Lo stile di Dio che ci è donato (agosto 2018)
Nei momenti incisivi e decisivi delle scelte
che il vangelo ci fa la grazia di poter accogliere e che ci aiutano a vivere
come pellegrini e non come girovaghi, per me è stata
particolarmente viva la parola del salmo 33 che ad un certo punto dice:
guardate a Lui e sarete raggianti.
Nella grazia del Battesimo, che da subito i miei genitori hanno voluto donarmi,
ho potuto comprendere, crescendo nella testimonianza dei miei cari e di
tante persone libere da attaccamenti individuali, la bellezza di guardare
a Lui, il Signore. Certamente prima di tutto era Lui che guardava
a me personalmente attraverso la quotidianità di quei tanti
incontri che mi spingevano a cercarlo perché mi
testimoniavano, con la loro vita, lintimo legame che vivevano
con Gesù, sia nella preghiera che nella loro quotidianità.
Finalmente un giorno anchio mi sono rivolto a Lui non più attraverso
intermediari, ma personalmente e mi sono ritrovato con il cuore colmo di
gioia, di luce e di pace. Ricordo sempre con stupore lesperienza di
questo primo vero incontro vissuto durante un ritiro spirituale a cui avevo
partecipato un po' per caso perché ci andavano anche i miei amici.
Nel dialogo con la Parola e davanti a Gesù eucaristico vissi la grazia
di un tu a Tu che mi aprì radicalmente a nuove prospettive
di vita.
Da allora la quotidianità e la dignità di ogni persona cominciarono
ad essere vissute con Lui pur nella mia fragilità di discepolo .
Così, ancor prima di diventare sacerdote, grande e immensa diventò
per me la celebrazione della santa messa. Vivevo la bellezza di partecipare
al suo Amore insieme a fratelli nella fede, spesso sconosciuti, ma uniti
come membra del Suo Corpo eucaristico.
Con loro attendevo con fervore il suo: per voi e per tutti che minfondeva
sempre più nel cuore la consapevolezza della dignità
di ogni altro. Mi accorgevo come umanamente Lui allargava sempre
più i miei piccoli orizzonti accogliendo intimamente questo affetto
totale di Gesù per tutti.
Lui il Signore mi saziava e mi faceva vedere la sua volontà
così libera da pregiudizi da farmi chiedere, con umiltà e
desiderio, di farmi discepolo del suo stile di vita. I miei
cari avevano voluto donarmelo già dalla mia nascita con il battesimo,
ma era rimasto come un seme nascosto nella mia vita.
Ricordo che cercai, con vivo desiderio, di sapere il giorno del mio battesimo
e da quando lo seppi divenne il mio vero compleanno non per dimenticare
la data della mia nascita, ma perché ne capivo finalmente il valore:
poter vivere anchio quel per voi e per tutti unito nel
Corpo di Cristo. Capivo finalmente che significava essere un membro
del Corpo di Gesù. Quanti doni e quante strade nuove
ho imparato ad accogliere e a vivere in quel lasciarmi fare pellegrino con
Lui perché come membro del Suo corpo mi ero lasciato prendere fin
nelle viscere della mia umanità.
Si, il Signore mi aveva aperto lo sguardo e di giorno in giorno
mi rimetteva in cammino, come un pellegrino, dentro le mie fatiche e ottusità,
per seguire la sua strada.
Cominciai a vedere uomini e donne, giovani e anziani un po'
come voleva il Signore. Imparai a vedere la straordinaria bellezza
di ogni persona e in essa ricercare un dialogo per imparare sempre più
a vivere la mia realtà di membro del Corpo di Cristo di cui anche
laltro, per volontà di Dio, ne faceva parte.
A volte era tanto esigente questa conversione da lasciarmi come nudo,
smarrito di capacità di fronte allincontro con laltro
tanto diverso da me, ma tanto ricco di vita intima pur nella sua grande
povertà.
Grazie a questo lasciarmi fare pellegrino, in particolare da
sacerdote, ringrazio il Signore di avermi fatto sempre vivere il sacramento
della Confessione con questo suo cuore di stima di fronte ad
ogni fratello o sorella che si accostavano a questo immenso e meraviglioso
sacramento della misericordia divina. Poter testimoniare con il mio cuore,
con la mia mente, che la parabola della pecorella smarrita non
era semplicemente una bella storiella, ma la precisa volontà di Gesù
per tutti, mi ha sempre offerto la disponibilità dellaccoglienza
del fratello penitente e la tenerezza della benedizione (dire-bene) del
Signore per lui o lei. Ogni sacerdote, infatti, è stato chiamato
a questo ministero per essere servitore della Sua
Immensa misericordia offrendo ad ogni persona, che cerca di uscire dal suo
smarrimento, la consapevolezza che è appassionatamente
cercata e amata dal Signore.
Secondo me però, per poter sempre vivere laccoglienza dellaltro
nel Nome di Gesù è sempre necessario lasciarsi fare quotidianamente,
pur con le proprie fragilità, pellegrini della sua misericordia.
Io sono certo che ogni credente, che si nutre dellamore di Gesù,
sa che è chiamato, per vocazione, ad essere, mi viene da dire, un
quotidiano della misericordia di Dio.
Più gli anni sono passati tanto più ho compreso che è
necessario lasciare a Gesù tutto il mio tempo senza divisioni
tra svago e preghiera, studio e lavoro. E questo che, a poco a poco,
ho imparato affidandomi alla vergine Maria, sposa di Giuseppe e madre di
Gesù.
Con Lei ho imparato questa verità perché, senza reticenze,
si è sempre chiamata: la serva del Signore e sempre si è fatta
pellegrina con il Signore perché avvenisse in lei la volontà
di Dio. Penso spesso a quante amicizie e relazioni ella avrà vissuto
portando sempre in lei la sequela guidata dalla disponibilità
di essere la serva del Signore o meglio pellegrina della sua
misericordia.
don Ervé
Ogni credente è missionario, sempre! (luglio 2018)
Mi ha sempre aiutato, nel mio cammino di adesione a Gesù nella
quotidiana ferialità della vita di fede, la testimonianza di
tantissime famiglie che ho avuto il dono dincontrare facendo con loro
un tratto di strada insieme.
Sono stato testimone affascinato dei tanti cambiamenti che prima
da sposi nella fede e poi, via via, alla nascita dei figli, le famiglie
hanno vissuto nel loro crescere nella vita con i figli. E bello qui
ricordare che la casa costruita sulla roccia (Gesù) offre sempre
accoglienza e prospettive perché non cade sotto le intemperie
della vita, anzi.
La fedeltà di un genitore infatti è verificata sempre alla
luce della quotidianità della vita che si radica sulla continuità
della scelta damare.
Così, nelladesione al loro personale progetto damore
che li ha spinti ad essere sposi e famiglia, si manifesta la loro quotidiana
vita missionaria.
La loro paternità e maternità infatti non può rimanere
mai solo nella bellezza degli inizi, ma giorno dopo giorno è chiamata
a vivere la missione del camminare, del crescere,
per lasciare che loro stessi e i figli possano aprirsi sempre più
alla loro vocazione.
A questa scuola damore quotidiano, fatto di gioie, fatiche, ansie
e scelte a volte irrinunciabili, anche i figli impareranno ben presto il
valore della loro vita come missione. Essa li porterà anche ad uscire
dalla stessa famiglia, non per abbandono, ma per dare il proprio volto alla
loro vocazione di credenti.
Mi sembra anzi di poter proprio dire che, grazie anche a dei distacchi
necessari dalla famiglia, simpara, come figli, a dare continuità
e personalità allamore che abbiamo ricevuto.
Il vivere in missione è quindi la necessaria manifestazione
dellamare vissuto quotidianamente.
Così ogni madre e ogni padre impara a farsi discepolo missionario
per il cammino sia di coppia che dei suoi figli per educarsi
ed educare alle scelte damore da cui è nata la loro missione
di sposi.
Sappiamo bene che il quotidiano non è mai ripetitività, ma
sempre unesperienza che ci porta oltre quello che ieri avevamo vissuto.
Tutto questo la vita familiare lo esprime e lo insegna proprio nel suo dinamismo
missionario che diventa patrimonio di vita dei figli nelle loro specifiche
vocazioni. Coloro che credono hanno la certezza che il loro camminare
insieme è partecipazione e testimonianza dellamore stesso
di Dio per se stessi e per il mondo.
La vocazione dei figli si nutre così dai primi istanti
di vita della missione damore che gli sposi hanno accolto e che continueranno
a vivere diventando sempre più famiglia che si esprime come missionaria.
Credo così di poter tranquillamente affermare che ogni missione
è sinonimo dellamore sponsale perché la sua concretezza
sta nellaprirsi allaltro per vivere cammini di comunione
in particolare con i più piccoli e con i più poveri.
Tutti ricordiamo a memoria le parole di Gesù che, di fronte ad una
domanda dei suoi discepoli sul futuro di chi accoglierà la missione
per amore, rispose allargando lo spazio della comunione con
la famosa testimonianza: Chiunque avrà lasciato case, o fratelli,
o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà
cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.
Riceverà cento volte tanto.
Desiderare di essere missionari non è più allora lavventura
di qualche iniziato, ma la normale scelta di ogni credente.
E importante che la missione, come Gesù lha donata, anche
attraverso la famiglia, rimanga sempre la prospettiva base su cui costruiamo
la nostra vita.
Per questo non possiamo mai sentirci arrivati, anzi, ogni giorno ci troverà,
pur negli acciacchi della vita, disponibili a camminare
perché lamore al prossimo è, nellamore di Dio
donato ad ogni persona, il DNA della vita.
Il cristiano sa che la missione non è una tra le tante scelte possibili
della vita, ma è il carburante della quotidianità
per la sua stessa vita di credente.
E bello sapere, che per grazia divina, il vivere come missionari
nel quotidiano non avrà mai limiti detà, ma ad
ogni età lamore di Dio farà della nostra vita un cammino
di accoglienza piena del Vangelo vissuto come pane quotidiano.
Limportante è non fermarci mai solo a noi stessi, ma lasciarci
sempre spingere dal dono personale della grazia divina.
E questa la vera parabola della vita che Dio ha messo in ciascuna
persona e che il credente manifesta vivendo i due fondamentali comandamenti
della sua fede: ama Dio e ama il prossimo come Lui ama te.
Per questo il discepolo di Gesù si percepisce sempre in cammino
e mai come finito o in pensione. Dentro ogni stadio
della sua vita sarà consapevole, per la fede che pone nel Padre,
di poter vivere la sua missione damore fino a sfociare nella gioia
eterna del Paradiso e Dio sarà, come dice san Paolo, tutto in tutti(1a
Cor.15,28).
don Ervé
Con Gesù impariamo a farci "pellegrini" di misericordia (giugno 2018)
Mi ha sempre affascinato la testimonianza di Gesù che gli Evangelisti
hanno saputo mettere in evidenza anche a loro scapito: il farsi pellegrino
di Gesù. Levangelista Matteo, ad esempio, ci testimonia che:
Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi,
insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando
ogni malattia e infermità.
Sappiamo anche che in questo suo pellegrinare, cioè nellandare
agli altri, Gesù portava sempre con sé i suoi discepoli. Mi
piace con voi soffermarmi a riflettere su unesperienza che certamente
ha rinnovato il cuore dei discepoli. E lesperienza della moltiplicazione
dei pani e dei pesci ché farà certamente bene anche a noi
impegnati quotidianamente nel cercare di essere discepoli di Gesù.
Quella giornata fu straordinaria, tanto che tutti gli evangelisti la ricordano
anche se con delle varianti.
La quantità di gente che era accorsa ad ascoltare il Maestro era
numerosissima. Quandormai stava calando la sera i discepoli, un po'
preoccupati dal luogo solitario, dissero a Gesù di rimandare le folle
perché andassero a cercarsi da mangiare nei villaggi vicini (cfr.Mt
14,15ss)
Ma Gesù non ci sta. Non era ancora scaduto il tempo dellaccoglienza,
anzi i discepoli avevano proprio bisogno dimparare a vivere pienamente
la compassione di Gesù anche per il prossimo che non ha un volto
familiare. E fu così che il Maestro domandò loro di continuare
a collaborare con Lui con una iniziativa che da loro fu ritenuta subito
impossibile: date voi stessi da mangiare. La loro mentalità
missionaria evidentemente non teneva ancora in conto dellessere discepoli
di Gesù. Chiudo gli occhi e prego per un po' cercando di comprendere
bene questo momento così incredibile, ma anche di possibile profonda
conversione. Nella mia mente risuona la reazione dei discepoli che mi appare
giustificata dallevidenza della sproporzione: abbiamo solo cinque
pani e due pesci e, come se fossi presente, mi associo anchio
alla conclusione che tirano, forse anche con sottile ironia, ma: cosè
questo per tanta gente
.
Continuo a leggere il vangelo e mi accorgo che Gesù non ribatte alle
parole dei discepoli, anzi chiede loro di portare a Lui quello che hanno
e di adoperarsi a far sedere tutti in gruppi di un certo numero. E
da questo momento che per i discepoli, che avevano pensato che la
giornata missionaria fosse finita che inizia una meravigliosa avventura
perché, nonostante loro stessi, avevano iniziato a prestar fede alle
parole di Gesù.
Così, tirate su le maniche, condividono con Gesù quello che
hanno per servire, come Lui ha chiesto, proprio tutti e alla fine raccolsero
ancora dodici ceste di pani e pesci avanzati.
Riaprendo gli occhi penso a me stesso, alla mia fede, come può fare
anche ciascuno di voi. Capisco che anche nella sproporzione delle
mie capacità, posso affidarmi alla presenza di Gesù
e rimettermi in missione offrendo pienamente la mia debolezza come fecero
i discepoli con i loro cinque pani e due pesci.
Penso che dallaccoglienza dellaltro guidata dal Signore, inizio
ad essere missionario.
Così Gesù ci fa cambiare i nostri giudizi, le nostre aspettative
aprendoci alla gioia inattesa del metterci a disposizione per farci prossimo
nella vita ordinaria, quotidiana.
Molto prima di questo cammino di conversione Gesù aveva detto ai
suoi discepoli:
la messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque
il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!. (Mt 9,37-38)
Con queste sue parole, Gesù preparava i discepoli a comprendere che
la missione è necessaria, ma la si può vivere pienamente solo
uniti e nella comunione con il Padre, proprio come fa Lui. Gesù di
fronte alla messe, o meglio ai figli di Dio non ancora consapevoli della
loro intimità divina, rende consapevoli i discepoli di essere anche
loro partecipi del dono della salvezza da portare a tutti.
Cosi Gesù, nel suo viaggiare come pellegrino dellamore del
Padre, fa vivere ai suoi la disponibilità verso tutti perché
questo è il suo progetto di vita.
Con inimmaginabili nuove relazioni (es. Zaccheo) Gesù converte i
discepoli ad uscire dalle loro opinioni circa lamore di Dio.
A tutti è necessario andare per testimoniare la salvezza
fino alla fine del mondo.
Così, anche ciascuno di noi, per la grazia dello Spirito Santo che
ci è dato in dono, liberato dalla tentazione, sempre in agguato,
di agire solo per sé stesso, è data la responsabilità
di farsi, giorno dopo giorno, pellegrino della misericordia
di Dio.
don Ervé
Sulla Tua Parola: sia fatta la Tua Volontà (maggio 2018)
Nel mese di maggio le nostre Comunità guardano e pregano con devozione
la santa Famiglia di Nazareth nata da un SI totale, gioioso e nello
stesso tempo profondamente impegnativo alla PAROLA di DIO.
La testimonianza della Vergine Maria: avvenga di me secondo la tua
Parola è vissuta, pur con modalità diverse, anche da
Giuseppe nella chiamata che Dio gli rivolge al tempo del suo fidanzamento
con la sua promessa sposa Maria.
Ecco, la nascita di questa famiglia, sconosciuta ai Grandi
del mondo, prende la sua origine, piena e per sempre, proprio a partire
dalla Parola di Dio che domanda di essere accolto.
Maria e Giuseppe avevano già cominciato un cammino di
fidanzamento secondo la tradizione del loro popolo, il popolo dIsraele
e proprio in quel cammino di fidanzamento, Dio domanda unaccoglienza
difficile da concepire dal cuore umano.
Ma la Parola di Dio, può essere accolta perché, nonostante
la novità impensabile della maternità di Maria,
già promessa sposa di Giuseppe, è Dio che offre questo cammino.
Il dono impensabile, ma accolto, apre la loro vita ad una missione
vissuta per la vita di tutte le donne e di tutti gli uomini di buona volontà.
E così sulla Parola di Dio la vita della famiglia di
Nazareth diventa testimonianza del progetto daccoglienza, nel quotidiano
di Dio per tutti, fino alla fine del mondo. Dio donando il cammino della
corresponsabilità a Maria e a Giuseppe la rende viva anche per ciascuno
di noi perché questo è il suo progetto creativo. Laccoglienza
della Parola guida così le scelte più intime e belle della
vita di una donna e di un uomo. In essa, la Parola, si lascerà fare
anche Gesù. Alla Parola, che anche ciascuno di noi prega tanto spesso
personalmente e comunitariamente con il Padre Nostro, chiediamo
che sia fatta la sua volontà affinché per noi,
per me e per te, la sua Parola sia feconda.
Così come la Sacra famiglia anche ciascuno di noi è un
cuore proteso a vivere nellordinario della sua vita la volontà
del Signore.
Sappiamo che Lui apre alla libertà del bene la nostra esistenza.
Con la Santa Famiglia, anche noi scopriamo la necessità della testimonianza
nel mondo che non riesce a credere ad una presenza tanto attiva e liberante
della volontà di Dio.
Per questo contemplando i misteri del Rosario siamo coinvolti a riconoscere
e a testimoniare che lincarnazione della Parola ci dona la Grazia
di fare della nostra vita una missione damore. In una
quotidianità, tanto spesso aggredita dagli orgogli devastanti,
viviamo il dono di essere lievito di relazioni damore.
Donaci di aver parte alla vita eterna (aprile 2018)
Ogni volta che con voi e nel corso della mia vita sacerdotale
arrivo a chiedere, a nome di tutti, nella celebrazione della santa messa
e quasi al termine della preghiera eucaristica: donaci di aver parte
alla vita eterna provo sempre una gioia profonda. Nello stesso tempo
possiamo anche renderci conto della grande responsabilità che questa
richiesta lintima relazione con Gesù ci chiede nella nostra
missione quotidiana.
Gesù laveva promesso ai suoi primi discepoli e via via nella
storia a ciascun credente di ogni generazione e di ogni luogo perché
Lui è il Risorto.
Tutti noi certamente teniamo nel cuore quello che Gesù aveva detto
prima del suo arresto e della sua uccisione: Non sia turbato il vostro
cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me
Io vado a prepararvi
un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto,
ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche
voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via.
Ricordiamo anche che lapostolo Tommaso gli disse : Signore,
non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?
Guardandolo, probabilmente con un po' di stupore, Gesù gli rispose:
Io sono la via, la verità e la vita ..(Gv 14,1ss-6)
Questa risposta, così chiara e immensa nella sua essenzialità,
dona anche a noi la certezza della sua presenza per sempre come nostra:
via, verità e vita.
Per questo continuiamo a domandargli: donaci di aver parte alla vita
eterna, cioè di vivere con Lui, perché Lui è
la via, la verità e la vita.
Il riconoscere che questa richiesta ci appartiene perché è
nel nostro cuore e sulle nostre labbra non può che coinvolgerci nella
sua missione sapendo anche che ci ha promesso:
Io sono con voi tutti i giorni .. .
A volte, forse, non facciamo caso a questa stupenda e profonda domanda che
il sacerdote rivolge a Dio a nome di tutti. Ma Gesù non è
distratto e laccoglie sempre dandoci il suo Corpo affinché
ciascuno di noi possa vivere e testimoniare: la sua via, la sua verità,
la sua vita nella propria quotidianità e nella differenze della propria
vita e dei propri talenti dentro la propria fragilità umana in questo
mondo. Il nostro domandare è quindi desiderio attivo che per questo
ci apre immediatamente allimpegno missionario. Solo così diamo
autenticità alla nostra partecipazione alla celebrazione della messa.
Abbiamo bisogno di fare comunione con Lui e, accogliendolo nella santa eucarestia,
di chiedergli di far parte della vita eterna cioè di vivere con Lui
la nostra testimonianza del suo Amore nella vita pubblica e privata. Lo
sappiamo tutti che non ci può essere separazione tra la celebrazione
della santa messa e il mio vivere quotidiano come discepolo del Signore.
In altre parole sappiamo che siamo suoi missionari in parole e opere a servizio
di chi non lha ancora accolto come via, verità e vita per gustare
il nostro cammino di fede.
Per questo Papa Francesco ci stimola e incoraggia ad essere una comunità
in uscita perché non manchi mai al mondo lannuncio e la testimonianza
dellAmore di Dio soprattutto per chi è bisognoso di veder riconosciuta
la sua dignità di persona .
Per questo la vita fraterna verso il debole, il povero, il sofferente è
laltra faccia di ogni santa messa nella quale abbiamo
chiesto di partecipare alla vita di Gesù.
A tutti noi dunque buona missione nella Pasqua in Gesù: via, verità
e vita.
Buona Pasqua a tutti!
Piccola testimonianza della gioia dell'incontro (marzo 2018)
Stavo tornandomene in treno, un po' affaticato a causa della recente
operazione all'anca, dal viaggio fatto a Roma per incontrare il Santo Padre,
insieme ai miei confratelli nel quarantesimo anno dell'ordinazione sacerdotale,
quando mi si è riaffacciata al cuore la ricchezza dell'incontro con
il Papa.
Erano passate solo poche ore da quel vissuto a tu per tu con Papa Francesco,
per un tempo di circa un'ora e mezza. Mi rivedevo comodamente seduto ad
aspettarlo in una sala molto accogliente con i miei 17 confratelli in un
clima di palpabile emozione. Ed ecco che, quasi improvvisamente, arrivò
il Papa. Con naturalezza venne subito da ciascuno di noi per salutarci con
la mano tesa e un sorriso di serena accoglienza che ci scioglieva da quella
comprensibile tensione di stare davanti a lui. Subito la sua presenza semplice
e fraterna ci aveva coinvolti con la sua personale stretta di mano offrendo
a ciascuno di noi il suo sguardo sorridente e invitandoci familiarmente
a presentarci. Mi piacque molto questo stile d'accoglienza vissuto dal Papa
per ognuno di noi perché libero da ogni formalità. Poche parole
di presentazione e poi seduti familiarmente ad ascoltarlo e ad ascoltarci.
Messi a nostro agio il dialogo si è aperto con facilità, ma
in particolare abbiamo potuto ascoltarlo attraverso la sua personale esperienza
di Pastore aperto a tutto il mondo. Ascoltando le nostre domande personali
ci aiutava a vederle dentro il "servire" del nostro essere sacerdoti
nel mondo e per il mondo in qualunque realtà quotidiana saremmo stati
chiamati a vivere. E soprattutto mantenendo sempre un'attenzione fraterna
nei confronti dei "poveri" ricordandoci che siamo stati "scelti"
per vivere in modo particolare la misericordia di Dio Padre. Il tempo è
così passato velocemente, ma il dialogo vissuto ha saziato il mio
cuore per questa sua presenza tanto amabile e nello stesso tempo tanto attenta
a spronarci a vivere pienamente la nostra vocazione sacerdotale.
Concludendo posso dire che la vera e grande emozione di quell'ora e mezza
vissuta insieme al Papa, che porterò con me, sarà per sempre
legata a questa netta sensazione che gli siamo stati a cuore .
Io sono la vite e voi i tralci (febbraio 2018)
Mi piace partire dalla famosa parabola di Gesù: la vite e i tralci,
per continuare a parlare dellinfinita tenerezza di Dio nel suo tendere
le mani per amare tutti.
Questa immagine, infatti, ci aiuta a comprendere a quale comunione
di vita ogni persona è chiamata nellamore che la genera.
Facilmente limmagine della vite evoca, per la sua limpidezza
lintensa comunione di vita a cui Gesù chiama ciascuno. Ogni
tralcio infatti è generato nella relazione materna con
la vite ed è reso presente perché voluto, nutrito, sostenuto
affinché porti frutto. Potremmo dire che il compimento dellesistenza
stessa della vigna è che ciascun tralcio generato porti frutto. Nessun
tralcio infatti è un caso, ma ciascuno è la testimonianza
della volontà della vigna di dare vita al tralcio tanto che ogni
tralcio può comprendersi generato per dare compimento alla stessa
vigna nel portare frutto. E facile capire questa fortissima relazione
tra vite e tralci, cioè tra Dio e ogni persona, entrando nelle nostre
quotidiane realtà familiari. Proprio in esse infatti e visibile
lo spendersi del padre e della madre perché ogni figlio porti
frutto.
Attraverso queste parabola è dunque descritta la buona
relazione di vita per ciascuno per non cadere in quelle scelte di separazione
che tanto spesso tentano anche noi credenti. Lamore verso Dio e verso
il prossimo sono resi cosi comprensibili nel legame tra il tralcio e la
vite proprio per portare frutto. Potrei dire che Gesù autentica il
valore di ogni tralcio generato quando, nel dono della comunione,
afferma: amatevi come io vi ho amato. Questa affermazione ci
mostra che la missione di ogni tralcio è nella comunione per portare
frutto. Nel dare frutto il tralcio comprende il condividere il progetto
damore nel quale è stato generato.
Limmagine del tralcio che porta frutto, può quindi aiutarci
a rileggere quotidianamente la nostra vita di discepoli di Gesù.
Generati per la comunione con Lui possiamo godere della gioia
di essere padre, madre, fratello, sorella vivendo il dono di noi stessi
come tralci che portano frutto. Nellamore familiare è proprio
questo amore evangelico del portare frutto la via per la pienezza della
relazione tra le persone e nel creato. E immediatamente comprensibile
allora il dramma di vita del tralcio che non da frutto. Esso perde la sua
identità rinnegando questa sua naturale e meravigliosa realtà
perché si lascia illudere da un mondo egoista che rinnega
lo stile famiglia.
Certamente ogni parabola vuole suscitare la verifica circa la relazione
reale con il Signore e quindi con tutti i figli di Dio.
E quindi appropriato per ciascuno di noi porsi la domanda: nel mio
essere tralcio della VITE quali generosità dellamore divino
accolgo e faccio passare per vivere la corresponsabilità della VITE
nel portare frutto in parrocchia e nel mondo?
Questo esame del cuore del come sono tralcio lo esplicito con le due immagini
di vita della Comunità nel mondo.
La prima immagine mostra persone interessate a soddisfare la
loro religiosità con le regole e le pratiche di vita apprese secondo
un rapporto dobbedienza a Dio ma in modo individualistico.
In esso la sincera disponibilità allincontro con il Signore
è spesso molto forte, ma rischia di esaurirsi in una sterilità
missionaria che non lo fa vivere come costruttore di comunità nel
suo portare frutto.
Laltra immagine, invece, è quella che annuncia che il mettersi
insieme a tavola con Gesù, in particolare nella celebrazione
eucaristica, ci forma e ci nutre per vivere nella sua missione limpegno
concreto del portare frutto attraverso una comunione di tralci
con la vite.
Luscire dalla messa apre allora alla corresponsabilità di offrire
fraternità evangeliche come il tralcio offre il suo frutto gratuitamente.
La missione è allora il vero volto creativo del credente là
dove vive. In essa potrà esprimere attraverso i suoi frutti la sua
comunione con Gesù che gli dice: amatevi come io vi ho amato.
Questa dunque è la nostra comune missione: portare frutto
e alloccorrenza di essere potati per portare più frutto.
don Hervé
Tendere le mani (Gennaio 2018)
Allinizio del nuovo anno 2018, desidero mettere in evidenza, per
il nostro COMUNE cammino di testimoni missionari del Signore,
linfinita tenerezza di Dio nel suo tendere le mani per
amare tutti.
Scelgo dal Vangelo di Luca al cap. 23,33.. il momento, secondo me, più
profondo della totale tenerezza di Dio:
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e
i malfattori, uno a destra e laltro a sinistra. Gesù diceva:
Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno.
E chiarissimo che la Comunità cristiana, a cui Luca consegna
il suo vangelo, fin dallinizio della sua vita di testimonianza
ne aveva compreso il significato per la loro vita di discepoli di di Gesù
verso tutti. La vita donata nel martirio esprimeva infatti la
fiduciosa fedeltà al proprio Signore Gesù, e laccoglievano
per esserne testimoni nella loro vita a servizio del mondo, cioè
per vivere come santi secondo la SUA PAROLA.
In tal modo le ultime parole di Gesù sulla croce davano definitiva
pienezza al suo essere il Messia.
Il suo amore infinito si riassume così nel gesto incredibile di tendere
le sue mani crocifisse per domandare il perdono al Padre, suo e nostro,
per coloro che, allora e sempre, lo disprezzeranno e lo uccideranno barbaramente
(qualunque cosa avrete fatto ad uno di questi piccoli lavrete fatto
a me). Il lasciarsi crocifiggere non è debolezza, ma partecipazione
al dramma di ogni persona per testimoniare a tutti che lamore, pur
lottando fino in fondo contro linumanità, è sempre guidato
dal perdono e dalla misericordia illuminati da queste sue parole: Padre
perdona loro perché non sanno quello che fanno.. che ne fanno
sapere il perché.
Si! Perché prima di tutto il sapere non sta nelle conoscenze, ma
nelle buone relazioni (dal latino sapere = dare sapore, dare bontà).
Così, pur dando tutto di sé nella lotta contro legoismo
Gesù rimane fedele al valore di ogni singola persona perché
è il Dio dellincarnazione, il Dio che dà sapore.
Nellincarnazione lAltissimo offre e accoglie in
Maria e Giuseppe leterna alleanza con la sua creatura che il presepe,
(a noi tanto caro grazie anche alla fede di S. Francesco dAssisi che
ne è stato anche linventore nella terra di Greccio), ci ha
portato anche questanno nellintimità della famiglia e
delle Comunità.
Questa consapevolezza damore totale di Dio levangelista Luca
laveva già messa allinizio del suo vangelo con il così
detto vangelo dellinfanzia.
In esso anche noi pochi giorni fa, abbiamo riassaporato il rapporto totale
di Dio con lumanità proprio nella sua divina Incarnazione nella
quale si suggella, per la scelta di Maria e di Giuseppe, la comunione eterna
di Dio con luomo e delluomo con Dio.
Guardando alla santa famiglia ci è possibile avere una comprensione
più reale dellimmensa e chiara concretezza dellamore
di Dio che si dona per accogliere e lasciarsi accogliere. Per inciso può
farci bene sapere (dare sapore) che la santità si esprime dando e
possibilmente, ma non sempre, ricevendo accoglienza. Lamore infatti
non è sottomesso alla regola del solo dare e avere. Questo è
il progetto di Dio Padre che Gesù ci ha rivelato nella testimonianza
sulla Croce a Gerusalemme come il Crocifisso e da Risorto ogni giorno per
chi lo vuole accogliere.
Limpegno totale di Dio per insegnarci ad essere suoi discepoli non
a parole, ma con i fatti, non nella rassegnazione dellimpotenza, ma
nella testimonianza della Carità (amatevi come io vi ho amato) che
vince la morte già in questa vita con la sua misericordia ora è
anche nelle nostre mani per portare vita là dove le tragedie e gli
egoismi del mondo seminano morti ingiuste. Una fede incarnata
è bella perché si fa missionaria dellaccoglienza di
Dio il primo, mi piace pensare, missionario soffiando il suo Spirito.
Buon anno missionario a tutti per tutti
don Hervé
In alto i nostri cuori: sono rivolti al Signore (dicembre 2017)
Hanno una particolare forza queste due invocazioni che il sacerdote celebrante
con lassemblea vivono in questo fraseggio tanto intenso dopo lascolto
della Parola e lomelia.
Mi sembra importante richiamare questo nostro coinvolgimento comunitario
perché con esse iniziamo, dopo loffertorio, la parte più
intensa della santa messa.
Sicuramente la provate anche voi questa vibrazione profonda
che manifesta una volontà piena per proseguire nella celebrazione
della santa messa.
Queste parole, che esprimono l intensa partecipazione, hanno infatti
il desiderio di manifestare che la vita di ogni membro dellassemblea
e dellassemblea stessa, fatta da sorelle e da fratelli in Cristo (non
semplicemente da individui che assolvono ad un obbligo),
si mette in gioco totalmente.
Infatti l Assemblea vuole rispondere al celebrante, che offre a tutti
nientemeno che lorizzonte di Dio, con questa piena disponibilità
di vita:
-sono rivolti al Signore-.
Come tutti sappiamo la parola cuore biblicamente esprime tutta
la persona che vive quotidianamente nel suo riconoscere la sua appartenenza
al progetto di Dio.
Ognuno, come credente, sa infatti che la sua libertà non è
semplicemente manifestata dalla possibilità di scegliere, ma è
molto di più perché è poter vivere in comunione con
Dio. Unimmagine che può esprimere un po' la ricchezza e la
profondità di comunione può certamente essere quella di un
papà, di una mamma che chiamano a partecipare alla loro vita damore
i figli. Così, come un figlio è chiamato a condividere
lamore dei genitori, Dio ci chiama a vivere il suo Amore.
E quindi è con questa relazione di vita, con una profondità
commovente: in alto i nostri cuori; sono rivolti al Signore,
che lAssemblea dei fedeli simmerge per proseguire, dopo la liturgia
della Parola, nella liturgia eucaristica.
Fa senzaltro bene a tutti attualizzare sempre il valore delle parole
che ci scambiamo.
A volte, infatti, le parole rischiano di scivolare via come una ripetizione
di partitura, come qualche cosa di scontato lasciandoci
quasi passivi nel celebrare insieme la santa eucaristia.
Nellaffermare insieme che i nostri cuori sono rivolti al Signore
ci prepariamo a gustarne tutta la sua presenza che ci porterà
ad accoglierlo nella sua totale disponibilità nel farsi nostro cibo.
In questa intimità di vita, che il cibo manifesta, a
nostra volta diventiamo cibo per chi non ha ancora la gioia
di sapersi amato pienamente dal Signore. La nostra libertà si esprime
così compiutamente nel poter amare fino a dare la vita. Abbiamo bisogno
sempre damare questa immensa libertà della nostra vita quotidiana
per riabbracciare la nostra piena figliolanza con Dio.
Quale papà non desidera che il figlio o i figli possano
vivere nel reciproco amore, nella reciproca comunione? E proprio per questo
diventare donne e uomini di comunione, di vita.
Questa è infatti Vita e non quella delle divisioni, delle discordie,
degli egoismi che fanno a brandelli la quotidianità umana.
Come ben sappiamo solo questo amore genera veramente perché lamore
cresce con lamore.
Il cammino dellAvvento, in cui come Comunità ci sosteniamo
vicendevolmente, ci aiuti a lasciarci fare dalla vera libertà che
invochiamo insieme in ogni santa messa: in alto i nostri cuori, sono
rivolti al Signore.
E a tutti noi dunque buona ri-nascita, cioè buon Natale. don Ervé
Famiglia, Comunità, Famiglia (novembre 2017)
Eccoci allinizio del nuovo anno pastorale 2017-2018
nel quale il Signore ci apre sempre più allorizzonte del suo
AMORE che nel vangelo di Matteo, al capitolo 9 versetto 36 ss dice:
"Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché
erano stanche e senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: "La
messe è molta" ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone
della messe che mandi operai nella sua messe. Chiamati a sé i dodici
discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire
ogni sorta di malattia e infermità. I nomi dei dodici apostoli sono:
Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo
e Giovanni suo fratello, Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo, il pubblicano,
Giacomo di Alfèo e Taddèo, Simone il Cananéo e Giuda
l´Iscariota, che poi lo tradì. Questi dodici, Gesù li
inviò dopo averli istruiti.
. E strada facendo, predicate che
il Regno è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, guarite
i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente
date" .
E così, con una semplicità che ci affascina perché ci libera dalla priorità delle strutture per cogliere il valore di ogni persona, comincia la missione affidata alla Chiesa che, come ben sappiamo è anche chiamata: Famiglia di Famiglie.
Lungo tanti secoli di vita le Comunità dei credenti
non hanno mai abbandonato questo dono del Signore di essere suoi testimoni
nella relazione di comunione non ideale, ma incarnata nella
testimonianza della Santa famiglia di Nazareth. Così, anche dentro
tanti tradimenti scandalosi alla volontà di Gesù, che alcuni
suoi membri avevano vissuto o stanno vivendo, la Comunità cristiana
ha mantenuto fecondo il progetto del Signore. Anche noi cerchiamo nelloggi
di esserne testimoni con la nostra vita quotidiana che si nutre di Lui:
il Maestro.
Questa accoglienza del Signore, a volte affaticata e talvolta silenziosa,
ma feconda, ci viene incessantemente ridonata, giorno per giorno, dalla
presenza dello Spirito Santo: il Dio con noi, sempre.
Come dice lArcivescovo Mario: perciò
non si tratta di impresa umana, non di efficienza organizzativa,
non di un esercizio di potere, non di un regolamento né di una disciplina,
non di una tradizione
Ma tutto è possibile perché Dio
abita nella città.
Così, nella comunione con la Santa Famiglia anche la Comunità
dei discepoli del Signore vive del rapporto con il Signore (cfr. Ap
21,22ss).
E dunque è nella comunione con il Signore, come ci ricorda il passo
evangelico già citato allinizio, che anche noi, comunità
dei discepoli nella Chiesa (Famiglia di famiglie), siamo inviati alla messe
nella bellezza di sapere che la messe del Signore è il mondo intero.
Ai discepoli di tutti i tempi è così dato il motivo del loro
andare che non sarà per giudicare o dividere, ma per lavorare sodo
affinché tutta la messe possa ritrovarsi a casa
e non abbandonata a se stessa.
LArcivescovo dice ancora che: la Comunità dei discepoli
del Signore è il contesto in cui ciascuno riconosce che la sua vita
è una grazia, una vocazione, una missione. Ogni proposta pastorale
deve avere come obiettivo laiuto perché ciascuno trovi la sua
vocazione e la viva nelle forme che lo Spirito suggerisce, quindi nella
pluralità delle forme associative e dei percorsi personali
La comunità degli adulti infatti deve pensarsi come comunità
educante.
(n.4.2)
Come già sapete, nella conclusione della visita pastorale feriale
che abbiamo ricevuto, lArcivescovo ha chiesto alla nostra Comunità
(Domo e Porto) di mantenere come priorità dellazione pastorale
la centralità della famiglia perché soggetto pastorale irrinunciabile.
Io ritengo infatti che la Chiesa del Signore debba, nella grazia dello Spirito,
costruirsi sempre come Famiglia di famiglie nella quale la priorità,
che il Signore domanda, è laccoglienza corresponsabile nel
suo nome.
La famiglia, normalmente, è così un irrinunciabile luogo
evangelico di questo educarsi allaccoglienza corresponsabile
che permea certamente tutti i battezzati, ma nella famiglia è come
il sacramento della comunione in Cristo, che esprime concretamente
il progetto di Dio per la sua messe: il mondo.
La naturale corresponsabilità di vita familiare è per questo
un luogo privilegiato per la formazione degli operai del Signore:
la comunità dei credenti.
don Ervé
La messe è molta (ottobre 2017)
"Gesù diceva loro: "La messe è molta, ma gli
operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi
operai per la sua messe" (Lc 10,2).
Questa frase, che Gesù testimonia ai suoi discepoli di tutti i tempi,
è come un'immersione nel "mare della speranza evangelica".
E' anche la consapevolezza per ogni comunità credente che la messe
è molta, cioè che tante sorelle e tanti fratelli (la messe)
"aspettano" che gli operai del vangelo (i battezzati) lavorino
al suo servizio. Si, perché il simbolo della messe ci anticipa e
ci fa capire che l'umanità appartiene alla "messe" e "la
messe", in quanto tale, dice che nessuno va scartato perché
è parte della "messe" di Dio. E così il Signore
Gesù, con l'immagine ricca della suggestione dell'abbondanza della
messe, ci coinvolge chiedendoci di pregare non tanto per impietosire Dio
Padre, ma per vivere con Lui la sua stessa passione che Gesù ci testimonia
fino al dono della sua vita. Come per ogni contadino la messe "vale",
tanto più i figli di Dio allora valgono agli occhi e al cuore di
coloro che desiderano "servire", guidati da Maria, Dio. Questa
"passione" di Dio per la "messe" ci coinvolge e si realizza
in particolare nella celebrazione dell'Eucaristia nella quale nutriti della
Parola di Dio e dal suo Corpo, vogliamo lasciarci plasmare da Lui per essere,
a nostra volta, suoi testimoni. Infatti Gesù, che mostra il suo amore
per tutti, ci domanda con l'a tu per tu eucaristico, personale e comunitario,
di vivere tutto ciò con pienezza dicendoci, nel suo dono totale:
fate questo in memoria di me, ma con Lui, per Lui e in Lui.
Questa consapevolezza di comunione del credente, come dice lo stesso Gesù
nell'inviare i discepoli come "agnelli in mezzo ai lupi", non
si nutre delle proprie forze, ma è fondata su Gesù Cristo
come la "casa" evangelica è fondata sulla roccia. La bella
e sapiente parabola ci pone infatti nel mondo "senza favoritismi",
ma come testimoni della salvezza dentro le vicissitudini di questo mondo
e quindi come "operai della messe". Per questo non sarà
mai possibile per un operaio del Vangelo "disprezzare" l'altro,
ma con la Grazia di Gesù, cercare quotidianamente di essere portatore
della vita vera che come "agnelli in mezzo ai lupi" ne sono testimoni.
A volte, noi credenti, ci lasciamo attirare solo dagli ambienti che ci "danno
consolazione" e rischiamo così di non lavorare come operai della
messe, ma di cercare comodità per noi. La sabbia della parabola ci
dice infatti che è più facile "scavare" e costruire
lì senza più affidarmi alla Grazia. Gesù ci dice che
tutto "cadrà" non per spaventarci, ma per non faticare
invano perché abbiamo costruito su di noi e non in "seno"
alla Comunità del Signore che è chiamata a "pregare"
perché si sia sempre disponibili a diventare "operai" per
essere inviati alla messe abbondante.
In questo mese missionario lasciamoci allora plasmare dalla volontà
del Signore con l'aiuto materno della Vergine Maria che, dentro una "missione
impossibile" per lei, chiede che sia fatta in lei la volontà
di Dio a servizio di tutti dove i "primi fra tutti" sono proprio
quelli (i lupi) che, per la presunzione orgogliosa di valere non fanno comunione,
ma divisione.
Ci può aiutare in questo rinnovamento continuo del nostro essere
discepoli di Gesù la santa Madre Teresa che rimanendo "agnello"
in mezzo ai lupi ha ridato coscienza ai "lupi" del valore dell'altro
e in particolare di colui che è stato già scartato dal mondo
come l'immagine in copertina ci mostra.
Detto questo però non basta se non scegliamo di "agire"
secondo il Vangelo anche nella nostra Unità pastorale a partire dalla
santa Messa non solo come obbedienza al precetto, ma prima di tutto come
"nutrimento" personale e comunitario per pensare e vivere progetti
di servizio.
Chiediamo concretamente, nella preghiera intima e comunitaria a Dio di aiutarci
a vivere progetti di servizio "incarnati" nella nostra quotidianità
che ci permettano di testimoniare di essere "operai" della sua
messe.
don Ervé
Forse con tutti gli slogan, che la pubblicità dei
vari "divi del momento" ci propina per la sua soluzione commerciale"
della vita, può sembrarci poco significativa la nostra ricchezza
di vita cristiana che afferma come: tutti siamo chiamati alla vita per vivere
nell'orizzonte di Dio.
E' facile, ancora oggi, facendo riferimento alle realtà storiche
dei nostri campanili che, punteggiando da secoli le nostre valli, con il
suono delle campane, ci hanno testimoniato questa nostra realtà umana
che annuncia, per grazia, la sua comunione eterna con il Dio che è
Padre, Figlio e Spirito Santo.
Da secoli, le nostre chiese, che ci stanno profondamente a cuore, sono il
bell'annuncio quotidiano dell'amore eterno nel quale Dio ci ha chiamato
a condividere il suo progetto di vita:
"amatevi come io vi ho amato".
I nostri predecessori hanno mantenuto "alta", per fede, questa
comunione con Dio attraverso tradizioni che affondano le proprie radici
proprio in questo legame di vita e di riconoscenza con il Signore del cielo
e della terra e con tutti i suoi santi.
Infatti questa profonda eredità spirituale, che ci è stata
trasmessa con la ricchezza della tradizione alimentata dalla fede, caratterizza
ancora oggi tante nostre scelte di vita quotidiane.
Ai nostri giorni però, questa ricca eredità spirituale, la
"vediamo" minacciata dall'invadenza dell'individualismo che spinge
a lasciare le chiese e i campanili come presenze solo storiche-architettoniche
del passato.
Ci si accorge di questa mentalità staccata dallo "sguardo al
cielo" anche durante le feste patronali nelle quali sono molto vissute
le tavole imbandite e molto meno i banchi della preghiera. Certamente il
calore delle relazioni umane non manca, ma il riferimento al Santo che dà
il nome alla festa rimane molto sullo sfondo. Anzi l'impegno per l'accoglienza
"nutritiva" è così impellente che spinge a delegare
a pochi la responsabilità di ringraziare il patrono nella preghiera
come è la santa messa per la quale il patrono di "turno"
si nutri per saper amare pienamente con la sua vita di testimone. Basta
fare memoria della Vergine Maria a cui siamo tanto devoti, di san Giorgio,
di san Genesio, di san Luigi, di san Rocco, di san Michele, ecc..
Ma ecco che oggi, forse, è più facile che i pro-pronipoti
delle "generazioni", che avevano voluto slanciare verso il cielo
il ringraziamento a Dio Padre per la sua meravigliosa misericordia, rischiano
di ricordare solo il nome del patrono legato a manifestazioni di pranzi
e cene che abbondano piacevolmente.
E' pur vero che ciascuno vede le cose dal suo punto di vista, ma se il nome
della festa è legato al nome di un santo potrebbe essere plausibile
vederlo anche al centro della medesima festa come si fa normalmente quando
si festeggia il compleanno di una persona amata. La persona amata diventa
infatti il "centro" di molte premure e attenzioni proprio perché
è grazie a lei che si fa festa, che ci si scambia doni, che s'invitano
gli amici e i vicini.. ..
Tutto infatti vuole celebrare la presenza del festeggiato. Le mamme e i
papà, i nonni e gli zii si preparano per tempo per "circondare
di gioia" il festeggiato, tanto caro al loro cuore.
Ciascuno vuole esserci proprio per ringraziare con quello che si può
e si desidera donare.
Sante mamme e papà, santi nonni e nonne che saprete sempre aprire
gli orizzonti dei vostri figli e nipoti al "cuore" delle feste
patronali sapendo mettere al centro di esse la vita gloriosa e misericordiosa
dei santi.
Campanili e chiese saranno così "consegnati" nelle loro
mani al fine di perpetuare e arricchire la gioia della festa dei "patroni"
per la vita quotidiana.
don Ervé
FESTE PATRONALI: "Via" alla missione dell'accoglienza in Cristo (agosto 2017)
Da quasi tre anni il Signore, nella Chiesa di Milano, dopo
il servizio alla Chiesa nel Niger, mi ha dato la grazia di essere contemporaneamente
parroco delle due parrocchie di Domo e di Porto entrambe dedicate alla Vergine
Assunta e unite tra loro nellunità pastorale.
Grazie a questo cammino sempre più sto scoprendo, con
il mio ministero al servizio del cammino dell unità, la sua
ricchezza e le sue tentazioni .
Spesso ho parlato infatti, e spero anche di aver vissuto, della vita affascinante
di corresponsabilità che questa esperienza in una unità pastorale
ci offre tanto che, a volte, ho provato delusione per le scelte di coloro
che non colgono questa bellezza del cammino di fede nonostante gli anni
che hanno già vissuto in questa realtà pastorale.
Come sappiamo luomo della strada, su questo, è
spesso sferzante perché non comprende come coloro che sono chiamati
ad amarsi nel Signore, attraverso la concreta vita quotidiana,
possano disinteressasi gli uni degli altri o addirittura ferirsi.
Certamente queste scelte non possono dare vero volto alla festa patronale
perché portano in sé la divisione che si esprime con la distanza
di fraternità alla quale invece la Vergine Maria vuole condurci.
Anche il grande apostolo Giacomo scriveva in una delle sue lettera alle
sue comunità: come fai a dire che ami Dio che non vedi se non
ami il fratello che vedi e aggiungo io, che Lui stesso ti ha messo
accanto perché questa è il dono che Dio ci fa giornalmente:
testimoniare insieme nella diversità dei talenti-.
Dobbiamo però anche testimoniare che, nei percorsi seri di verifica
della nostra fede in Lui, si sono costruiti tanti cammini di accoglienza
che ci hanno toccati profondamente perché manifestano la testimonianza
della sua volontà che già ai primi discepoli diceva: siate
una cosa sola come io sono con il Padre.
Mi aiuta a comprendere la bellezza della vita evangelica di corresponsabilità
delle nostre Comunità la vita normale di tantissime famiglie che
nei compleanni di qualsiasi loro familiare si prodigano per far festa con
il cuore anche quando le risorse materiali sono poche. Al festeggiato ci
si fa vicini offrendogli una giornata di gioia e di quella comunione
ricca di attenzioni vissuta nella famiglia. Molto di più dovrebbe
dunque essere un motivo per far festa per coloro che sono pietre vive
della famiglia di Dio. Essa infatti è generata a prezzo del
dono totale del Figlio di Dio per la grazia dello Spirito Santo perché
sul territorio possa manifestare questo progetto damore nella reciproca
accoglienza reciproca aperta a tutti.
Si, secondo me, secondo la mia fede, secondo il mio ministero non può
essere che così, altrimenti non è più il Signore Dio
il mio Pastore, ma nel bene e nel male mi guidano solo i miei sentimenti.
Essi sono fabbricati dal mio desiderio e non dalla conversione, essi sono
troppo terreni per essere materni e paterni i quali, come ben sappiamo,
domandano di dare la vita perché solo lamore è strada
feconda di libertà umana che lascia al Signore di farci suoi discepoli.
In mezzo alle due feste patronali allora abbiamo il dono, la gioia e la
responsabilità dellaccoglienza dellaltro perché
con noi mostra la famiglia di Dio incarnata come Gesù
e la mamma Maria ci chiedono, accompagnandoci giorno per giorno, di vivere.
Lultima esperienza vissuta attorno alla Madonna pellegrina di Fatima
aveva precisamente questo desiderio di Comunione di fronte alle tante scelte
individualistiche di relazione di vita quotidiana che il mondo
propone.
Ho scritto questa mia testimonianza nei miei giorni di vita in ospedale per loperazione ad un anca. Lì ho compreso ancor meglio questa bellezza del cammino di fraterna comunione mentre vivevo il tempo per stemperare il dolore dellintervento attraverso la gioia, che si fa lacrime di ringraziamento, di poter servire due comunità nel Decanato di Luino solo perché, come chiede il Signore a ciascuno, si possa vivere e testimoniare la bellezza dellaccoglienza della volontà di Dio nella quotidianità familiare, lavorativa, di riposo e di festa, di dolore o di abbandono... affidandoci alla fede che sostiene i dubbi, che rimargina i tradimenti, che riprende cammini interrotti per vanità, orgoglio o rigidità umana. Nella fecondità della fragilità di quei momenti di fatica ho potuto così rinnovare il mio si alla bellezza della corresponsabilità pastorale di cui sono umile, ma spero tenace servitore nelle nostre due parrocchie perché camminino sempre più per esserne insieme testimoni nel mondo che vive con noi e in noi. don Ervé
IO SONO IL PANE DISCESO DAL CIELO (luglio 2017)
Questa testimonianza di Gesù, incastonata nel discorso nella sinagoga
di Cafarnao, ci permettere di comprendere a quale intimità il Signore
ci dona di vivere aiutandoci così a riscoprire il primato di ogni
persona nel disegno d'amore totale di Dio. Gesù, da sempre, aveva
mostrato, con tutta la sua vita, ai suoi discepoli il "volto"
misericordioso di Dio chiedendo di lasciarsi guidare dalla sua presenza
viva e operante nelle comunità cristiane chiamate a seguirlo a servizio
di tutti.
La solennità del Corpus Domini né è una testimonianza
ancora attuale con la quale continuiamo ad accoglierlo con vigore soprattutto
ora nelle terribili umiliazioni che tanti fratelli e sorelle subiscono in
tantissime situazioni di vita nel mondo. Violenze di guerra, di egoismi
che generano tradimenti della dignità di ogni persona lasciando spazio
all'individualismo emancipato a scapito della solidarietà che valorizza
la vita del mondo. L'irresponsabilità nella cura del bene del prossimo
ci pone quotidianamente dentro scenari di sofferenze inumane. Dalla Croce
Gesù però ha mostrato l'unica via che salva: vivere come per-dono.
Egli consacra questa scelta con cui chiede al Padre il per-dono di coloro
che, uccidendo, non sanno veramente quello che fanno cioè che possano
ri-scoprire la loro dignità autentica: vivere come DONO. Questa vera
realtà di vita è davanti ai nostri "occhi" grazie
a una folla immensa di mamme e padri che non solo danno la vita, ma si donano
pienamente perché questa vita arrivi a "compimento".
Gesù, che personalmente ha vissuto nelle scelte di violenza contro
di lui, non ha mai avvallato la violenza, ma ha sempre mostrato la via perché
non sia mai la violenza (o il buonismo) a gestire le relazioni.
Di fronte alle atrocità di cui, quasi in tempo reale, siamo messi
crudamente al corrente o peggio anche coinvolti, Gesù indica ancora
oggi la strada della testimonianza del "dono" contro ogni atrocità.
Ed è la strada che attinge al "diritto inalienabile" ad
essere persone e che per questo riconosce sempre il valore dell'altro agendo
perché si vivano scelte: personali, comunitarie, mondiali che impediscano
di umiliare la propria vita e la vita degli altri con la violenza come via
di risoluzione dei possibili "conflitti".
E' la strada umana della vita nella quale Gesù ci rende "capaci
di esserci" per vivere la nostra quotidiana testimonianza al fine di
lavorare, con tutte le nostre forze, per il diritto della dignità
di ogni persona.
Nella richiesta di per-dono, compiuta da Gesù sulla croce del Calvario,
la bestialità delle cattiverie umane non è stata avvolta dal
perdonismo benpensante, tutt'altro, ma dalla necessità di vivere
come testimoni del valore di ogni persona soprattutto quando questa è
"drammaticamente smarrita" e non agisce più secondo la
sua umanità e si lascia condurre dagli egoismi che la narcotizzano
in un crescendo disastroso di cieca vanità. Qui e sempre dobbiamo
essere testimoni della nostra piena umanità senza lasciare spiragli
agli egoismi o alle paure che soffiano nei nostri cuori.
La perdita della propria umanità a volte è un processo non
sempre violento, ma avviene anche quando ci si lascia sedurre dal calcolo
solo individuale nelle relazioni o da relazioni chiuse sul proprio mondo.
Non vedo più l'altro, ma solo i miei amici o gli antagonisti.
La festa "del Corpo e Sangue di Cristo" possa sempre sostenerci
per "farci vivere come comunità in uscita" per essere,
nella nostra scelta quotidiana di vita, dei testimoni della dignità
di ogni persona.
don Erve
SPUNTI DA UN'OMELIA DI GESU' (giugno 2017)
Quel giorno, nel viaggio verso Cafarnao l'evangelista Marco ci riferisce
che Gesù parlava con i suoi discepoli: "Istruiva infatti i suoi
discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato
nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre
giorni, risusciterà".
Proponeva loro lo stile di vita per crescere come discepoli, ma: "
Essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.
(Mc 9,31-33)
A Gesù non era sfuggita questa "lontananza" nell'accogliere
la sua proposta di vita tanto che, continua l'evangelista, quando giunsero
a Cafarnao ed entrarono in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate
discutendo lungo la via?". Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano
discusso tra loro chi fosse il più grande.
L'evangelista fa tranquillamente emergere la dissonanza tra il progetto
di Gesù e le attese dei suoi discepoli.
Per loro infatti, per la logica mondana dell'importanza dell'uno rispetto
agli altri, (un'abitudine che non cessa mai di intossicare le relazioni
tra le persone anche nell'oggi dei discepoli), molto probabilmente l'idea
della responsabilità del "servire" finiva con il disprezzare
lo stesso servire perché lo faceva diventare presunzione sul prossimo:
"chi era il più grande" dando per scontata la logica del
"comando".
Ma Gesù, capito l'errore dei suoi "sedutosi, chiamò i
Dodici e disse loro: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di
tutti e il servo di tutti". E, preso un bambino, lo pose in mezzo e
abbracciandolo disse loro:
"Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi
accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato".
Spesse volte Gesù, nei suoi "incontri" con la gente e con
i suoi discepoli, ha testimoniato il suo messaggio d'amore "mettendo
al centro" i "piccoli".
La regola di Gesù è quindi accolta e vissuta dando accoglienza
a chi è "più piccolo", a chi ha bisogno di essere
amato perché da solo non ce la farebbe a vivere. Lo sanno benissimo
le mamme e i papà che amano i loro piccoli.
Così Papa Francesco sprona le Comunità cristiane ad essere
come ospedali da campo, dove si fa il possibile per accogliere e offrire
aiuto a chiunque è bisognoso.
Mi piace, per concludere,far mia questa frase di un autore del quale non
ricordo il nome, ma che è rimasta impressa nel mio cuore:
"Accogliere, è il verbo che genera il mondo come Dio lo sogna.
Il nostro mondo avrà un futuro buono quando l'accoglienza, tema bruciante
oggi su tutti i confini d'Europa, sarà il nome nuovo della civiltà.
ALLARGARE GLI ORIZZONTI (maggio 2017)
Molti di noi hanno nella loro memoria di fanciulli, e non
solo, le serate del mese di maggio quando si aspettava con una certa ansia
la sera per partecipare al "mese di maggio". La bellezza della
tradizione, che i parenti avevano messo nel nostro cuore con la preghiera
comunitaria del santo Rosario, ci accomunava, come una carovana d'amici,
sera dopo sera, nelle vie parrocchiali. Così, nel risvegliarsi della
natura con la sua atmosfera ricca di nuova vita che le tante piccole lucciole
manifestavano nel loro apparire improvviso e fiabesco ci aprivamo in modo
intimo e comunitario alla ricchezza del mistero dell'amore materno di Maria.
Lei, che per prima aveva accolto il dono totale di Dio che le chiedeva d'essere
"madre", ci prendeva per mano facendoci accogliere con trepidazione,
a nostra volta , l'incarnazione di Dio in noi nella semplicità della
preghiera dell'Ave Maria.
Beati i nostri parenti che, stanchi delle loro intense giornate di lavoro,
ci prendevano per mano accompagnandoci a vivere le prime "offerte"
della nostre piccole vite di credenti insieme agli adulti del paese che
ci affidavano la luce dei flambeaux quasi per incoraggiarci ad affidarci
ancora più intensamente alla maternità di Maria. I "grandi"
portavano gli stendardi che noi bambini sognavamo già di poter portare
a nostra volta quando gli anni ci avrebbero resi adulti. E così guidati
comprendevamo che Maria si "faceva mamma" di ciascuno di noi nella
semplicità della testimonianza dei nostri Cari. Davvero questa era
una catechesi affascinante e coinvolgente, per me sicuramente una delle
più belle, perché "scritta" con "parole di
vita familiare e fraterna".
Anche quest'anno, nel solco delle nostre tradizioni, usciremo sulle nostre
strade per rinnovare in noi, personalmente e comunitariamente, l'accoglienza
a Maria. Con la preghiera del santo rosario presso quei luoghi che possono
aiutare a testimoniare una fede vissuta nella quotidianità, perché
situati nel cuore delle case, delle frazioni, continuiamo a chiedere di
essere partecipi, con autenticità e umiltà, al disegno d'amore
materno che la mamma di Gesù e madre nostra Maria continua ad offrirci
per rendere "piena" la nostra vita umana.
A dare significato e spessore alla bellezza della nostra umanità,
che nel Signore Dio ha trovato la sua fonte, in questo mese di maggio vivremo
anche le sante 40 ore. Questo "spazio di conversione e rinnovamento"
dei nostri rapporti umani alla scuola di Gesù Cristo che "non
considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza a Dio, ma spogliò
se stesso fino alla morte e alla morte di croce..." ci offrirà
e c'immergerà in una contemplazione della totalità della sua
passione per ogni persona. Riscoprirci appassionatamente e gratuitamente
amati da Dio ci aiuterà a rinnovare in noi lo stile di Dio che ci
è proprio perché chiamati alla vita per essere partecipi per
sempre della sua Vita divina.
A volte, infatti, questa nostra realtà umana è manipolata
dalle pseudo culture umane, come ad esempio quella dell'individualismo,
che fanno della separazione un bene per la persona. Ma ogni chiusura è
come un'offesa alla dignità della persona che nella sua stessa caratteristica
corporea si manifesta concretamente come una costante necessità di
relazione positiva contro ogni teoria di separazione. Con il nascere "entriamo"
nel cammino umano che si costruisce nella continuità del "ricevere
e del donare" affinché ogni "talento" della persona
possa trovare vita e compimento.
Così mi sembra possibile concludere che nella centralità della
famiglia naturale, con le sue caratteristiche di fecondità e di educazione
all'accoglienza e al dono, si manifesta l'appartenenza di ogni persona alla
passione della Santissima Trinità che in Cristo, da sempre ci ha
voluti figli di Dio cioè capaci di amare e di essere amati.
don Hervé
la vita "NUOVA": la PASQUA di GESU' (aprile 2017)
Ricorreva la Pasqua ebraica e Gesù,... "venuta
la sera si mise a mensa con i Dodici. Ora, mentre essi mangiavano, Gesù
prese il pane e pronunziata la benedizione, lo spezzo e lo diede ai discepoli
dicendo: Prendete e mangiate questo è il mio corpo...."
Con questo avvenimento, secondo l'evangelista Matteo, Gesù pone i
suoi discepoli dentro la nuova Alleanza che egli fonda su se stesso.: "prendete
e mangiate questo è il mio corpo".
Sicuramente era stato un momento particolarmente intenso per gli Apostoli,
"abituati" dalla Pasqua ebraica a vivere l'alleanza con Dio attraverso
la tradizione, ma certamente non avevano ancora compreso il dono ricevuto:
totalmente intimi con Dio e quindi il radicale cambiamento a cui erano chiamati
a vivere con Dio e tra di loro.
Da quella sera, con la celebrazione della vita nuova, la prima santa messa
o la nuova Alleanza, erano chiamati a celebrare per sempre la Pasqua nel
"corpo e sangue di Cristo" vivendo il "compimento" dell'Alleanza
mosaica.
Fino a quella cena, il motivo della celebrazione della Pasqua con il Dio
di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Mosé
era quello di mantenere
viva la consapevolezza di essere il popolo eletto, separato.
Ma, nonostante questa "nuova e definitiva alleanza", nelle ore
che seguirono i discepoli, che si erano trovati immersi in questa disponibilità
d'amore totale di Gesù, il Cristo, non seppero accettarla. Anzi vivranno
un rifiuto netto e totale a seguire il Maestro. Questo rifiuto era già
emerso nella scelta di Giuda, ma poco dopo prenderà anche il cuore
e la vita di tutti gli altri.
Tutto questo sarà evidenziato e non taciuto dagli evangelisti, in
modo dolorosamente forte, con la narrazione del triplice tradimento di Pietro.
La Parola di Dio riporta inoltre che l'incomprensione più totale
di questa nuova alleanza si diffuse a macchia d'olio nella vita di tutti
coloro che si erano fatti discepoli e discepole di Gesù.
Fatti eclatanti non ci furono risparmiati dagli evangelisti che non intesero
nascondere questa sfiducia totale nella nuova ed eterna alleanza in Gesù,
il Cristo.
Ricordo per esempio la testimonianza dei due discepoli di Emmaus che amaramente,
ma anche candidamente testimoniarono: "speravamo che fosse Lui",
ma, per dirla brevemente questa loro crisi di profonda delusione, ... l'hanno
ucciso.
Poi l'avvenimento incredibile che è anche la radice della nostra
fede: la Risurrezione di Gesù e in Lui la vittoria definitiva sulla
morte e sulla crudeltà degli uomini.
Con il dono dello Suo Spirito, il Risorto "aprirà" i suoi
discepoli alla comprensione del vero orizzonte della vita umana: la Vita
eterna.
Fu così che gli apostoli, con i discepoli di ogni epoca, avendo finalmente
rotto con il loro protagonismo e affidandosi pienamente a Lui, avevano cominciato
a vivere la nuova ed eterna Alleanza in Gesù, il Cristo di Dio Padre,
anche a prezzo della loro stessa vita.
L'amatevi come io vi ho amato diviene così realtà quotidiana
per tutti coloro che accolgono di fare Pasqua in Gesù Cristo.
Allora buona Pasqua anche a ciascuno di noi perché, sostenendoci
con la vicendevole testimonianza, diventiamo per il mondo eucarestia di
Dio per il prossimo.
don Hervé
non viviamo da soli (marzo 2017)
Il mese scorso avevo messo in evidenza la volontà di Gesù,
consegnata a tutti i suoi discepoli: "diventerete un solo gregge, un
solo pastore" nella sua concreta realizzazione espressa nell': "andate
in tutto il mondo e fate discepoli tutte le nazioni" guidati però
dall': "amatevi come io vi ho amato".
Dicevo inoltre che l'orizzonte di Gesù, nel quale anche ogni discepolo
viene totalmente coinvolto, è la ricchezza della missione perché:
"la messe è molta
".
Vorrei questo mese valorizzare ancora questo dono del vivere la corresponsabilità
missionaria che Gesù fiduciosamente ci affida come "volto"
della nostra fede quotidiana che, liberandoci dalla prigione del "privato",
c'immerge nella "famiglia" di Dio Padre . Ora "sentire"
il profumo di questa Missione che per Gesù vive nella nostra quotidiana
partecipazione alla sua volontà d'amore è possibile a tutti.
Papa Francesco ci ha messo in guardia dal rischio che, "di fronte alle
avversità, potremmo rimanere - parcheggiati- o pigri, senza la voglia
di andare avanti
E purtroppo, diceva, ce ne sono di cristiani parcheggiati
.i
cristiani che non lottano per fare le cose che cambiano, le cose nuove,
le cose che ci farebbero bene a tutti
e quando dico cristiani parcheggiati
dico laici, preti, vescovi...". Ora la nota espressione: "vive
nel suo mondo" come ben sap-piamo è ampiamente usata quando
incontriamo delle persone che si limitano a dare ascolto a se stesse. Una
parabola che Gesù ha raccontato ai suoi discepoli, (conosciuta come
la parabola del figlio prodigo o molto meglio annunciata come quella del
Padre misericordioso), mette bene in evidenza questa "malattia del
se stesso per se stesso". Ogni persona, nella sua vita familiare, che
è la culla dell'imparare a vivere in relazione, è aiutata
a crescere facendosi prossimo fino ad "uscire" di casa per "fare
famiglia" dando cosi "volto nuovo" alla stessa famiglia d'origine
che allarga volutamente i suoi orizzonti. Questo: "fare famiglia"
in Gesù, come dicevo, acquista orizzonti di vita fraterna grazie
alla sua forza d'amore misericordioso tanto che è la nostra comune
vocazione ricevuta nel sacramento del Battesimo. Ora stiamo per iniziare
il "cammino della quaresima". Esso ci è dato proprio per
questo: "allargare il nostro cuore" secondo la volontà
di Dio Padre che tante volte invochiamo perché sia fatta in noi.
Perché non chiedere (suggerisco umilmente) la grazia di saper fare
famiglia secondo la sua Parola. La tentazione di vivere solo nel "nostro
mondo" sarà certamente sconfitta "ritornando a casa",
come il figliol prodigo che rientrò in se stesso, lasciandoci guidare
dalla conversione alla volontà di Gesù che ci propone: "...avevo
fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero profugo
e mi hai accolto
." (Mt 25 35ss)
... diventerete un solo gregge ... un solo Pastore (febbraio 2016)
Con il dono del Battesimo a 12 nostre sorelline e fratellini: Alessandro,
Aurora, Bianca, Emily, Emma Gianna, Enea, Ettore, Mattia, Natalie, Sebastian,
Thomas, Virginia,
che nella piena disponibilità dei loro genitori abbiamo vissuto nella
nostra Unità pastorale, ci siamo ancora una volta resi concretamente
conto che il Signore continua ad offrirci il suo amore per "offrirlo".
Nella frase evangelica, che fa da titolo a questa piccola riflessione, è
bellissimo comprendere che la volontà del Signore Gesù è
tutta protesa a "farci" persone di comunione: "diventare
un solo gregge". Questa particolare immagine del gregge, con lo sfondo
del Duomo di Milano e il riquadro della messe abbondante, ci aiuta anche
visivamente a comprendere che la sua volontà d'amore è per
tutti dentro una storia di vita concreta, personale.
Inoltre nella parola evangelica di Giovanni "il gregge" è
particolarmente caro al "pastore" tanto che Gesù viene
chiamato: "il buon pastore che dà la sua vita per le pecore"(
cfr. Gv. ). Ma quello che entusiasma e nello stesso tempo ci fa cogliere
la dinamica missionaria della nostra fede (essere discepoli e pastori) è
che lo stesso Gesù non ci vuole solo pecore, ma con Lui anche pastori.
Proviamo infatti a com-prendere le parole di Gesù: "diventerete
un solo gregge, un solo pastore" collegandole con le sue parole della
missione consegnata ai discepoli di tutti i tempi: "andate in tutto
il mondo e fate discepoli tutte le nazioni". Già nel precedente
notiziario avevamo compreso l'orizzonte di Gesù nel quale anche ogni
discepolo viene coinvolto: "la messe è molta
" Da
queste scelte di Gesù emerge facilmente la consapevolezza che ogni
battezzato è chiamato ad essere testimone della sua comunione con
Dio solo se vive anche il "servizio della sua fede" per tutti.
Come dice papa Francesco, avere così "orizzonti aperti alla
speranza. Anche di fronte alle avversità nessuno deve rimanere- parcheggiato-
o pigro, senza la voglia di andare avanti
E purtroppo, ce ne sono
di cristiani parcheggiati
.i cristiani che non lottano per fare le
cose che cambiano, le cose nuove, le cose che ci farebbero bene a tutti
e quando dico cristiani parcheggiati dico laici, preti, vescovi...".
No! Il progetto di Gesù è invece proprio quello di vivere,
nella tradizione della fede, la continua accoglienza che la stessa fede
in Gesù ci domanda affinché si sia nella sua volontà:
" un solo gregge, un solo pastore". Tutto questo in un mondo che
cambia e che per questo ha bisogno sempre della luce della fede per l'oggi
che vive nuove sfide di vita quotidiana. Per questo che, nella sua grazia,
anche a ciascuno di noi, nella nostra Unità pastorale e nessuno escluso,
è donato di viverne la corresponsabilità missionaria attraverso
la nostra vita quotidiana. E' la vita quotidiana infatti che dà volto
alla nostra fede liberandoci dalla prigione del "privato" nella
quale il pensiero individualistico imperante vorrebbe confinarci. E' significativo
allora fare sempre nostra la corresponsabilità educativa alla fede
che l'immagine delle mani qui sopra esprime con sentimento e grazia; nel
Signore con affetto don Hervé
Presentazione del Calendario annuale FAMIGLIA AL CENTRO - 2017
Grazie alla grande disponibilità del gruppo buona
Stampa, vissuta da anni e ad ogni mese, è portato nelle nostre
famiglie, via per via, il notiziario parrocchiale. Questanno
questi preziosi volontari hanno accolto limpegno di portare di
casa in casa anche il nostro bel calendario parrocchiale che è
stato dedicato alla famiglia per la sua straordinaria importanza nella vita
quotidiana. Con la sua presenza, di casa in casa, il calendario ci potrà
accompagnare durante tutto il 2017 offrendoci anche il sogno
di continuare a guardare alla FAMIGLIA come il CENTRO della
vita umana, sociale, politica. La sua fondamentale importanza lha
ribadita Papa Francesco con la sua esortazione apostolica post-sinodale:
Amoris laetitia. Così ad ogni mese dellanno abbiamo
pensato di affidarne una piccola parte per rendercela più familiare
e in tal modo invogliarci a leggerla tutta. Riportiamo ad esempio il breve
passo che compare nel mese di Gennaio, dove il Papa sottolinea come La
Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore
e di crisi familiari, fin dalla prima pagina, dove entra in scena la famiglia
di Adamo ed Eva, con la sua ricchezza damore, il suo carico di violenza,
ma anche con la forza della vita che continua, fino allultima pagina
dove appaiono le nozze della Sposa e dellAgnello.
In loro si realizza quel disegno primordiale che Cristo stesso evoca con
intensità: «Non avete letto che il Creatore da principio li
fece maschio e femmina?».
(da "Amoris laetitia" di Papa Francesco, 2016)
Tutto questo sapendo che: (da "Evangelii gaudium"
di Papa Francesco, 2013) La gioia del Vangelo riempie il cuore
e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che
si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal
vuoto interiore, dallisolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce
e rinasce la gioia.
Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente
offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce
dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali,
dalla coscienza isolata.
Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare
oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno,
a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni
giorno senza sosta. Buon anno don Hervé
Annunciate una grande gioia (gennaio 2017)
Nel notiziario di dicembre "accoglievamo", nella
fede in Gesù, la comune corresponsabilità di riconoscerci
scelti e mandati ad "ogni persona" con il significativo esempio
di Gesù che diceva ed ancor oggi dice: "la messe è molta".
Come dicevamo con quella immagine agricola Gesù aveva fatto comprendere
ai "suoi" discepoli, di ogni tempo e luogo, che ogni persona appartiene
alla "messe" che è già "matura" e per
questo già "degna" di essere portata nel "granaio".
Ed eccoci all'avvenimento della Notte di Natale che con semplicità
ribadisce che a tutti, proprio a tutti, è data la possibilità
di annunciare e di vivere la corresponsabilità dell'Amore di Dio
per ogni persona. Nel chiederlo prima di tutto a dei pastori che, per l'odiosa
mentalità del loro tempo, erano considerati degli schiavi, cioè
dei senza nome e senza casato tanto che non avevano dovuto "andare
a farsi registrare" per il censimento voluto dai così detti
grandi della terra, ci è dato di comprendere che tutti hanno il dono
dell'annuncio e della testimonianza.
Così prende il via l'immensa "folla dei testimoni" del
Vangelo. Così, prima ancora dei "discepoli accreditati",
l'Amore di Dio, che è per tutti, dona la grazia ad essere fecondi
annunciatori di Gesù a dei poveri schiavi del tempo. Proprio con
chi non aveva nessun titolo per poterlo fare, secondo la mentalità
del mondo di ieri e di oggi, Dio afferma che ogni persona ha la dignità
di essere testimone della "buona novella: "..oggi è nato
per voi il Salvatore che sarà di tutto il popolo
(poi) ..i
pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che
avevano udito e visto, com'era stato detto loro" (Lc. 2,11...20)
I Pastori non si sono nascosti dietro la loro situazione di emarginazione
sociale perché si erano resi conto della "novità assoluta"
della salvezza annunciata. Non potevano più obbedire agli uomini,
ma a Dio. Ed ecco che la gioia del Natale prende la "strada" per
raggiungere ogni persona contro ogni divisione o superbia della vita sempre
pronte ad avvelenare i rapporti umani. Così anche a noi è
data la "grazia" di continuare ad essere annunciatori del Vangelo
di Gesù.
Anche nelle nostre due parrocchie di Porto e di Domo si sono compiuti più
volte i "tempi del parto" e abbiamo avuto la gioia di annunciare
e vivere, come genitori nella fede di Gesù il Salvatore, il battesimo
di 12 nostre sorelline e fratellini: Alessandro, Aurora, Bianca, Emily,
Emma Gianna, Enea, Ettore, Mattia, Natalie, Sebastian, Thomas, Virginia.
Il Natale, da poco celebrato, ci sostenga così, giorno dopo giorno,
per testimoniare, come i Pastori, la gioia di portare il lieto annuncio
che in ogni battesimo è reso visibile nella vita di ogni "piccolo":
oggi è nato per noi il Salvatore.
Buon anno don Hervé
"la messe è molta"(dicembre 2016)
Nell'immagine che accompagna il nostro "cammino pastorale"
di quest'anno (le mani della tenerezza) è possibile intuire l'accoglienza
di Dio per ogni persona che Gesù ci aiuta a comprendere con la sua
bellissima affermazione: "la messe è molta"
Con questa immagine agricola Gesù illumina di gioia e di responsabilità
il nostro cuore perché indica a tutti i suoi discepoli, di ogni tempo
e luogo, che ogni persona appartiene alla "messe" che è
già "matura" e per questo già "degna"
di essere portata nel "granaio".
Il bel paragone con la messe sicuramente ci aiuta a comprendere, anche visivamente,
come Gesù ama ogni persona senza discriminanti classifiche. Anzi,
quando i farisei avevano fatto presente ai suoi discepoli che non era buona
cosa, anzi disdicevole, "mangiare con i peccatori", Gesù
stesso aveva affermato la sua piena disponibilità "a farsi prossimo"
dicendo: "non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati"
e in questo "cammino" da sempre ha coinvolto i suoi discepoli.
Io penso che nelle nostre case, e in ogni vera casa del mondo, questa scelta
di Gesù del farsi prossimo è da sempre desiderata e vissuta
con particolare attenzione e premura. Per esempio nella malattia di un figlio,
di una persona cara, nessuno pensa di lavarsene le mani, anzi! In quella
situazione di prova si comprende che è necessario vivere un "fervore"
di accoglienza molto più intenso perché non è il calcolo
che ti guida, ma la misericordia che è la nostra vera "forma"
di vita umana, come già ricordavo nel notiziario di novembre.
Non possiamo pensare che l'essere misericordiosi sia una capacità
"riservata" ai più bravi. No! Questo modo di pensare è
una falsità e oso dire un peccato per chi vuole seguire Gesù
come discepolo. La misericordia è invece il dono costitutivo che
ogni persona ha ricevuto da Dio per renderla: persona. Gesù l'ha
affermato con forza chiedendo ai suoi discepoli: "amatevi come io vi
ho amato" perché siete figli di Dio Padre.
Il comandamento dell'amore infatti non è una coercizione e quindi
un peso da subire, ma la "caratteristica" ineliminabile di ogni
persona.
E' vero, purtroppo, che possiamo "disprezzare" noi stessi con
scelte che sfigurano la nostra "bellezza" di essere figli di Dio".
Ma tutti sappiamo che la Bibbia, nel suo primo libro la Genesi, c'insegna
che ogni persona riceve "lo Spirito di vita" di Dio, creatore
e Padre, che ci fa suoi figli. In Lui e soltanto in Lui ogni persona è
"pensata". Piuttosto sono le "nostre" scelte egoistiche
che, dando valore solo a una "parte di noi", c'impediscono di
essere pienamente persone. Dobbiamo aiutarci perché l'egoismo personale
o di gruppo è sempre "accovacciato alla nostra porta" e
tenta sempre di sfigurare la nostra realtà di figli di Dio, Padre
di tutti.
Mi piace quindi ricordare come è d'aiuto l'importante "abitudine"
di fare il presepe nella nostre case. Esso ci permette di rendere visibile
la "tenerezza di Dio" per ogni persona .
Di questa tenerezza sappiamo di essere anche noi "pienamente impastati"
e quindi resi capaci di vivere, se l'accogliamo, la "tenerezza di Dio"
che ci ha "fatto a sua immagine e somiglianza". A tutti, con la
fraternità che il Vangelo ci fa vivere buon Natale care sorelle e
fratelli in Cristo Gesù, don Hervé
La fiducia di Dio in noi: andate! (novembre 2016)
La ripresa del "cammino" pastorale che ogni Comunità desidera
vivere, e in essa ogni battezzato, ci dona la ricchezza del tempo dell'Avvento.
Al termine dell'anno della Misericordia, nel quale la grazia di Dio, (che
attraverso l'iniziativa del Papa ci ha donato la possibilità d'immergerci
in una rinnovata scelta di vivere e di testimoniare il Suo Amore), ora siamo
chiamati a manifestarlo, come dice Gesù già dall'inizio della
vita della Chiesa nell': " Andate in tutto il mondo.". Come i
primi fedeli della "nuova Comunità", voluta totalmente
da Gesù, possiamo sorprenderci di questa sua volontà cosi
ricca e fiduciosa. Infatti se è quasi incomprensibile la fiducia
che Gesù offre ai "suoi" in quei primi passi della vita
della Chiesa , quanto più noi ci possiamo sentire incapaci di questa
fiducia nella nostra quotidianità.
Ricordando come Gesù aveva ri-incontrato i "suoi" discepoli
chiusi nel Cenacolo pieni di paura e di tradimento e li aveva riabbracciati
mostrando loro il suo amore totale: "guardate le mie mani e i miei
piedi.. Sono proprio io.." sicuramente siamo affascinati dalla sua
fiducia. Infatti quella sua terribile e vergognosa condanna aveva provocato
i discepoli al tradimento perché Dio, ai loro occhi, al loro cuore
e alla loro intelligenza, non poteva e non doveva morire così, anzi!
Secondo loro Lui avrebbe dovuto "restaurare il Regno di Dio con potenza
e gloria grande
" ed invece era stato ucciso con infamia, come
uno schiavo, sul patibolo della croce. E così si "ritirano"
in un luogo "a parte" nel Cenacolo in attesa che passino i "tempi
neri".
Ma a questi discepoli, così incapaci di vivere la sua parola, il
Signore apre il cuore mostrando prima di tutto la potenza del suo amore:
"guardate le mie mani e i miei piedi
sono proprio io" che
vi ho amati fino in fondo.
Poi con la ricchezza infinita di questo amore crocifisso li abbraccia di
nuovo e rinnova in loro la responsabilità della missione per tutti
senza una parola di rimprovero o un "corso di recupero". Mistero
della Grazia di Dio tanto sovrabbondante da liberare dal rimorso del tradimento
per rilanciare nel cammino della conversione che si fa testimonianza.
Anche oggi Gesù continua ad incontrarci così e vuole rinnovare
in ciascuno di noi e nelle nostre Comunità, a volte ripiegate su
se stesse, il dono della missione. Egli lo pone nelle nostre mani e ci sostiene.
Le nostre fragilità, le nostre insufficienze, come lo furono per
i primi discepoli, non sono un motivo per il nostro "licenziamento
missionario in tronco", ma sostenute dalla sua grazia, che c'impedisce
di restarvi prigionieri, ci aprono a porre la nostra fiducia in Lui. In
esse si rivela anzi la "passione di Dio" per ciascuno come aveva
già detto loro: "Io sono venuto per i peccatori e non per i
giusti, perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza". Comprendiamo
perché ogni mamma e ogni papà sono "sacramento dell'amore
di Dio per i loro figli". Nella sua fragilità ogni figlio sa
infatti di poter trovare nei suoi cari il costante nutrimento per poter
essere sempre più capace di realizzare la propria vita. Come Gesù
essi, difronte alle cadute rinnovano, nella "forza" del loro amore
chiedendogli di "crescere" o se volete con la parola biblica di
Gesù: "Andate
!" Nella missione che Gesù ancora
oggi ci affida con: "l'andate
" scopriamo che il mondo invece
ha capovolto la relazione umana giudicando ed emarginando chi sbaglia. Colui
che ama invece, senza paternalismi, vuole guarire e fa ripartire. Buon Avvento,
con profonda stima, vostro don Hervé
La famiglia "genera" il mondo (ottobre 2016)
Eccoci nel mese d'ottobre, che da anni è considerato
come il "tempo" del rinnovamento della nostra corresponsabilità
nella nostra vita quotidiana. Per questo la comunità cristiana da
anni lo ha un po' ribattezzato chiamandolo appunto mese missionario.
Nel mese precedente mi ero soffermato a considerare come per molti settembre
potesse rappresentare un po' il "tempo" del rientro nella vita
pastorale parrocchiale dopo il "riposo estivo". Ora con ottobre,
dopo aver rimesso a "fuoco" nella mente e nel cuore il progetto
d'amore del Padre orientati, nella celebrazione della santa messa del 25
settembre dal Magnificat della nostra mamma Maria, possiamo dire d'essere
più preparati ad assumerne le responsabilità che Dio affida
a ciascuno di noi perché il Mondo creda e rimmergerci nella missione
della testimonianza pastorale. Utilizzando l'esempio della vita scolastica
dei nostri ragazzi anche noi adulti non possiamo pensare d'essere sempre
"ripetenti" nella pastorale, ma "in cammino" come è
la realtà positiva di ogni studente che fa il suo dovere. Certamente
il "passato" scolastico non deve essere dimenticato, ma rimanere
il trampolino di lancio per il nuovo anno scolastico, così, potrei
dire, deve essere per ogni Comunità cristiana che, appunto, non è
chiamata a "ripetere", ma a crescere sempre più verso una
maturità di fede che sappia farsi carico del tempo presente che non
è più la ripetizione del passato. Sebbene lo studente continui
ad essere la stessa persona la sua maturità umana, attraverso la
formazione, è chiamata ad aprirsi a nuovi "orizzonti",
a formarsi sempre più per rispondere alla ricchezza della sua persona.
Così una Comunità ha la necessità di rigenerare i progetti
di vita pastorale per collaborare veramente con Gesù alla pienezza
della nostra vita quotidiana. Penso in particolare alla centralità
della vita familiare che il Vangelo, in ogni epoca, ha posto al cuore della
vita umana, ma che in ogni tempo ha dovuto "lottare" per essere
amata e rispettata. Mi piace citare questa bellissima frase del Papa che
dice: "Dio ha affidato alla famiglia non la cura di un'intimità
fine a sé stessa, bensì l'emozionante progetto di rendere
"domestico il mondo". Anche noi, come dice anche il nostro Arcivescovo
nella sua lettera pastorale: "educarsi al pensiero di Cristo",
abbiamo il dono di valorizzare oggi la "centralità" della
famiglia nella vita non solo cristiana, ma del mondo stesso.
Nel nostro oggi, che non è più quello di "ieri",
sappiamo che la vita delle famiglie si trova immersa in tante proposte che
la spingono o la orientano a "crescere" in un sempre più
diffuso individualismo che cerca di "rubarle" le sue naturali
ricchezze di cooperazione e di corresponsabilità familiari.
Questa grosso rischio di "deriva" della centralità della
famiglia, nel suo stupendo cammino di responsabilità educativa, deve
trovare la comunità cristiana sempre più pronta a sostenere
la sua inalienabile centralità perché possa esprimere la sua
insopprimibile caratteristica di primario soggetto educativo della società.
Care ed importanti famiglie desideriamo per questo diventare sempre più
una Comunità che sappia, con la vostra corresponsabilità nel
cammino di fede dei vostri figli, valorizzare al meglio la vostra bellezza
di vita che, anche nelle fatiche quotidiane, sapete donare.
Con profonda stima , vostro don Hervé
La Pace e la Comunione (settembre 2016)
Con il mese di settembre in genere si dice che rientriamo
nella vita intensa della missione pastorale con corpo e spirito rinnovati
dopo il "tempo di riposo" che normalmente, nella tradizione italiana,
coincide più o meno con il mese di agosto. Le nostre due parrocchie
hanno però avuto il vantaggio di potersi regalare, dentro questo
tempo di riposo d'agosto, un'esperienza "spirituale" fortissima
grazie alle tante occasioni di feste della fede che ci hanno offerto. In
particolare le feste patronali ci hanno riunito ancora di più perché
abbiamo cercato di "aprirle" all'accoglienza, come in ogni eucaristia
Gesù ci sprona con tutto sé stesso testimoniandoci che Lui
è per noi e per tutti sempre.
La tradizione patronale di ogni parrocchia nasce infatti nel desiderio di
lasciarci "condurre" dal patrono all'incontro con Gesù
per vivere sempre meglio il diventare suoi discepoli. Così in questi
primi giorni di settembre saliremo ancora a S. Michele per completare questa
"festiva immersione" nella volontà di Dio che con l'aiuto
dei santi vogliamo sempre più imprimere nel nostro vivere quotidiano.
Le sfide che ci attendono sono tante, ma è certamente più
abbondante la Grazia della misericordia che abbiamo a disposizione perché
Dio ci vuol bene e, se lo accogliamo, non ci lascerà mai cadere nel
peccato della divisione, dell'egoismo. Nessuna prova, dice san Paolo, potrà
mai separarci dall'amore di Cristo.
Per questo ho scelto come titolo della nostra riflessione, alla "ripresa"
del cammino pastorale, l'invocazione che in ogni santa messa facciamo poco
prima della santa comunione: "La pace e la Comunione del Signore nostro
Gesù Cristo siano con tutti voi". Pace e comunione che Gesù
ci dona e che ciascuno di noi può quindi accogliere mettendosi a
disposizione della sua volontà che continuiamo a chiedere di vivere
nella bellissima e comune preghiera del Padre nostro.
Certamente ci fa bene ricordare che non ci è dato di vivere una qualsiasi
pace e una qualsiasi comunione, ma proprio quelle di Gesù sapendo
che Lui, con tutto sé stesso ci coinvolge, come suoi discepoli, per
farci sempre più prossimo nella nostra quotidianità con la
sua pace, con la sua comunione. Queste, prima di tutto le dona a noi stessi
per vivere la ricchezza di una vita di pace e di comunione per il bene nostro
e del "mondo". Sappiamo per esperienza che è sempre impegnativo
farci prossimo, ma il Signore è con noi sempre e ci continua ad offrire
le occasioni per vivere la sua "carità" anche se tanti
sono coloro che la combattono per interessi egoistici. Per questo ci sono
tante divisioni e ancor peggio peccati terribili contro la dignità
del prossimo. Ma coloro che seguono Gesù sanno che la nostra umanità
di donne e di uomini è il luogo dove possiamo vivere la misericordia
evangelica con tutto noi stessi liberandoci dal peccato di ridurci a progetti
istintivi e degradanti umiliando la nostra vera umanità che ci è
donata per vivere da figli di Dio. Buon cammino nella ricchezza della nostra
umanità che Gesù ci ha donato per vivere con "i piedi
per terra" come discepoli del suo amore misericordioso, vostro don
Hervé
Vivere le nostre feste (agosto
2016)
La Bibbia, Parola di Dio , ha sempre dato tanto rilievo
alla celebrazione delle "feste" liturgiche, cioè a quelle
ricorrenze che scandiscono in modo solenne il "cammino di alleanza
di Dio con il suo Popolo". Gesù stesso, il Cristo, valorizza
una Festa del suo Popolo d'Israele, la Pasqua, per dare pienezza alla sua
volontà salvifica per tutti gli uomini. Questa scelta i discepoli
l'hanno pienamente compresa e, in essa, ogni festa particolare diviene una
testimonianza del desiderio d'incarnare sempre più, nella propria
quotidianità, la Pasqua del Signore.
Per la nostra Unità pastorale il mese d'agosto è per questo
ricco di tante "feste eucaristiche" che nel corso dei secoli o
più recentemente hanno lo scopo di rilanciarci nella gioia e nella
responsabilità di essere nel mondo discepoli del Signore. Questa
consapevolezza è ancora molto viva nelle nostre due parrocchie in
particolare nel mese di agosto, tanto che quasi ogni domenica di questo
mese ci offre l'opportunità di lodare il Signore nel nostro territorio.
Così dopo la festa patronale della parrocchia di Domo e quella della
frazione di Saltirana eccoci in cammino per vivere la festa patronale della
parrocchia sorella S. Maria Assunta di Porto con il suo compatrono san Rocco.
Attorno a questa solennità della fede non possiamo ovviamente mancare
la gioia di vivere i "compleanni spirituali" anche delle frazioni
che da sempre danno luce al cammino di fede delle due parrocchie di Domo
e di Porto. Come tutti sappiamo sono le feste di Ligurno, di Sarigo e di
San Michele (a settembre).
In questo abbraccio "spirituale" che le feste ci offrono abbiamo
la ricchezza di vivere in modo intenso, la bellezza della nostra fede che
si è fatta "storia" anche nelle singole frazioni dando
ancor di più slancio alla comunione e alla testimonianza che la fede
in Gesù ci dona di vivere. Penso in particolare alle processioni
che per le nostre vie pregano per tutti perché tutti sono nel "cuore
del Padre". Gesù ci ha insegnato che è il suo amore a
vincere e che ogni violenza è destinata al fallimento e alla sua
morte. Allora, i vari comitati ecclesiali o associazioni libere che vigilano
e danno continuità alle bellissime tradizione di fede cattolica,
si sentano particolarmente benedetti nel portare avanti anche la fatica
del preparare ogni festa. In essi sia forte la consapevolezza che è
necessario vivere l'impegno responsabile di tramandarle e di rinnovarle
proprio per dare sempre la testimonianza che non è solo folklore,
ma molto di più: è vita di popolo che vive la sua fede incarnata.
Come direbbe penso papa Francesco è un modo ricco e semplice "d'uscire"
per accogliere con gioia gli altri che vivono con noi. Grazie a questo cammino
non saremo mai tentati da gelosie, ma sempre più collaboranti per
manifestare al mondo: da parte del credente la nostra comunione e missione
nel Signore Gesù morto e risorto per tutti e nel contempo il valore
della dignità di ogni persona contro ogni strisciante o terribile
violenza che mercifica i rapporti umani. Drammaticamente queste scelte sono
vissute da chi non vive più la realtà umana, ma la terribile
realtà di ogni ideologia. Nell'impegno per il bene di tutti con affetto
un buon lavoro a tutti per tanta gioia per tutti , vostro don Hervé
la persona che crede si fa Prossimo (luglio 2016)
Da pochi giorni la nostra Unità pastorale ha
vissuto il dono del sacramento della Cresima per i suoi 16 "figli".
Certamente molti si sono commossi nel costatare che la loro vita di fede
"produce frutti", altri sono rimasti "indifferenti"
e altri ancora "estranei" perché consapevoli o non più
consapevoli della loro stupenda responsabilità di testimoni. Chi
leggerà questi pensieri sa benissimo che questa situazione fa parte
del vissuto quotidiano di tante Comunità di fede e magari si lascia
anche andare alla facile soluzione che tutto questo dipende dai nostri tempi.
In parte, penso, ci sia questa motivazione, ma francamente è troppo
semplicistica e non tiene conto, nello stesso tempo, dell'impegno responsabile
di molti fratelli e sorelle nella fede e prima di tutto dei genitori che
hanno favorito questo cammino. L'impegno e la costanza dei catechisti ha
in più reso possibile questo grandioso avvenimento della Cresima.
Nello stesso tempo non possiamo tacere la volontà di fede degli stessi
cresimati. Ciascuno, accompagnato dal padrino o dalla madrina, ha preso
il suo impegno di fede proclamandolo davanti al Vescovo, mons. Franco Agnesi,
e alla sua Comunità.
E tutto questo per dire al Signore Gesù nella sua Chiesa: "Eccomi,
puoi contare su di me".
E' importante allora anche ricordare e tenere nel cuore i cammini di vita
fraterna che la nostra Unità pastorale si prepara a vivere in questi
due prossimi mesi con le belle e importanti ricorrenze delle feste patronali.
Inizieremo come di consuetudine con quella della parrocchia di Domo. Ci
aiuteremo gli uni gli altri per vivere il dono della corresponsabilità
che da sempre il Signore Gesù ha domandato ai suoi discepoli .
Cosi secolo dopo secolo le Comunità cristiane scrivono nella storia
quotidiana pagine bellissime di vita fraterna e missionaria chiedendo ora
a noi di prendere "in mano" il testimone della fede. In questo
rinnovarsi della fede comprendiamo anche la nostra attuale responsabilità
che, pur nelle difficoltà, diventa testimonianza di fede viva e non
solo di abitudini con tutte le loro tradizioni. Nel "si" quotidiano
a Gesù diventiamo creativi di vita nuova perché il "mondo"
possa sempre più camminare nella Pace.
Approfitto anche di questo spazio per augurare a tutti un buon tempo di
serenità e per chi può anche di vacanza, vostro don Hervé
con la Gioia dello Spirito Santo (giugno 2016)
Da tanti anni il mese di giugno è per la nostra
Diocesi un tempo propizio perché avvengono le ordinazioni sacerdotali.
Quest'anno saranno ordinati sacerdoti 26 giovani che chiedono di vivere
il loro ministero tra la gente e con la gente "con la Gioia dello Spirito
Santo" incardinandosi alla Diocesi di Milano. In loro c'è la
gioia della consapevolezza che il Signore continua a "credere"
nella loro esistenza missionaria per il mondo. Il sacerdote è infatti
uno "strumento" della misericordia del Padre affinché ogni
Comunità, piccola o grande, possa "crescere nell'accoglienza
della Parola e edificarsi sempre più come una Comunità in
uscita" per l'umile servizio della testimonianza nella vita quotidiana
del Mondo. Mi piace ricordare per questo il motto che con i miei compagni
di ordinazione avevamo scelto: "per annunciare al mondo il tuo Amore"
(era il mese di giugno dell'anno 1978). Uno slogan che esprimeva e che esprime
tutto un progetto di vita per vivere come sacerdoti che amano tutti e a
tutti sentono il dono di essere mandati. Oggi si potrebbe dire sacerdoti
in uscita.
Con il pellegrinaggio alla - Porta Santa - (Gesù: il Cristo), al
Santuario del Sacro Monte di Varese, penso volentieri che ciascun pellegrino,
aiutato anche dalla preparazione vissuta come Comunità, abbia voluto
esprimere, con tutto sé stesso, la scelta di riaffidarsi a Gesù:
la Porta, e con Lui riprendere quel cammino missionario che, da sempre e
fin dall'inizio, ha affidato ai suoi discepoli di ogni epoca e di ogni razza.
Il Crocifisso Risorto, il buon Pastore, ci fa entrare nella sua vita per
accompagnarci quotidianamente nei suoi pascoli che sono ogni realtà
umana.
E dunque possiamo intuire, che ogni persona è, per volontà
di Dio Padre, necessario alla mia vita di credente. La missione allora non
come "possesso", ma come possibilità di crescita umana-spirituale
per servire i figli di Dio non ancora consapevoli della loro dignità
filiale con la Gioia dello Spirito Santo. Per questo ogni Comunità,
fin dalle sue origini, ha come irrinunciabile caratteristica la forma dell'andare
in tutto il mondo (cfr. Lc 24) per il bene di ogni persona. Ma questo "andare"
non può e non deve essere prepotente, ma misericordioso come Gesù
ci ha testimoniato e ogni giorno sostiene nella vita di chiunque si affida
a Lui permettendoci di "modellare", con la sua Grazia: il nostro
carattere, la nostra istintività,
. la nostra vita dandoci
la "forma" della Sua Misericordia. Per questo e volentieri offro,
alla lettura di tutti, questa riflessione del Priore di Bose che mette in
evidenza il necessario stile di vita del Sacerdote o del Vescovo o del Papa,
unitamente ad ogni Credente affinché ciascuno di noi non stia dalla
sua parte, ma si adoperi per vivere il dialogo della corresponsabilità
pastorale. Un dialogo già cominciato da ormai 18 anni, con la ricchezza
dell'Unità pastorale, che permette a due Parrocchie di vivere il
servizio della missione.
don Hervé
Testimoni perché Pellegrini, e Pellegrini perché Testimoni (maggio 2016)
L'avventura del "pellegrinaggio del credente",
come sappiamo, ha avuto inizio subito dopo la Risurrezione di Gesù
quando, apparendo ai suoi discepoli, finalmente convertiti e riconciliati
con Lui, propose loro di lasciarsi coinvolgere definitivamente nel suo progetto
d'amore: "avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di
voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria
e fino agli estremi confini della terra " (Atti 1,8). L'accoglienza
della volontà di Gesù, che ho appena citato secondo gli Atti
degli Apostoli, ha introdotto così ogni discepolo, di ogni tempo
e latitudine, in un vero e proprio "cammino senza più frontiere"
come pellegrino cioè testimone del "progetto di Gesù".
Così, i discepoli dalla loro "primitiva terra" iniziano
a farsi prossimo, per la forza dello Spirito Santo, a tutti fino agli estremi
confini della terra. La testimonianza dei Santi, a cui noi ci affidiamo,
è continua memoria di questa accoglienza dell'essere testimoni nel
nome di Gesù.
Come discepolo comprendo allora che la mia fede in Gesù mi coinvolge
in un cammino di disponibilità verso tutti perché non devo
difendere più il mio Dio, ma come il mio Signore offrire la mia vita
"abitata dal suo Amore misericordioso".
Ora se l'inizio di ogni vero pellegrinaggio ha la sua costante radice nella
comunione con la volontà di Gesù per testimoniare che: "
Fratelli, voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete
concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento
degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d'angolo lo stesso Cristo
Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere
tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per
diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito." (Ef 2,19-22),
è importante che il cuore del testimone non si appesantisca durante
il suo "pellegrinare. Ecco perché colui che accoglie il dono
di essere testimone nel nome di Gesù e quindi pellegrino sa che per
rimanere tale deve quotidianamente mantenere viva la comunione con Gesù.
Così lo stesso dono che ha ricevuto "dell'andare nel suo nome"
diventa per lui stesso esame di coscienza per verificare se sta veramente
"andando" nel nome di Gesù o se porta soltanto se stesso.
E' fondamentalmente questo che vogliamo vivere con il nostro pellegrinaggio
di Comunità al Sacro Monte di Varese. Vogliamo aiutarci a verificare
e sostenere il dono di essere testimoni di Gesù "fino agli estremi
confini della terra". Don Hervé
Lo riconobbero allo spezzare del pane (aprile 2016)
A tantissimi di noi è familiare questa pagina
di vita del vangelo di san Luca. E' la testimonianza di due discepoli (chiamati
successivamente i due discepoli di Emmaus) che avevano vissuto con Gesù,
percorrendo con Lui le strade della "Terra promessa" con la gioia
nel cuore per la presenza del Messia. Il popolo d'Israele lo stava aspettando
come il suo definitivo "liberatore", come colui che avrebbe dato
pienezza al "valore" del loro popolo in mezzo alle "genti."
Miracoli e conversioni, pur di fronte alle diffidenze e chiusure, anche
dure del Sinedrio, avevano accompagnato il camminare di Gesù in mezzo
al suo popolo. Gioia e invidia erano il pane quotidiano servito ai discepoli
che comunque avevano già scelto di andare fino in fondo nella sequela
di questo Nazareno , costasse anche la vita. Per il potere si può
o si deve morire; è il prezzo del potere di ogni tempo e di ogni
luogo. Ma non andò così, quel Maestro tanto osannato e difeso
dai "suoi" era stato messo a morte dopo terribili ore di umiliazione
e di torture per cui l'unica scelta che rimaneva loro era quella di rinnegarlo
perché non li aveva portati al successo. Così anche questi
due discepoli se ne stavano ritornando a casa loro scoraggiati e profondamente
delusi per la drammatica fine del loro Leader e Maestro tanto che ad un
viandante, fattosi compagno di cammino, confidavano: "noi speravamo
che Gesù di Nazareth, che fu profeta potente in opere e in parole
dinanzi a Dio e a tutto il popolo, avrebbe liberato Israele, perché
Lui era il Messia atteso
invece era stato condannato a morte dai gran
Sacerdoti e dalle nostre Autorità che lo avevano crocifisso ".
Inaspettata la reazione del loro sconosciuto compagno di viaggio in risposta
alla loro delusione e al loro scoraggiamento. Francamente li aveva imbarazzati
e anche un po' offesi perché li aveva chiamati "stolti e tardi
di cuore a credere tutto ciò che avevano detto i Profeti", ma
per buon "costume", per quello spirito di fraternità popolare
che apparteneva al loro popolo, lo avevano invitato a fermarsi a casa loro
per quella notte e, con cuore ricco di disponibilità, gli avevano
detto: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno declina".
Fu così che ebbero la possibilità, grazie all'accoglienza
della loro offerta, di ritornare ad essere veri discepoli di Gesù
e di ributtarsi nella responsabilità della testimonianza, senza più
paure. Si, il Maestro e Signore era lì con loro, era il Risorto come
aveva detto.
La gioia della vita nuova, che già avevano assaporato con il Maestro,
era riemersa totalmente e invase il loro cuore. Egli, allo spezzare del
pane, aveva riaperto i loro occhi alla bellezza del perdono e della misericordia
da donare a tutti come Gesù li aveva sempre vissuti e predicati.
Questa volta però li avevano pienamente accolti rifiutando la "strada"
del potere che sempre striscia accanto per imprigionare i cuori. Compresero
che non si potevano più fermare nel loro orizzonte ora che finalmente
avevano riaccolto l'orizzonte dell'Amore misericordioso. Bisognava viverlo
e testimoniarlo senza perdere altro tempo. Così ebbe inizio la loro
Pasqua definitiva che è giunta fino a noi, a te e a me, per donare
anche a noi, se lo vogliamo, una vita quotidiana come Testimoni del Risorto.
A ciascuno di noi e a tutto il mondo Buona Pasqua nella gioia dell'Amore
misericordioso per la "vita nuova" di ogni persona.
Don Hervé
Gesù domanda: "Amatevi come
io vi ho amato" (marzo 2016)
Papa Francesco a Ciudad Juarez, Messico, ha celebrato la messa per i fedeli
di-posti sui due lati del confine tra Messico e Stati Uniti, quindi anche
nel territorio della texana El Paso. Il Papa ha sostato anche in prossimità
della rete metallica che segna il confine in segno di solidarietà
con i migranti latino-americani che cercano il loro futuro negli Stati Uniti.
Arrivando in Papamobile, acclamato da circa 400 mila fedeli, alcune decine
di migliaia oltre la rete che divide i due paesi, Francesco ha voluto avvicinarsi
proprio al confine come gesto di pace e solidarietà. ..Quello dei
migranti è "un cammino carico di terribili ingiustizie: schiavizzati,
sequestrati, soggetti ad estorsione, molti nostri fratelli sono oggetto
di commercio del transito umano". Papa Francesco è venuto a
denunciarlo a poche decine di metri dal confine tra il Messico e gli Stati
Uniti, in quella che può essere considerata la Lampedusa delle Americhe,
guardando non solo alle migliaia di fedeli che affollavano l'area della
fiera di Ciudad Juarez, ma anche a quelli assiepati oltre il confine, dalla
parte della tristemente nota città texana di El Paso, accalcati alla
rete per vederlo passare.
Riporto volentieri questo testo di cronaca giornalistica nei giorni del
viaggio apostolico del Papa in Messico. Nella sua scelta umile e coraggiosa
di farsi prossimo promuove la pace e la solidarietà per ogni luogo
dove la divisione è purtroppo una scelta di vita.
don Hervé
Lavorare per le persone non per le idee
(febbraio 2016)
E' una citazione che affascina appena la si legge e la si medita un po'.
Il suo "contenuto" mi ha riportato alla mente al cuore le parole
semplici, ma densissime di vita e di speranza di Gesù che dicono:
"amatevi come io vi ho amato" e "vi fu detto: -amate e vostri
amici e odiate i vostri nemici- invece io vi dico amate i vostri nemici..
e fate del bene a coloro che vi perseguitano ..". Gesù spinge
immediatamente a comprendere che prima di compiere ogni scelta, anche la
più bella, è necessario verificarla nel suo rapporto vivo
con Lui e in Lui con la premura ad ogni persona e dunque con la loro dignità
di persone. In tal modo nessuna scelta può prescindere dal suo servizio
alle persone e per relazione alla persona. Il nostro mondo sa inoltre che
questo "legame" al bene di ogni persona scaturisce dalla sua inalienabile
dignità umana che, per chi è cristiano significa anche rigorosamente
che ogni donna, ogni uomo, piccolo o grande, è figlio di Dio Padre
e per questo mio fratello. Nel nostro "legame" alla paternità
di Dio che ci ama e che amiamo nascono tutti quei "cammini di misericordia"
di cui solo nella comunione con il Padre, ricco di misericordia, ci è
dato di "percorrere" pienamente. Nella nostra vita di fede ci
è dato di assaporare così e sempre di più l'avventura
della "famiglia umana" a cui appartengo e di cui vivo la corresponsabilità
della vita in tutte le sue sfaccettature dell'esistenza. Nel nostro essere
discepoli di Gesù ci è dato così di poter vivere l'avventura
quotidiana a questa "apertura" alla vita buona.
Il discepolo infatti sa che potrà adoperarsi sempre, con i suoi:
"piedi, mani, cuore e intelligenza fondati sulla roccia" in questo
cammino di servizio alla dignità di ogni persona. In ciascun discepolo
ogni tentazione di "alienare" il prossimo in nome di sé
stessi sarà vinta nella fiducia creativa che la "vita"
è più grande di questo mondo perché la vita è
eterna e ciascuno vive già da ora nell'eternità che la fede
in Gesù mi ha già rivelato.
Ultimamente il Papa ci ha ricordato, con l'apertura delle Porte Sante, che:
"per il mondo ferito la Porta della Misericordia di Dio Padre è
sempre aperta perché è Gesù Cristo la Porta di DIO"
don Erve
Un "bel Presepe" se Testimoni
della sua PRESENZA (Gennaio 2016)
Dalle nostre "parti", in Valle o a Porto, vive ancora la bella
tradizione natalizia di rallegrare la casa con la presenza di un bel Presepe.
Con estro e fantasia la tradizione ci ha insegnato a manifestare così
l'Amore di Dio per ciascuno di noi con il suo voler essere "l'Emmanuele
per tutti" (Dio con noi). Mamme, papà, nonni e nonne, parenti
e amici piccoli e grandi si uniscono volentieri con le belle parole del
cuore: "buon Natale" (Dio sia con noi).
Ma per giungere a vivere il Natale di Gesù come "l'Emmanuele
per me e per tutti" dalle stesse pagine evangeliche ci è stata
anche testimoniata la necessità di un "lungo cammino" di
conversione.
Seguendo la testimonianza dei primi discepoli di Gesù loro stessi
ci hanno raccontato che, pur stando e vivendo con Lui e con Lui in mezzo
alla gente che Gesù voleva incontrare, erano rimasti "lontani"
dalla sua volontà.
Certamente avevano messo a disposizione la loro vita, ma non ancora pienamente
il loro cuore e la loro volontà per "fare la volontà
misericordiosa" di Gesù perché ancora legati alla loro
idea di Dio.
Sono tanti gli episodi di vita che i primi discepoli ci hanno trasmesso
volontariamente sulla loro "mancata" conversione (ad es. le scelte
di tradimento e di abbandono perché non ammettevano un Dio "perdente"
secondo la gloria del mondo cfr. Mc 14,50; Lc 22,54 ss).
Con la loro schietta testimonianza, senza stendere "veli pietosi"
sulle loro scelte sbagliate in nome del loro "punto di vista"
ci hanno certamente aiutato a comprendere che prima di tutto ci voleva la
conversione del cuore e della volontà all'amore misericordioso dell'"Emmanuele"
(Dio con noi) per non rimanere "vittime" di una "conversione"
fallita o presa in trappola della loro mentalità riguardo a Dio e
a suo Figlio Gesù.
Solo con la morte e con la risurrezione di Gesù il loro "vivere"
con Gesù diventa "l'avventura quotidiana della testimonianza
dell'Emmanuele" lasciandosi sottomettere ad una continua conversione
che, per questo, percorre i secoli coinvolgendo oggi anche noi.
San Francesco d'Assisi seppe tradurre l'avventura quotidiana della testimonianza
con l'Emmanuele con la realizzazione del Presepe che ancora oggi, con tante
forme realizziamo anche noi nelle nostre case o nelle nostre vie.
Inoltre quest'anno il Papa ci ha anche aiutato a celebrare con più
consapevolezza il Santo Natale con l'apertura straordinaria delle porte
sante dicendoci, con la sua vita, che Gesù è la "porta"
per donare a tutti l'Amore di Dio e che la Chiesa, ogni battezzato, è
coinvolta nel farsi portinaia affinché tutti possano "accogliere
l'Emmanuele" il dono della misericordia di Dio.
E' quasi incredibile pensare che come discepoli del Signore Gesù
abbiamo la possibilità di vivere il dono di diventare, giorno dopo
giorno "portinai" della misericordia di Dio, non di una persona
importante, ma di Dio.
Nel tremore delle nostre fragilità sappiamo però che è
Lui a rilanciarci nel cammino dell'accoglienza della nostra responsabilità
misericordiosa.
Se il "mondo" dei fratelli musulmani proclama ad alta voce ALLAHU
AKBAR da ultimo nelle difficoltà e nel dolore. Tutto ciò libera
ogni credente dalla tentazione, sempre presente nella Storia, di farsi "padrone"
della Misericordia di Dio. Il credente sa per questo che non potrà
mai decidere, secondo logiche aberranti, della volontà misericordiosa
di Dio perché nel suo Figlio Gesù, VIA, VERITA' e VITA, domanda
di amarci come Lui ci ha amato offrendo il Figlio suo per la nostra salvezza.
Così il dono più grande e gioioso che abbiamo ricevuto a Natale
non è soltanto quello di sapere che Dio è il Grande (Allahu
akbar) ma anche il Misericordioso e che Lui ha voluto coinvolgerci, per
la sua volontà assoluta, come testimoni vivi della Sua Misericordia
con la sua venuta in mezzo a noi come "l'Emmanuele, Dio con noi".
Per questo e solo per questo esiste la Chiesa.
Buon anno a tutti, don Erve
Il DONO e la PRATICA della CORRESPONSABILITA' (dicembre
2015)
Ritorno volentieri su questo cammino della corresponsabilità per
la vita di ogni credente che in questo mese di dicembre verrà in
particolare vissuta nella festa dell'accoglienza del Natale Nostro Signore
Gesù Cristo.
Penso infatti che proprio con la nascita di Gesù nella Famiglia di
Nazareth, con la sua Incarnazione ci è offerta una chiave di lettura
della corresponsabilità del cre-dente nella quotidiana disponibilità
al lasciarsi coinvolgere nel progetto di Dio Padre.
Con Maria e Giuseppe prende infatti "corpo", per ciascuno di noi
credente, il cammino della corresponsabilità storica e reale.
A Maria e a Giuseppe fu chiesta, nel mistero dell'Incarnazione, la disponibilità
concreta nella corresponsabilità con Dio a "portare" Gesù,
il Signore, in mezzo a noi secondo il suo Progetto d'Amore.
E' importante, per ogni credente, tenere nel cuore e nella mente questo
stile della Alleanza di Dio con Maria e Giuseppe perché in essa possiamo
comprendere anche la nostra personale e comunitaria corresponsabilità
nel vivere la nostra accoglienza al Progetto di Dio Padre.
A volte tutto questa bellissima corresponsabilità è sottovalutata
tanto che negli stili di vita personali si è arrivati a immaginarsi
veri credenti anche se non praticanti.
La Madonna e il suo amatissimo sposo Giuseppe ci continuano a testimoniare
che nella misura in cui credi, accogli e quindi non puoi che essere anche
praticante perché quel figlio che nasce ha un volto, una vita alla
quale si dona accoglienza solo nel praticare giorno dopo giorno l'accoglienza
fatta di testimonianza e di presenza attiva e partecipata..
In questo senso si capisce bene che si può essere credenti solo se
praticanti affinché sia manifestato il valore dell'altro con la propria
vicinanza d'amore a meno che uno non voglia gestire a suo uso e consumo
l'accoglienza della vita dell'altro.
La corresponsabilità dell'accoglienza non può essere messa
sotto scacco dalle visioni di vita individualistiche che cercano di proporsi
come modello di vita tanto che anche recentemente il Papa Francesco le ha
stigmatizzate come un grande pericolo per l'umanità nella sua enciclica
sul Creato: "Laudato sì".
Per il credente io penso che il ridurre la sua corresponsabilità
al mi sento, al per me va bene così, al non ho tempo, al ciascuno
è libero di fare quello che vuole o che sente e ecc. ecc. equivale
a non comprendere di essere una parte viva del Corpo di Cristo che per questo
è chiamato ad essere protagonista della testimonianza dell'accoglienza
come Maria e Giuseppe ci hanno testimoniato.
Celebrare il Natale diviene così la ri-accoglienza del mandato della
corresponsabilità anche nelle più complicate realtà
umane come la grotta di Betlemme dice nella sua rappresentazione che rinnoviamo
di casa in casa. Ricordiamo come questa consapevolezza della corresponsabilità
dell'accoglienza ci è stata tramandata, nel suo modello del presepe,
dallo stesso San Francesco che desiderava abituare se stesso e tutti a contemplare
come Dio si è fatto presente per tutti attraverso il si accogliente
e praticante di Maria e di Giuseppe.
Nei secoli successivi anche tanti artisti hanno voluto ripetere questo "si"
con le loro meravigliose opere, ma non solo loro perché anche nella
cultura popolare del presepe questo "si" è entrato in ogni
casa, nella tradizione popolare giungendo fino a noi con le bellissime serate
davanti ai presepi dei vari rioni o frazioni delle nostre due parrocchie.
Nella quotidianità della vita reale in effetti sono l'accoglienza
e la corresponsabilità che danno sapore al rapporto con le persone
che ami e che per questo si cerca, anche con tanto sacrificio, di realizzarle
ogni giorno della vita.
Certamente, come i recentissimi drammi che una mentalità individualistica
estrema e per se stessa orientata solo al proprio successo (da cui nasce,
secondo me, anche il terrorismo che rende disumano colui che lo pensa e
lo compie), ogni accoglienza e corresponsabilità non radicate sul
bene e la dignità di ogni persona, vanno fortemente condannate attivando
tutte quelle scelte sociali, culturali e politiche che permettono di renderle
non più praticabili.
Più che mai ritengo che tutti, in particolare noi credenti, abbiamo
il dono di sviluppare, sostenere e di difendere la pratica della corresponsabilità
perché la dignità di ogni vita sia sempre affermata.
Buon Natale, don Erve
BENEDIZIONI NATALIZIE: di CASA in CASA (Novembre 2015)
Nella nostra tradizione di vita pastorale ambrosiana sta
approssimandosi il tempo favorevole della bella esperienza delle benedizioni
natalizie.
Qualche anno fa il Cardinale Martini, con un suo augurio natalizio, aveva
ridato "luce" a questa gioia pastorale certamente impegnativa
chiamandola felicemente di casa in casa.
Dopo il mio rientro in Diocesi, lasciando la mia semplicissima abitazione
nella savana del Niger, devo confessare che sto aspettando con desiderio
e trepidazione questo "uscire" pastorale che le benedizioni, in
vista del Natale, mi offrono nella nostra Unità pastorale.
Poter incontrare, salutare e dire bene (bene-dire) ad ogni famiglia o persona
nello spirito evangelico è per me una grande occasione di vita. In
questo "uscire e andare di casa in casa" infatti mi è offerta
la possibilità di "nutrire" la mia fede attraverso questi
semplici incontri ricchi del sapore familiare che mi sarà donato
d'incontrare un po' tutti nel nome della stupenda dignità di ogni
famiglia e persona.
Il cammino delle benedizioni natalizie (dire-bene) è
bello proprio e soprattutto per questo poter riconoscere, come singolo credente
e come Comunità, il valore dell'altro, di qualsiasi altro che Gesù
ama pienamente e totalmente fino al dono della sua vita.
Prepararsi al Natale per colui che crede nel Signore Gesù è
infatti cercare di "percorrere nella nostra storia quotidiana"
il cammino che Gesù ci ha comandato di accogliere e di vivere: "andate
in tutto il mondo e bene-dite nel mio nome
". In questo "andare,
uscire" la Comunità dei credenti può farsi prossimo secondo
il Vangelo diventando in tal modo testimone dell'amore di Dio. E' davvero
facile allora comprendere che l'andare o l'uscire del sacerdote è
un andare o un uscire a nome di una Comunità di credenti che, seguendo
Gesù, chiede umilmente di costruire sempre più e semplicemente
rapporti di accoglienza e di corresponsabilità con tutti perché
Dio ama tutti.
Di casa in casa permette così ad una Comunità, attraverso
il cammino del suo prete, di testimoniare a tutti coloro che accoglieranno
che la presenza di ciascuno è impor-tante e per questo si esce per
andare a visitarlo cercando di non tralasciare nessuno.
Il credente sa che Gesù ama tutti ed è per tutti un cammino
di misericordia dentro la storia della vita di ciascuno.
Gesù non ha disdegnato infatti di essere ricordato nella storia del
mondo come colui che è crocifisso con crudeltà osannata in
mezzo a due ladroni la cui storia era stata certamente anche violenta e
scandalosa.
Ma le parole di Gesù crocifisso sono rivelatrici di un cuore che
sa vedere oltre le "cadute" e prega chiedendo al Padre di essere
misericordioso anche per coloro che nel vissuto ordinario della "gente"
dovrebbero essere combattuti e puniti.
Ecco il dire bene o bene-dire, che si fa prossimo a ciascun abitante delle
nostre Parrocchie, trova in Gesù la sua radice e la sua linfa che
permette anche ai suoi discepoli di condividere con Lui il riconoscere la
dignità di ogni persona, facendosi prossimo. Nell'orientarla alla
pienezza dell'Amore, attraverso quotidiani cammini di conversione, possiamo
educarci reciprocamente al perdono.
Con stima e fraternità evangelica don Ervé
Una COMUNITA' è sempre in cammino perché
si lascia educare
al pensiero di Cristo (ottobre 2015)
Nel mese di maggio avevo condiviso con voi, dalle pagine del nostro bollettino
parrocchiale, un momento bello vissuto nella preghiera durante l'adorazione
del San-tissimo Sacramento con questo titolo: "Amare il Progetto di
DIO con tutto il cuore con
".
Mi rendo sempre più conto che tante sorelle e fratelli nella fede,
hanno testimonianze belle e profonde da donare per "nutrire" anche
la nostra vita.
Mi sembra importante che anche noi facciamo quello sforzo fraterno per condivide-re,
con semplicità e umiltà, le belle esperienze che lo Spirito
ci dona. Sono infatti convinto che la testimonianza sia la strada maestra
per esprimere, ringraziare, vivere il dono della fede in Gesù che
abbiamo ricevuto .
Per questo Gesù, dopo la sua Risurrezione, cioè dopo aver
mostrato il suo amore to-tale e infinito con il dono della sua vita crocifissa
per tutti, invia "i suoi" e continua ad inviarli chiedendo loro
di essere suoi testimoni fino ai confini della terra.
I "luoghi" della testimonianza sono quindi legati ad un lasciarci
"fare ogni giorno suoi testimoni" dove lo Spirito "soffia",
per accogliere e vivere realmente il dono di: "essere suoi testimoni".
In particolare, o meglio prima di tutto, nel nostro cuore dove l'individualismo
dila-gante cerca di prendere casa con vie sempre più ammalianti e
subdole. A volte esso ci circuisce con tentazioni del tipo non mi sento,
non mi piace, a scapito del "bisogno di fraternità" che
ci è domandato sempre più da chi è in difficoltà.
Penso infatti che, senza scomodare sempre le grandi necessità, che
dolorosamente sono sempre più reali nella vita di tanti milioni di
persone, sia vita missionaria an-che il vivere la preoccupazione di prendere
parte attiva alle responsabilità della nostra Comunità, del
nostro Paese per essere testimoni della Carità di Cristo che è
in noi.
La nostra Diocesi nel mese di ottobre, dedicato da anni alla centralità
della missione per la nostra vita ordinaria, ci coinvolge in questo cammino
della responsabilità personale e comunitaria della missione o della
testimonianza. Infatti per missione s'intende, oggi come sempre, quel lasciarci
fare dalla Parola per essere mandati come testimoni lì dove abitiamo,
dove lavoriamo, dove ci divertiamo con lo sguardo aperto e disponibile a
tutti. Così ci hanno sempre educati, con la loro testimonianza di
vita, i Santi, ma prima di tutti loro la nostra mamma Maria, che ha saputo
accogliere e vivere la fedeltà alla Parola di Dio lasciandosi guidare
dallo Spirito Santo.
L'educarsi al pensiero di Cristo, come l'Arcivescovo ci propone nella sua
lettera pastorale, è perciò un comprendere che solo l'essere
"dentro la vita come credente" con tutto il cuore
..e con
tutto noi stessi... è vivere pienamente la nostra libertà
perché non più soggiogati dal ciò che voglio, ma dall'
"avvenga di me secondo la Tua Parola" che Maria disse e che, come
mamma c'insegna, con la tenerezza del suo amore, a vivere.
Concludo ricordando che la preghiera del Padre Nostro ci ha sempre detto
e inse-gnato questo stile di vita, fin da quando eravamo bambini, "sia
fatta la tua volontà come in cielo così in terra". Il
"così in terra" ci richiama costantemente al luogo della
nostra vita quotidiana e dunque al luogo della nostra missione secondo il
Vangelo.
Un caro saluto a tutti don Erve
Nasce in me spontaneo il ringraziamento e la lode in questo tempo grazie
alle tante occasioni di festa che la nostra Unità pastorale santa
Maria As-sunta ha già vissuto quest'anno e che ancora vivrà
nel contesto deil Comuni di Porto Valtravaglia e di Castelveccana. Dalla
bellissima esperienza con i ragazzi e le ragazze della prima confessione
all'ultimo appuntamento a Sarigo, vissuto grazie al martire san Genesio,
noi tutti abbiamo avuto il dono di vedere all'opera "la misericordia"
di Dio. Con le testimonianze dei suoi Santi e dei suoi Angeli ci ha mostrato
e continuerà a mostrarci, tanti "cammini di conversione",
come Lui solo sa offrire a ciascuno nella quotidianità della vita.
Tutto questo per rincuorarci e coinvolgerci nella bellezza del suo annuncio
e della sua missione a servizio di tutti e in particolare dei più
poveri.
Penso infatti che la maggior parte delle feste popolari nascono dal desiderio
di "rendere grazie" alla provvidenza di Dio Padre che non si misura
solo nello star bene, ma soprattutto nel cammino di fede che pos-siamo esprimere.
Il "camminare" per le vie dei nostri rioni nel nome di Gesù
di Maria, dei Santi e degli Angeli o il restare nei luoghi sacri per l'inclemenza
del tempo celebrando le lodi di Dio continuano ad essere quel seme della
misericordia di Dio che con ritmi personali e comunitari, insieme ed nello
stesso tempo ognuno, desideriamo offrire al nostro Paese alla nostra Cultura
e in particolare alla nostra stessa fede incarnata nell'orizzonte del nostro
vivere. Penso proprio che la tentazione di ogni individualismo, che si fa
arrogante perché tende a separare gli uni dagli altri con l'idea
di bastare a se stessi, .possa essere vinta anche con la valorizzazione
delle tradizioni popolari che sono la memoria, continuamente rinnovata,
di uno stare insieme per ringraziare e per gioire della vita comunitaria.
Quando il "ringraziare" è un'offerta a tutti per motivi
importanti e non solo di cassetta, forse è anche necessaria una programmazione
più condivisa al fine di non correre il rischio della frammentazione
in nome del desiderio dello "stare insieme per rendere grazie".
vostro don Erve
E' da pochi giorni che abbiamo vissuto la festa patronale della nostra
parrocchia di Domo coinvolta, ormai da anni, nella fraternità evangelica
dell'Unità pastorale con la parrocchia di Porto. Certamente questa
ricorrenza può anche sempre più esprimere l'accoglienza personale
e comunitaria al progetto pastorale che da anni il Vescovo ha chiesto di
vivere alle nostre due parrocchie.
Ovviamente tutti, e in particolare ai nostri giorni in cui il -morbo- dell'individualismo
preme nella nostra quotidianità, sappiamo quanto sia bello e necessario
essere testimoni della volontà di Gesù che, senza abolire
le diversità, chiama alla comunione-missione, bello slogan scelto
dalla Parrocchia per realizzare oggi un'adesione viva al Vangelo. Con questo
intenso progetto di vita evangelica mi sono sentito calorosamente accolto,
potrei dire, "ufficialmente" nella parrocchia di Domo proprio
in occasione della sua festa patronale. In particolare ho molto amato il
"segno" della processione dei Crocefissi che ogni frazione della
Parrocchia ha voluto compiere partendo dai vari luoghi per riunirsi, al
seguito di Gesù Crocifisso, davanti al Battistero di Domo. Da secoli,
infatti, questo battistero, invidiato ovunque per la sua bellezza architettonica,
ma molto di più per la sua testimonianza di "luogo" dove
si manifesta l'accoglienza misericordiosa di Dio nel dono della vita cattolica,
è presente per offrire a tutti coloro che lo desiderano di vero cuore
di confermare, con la loro vita, questo stupendo dono di Dio.
Nella gioia di avere ri-accolto la paternità di Dio ci siamo rimessi
in cammino per entrare nella Chiesa parrocchiale luogo, per eccellenza,
della testimonianza che nel Signore siamo "un solo Corpo e un solo
Spirito". Emozione e trepidazione hanno "invaso" il mio cuore
di fratello nella fede chiamato, per grazia, ad assumere la responsabilità
del servizio di parroco accogliendo il cammino che a nome del Vescovo mi
avete chiesto: aiutarvi a "camminare" dietro a Gesù per
servire tutti come Lui ci dona di compiere.
Così, insieme, nella consapevolezza della nostra fede battesimale,
abbiamo portato il Crocefisso, segno totale dell'amore di Dio per ogni uomo,
nella nostra chiesa. Lo abbiamo posto lì davanti sull'altare per
sentirci e vederci sempre amati e nello stesso tempo "spinti, sostenuti"
a seguir-Lo così da non temere d'essere suoi testimoni. Grazie cari
fratelli nella fede per questa "immersione spirituale" che mi
avete regalato. Grazie anche a tutti per l'impegno e la generosità
nel preparare e vivere questa festa patronale. Nessuno, infatti, si deve
mai sentire "ospite", ma comprendere sempre più ad essere
quella parte viva che non può mancare in questo "cammino"
di corresponsabilità che Gesù mette nelle mani e nel cuore
di ciascuno perché Lui è la Via, la Verità e la Vita.
Ora nel mese di agosto avremo l'opportunità non solo di vivere la
festa patronale di Porto per accogliere sempre meglio la comune responsabilità
evangelica che Gesù ha subito domandato ai suoi discepoli: "comunione-missione",
ma anche tante esperienze di fede grazie alle varie feste ecclesiali nelle
frazioni. Allora con tanta fraterna amicizia in "cammino" vostro
don Erve
La nostra Unità pastorale S. Maria Assunta di Domo e di Porto
da tempo aveva pensato di realizzare un pellegrinaggio a Torino per l'Ostensione
della Sindone e nell'occasione anche alla Piccola casa della Provvidenza,
fondata dal sacerdote Cottolengo. La ricorrenza dell'anniversario della
nascita di don Bosco (200 anni fa) dava uno stimolo ulteriore al nostro
"cammino di fede". Sapendo che non era possibile alla maggior
parte dei parrocchiani potervi partecipare, per varie ragioni di vita quotidiana,
questo nostro Pellegrinaggio lo abbiamo voluto accogliere anche come un
"servizio nella fede" a favore delle tante sorelle e fratelli
(in particolare i malati) che non avevano la possibilità di parteciparvi
esprimendo in tal modo la volontà del Signore Gesù di amarci
gli uni gli altri... A tutti noi pellegrini è stata data la grazia
di aver potuto rivolgere lo "sguardo" alla misericordia di Dio
che nella Sindone ci ricorda il grande dono di tutta la vita di Gesù
non solo per voi, ma per ogni persona, per tutti. Nella Sindone infatti
ci è proposto di contemplare la passione che Gesù ha vissuto
per esprimere e testimoniare la sua piena e totale volontà di amare
"con tutte le sue forze, con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima"
fino al dono totale della sua vita.
La concomitanza dell'Ostensione della Sindone nel 200° anniversario
della nascita di san Giovanni Bosco ci ha permesso di comprendere, grazie
alla sua vita, che nel fidarci dell'amore di Dio, è possibile amare
tutti e in particolare quelli che sono più in difficoltà come
i ragazzi di "strada" che don Bosco ha saputo accogliere "riaprendoli"
ad un "cammino di vita nuova". Questo "volto" del comandamento
di Dio di amare il prossimo che don Bosco ha testimoniato, lo abbiamo poi
incontrato proprio nella celebrazione della santa Messa nella Basilica del
Corpus Domini dove ebbe luogo il famoso miracolo eucaristico avvenuto qui
nel 1453.
Nel pomeriggio dopo un buon pranzo abbiamo visitato la Piccola Casa della
Provvidenza fondata dal santo Cottolengo. In quel luogo siamo stati aiutati
a vedere l'appassionata accoglienza della misericordia di Dio a servizio
di sorelle e fratelli diversamente abili. In particolare la dedizione dei
responsabili e dei volontari a servizio in quella realtà. L'aiuto
a "ridimensionare" i nostri bisogni è forse stato uno tra
i doni più belli che questo pellegrinaggio ci ha offerto. Il GRAZIE
per questa bell'esperienza di fede ora possiamo anche noi metterlo a servizio
, sempre meglio, della misericordia di Dio Padre. In tal modo la nostra
fede si mostrerà nella vita quotidiana e la nostra vita quotidiana
sarà il corpo della nostra fede per essere sempre più "prossimo"
secondo il Vangelo, con tanta fraterna amicizia don Erve
Pensando ai primi discepoli mi avvince sempre il capovolgimento delle loro
scelte dopo la risurrezione di Gesù. Infatti da paurosi e traditori
han-no accolto d'essere, sulla Parola di Gesù che domandava di diventare,
con la proposta: "andate in tutto il mondo, cominciando da Gerusa-lemme"
testimoni-missionari.
In pochissimo tempo hanno lasciato dietro di loro paure e interessi per
vivere, incredibilmente ancora insieme, la "via" della testimonianza-/missione.
Da allora ad oggi quanta "strada" hanno già compiuto i
disce-poli di Gesù e quanti, ancora oggi ci hanno aiutato a farci
"prossimo" nel suo Nome. Penso di slancio alle tante testimonianze
di vita da papa Giovanni 23° a papa Francesco e alle tante Comunità
di fede che hanno rinnovato e continuano a rinnovare il loro si al vangelo
dentro le pieghe della storia che spesso si fa crudele con le persone e
in particolare con questi nostri fratelli e sorelle cristiani. A volte però
percepisco anche che i rimpianti del tempo passato rischiano di frenare
il rinnovamento della nostra stessa testimonianza nelle nostre attuali Comunità.
Personalmente ritengo che questo nostro tempo sia invece molto propizio
per riprendere slancio missionario (non proselitismo) perché noi
stiamo vivendo un tempo di purificazione della nostra fede. Da un tempo
di cri-stianità diffusa stiamo finalmente vivendo un tempo di scelte
di vita cri-stiana. Così penso e vedo il coraggio della fede che
voi cari genitori, mamme e papà, state testimoniando in famiglia
accompagnando i vostri figli al Battesimo, alla Comunione, alla Cresima
o, non ultimo, all'Oratorio.
Percepisco una testimonianza non più abitudinaria perché siete
persone intelligenti e piene d'amore per i vostri figli. Ed infatti eccovi
qui ad ac-compagnare i vostri figli a queste scelte d'amicizia e d'impegno
con Gesù in questo mondo spesso "drogato" da individualismi
negativi. Certo che il vostro compito non è facile perché
essere cristiani sappiamo tutti che è una scelta di vita e non più
solo un rito da tramandare.
Grazie cari genitori e parenti perché continuate ad aprire il cuore
e la mente, vostro e quello dei vostri piccoli, al cammino della fede in
Gesù.
Stare accanto a voi è parte della mia corresponsabilità di
sacerdote per offrire e far crescere con voi il dono della fede. Grazie
perché state cer-cando di trasmettere ai vostri figli, attraverso
questi cammini della co-munità dei credenti, la vostra fede in Gesù
e nella sua Comunità.
Con tanta fraterna amicizia don Erve
Eccomi, con alcune sorelle e fratelli dell'Unità pastorale di Domo
- Porto, nel silenzio dell'adorazione del Santissimo Sacramento che ogni
lunedì mattino ho il dono di vivere a Porto.
In questo a "Tu per tu con Gesù" sento di arrivare con
tutta la mia vita umana e sacerdotale.
Con Lui infatti posso rivedere i "volti" di tante persone che
con me hanno celebrato le sante messe o che ho incontrato nei vari cammini
della vita quotidiana.
Rivivo con ringraziamento la loro testimonianza intessuta nelle tante occupazioni
dove gioie e sofferenze, progetti e delusioni sono come un ricamo che non
ha soluzione di continuità, ma che piuttosto esprime la complessità
del vivere quotidiano di ogni persona.
Nel Signore Gesù, che mi si offre in questa adorazione, riesco a
comprendere un po' meglio che la mia responsabilità di parroco è
chiamata ad incontrare e ad accogliere ciascuno. Solo nell'accoglienza,
infatti, mi sarà data la grazia di riscoprire costantemente il valore
e la dignità di tutti come ha fatto Gesù crocifisso che, umiliato
e disprezzato nella sua dignità di persona, con la sua preghiera
al Padre, ricca di misericordia per tutti dice: "Padre perdona a loro
perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34).
Certamente che chi quel giorno stava condannando e umiliando, sapeva bene
di condannare e di umiliare, ma non sapeva purtroppo che queste sue terribili
scelte imprimevano nella sua vita le catene della crudeltà deturpandola
senza rimedio umano. Ma Dio è il buon pastore che fa di tutto per
"salvare" chi si è perduto e che per questo coinvolge i
"suoi" a seguirlo per vivere come Lui. Pensavo così istintivamente
all'ormai prossimo mese di maggio dove, nella feconda tradizione anche delle
nostre due parrocchie, si vive in diversi luoghi della nostra Unità
pastorale la recita del santo Rosario. In essa c'è la chiara disponibilità
e la piena fiducia che seguendo Maria s'impara a seguire Gesù che
Lei stessa ha imparato ad accogliere e a donare a tutti nel suo cammino
di fede incredibile alle sole capacità umane.
Nella fede la Vergine Maria, e nostra mamma, ha saputo appassionarsi a tutti
che nel suo Figlio ha ricevuto come suoi figli. Lei da nascosta donna di
un piccolo villaggio ebreo si è lasciata trasformare, per l'accoglienza
della Parola, in Madre misericordiosa per tutti come suo Figlio le aveva
insegnato con amore e misericordia: "non sapevate che devo occuparmi
delle cose del Padre mio"(Lc2,49).
Questa passione totale per ciascuna persona secondo la misericordia di Dio,
che Maria ha imparato da suo Figlio e nostro Signore, accompagni e guidi,
grazie anche alle preghiere comunitarie del mese di Maggio, le nostre vite
quotidiane. Con affetto don Erve
Penso ai discepoli e alla bella festa che avevano vissuto insieme con il
Maestro: in amicizia con lui avevano celebrato la Pasqua ebraica. Si c'era
stata una stranezza di Gesù che prima di mangiare si era comportato
come uno schiavo togliendosi le vesti e cinto di uno straccio di grembiule
si era messo a lavar loro i piedi. Pietro aveva anche protestato, ma alla
fine lo avevano lasciato fare. Con lui infatti avevano vissuto un "cammino"
nuovo. Il Maestro, dopo averli chiamati a seguirlo, li aveva portati ad
iniziare un'esperienza di testimonianza incredibile per il loro tempo tanto
che essi avevano accettato di offrire tutta la loro vita lasciando il loro
lavoro per seguirlo. Ma poi quel loro "idolo Gesù" il giorno
dopo si era lasciato prendere dal "potere" che lo aveva umiliato
come uno schiavo fino ad ucciderlo con l'infamante condanna della crocifissione
.
e tutto il loro sogno era crollato abbandonandolo, rinnegandolo vigliaccamente
con un "non lo conosco". Il loro "idolo", una "proiezione"
di se stessi secondo la gloria del "mondo", di ogni tempo e di
ogni luogo, li aveva sconvolti perché sapevano che aveva scelto di
donare tutta la sua vita, la sua dignità fino alla morte infamante
della croce come un misero schiavo. Era troppo per loro che l'avevano seguito
con il desiderio di diventare "importanti". Era troppo e per di
più infamante. Così la loro testimonianza da viva ed entusiasta
era sprofondata in un rinnegamento gridato: "non lo conosco".
E' vero che alcuni stavano ancora insieme, ma lontani dagli altri, se ne
stavano dentro il Cenacolo ben protetti dalle "porte chiuse".
Bisognava riprendere quello che si aveva sempre fatto prima che Gesù
li chiamasse, non restava altro, secondo loro, e probabilmente anche noi
avremmo fatto così, se non di tornarsene a pescare o come i discepoli
di Emmaus ritornare a casa sconfitti dal loro "idolo ideale".
Ma Gesù li viene a cercare, si mostra loro con le ferite della crudeltà
della crocifissione e li richiama a seguirlo, anzi molto di più,
ad andare ad annunciarlo con la loro vita in tutto il mondo senza paura
perché Lui è con loro, ha vinto la morte è risorto.
E così la buona novella, il Vangelo o se vogliamo dire meglio Gesù,
invia la sua piccola chiesa ad uscire, a spalancare le porte della loro
vita verso il prossimo che ha bisogno di sapere che Dio Padre li ama come
ama loro anche dopo averlo tradito. E il Vangelo diventa finalmente viva
e umile testimonianza nel servizio dell'annuncio, ed è Pasqua. Questo,
lo sappiamo bene, perché è vero anche per noi. Buona Pasqua
cari fratelli e sorelle
nella fede don Hervé
Da qualche giorno le "nostre case di preghiera" o meglio le
nostre chiese parrocchiali possono restare aperte tutto il giorno.
Quindi non più portoni chiusi al termine delle celebrazioni eucaristiche,
ma portoni aperti per lasciare che chi vuole e come vuole possa sostare
davanti al tabernacolo per una preghiera intima e personale.
Senza sottovalutare le possibili cattiverie legate a furti siamo finalmente
arrivati ad aprire quotidianamente le nostre chiese parrocchiali alla preghiera
personale ogni giorno e per tutto il giorno collocando un sistema d'allarme,
al fine di scoraggiare chi entra in chiesa in modo malintenzionato.
Ora non ci troveremo più davanti ad un portone chiuso, ma ben aperto
per permettere, nei tempi personali desiderati, una sosta feconda e ricca
di preghiera davanti al Santissimo Sacramento, presenza eucaristica di nostro
Signore Gesù il Cristo.
Lo stile architettonico delle nostre chiese può infatti facilitare
molto questo incontro di "pace" di "confidenza" di "sfogo"
con Il Signore che non ha mai chiuso la sua "porta" a nessuno
anzi si è fatto "pellegrino" per cercare tutti. Infatti
ogni chiesa, parrocchiale o non, ha lo scopo di manifestare una "presenza"
di servizio, di consolazione, di ristoro dove chiunque possa "dissetarsi"
come alla fontanella del villaggio e poi proseguire il suo "viaggio"
sapendo che è totalmente amato dal Signore Gesù che nello
Spirito Santo si fa così visibilmente prossimo a chiunque "passa".
Lo stile di Gesù, come sappiamo bene, è nello stesso tempo
lo stile proposto anche a ciascuno di noi battezzato perché in Gesù,
per il dono dello Spirito Santo, anche noi si sia delle "chiesette
pellegrine" attraverso la nostra vita quotidiana sempre "aperte"
alla testimonianza. Lo stesso Gesù che ci ha nutrito del suo Corpo
eucaristico ci dona infatti la capacità di essere a nostra volta
una "chiesetta" che si rende disponibile ad accogliere, a testimoniare
il valore di ogni persona che "passa" nella disponibilità
a costruire sempre relazioni vere e non superficiali. E' importante perciò
che anche ciascuno di noi sia dotato di "antifurto", al fine di
vivere ed offrire una sana accoglienza senza cadere nel buonismo che in
verità può diventare solo una tentazione per il prossimo.
Penso inoltre che anche a ciascun parrocchiano farà molto bene, me
compreso, per quello che ci è possibile magari con un po' d'impegno,
poter sostare a tu per tu davanti all'Eucaristia sempre presente nel tabernacolo
delle nostre chiese parrocchiali, e in particolare in questo tempo dell'intimità
con Dio che è il tempo quaresimale,
con fraterna amicizia don Erve
Ormai è alle porte la prima festa liturgica della vita della nostra
Unità Pastorale dell'anno 2015: la Madonna apparsa a Lourdes.
Sono certo, per l'amore che Maria ci dona, che questa festa ci permetterà
di accogliere e vivere sempre più la ricchezza della corresponsabilità
evangelica da lei vissuta e donata a noi suoi figli.
In tutto quello che sto imparando, condividendo con la mia responsabilità
sacerdotale la "vita" di questa Unità pastorale di Domo
e di Porto Valtravaglia, guardo con molta speranza ad ogni tradizione. E'
certo infatti che queste tradizioni sono "i frutti" della fede
che si è incarnata nella storia quotidiana di ogni parrocchia, di
ogni frazione, di ogni persona, come lo dimostra questa festa della Madonna
apparsa a Lourdes che la frazione di Musadino vive ormai da molti anni.
La sua bellezza, per coloro che vivono nella fede, sta nell'essere testimonianza
di una "chiamata" a seguire le orme della nostra Mamma celeste
per servire la fede di tante sorelle e fratelli delle nostre due parrocchie.
Grandissima dunque la responsabilità della testimonianza che questa
frazione di Musadino saprà esprimere per illuminare e stimolare ancora
di più la viva disponibilità al Vangelo come Maria da sempre
ci indica e ci propone.
Questo è, come sappiamo bene, il motivo della festa. Può capitare
che qualcuno abbia dimenticato tutto ciò e che faccia della festa
solo una "bandiera" della propria tradizione e non della "traditio
fidei" cioè della testimonianza della fede. Come ben sappiamo
il ridurre a tradizionalismo colorato di fede quello che gli "anziani"
avevano cominciato a celebrare con vivissima fede è un grave errore.
Ma, grazie alla fede ereditata, per moltissimi è invece "il
portare avanti il servizio della testimonianza" della propria vita
di credenti.
Ecco un buon motivo di "vanto evangelico e mariano" per le sorelle
e i fratelli di Musadino, piccoli e grandi, nella testimonianza della missione
d'annunciare a tutti, in particolare nell'Unità pastorale, l'amore
di Dio che Maria ha saputo e voluto accogliere e offrire a tutti.
Nel fare festa ai suoi piedi c'è allora la volontà di vivere
ancora oggi, in una realtà quotidiana molto cambiata rispetto a "ieri",
quando voi anziani e adulti eravate giovani, per il bene di tutti e in particolare
di chi soffre come la Vergine di Lourdes ci domanda insistentemente.
Come le parole e l'esempio del Santo Padre, Papa Francesco, ci sollecitano
a seguire la Madonna per vivere quello che Lei da sempre ci ha testimoniato:
"amare il suo figlio Gesù", il Papa ci ricorda che è
molto importante essere una Unità pastorale "in uscita",
cioè in missione, per testimoniare il dono dell'unità che
si compone di tutte le diversità per il bene di tutti.
A tutti noi dunque buona conversione al dono del Vangelo,
nella fede, vostro parroco don Ervé
"Ecco, è lei il "nuovo" parroco? Si! Ahah bene,
buon giorno ecc. ecc."
In questi primi giorni con voi in questa bella unità pastorale, mi
è frequente vivere questo dialogo del primo incontro che, nella irriducibile
ricchezza della dignità di ogni persona, mi è dato il dono
di servirla in particolare nelle parrocchie di Domo e di Porto Valtravaglia
Così qualche giorno fa e precisamente il giorno di santo Stefano
salendo a San Michele con qualche famiglia che mi ha fraternamente accompagnato,
ammiravo i due paesi sottostanti con le loro case, i luoghi cari del lago
e il mio pensiero si illuminava sapendo che Dio da secoli è con tutti
voi. Il sentiero mi portava sempre più su e mi permetteva cosi di
abbracciare sempre meglio il bel panorama delle due parrocchie dove ogni
casa è la testimonianza della presenza di sorelle e fratelli che
nella sua bontà misericordiosa Dio, il Padre di tutti, ha voluto
mettermi accanto.
Il desiderio, che la fede dilata sempre più, del vivere una prossimità
reale con tutti, nel salire verso San Michele, prendeva sempre più
l'orizzonte della gioia del trovarmi con voi dopo gli irripetibili anni
vissuti in savana nel Niger. Coglievo in tal modo, nella vicenda storica
della chiesetta di san Michele, la ricca tradizione di questi miei "nuovi"
fratelli e sorelle che al Signore, da secoli, domandano di guidarli, di
convertirli all'annuncio come l'angelo San Michele, del loro borgo, annuncia
a tutti voi e anche a tutti i viandanti che salgono lassù.
Appena arrivati in cima ecco che la chiesetta ci accoglie per la preghiera
che nell'essenzialità del luogo ci domanda di essere semplici come
l'affresco di Maria con il bambino Gesù ci fa subito "respirare".
Pregare dunque per accogliere la missione di essere "mandati"
per testimoniare che Dio è amore misericordioso diventa subito chiaro.
Nel ricordare che, protetti da quelle pietre della chiesetta, tanti e tanti
prima di me hanno domandato a Dio Padre di essere guidati dall'Angelo san
Michele anch'io, pieno di riconoscenza per coloro che ci hanno "consegnato"
questo tesoro spirituale della Valle, ho pregato perché tutti e ciascuno
possano vivere un anno nuovo nell'abbondanza del dono della Grazia. E tutto
questo per portare sempre al prossimo, chiunque esso sia, la Parola che
i nostri anziani hanno saputo mettere al di sopra delle loro "case"
donandoci la chiesetta di san Michele.
A tutti, nell'abbraccio della fede, un carissimo augurio di buon Anno vostro
don Hervé