarà rapito
in Cielo da un Carro di Fuoco trainato da dei cavalli anch'essi di fuoco.
Elia, abbiamo già avuto occasione di parlarne - insieme ad Enoc:
un personaggio probabilmente mitico del Libro della Genesi - non muore,
ma viene rapito in Cielo così com'è. (Novembre 2018)
Continuiamo a camminare sulla spiaggia di
Elia. Eravamo giunti all'epilogo della sua vita terrena quando, ancora vivo
e vegeto, al cospetto del discepolo Eliseo, viene rapito in Cielo da un
Carro di fuoco.
La figura mistica ed energica di Elia è davvero unica e, nei secoli,
ha suscitato vivo interessenell'ambito religioso sia Ebraico che Cristiano.
L'Ordine Carmelitano, proprio nei luoghi in cui agì Elia, ha edificato
dei monasteri. Il più importante sorge sulla grotta in cui il profeta
visse sul Carmelo, un promontorio, che oggisovrasta la città di Haifa,
in Israele. Ve ne è poi un secondo, al culmine dello stesso monte,
dove Elia vinse la disputa del sacrificio dei giovenchi.
Tuttavia, soprattutto gli Ebrei hanno riservato una grande attenzione al
loro Elia considerandolo uno dei più potenti intercessori presso
Dio in favore del Popolo d'Israele. Di lui si dice che, non essendo morto,
ma rapito vivo in Cielo, talvolta riappare - senza farsi riconoscere - per
difenderlo e proteggerlo. Elia è anche l'ospite atteso nella cerimonia
della Circoncisione e nella Cena Pasquale quando si lascia una sedia vuota
riservata a lui, oppure si riempie una coppa di vino esi socchiude la porta
affinché lui possa entrare e celebrare la Pasqua insieme alla famiglia
riunita.
Per dire di Eliae dell'impatto della sua straordinaria figura sull'Ebraismo
e sul Cristianesimo - ricordo solo che, al momento della Trasfigurazione,
Gesù appare in compagnia, oltre che di Mosè, anche di Elia
- ci vorrebbe molto più tempo e spazio. Noi però ci fermeremo
qui riportando il brano, contenuto nel secondo capitolo del Secondo Libro
dei Re, che narra di come Elia fu rapito in Cielo su di un Carro di Fuoco!
"Elia prese il mantello, l'avvolse e percosse con esso le acque(del
fiume Giordano), che si divisero di qua e di là; i due passarono
sull'asciutto. Mentre passavano, Elia disse a Eliseo: "Domanda che
cosa io debba fare per te prima che sia rapito lontano da te". Eliseo
rispose: "Due terzi del tuo spirito diventino miei"... Mentre
camminavano conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero
fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo. Eliseo guardava
e gridava: "Padre mio, padre mio, cocchio d'Israele e suo cocchiere".
E non lo vide più. Allora afferrò le proprie vesti e le lacerò
in due pezzi. Quindi raccolse il mantello, che era caduto a Elia, e tornò
indietro, fermandosi sulla riva del Giordano." (II ReCap. 2-8,13) (dicembre
2018)
La volta scorsa ci eravamo lasciati con "in sospeso
un errore"
Per la precisione, un errore presente nella "Bibbia
dei Settanta" nella traduzione dall'originale Ebraico al Greco.
Ora, entrando nel particolare, osserviamo che nel capitolo 53 Libro di Isaia,
ai versetti 4 e 5, nella Bibbia Ebraica è scritto:
"Noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato, ma egli è
stato ferito dalle nostre trasgressioni, schiacciato dalle nostre iniquità."Preciso
che chi sta narrando sono i "Re delle Nazioni" che personificano
tutti i Popoli della Terra. In pratica, i Re delle Nazioni, vedendo il Servo
Sofferente così malridotto, attribuiscono a sé stessi la responsabilità
della sua sofferenza in quanto lo odiavano erroneamente credendolo maledetto
da Dio. Riconoscono perciò che la sofferenza patita dal Servo Sofferente
non era causata da una condanna da parte di Dio, ma dalle loro azioni crudeli
- dalle azioni scellerate delle Nazioni -commesse contro di lui.
E
questo dovrebbe essere ciò che intendeva affermare il Profeta Isaia
a quei tempi.Invece, nelle versioni della Bibbia in uso a noi Cristiani
- che sono per lo più traduzioni non dagli originali in Ebraico ed
Aramaico, ma dalla "Versione dei Settanta" o dalla "Vulgata
Latina" -attribuita a San Gerolamo - lo stesso passo di Isaia, viene
perlopiù tradotto in Italiano nel modo seguente:
"Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per
le nostre iniquità" lasciando intendere che il Servo Sofferente
del Libro di Isaia è punito ingiustamente a causa dei peccati altrui:
nello specifico dei Re delle Nazioni, ossia dall'intera Umanità.
Insomma: Dio punisce il Servo Sofferente affinché il suo dolore,
i suoi patimenti diventino la moneta per pagare il perdono dei crimini commessi
dai "Re delle Nazioni" ossia, da tutti i Popoli della Terra. Il
Servo Sofferente di Isaia paga per tutti, anche per i crimini che non ha
commesso personalmente.
In realtà, per molti studiosi delle Sacre Scritture, è ormai
evidente che è stato commesso un piccolo errore dagli antichi traduttori
- per altro anch'essi tutti Ebrei -. Ciò che hanno sbagliato a tradurre
è una semplice preposizione, una particella piccolissima, che tuttavia
cambia radicalmente il senso della frase. Questa preposizione è un
"da/dalle". Ovvero: correttamente, Isaia voleva significare che
i "Re delle Nazioni" riconoscono che a causa della propria violenza
e cattiveria, di avere loro stessi - in prima persona - colpito e perseguitato
il Servo Sofferente.
Il testo del Libro di Isaia (in realtà si è ormai certi che
si tratta di almeno due libri attaccati insieme e probabilmente neppure
composti dallo stesso autore) è molto complesso e anche di altri
passi l'interpretazione è tuttora controversa. Purtroppo non ci possiamo
dilungare troppo.
Tuttavia un'altra cosa è importante (avevamo parlato di Due Motivi
per i quali il "Servo Sofferente" può non essere la prefigurazione
della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù.
Quindi concludiamo dicendo del Secondo Motivo che, a dire il vero sembra
anche più determinante del Primo. Il tema è quello della "Intercessione",
del "Capro Espiatorio" e del "Pagamento Vicario", ossia
di colui che assume su di sé - s'accolla - i peccati di tutti
Lo vedremo la prossima volta, se sarete ancora lì ad ascoltare
Io ci sarò! (febb.2019)
E veniamo dunque a spiegare il Secondo Motivo per il quale
è difficile immaginare che le profezie di Isaia si riferivano a Gesù.
In realtà, se il Primo Motivo era di natura squisitamente testuale,
linguistica e storica e si diceva di un piccolo ma determinante errore commesso
dai traduttori della Bibbia dall'Ebraico al Greco, che purtroppo cambia
il senso alle parole del nostro profeta, il Secondo Motivo è invece
squisitamente teologico e - se mi permettete - soprattutto di coerenza logica.
Se noi immaginiamo - forse ne siamo già sicuri - che Dio è
immensamente Buono e Giusto, superlativamente Misericordioso - se questo
è vero -come è mai possibile che un Dio così, pretenda
- o anche solo accetti - che qualcuno debba soffrire per espirare la pena
(per sé o per altri), quale indispensabile e imprescindibile condizione,
affinché Lui possa perdonare il peccato, le colpe, le ingiustizie?
Com'è possibile una cosa del genere?
Com'è possibile che Dio, Bontà e Misericordia Infinita - il
più buono di tutti - si ritenga soddisfatto - ossia risarcito - dal
male che l'Uomo ha arrecato ad un altro Uomo o a Dio, solo e soltanto se
il conto viene pagato da qualcuno?
Com'è possibile che Dio - nella Persona del Figlio - ci dica di amarci
gli uni gli altri, di perdonarci reciprocamente e questo, anche senza attendere
che l'altro ci chieda scusa - e poi sia proprio Lui il primo a contraddirsi,
pretendendo un risarcimento il cui ammontare è dato dal dolore e
dalla sofferenza, ispirandosi ad un meccanismo di trasgressione/punizione,
di danno e risarcimento?
Com'è possibile pensare che sia compatibile con le Logiche dell'Amore
e della Gratuità del Perdono?
Potrebbe mai Dio pretendere -
o anche solo accettare l'idea - che un Uomo solo: Gesù (tra l'altro
suo Figlio) o una Nazione Intera (il Popolo Ebraico), che Dio chiama: "Mio
Figlio", paghi con la sofferenza, la persecuzione, il dolore e la morte
per estinguere le colpe di tutti, per giungere ad una riparazione, ad una
piena reintegrazione?
Una risposta a tutto questo c'è. Ma, vi prego, cercate voi
stessi di trovarla.
Sono domande fondamentali e, piuttosto di farsele spiegare da qualcuno,
è molto meglio dare una risposta da sé stessi cercandola nel
Vangelo. Sì, proprio nel Vangelo, ma con una lettura attenta e il
meno possibile ancorata a dei preconcetti, a delle cose che si è
sentito dire ma delle quali, talvolta, non se ne conosce il significato.
Gesù non può essere morto per risarcire Dio Padre dei peccati
commessi da tutto il Genere Umanose no, Lui non avrebbe in nessun caso perdonato
non sentendosi soddisfatto - ciò risarcito - dalle offese subite.
Non può essere così, non pare anche a voi?
Forse,
sì. Però pensateci perché è importante dare
una risposta a questa domanda. (marzo 2019)
Avevo promesso che avrei parlato anche del profeta Giona.Il
Libro di Giona è uno dei più brevi fra le storie della Bibbia.
È costituito da solo quattro capitoli che si possono leggere tutti
d'un fiato.
Le vicende di Giona sono note. Ricordiamo tutti l'episodio della "Balena"
nel cui ventre il profeta rimane per tre giorni e tre notti o, ancora, l'arbusto
di ricino che Dio fa crescere e si secca divorato da un verme.Giona, che
in quel momento si trova nella Terra d'Israele, viene una prima volta interpellato
da Dio affinché si rechi a Ninive - una città Assira, nell'odierno
Iraq - a predicare la conversione così d'allontanare il suo proposito
di distruggerla a causa dei peccati di cui era colpevole la popolazione.Si
tratta però di un compito che, agli occhi di Giona, appare fin da
subito impossibile da realizzare ed addirittura ripugnante.Impossibile perché
come avrebbe potuto lui, un piccolo profeta - un uomo solo - predicare in
una città straniera sconfinatamente grande e fortemente abitata?Ripugnante
perché quella gente rappresentava per un Ebreo, come lo era Giona,
il nemico irriducibile e spietato. Ninive era la capitale dell'Assiria:
un impero che di lì a poco invaderà Israele ponendo fine al
Regno del Nord e disperdendo apparentemente per sempre dieci delle dodici
Tribù d'Israele.Giona, tenta di sottrarsi al suo compito, all'ordine
datogli dall'Altissimo, e cerca d'allontanarsi il più possibile dalla
sua presenza imbarcandosi su di una nave diretta a Tarsis. Una città,
questa, che trovandosi sulle rive della Spagna che danno sull'Oceano Atlantico
- addirittura oltre le colonne d'Ercole - è nella direzione diametralmente
opposta a Ninive.
Insomma, era per le conoscenze geografiche del tempo,
una città fuori dal Mondo
oltre le Colonne d'Ercole.Ma Dio,
che è in ogni luogo e al quale non si può di certo sfuggire,
raggiunge Giona e scatena una tempesta così violenta da far rischiare
il naufragio all'imbarcazione su cui si trova il profeta.L'equipaggio, terrorizzato,
fa di tutto per salvare la nave ma, essendo vani tutti i tentativi, si convince
che l'uragano è opera di Dio che vuole punire qualcuno degli uomini
che si trovano a bordo. Si gettano le sorti per scoprire chi ne sia la causa.
La scelta cade su Giona che immediatamente ammette di stare fuggendo dalla
presenza di Dio temendone la vendetta per una colpa da lui commessa. Su
suo stesso invito, Giona viene buttato in mare; puntualmente la tempesta
si placa e la nave e tutto il suo equipaggio sono salvi.È a quel
punto che Dio manda un grosso pesce - nella tradizione è identificato
in una balena - che inghiotte Giona salvandolo dall'annegamento. Giona rimane
nel ventre dell'animale tre giorni e tre notti. Qui Giona eleva la sua struggente
preghiera. Una preghiera di fiducia incondizionata in Dio e nella sua capacità
di salvarlo.Dio è Misericordioso, dà ascolto all'accorata
preghiera di Giona, viene in suo aiuto e ordina al grande pesce di liberarlo
depositandolo sulla spiaggia.
Ma cosa succede dopo lo vedremo la prossima
puntata. (aprile 2019)
Dalla volta precedente, riprendiamo il racconto delle vicende
di Giona. Dio, nuovamente, rivolge a Giona lo stesso invito che gli aveva
fatto all'inizio del racconto: "Vai a Ninive, la grande città!"
Questa volta, Giona ubbidisce ma, nel profondo del suo cuore, è ancora
riluttante e soprattutto scandalizzato dal fatto che Dio voglia la salvezza
di gente malvagia. Incredibilmente, contro ogni attesa, la città
di Ninive si converte. Singolare è il fatto che, in questa generale
conversione, sono inclusi gli animali. La cosa ha un preciso significato.Dio
è il Creatore della Vita e perciò prova Compassione ed è
Misericordioso verso ogni essere vivente. È significativo che il
testo Ebraico indica il commuoversi di Dio per le sue creature - in questo
caso per gli Abitanti e per gli Animali che popolano Ninive - con un'espressione
che richiama l'amore viscerale di una madre per il figlio.
Ma Giona
non si rallegra per l'inattesa ed immediata conversione degli abitanti di
Ninive.Giona è tristee s'accampa nel deserto nelle vicinanze di Ninive
augurandosi che Dio cambi idea e distrugga la città con tutti i suoi
abitanti.Ma ciò non accade. E, nonostante i sentimenti di Giona siano
ancora rancorosi, egli è nuovamente raggiunto dalla benevolenza di
Dio.Dio fa crescere rapidamente una pianta di ricino che con le sue foglie
fa ombra a Giona dandogli sollievo dal calore asfissiante del deserto.La
benevolenza, la misericordia di Dio nei confronti del suo profeta nasconde
una prova impegnativa. Nell'arco di una notte il ricino, così com'era
nato, muore divorato da un verme e Giona si ritrova nuovamente in balia
del sole accecante del deserto. È talmente disperato dal desiderare
di morire.Ecco che il profondo egoismo di Giona viene svelato nella sua
interezza. Giona soffre atrocemente per la morte del ricino non perché
di quella pianta - di quell'essere vivente - gli importasse, ma perché
gli era venuto meno il sollievo dal calore del sole.Il Signore, ancora una
volta, non si adira con quel profeta riottoso e dal cuore di pietra chiuso
agli altri, chiuso alla Misericordia.Nuovamente si china su di lui e gli
dice: "Tu provi infelicità per la morte di un semplice arbusto
per il quale nemmeno hai fatto qualcosa per lui: né l'hai piantato,
né l'hai irrigato o potato, e io non dovrei avere una compassione
come la tua - anzi di gran lunga più grande della tua - nei confronti
di tutti gli uomini e gli animali che non sanno riconoscere la mano sinistra
dalla mano destra, ovvero distinguere ciò che è bene da ciò
che è male?"Quello di Giona è l'unico libro della Bibbia
che si chiude con una domanda. Una domanda che però è un grande
insegnamento. E l'insegnamento è questo: Ci si deve sforzare d'andare
oltre una concezione di Dio chiusa in principi di esclusività: un
Dio che è solo per noi e non un Dio che è misericordioso e
perciò ha a cuore le sorti di ogni creatura, persino dei nostri peggiori
nemici e di chi è sistematicamente incline al male.
La forza di Dio non sta nella punizione o nella ricompensa, ma nell'Amore
che soccorre e perdona. Comprendere questo è capire il Messaggio
di Cristo che ci rivela il Vero Volto del Padre. Un Dio Padre che si è
alzato dal Trono della Giustizia per sedersi per sempre sul Trono della
Misericordia. Una Misericordia che è per tutti, nessuno escluso.
(maggio 2019)
Ormai siamo alle ultime battute della nostra Navigazione
nel Mare Bellissimo della Parola di Dio. Ci rimangono da scoprire solo alcune
Isole che, sotto certi aspetti, sono assai differenti da quelle che abbiamo
esplorato sino ad ora. Non le visiteremo tutte, ma solo qualcuna fra le
più significative. Io propongo, se siete d'accordo: il Libro di Giobbe
- dalla proverbiale pazienza - quello dei Salmi e per concludere in bellezza
- una grande bellezza a dire il vero - il Libro che da molti è consideratolaQuintessenza
del Primo Testamento, Il Cantico dei Cantici.
Un ultimo sforzo e, fra non molto, potremorientrare al Porto di Partenza!
Iniziamo subito con Giobbe.Tanto per precisare di cosa stiamo parlando,
cominciamo con il dire che Giobbe non è mai esistito ed è
un personaggio frutto dell'immaginazione. Tuttavia, ciò non significa
che non siano "vere" e "reali" le tematiche affrontate
in questo particolarissimo Libro che da sempre affascina, oltre ai teologi,
i filosofi e la gente comune - i non specializzati - , anche la psicoanalisi.
Carl Gustav Jung, ad esempio, gli ha dedicato un intero libro dal titolo
"Risposta a Giobbe". Se vi capita, andate a leggerlo perché
dà, alle tematiche espresse nell'originale Libro di Giobbe, delle
interpretazioni sorprendenti e per niente banali.Maperché il Libro
di Giobbe da sempre desta tanto interesse? La risposta è chiara:
nel Libro di Giobbe è affrontata una tematicache riguarda tutti in
quanto esseri viventi ed è una problematica - o, se preferite, una
domanda - alla quale non si è ancora potuto dareuna risposta definitiva
e del tutto convincente. Ricorrendo ad una "parolona", si tratta
di "Teodicea". E' un termine di origine greca che significa: "Giustizia
di Dio" ovvero, per usare delle espressioni un po' più familiari:
"Perché Dio: Buono, Misericordioso e soprattutto Onnipotente
- che può tutto - permette che il Male dilaghi arbitrariamente nel
Creato e in molti casi s'abbatta anche sulle persone che non c'entrano nulla,
che sono del tutto innocenti e spesso indifese?
Perché?
Dov'è
la Giustizia di Dio in tutto questo? Giustizia significa dare a ciascuno
ciò che gli spetta, cioè la giusta retribuzione per le opere
compiute nel Bene e nel Male. Quindi?
O Dio è ingiusto, e perciò
non è Bontà Infinita, oppure non può farci niente e,
se non può farci niente, significa che non è onnipotente come
si crede. Sembra che salti completamente per aria il Principio della Retribuzione,
almeno quella relativa a questa vita
e dell'altra, nel Libro Giobbe
non se ne parla con molta convinzione.
Questo sorprendente Libro è
più importante per le domande che pone e iragionamenti che sollecita
piuttosto che per le risposte che dà. Tuttavia, c'è da dire
una cosa che pare importante. Negando in parte la teoria della Giustizia
di Dio intesa come Giusta Retribuzione: la punizione per i peccatori ed
il premio per i buoni, si lascia spazio ad un qualcosa di molto interessante,
ossia: che non è detto - non è certo - che Dio ricompenserà
l'Uomo per il Bene fatto in vita o che lo punirà per i suoi peccati;
ma agirà in modo estremamente Libero e Misericordioso verso tutti.
Perciò legittimo ipotizzare un passaggio di purificazione dal Male
per ogni singolo essere vivente al termine del qualeLui reintegrerà
ogni cosa, ogni essere vivente, nello stato di originaria perfezione. È
questa la teoria dell'Apocatastasi (che significa reintegrazione) che sostiene
che nessuno degli esseri viventi è destinato ad una condanna definitiva,
eterna.
Ne parleremo ancora la prossima volta. (luglio 2019)
Il mese scorso si parlava di Apocatastasi (di reintegrazione) che Dio opererà alla Fine dei Tempi, al termine del Giudizio Universale; una teoria secondo la quale tutti e tutto sarà redento e reintegrato nello stato di originaria perfezione voluta da Dio all'atto della Creazione. A sostegno di questa idea, sovente si cita un'affermazione di San Paolo contenuta nella sua Prima Lettera ai Corinzi:
"L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa (ossia Cristo). E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti." (I Cor.Cp. 15,26-28).
Dio sarà dunque "tutto in tutti".
E' una teoria che risolve l'apparente contraddizione fra, da una parte,
la Bontà Misericordiosa di Dio e, dall'altra, il valore della Giustizia
Giusta. Purtroppo non si risolve il problema dell'esistenza di una forza
negativa, apparentemente cieca, che può colpire indistintamente tutti;
talvolta causata dalla peggiore volontà umana, ma anche da eventi,
disastrinaturali che spesso poco hanno a che fare con la volontà
dell'Uomo e sono preesistenti ad esso, come ad esempio i terremoti. Perciò,
possiamo dire che con l'Apocatastasi si rimanda all'altra vita e non si
riesce a spiegare il dolore di questa.
Noi Cristiani crediamo nella possibilità di una punizione eterna
per ogni forma di peccato grave, magari immaginando una gradualità
nell'intensità della punizione eterna; una punizione che comunque
permane eterna per ogni forma di peccato grave del quale non ci si è
pentiti e che, per tal motivo, è di fatto senza possibilità
di perdono e di futura redenzione. Così - a titolo di esempio - chi
volontariamente e coscientemente omette di andare a Messa una sola Domenica,
e non si pente in vita, sconterà una pena eterna, certamente più
lieve di un feroce assassino, ma che, comunque, al pari del secondo peccatore,
sarà eterna e definitiva.
Certo, la sensibilità della
Chiesaal giorno d'oggi è, almeno in parte, diversa - ne abbiamo continue
prove e manifestazioni - e si apre largamente alla dimensione della Misericordia
di Dio. Tuttavia, "Ufficialmente", la Dottrina della Chiesa è
la stessa. Per completare almeno in parte l'argomento - un argomento che
a dire il vero non si chiude mai - consideriamo invece qual è il
punto di vista dei nostri Fratelli Ebrei, perché è davvero
interessante. Anche gli Ebrei, al pari di noi, sono fermamente convinti
della sconfinata Bontà e Misericordia di un Dio che si occupa di
ogni creatura come se fosse il suo unico figlio o la sua unica figlia. Tuttavia,
per loro, per la loro sensibilità religiosa, è del tutto incomprensibile
- è del tutto inconcepibile ed escluso - che Dio possa punire eternamente
una persona per un peccato
anche il più orrendo, anche quello
di cui mai ci si è pentiti.
Non è possibile che Dio
faccia soffrire eternamente qualcuno. Che Dio immensamente buono sarebbe
mai questo?... Ma come la pensano i nostri Amici Ebrei, lo vedremo meglio
la prossima volta. (agosto 2019)
La volta scorsa, grazie al Libro di Giobbe, abbiamo cominciato
ad interrogarci sul perché del Male dilagante nel Creato nonostante
che Dio sia immensamente Buono, immensamente Misericordioso e Onnipotente!
Se vi ricordate, avevamo parlato di Apocatastasi (di reintegrazione allo
stato originario della Creazione) e di come i nostri Fratelli Ebrei interpretano
la Bontà di Dio coniugandola alla sua Misericordia. Riprendiamo proprio
da qui. Si diceva che per un Ebreo è del tutto esclusoche Dio possa
punire per sempre - eternamente, senza speranza di redenzione - una creatura
opera delle sue mani.
Ma allora cosa accadrà a gente come Hitler
o Stalin, o qualsiasi altro personaggio che ci viene in mente che nella
sua vita terrena ha sparso: odio, morte e distruzione, immani sofferenze;
che è stato nemico di Dio e dell'Umanità? Anche loro, alla
fine, saranno perdonati come tutti gli altri dopo un periodo di purificazione?
Questa volta, la risposa è un secco: "No!" Costoro
non saranno perdonati. Ma - questo è giusto sottolinearlo - non sconteranno
una pena eterna di tormenti e sofferenza. Una crudeltà infernale
e senza speranza non sarà la loro punizione. Dio non si compiace
della sofferenza, non può tollerare che una sua creatura - un suo
figlio - possa soffrire eternamente e senza speranza, anche se lo ha largamente
meritato.
E' inconcepibile che Dio tormenti le anime così atrocemente
e, per di più, per sempre!
.Semplicemente, nel Giorno del Giudizio,
Dio annullerà l'Essere Personale (l'individualità) e l'Esistenza
di quella persona. Quella persona la cancellerà e sarà come
se non fosse mai nata né morta, né mai esistita. E tutto questo
- considerate che è importante - senza causargli una sofferenza disumana
che viene simbolicamente raffigurata con le fiamme dell'inferno.
E' anche questa un'interpretazione molto interessante che ci apre le strade
ad altri tipi di valutazione e di considerazione del problema della Giustizia
di Dio espressa nel Libro di Giobbe. Tuttavia, anche qui, come per l'Apocatastasi,
il problema viene spostato nell'aldilà
. Ritorniamo invece nell'aldiquà
con i discorsi di Giobbe e dei suoi tre amici che entrano improvvisamente
in scena. Il tema della sofferenza del Giusto e della retribuzione su questa
Terra dal Bene che si compie o dal Male che si fa, è davvero un grande
problema perché la realtà "Terrena della Vita" che
sperimentiamo quotidianamente,urta pesantemente - è in aperta contraddizione
- con l'immagine di Amore e di Provvidenza che viene attribuita a Dio.
E'
un problema che, tra l'altro, viene ripreso anche in taluni Salmi e in alcuni
brani dei Vangeli senza - al pari del Libro di Giobbe - dare una risposta
definitiva e pienamente convincente.
Ma torniamo al Libro di Giobbe: alle domande che pone e alla risposte che
tenta di dare.
Di solito, del Libro di Giobbe se ne conosce solo l'inizio; la pagina in
cui Satana propone a Dio di essere libero di mettere alla prova Giobbe colpendolo
con eventi durissimi così da scalfirne la Grande Fede. Dio dà
il suo assenso con la sola limitazione che Giobbe non dovrà morire.
Al termine del succedersi di prove devastanti, Giobbe si ritrova senza più
beni (la morte dei servi e del bestiame), senza più figli e figlie
(la perdita degli affetti familiari e della discendenza). Gli rimane la
sola moglie che però lo rimprovera aspramente per la sua insensata
fede in un Dio che non ha saputo proteggerli.
Molte volte, leggendo
questo brano non si ricorda - non si ha ben presente - che la moglie di
Giobbe ha subito le stesse prove del marito: la perdita dei figli di cui
lei era la madre e la privazione del patrimonio che garantiva il suo alto
tenore di vita. Solo nella salute è stata risparmiata
. Che
ne dite? Continuiamo la prossima volta? (settembre 2019)
Di regola, i brani del Libro di Giobbe che ascoltiamo in Chiesa o che
leggiamo da qualche parte, si concludono con una frase di Giobbe che è
considerata una delle più alte espressioni di Fede mai pronunciate
da un Uomo:Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò.
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il Nome del Signore!(Giobbe
1,21);
La parte del Libro di Giobbe che si legge normalmente è questa perché
è edificante e spinge lUomo e la Donna ad avere sempre pazienza
anche davanti alle prove e ai soprusi più devastanti. Perciò
molti di noi ritengono in buona fede che quella sia anche la conclusione
dellintero Libro di Giobbe. In realtà non è così,
cè dellaltro
La storia continua. Alla fine Giobbe
sarà reintegrato in ciò che aveva perduto, sempre ammesso
e non concesso che si possano rimpiazzare dei figli e delle figlie
delle vite umane ma su questo fatto, non si sta troppo a sottilizzare
perché il significato che viene veicolato è che Dio in sovrabbondanza
ridà al giusto ciò che temporaneamente gli toglie per metterlo
alla prova
E solo unipotesi perché, come dicevamo allinizio,
la bellezza di questo Libro è quella di sollecitare degli interrogativi,
di far ragionare in profondità, non quello di dare delle risposte
che, comunque li si considerino, appaino farraginose e opinabili. Unaltra
cosa cè da dire. Giobbe non è così passivamente
paziente come comunemente si crede perché, in realtà, inseguito,
con veemenza difende la sua innocenza, ribellandosi non certo a Dio
ma allincomprensibilità delle ragioni per le quali Lui
si è accanito con tanta violenza contro di lui. Addirittura ipotizzerà
una chiamata a giudizio per stabilire chi dei due ha ragione:
Dio o Giobbe? Ma saccorge subito che tutto questo è impossibile,
se non altro perché lunico Giudice che potrebbe giudicare Dio
è Dio stesso!
Ma nel frattempo il nostro protagonista viene
raggiunto da tre amici che cercano di consolarlo o, meglio,
di accusarlo spiegandogli dettagliatamente quella che per loro è
la causa dei suoi tormenti e delle catastrofi subite; cercando comunque
di salvare in ogni modo il principio secondo il quale Dio è
giusto e non commette ingiustizie. Perciò non ne ha commesse neppure
colpendo duramente Giobbe. Un amico afferma una cosa molto semplice
e sempre in voga, e cioè che Dio ha punito Giobbe per dei peccati
dei quali magari non si ricorda o non sa.
Oppure, con una concezione molto creduta a quei tempi, che lui sta pagando
qualche colpa commessa dai suoi avi. In sostanza, nessuno può ritenersi
giusto davanti a Dio
almeno non giusto al pari di Lui o, addirittura
più di Lui, e perciò in fondo tutti sono colpevoli
di qualcosa. Un altro amico afferma che le sofferenze imposte
da Dio servono per purificare e rendere forte luomo in vista di un
bene superiore. Il terzo amico dice qualcosa di più sconvolgente
e, per la nostra mentalità, un bel po difficile da accettare:
Dio, essendo Dio, può fare quel che vuole senza dovere rispondere
delle cose che fa e, tantomeno, deve giustificare il suo operato anche se
ciò che fa è in aperta contraddizione con i principi che proclama.
Ma il discorso sul Male nel Creato non finisce certo qui!
A presto!
(ottobre 2019)
Riprendiamo il discorso che abbiamo fatto il mese scorso.
Come direbbero i Giuristi: in Cielo non esiste lo "Stato di Diritto", cioè il principio secondo il quale chi fa le Leggi deve obbedire anch'egli alle Leggi che ha promulgato. Infine, appare sulla scena un quinto personaggio che rimprovera aspramente Giobbe e anche i suoi amici per le loro teorie. Arriva addirittura a proferire due affermazioni dal tono blasfemo! La prima di queste affermazioni è che a Dio è dovuta la totale sottomissione da parte dell'Uomo. La seconda è che Dio non ha interesse per l'Uomo e che non si cura, né di ricompensarlo né di punirlo. Dio è completamente indifferente ai destini dell'Uomo. Perciò è del tutto indifferente al suo Bene o al suo Male. È indifferente alla Santità e al Peccato degli Uomini. Ma il discorso sul Male nel Creato non finisce certo qui!
Il problema del Male nel Mondo e del perché esista nonostante
l'esistenza di un Dio - che è Onnipotente e Bontà Infinita
- è davvero molto difficile da affrontare ed è probabilmente
insolubile, almeno per la possibilità di comprensione che possediamo
fino a questo momento. Una delle teorie più quotate per risolvere
la questione è il fatto che Dio raramente interviene direttamente
sull'agire del Malvagio per rispetto della libertà dell'Uomo. Questo
può essere in parte probabile - anche se così implicitamente
s'accetta il fatto che la Libertà di agire Male da parte di un qualsiasi
individuo dotato di ragione - sia più significativa del diritto che
ha un essere vivente di vivere
Inoltre, anche se accettassimo questo,
dobbiamo tuttavia considerare che il male che colpisce l'Umanità
e tutta la Creazione - animali compresi - non scaturisce esclusivamente
dall'agire nefasto dell'Uomo. Lo abbiamo già detto in un'occasione:
i terremoti che portano sofferenza, distruzione e morte, non sono sempre
riconducibili allo sfruttamento che l'Uomo opera sulla Natura. Infatti,
i terremoti sono preesistenti all'apparire dell'Uomo sulla Terra e così
anche altre catastrofi naturali o le malattie di cui normalmente si ammala
un organismo.
E, allora, come possiamo spiegarcela la realtà del dolore e della
sofferenza sulla Terra?
Considerate che né Giobbe né
Gesù sono riusciti a spiegarcelo in modo che noi lo comprendessimo
per intero, perché forse è un Mistero talmente Grande che
allo stato attuale solo Dio lo può capire. E nemmeno si può
capire o, meglio - questo sì - si può dare una duplice opposta
interpretazione ad una delle più toccanti pagine del libro "La
Notte" del Premio Nobel, Elia Wieselche descrive l'orrore dei campi
di sterminio nazisti. Il breve brano parla dell'impiccagione pubblica di
un bambino. Tutti i prigionieri sono costretti ad assistervi. Ad un certo
punto, il protagonista ode una voce che vedendo il bambino penzolare rantolante
chiede: "Dov'è Dio? Dove si trova?". Il peso del corpo
non è sufficiente a spezzargli il collo, così il bambino muore
lentamente. Alle domande: "Dov'è Dio Dove si trova?", un'altra
voce tra le migliaia di internati risponde: "Egli è qui! E'
appeso qui su questa forca!".
Cosa significa? Che Dio è accanto all'Uomo nella sofferenza o, piuttosto,
che il verificarsi di un orrore del genere è la prova che Dio è
morto o, meglio, che non è mai esistito per davvero?
Questa domanda è un pugno allo stomaco dell'Umanità!
Animo! La prossima volta lasceremo il Libro di Giobbe e le domande
drammatiche ed insolute che erompono dalla sua lettura!
Parleremo
dei Salmi. (novembre 2019)
Oggi approdiamo ad una delle Isole poeticamente piùlussureggianti e belle del Mare della Parola di Dio. Parleremo infatti del Libro dei Salmi che raccoglie 150 tesori di preghiere composte in forma di poesia. È uno dei libri che noi Cristiani ascoltiamo di più perché durante la Messa, un Salmo, o parte di esso, è sempre presente nella Liturgia della Parola; a questo bisogna senz'altro aggiungere il fatto che quotidianamente i sacerdoti e i religiosi - ma anche molti laici - recitano i Salmi nella quotidiana preghiera corale che la Chiesa innalza all'Unico Vero Dio.Nei Salmi sono espressi molteplici sentimenti umani: dalla felicità alla sofferenza, dell'esaltazione per una vittoria, alla fiducia in Dio che perdona i peccati e rende giustizia. I Salmi sono una incessante lode al Signore, con sfumature e angolazioni multiformi - a volte sorprendenti - ma sempre meravigliose ed emozionanti.Leggerli tutti è un'esperienza edificante e bellissima, tuttavia lo si deve fare poco alla volta - non tutti d'un fiato - per apprezzarne al meglio le molteplici espressioni, la sublimità della loro liricità, il senso della vita, il rapporto di relazione che nasce e si consolida fra l'Uomo e Dio.I Salmi sono pensati e creati per essere cantati ed accompagnati dal suono degli strumenti musicali: l'arpa, i cimbali, i tamburelli. Hanno altresì il duplice ruolo di essere pregati sia intimamente - personalmente - sia in coro da gruppi di fedeli. I Salmi sono una realtà al contempo personale e collettiva; per questo motivo stanno molto a cuore sia agli Ebrei quanto ai Cristiani. Purtroppo non ci possiamo dilungare. Tuttavia, per dare un"assaggio" dello splendore delle parole e degli insegnamenti custoditi nei Salmi, ne riportiamo uno: il primo. Lascio a voi l'avvincente compito di gustarlo pienamente.
"Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi,
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti;
ma si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte.
Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua,
che darà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai;
riusciranno tutte le sue opere.
Non così, non così gli empi:
ma come pula che il vento disperde;
perciò non reggeranno gli empi nel giudizio,
né i peccatori nell'assemblea dei giusti.
Il Signore veglia sul cammino dei giusti,
ma la via degli empi andrà in rovina."
Siamo pressoché al termine di questa lunga navigazione nel Mare
Immenso della Parola di Dio. Ci manca una sola Isola da visitare. UnIsola
che, per molti è il Libro il più sublime incluso fra i Libri
Sacri: il Cantico dei Cantici, uno straordinario poema damore che,
pensate, incredibilmente in nessuna delle sue strofe contiene la parola:
Dio.
O, forse cè, nascosta ma cè.
È un Libro che esalta lAmore tutto intero, sia nellaspetto
fisico che mistico
Ma è anche un Libro pochi lo sanno
che sfiora la Morte. A tal proposito, leggiamo insieme
una strofa posta quasi alla fine del poema:
Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore, tenace come il regno
dei morti è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma
divina!Le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi travolgerlo.
(Cantico dei Cantici Cap. 8, 6-7)
Conoscere le Sacre Scritture, la sua Storia di Redenzione, la sua Sublimità,
compresa la sua Profonda Umanità fatta anche di Uomini e di
Donne fragili, di personaggi talvolta eroici, ma al contempo discutibili
per la loro moralità o per le brutte vicende di cui si sono resi
protagonisti ci aiuta a riconoscerci per ciò che siamo ed
avvicinarci con più fiducia a Dio. Noi possiamo e dobbiamo ascoltare
la Parola di Dio meditandola, allargando gli orizzonti della nostra Anima.
Dobbiamo soprattutto cominciare ad amare la Bibbia.
Mese per mese, leggendo la pagina di questa rubrica, abbiamo imparato qualcosa
di più, abbiamo acquisito alcuni strumenti utili a comprendere
delle sfumature della Parola di Dio delle Sacre Scritture
che forse non conoscevamo o che credevamo diverse
Ma io ho
la speranza che navigando insieme nel Mare della Parola di Dio, ci è
venuta la voglia di riprendere il Viaggio, dimbarcarci
nuovamente per ritornare in mare armati di una bussola e di un sestante
scrutando una Splendente Stella Polare che è la Risurrezione di Cristo
nostro Signore la quale illumina ogni cosa.
Prima di sbarcare nel porto darrivo, come doveroso omaggio alla Parola
di Dio, come ringraziamento a Dio per il Dono Grande della Sua Parola, leggiamo
idealmente tutti insieme un brano delle Sacre Scritture, tratto dalla Torah
dai primi cinque Libri della Bibbia i più importanti
Libri del Primo Testamento.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire così che lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire così che lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica. " (Deuteronomio, Cap. 30).
Grazie di vero cuore per aver navigato insieme a me; e buon ritorno a casa!
(dicembre 2019)
continua ...