Testimoni della fede

... perchè la santità non è per pochi, ma per tutti!



In questa rubrica sono proposte figure di sacerdoti santi, o di servi di Dio e di altri testimoni della fede, uomini e donne, anche laici, ai quali possiamo fare riferimento nella nostra vita. Le biografie sono principalmente tratte dal sito santiebeati.it o dai siti propri dei santi, beati e testimoni qui presentati.

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GIANCARLO BERTOLOTTI, medico
S. Angelo Lodigiano, 1940 - Pavia, 2005

I suoi primi anni di vita trascorsero all'insegna della normalità, anche se furono segnati dalla perdita del padre nel 1949; frequentò la scuola elementare e media in paese e poi, per perfezionare la propria formazione e sfruttare le buone diposizioni allo studio, il liceo presso il Collegio Rotondi di Gorla Minore come alunno interno. Dopo aver concluso con buoni risultati gli studi liceali, nell'autunno 1958, si iscrisse all'Università di Pavia, facoltà di medicina e chirurgia. La sua non fu una scelta facile, come non fu facile per lui il periodo degli studi universitari; fu un periodo di travaglio interiore, di ricerca della propria vocazione, di valutazione fra la scelta del sacerdozio e quella della vita spesa nel servizio al prossimo come medico. Furono anni di forte impegno, di ricerca intima e anche di un certo tormento; soprattutto furono anni di crescita spirituale, di scelta determinante di vita cristiana.
Il dottor Bertolotti visse la professione di ostetrico-ginecologo come un servizio di amore; forse fu anche questo il motivo che lo spinse a non formarsi una famiglia sua, anche se l'assillo lo avrebbe accompagnato fino all'età matura.
Il suo campo di lavoro, o meglio di apostolato, era soprattutto il reparto di ginecologia del policlinico S. Matteo di Pavia. Egli visse fino in fondo con cristiana coerenza questa sua missione; non sempre, nell'ambiente medico, fu apprezzato e compreso. Accanto alla professionalità coltivava un approccio profondamente umano con le pazienti, attento non solo alla malattia o alla gravidanza, ma soprattutto alla persona. Le sue convinzioni erano ancorate alla sua profonda formazione antropologica e cristiana: fu pertanto propugnatore della regolazione naturale della fertilità ed infaticabile educatore delle coppie al corretto esercizio della sessualità e dell'amore nel matrimonio. Di qui ebbe origine anche la sua assidua collaborazione presso i consultori famigliari delle strutture ecclesiali e ai corsi di preparazione al matrimonio. Un settore che lo vide particolarmente impegnato fu quello della ricerca e della formazione dei collaboratori: il personale paramedico, specialmente le allieve della scuola per ostetriche e infermiere. Il dott. Bertolotti si può definire l'apostolo - secondo la sua espressione - del "bell'amore" e l'apostolo della vita. Fu infatti assidua la sua presenza vicino alla donna in procinto di diventare madre, indirizzando con delicatezza le donne a non rinunciare al figlio che portavano in grembo. In non pochi casi, questo significava anche sobbarcarsi il peso di aiutare materialmente la madre e il figlio. Fu una missione che gli costò critiche, ostilità e incomprensioni, ma che dette proprio fra le donne magnifici risultati testimoniati dalle numerosissime lettere indirizzategli da quante avevano deciso di diventare madri.
Il suo stile di vita era semplice, essenziale, umile, ancorato ai valori della fede e della preghiera.
In questa missione di medico cristiano continuò con assiduità e serenità fino alla morte. Il 2 novembre 2005, stava tornando da Sant'Angelo Lodigiano a Pavia per rivedere una paziente che aveva operato nella mattinata. Era alla guida della sua auto; venne investito da un furgone sulla statale; portato al Policlinico di Pavia, morì nel pomeriggio del 5 novembre 2005.
Ottenuti, il 7 febbraio 2012, il parere favorevole all'introduzione della Causa da parte della Conferenza Episcopale Lombarda, e, il 23 ottobre 2012 il Nulla Osta della Congregazione delle Cause dei Santi, è iniziato nello scorso novembre il processo canonico di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Giancarlo Bertolotti, constatando l'esistenza della sua robusta fama di santità.


SANTA SCORESE - Bari 1968 - 1991

Santa Scorese nasce il 6 febbraio 1968 a Bari, nella sua casa del rione Libertà. Sin dalla tenera età, con la sorella maggiore Rosa Maria, viene avviata alla vita cristiana da papà Piero, agente di polizia, e da mamma Angela D'Achille, casalinga.
Frequenta assiduamente la Parrocchia. Dopo le scuole dell'obbligo, si iscrive al Liceo Classico e all' Università, e frequenta la Facoltà di Pedagogia. Intanto, nell'agosto del 1987, si trasferisce con la sua famiglia a Palo del Colle, un paese a pochi chilometri da Bari, dove risiedono i parenti materni.
Qui Santa intensifica il suo impegno sociale e la sua attività di apostolato cristiano, nella Croce Rossa e nella Milizia dell'Immacolata, presso le Missionarie, e si reca spesso al loro istituto di Palese (Bari). Nel contempo frequenta il Movimento dei Focolari e diventa una "Gen". Nel 1985, a 17 anni, va a Roma al Genfest, il raduno degli aderenti al movimento di Chiara Lubich. Da allora partecipa attivamente alla vita dell'Opera a Bari ed entra a far parte del complesso musicale "Gen 2".
Santa è piena di interessi che persegue con tenacia ed entusiasmo. Si reca spesso alla Casa di Riposo a far visita agli anziani soli e ad altri istituti per bambini orfani. Presta la sua esemplare azione nel centro parrocchiale, è componente del consiglio pastorale, svolge attività di catechismo, fa parte del coro e partecipa con impegno alle iniziative dell'Azione Cattolica. Vivere il Vangelo dedicando la vita ai poveri, ai sofferenti, a chi è solo, rendendosi completamente disponibile agli altri, è da tempo il suo permanente assillo, che la spinge a interrogarsi sulla volontà di Dio e ad intraprendere una appassionata ricerca della sua vera vocazione, per poter fare la sua scelta di vita.
Col passare del tempo sente di dover vivere in modo del tutto personale il suo rapporto con il Signore, e decide, dopo lunghi e responsabili ripensamenti, di continuare i suoi impegni di studio e di vita cristiana a casa.
Intanto un giovane squilibrato prende a insidiarla, a perseguitarla, a minacciarla. Tutta l'attività di volontariato, di assistenza, di carità cristiana, oltre che di impegno universitario, è svolta da Santa mentre continua ad essere tormentata dal suo futuro assassino, che per anni non le dà tregua, la segue ovunque, la tempesta di telefonate, la intercetta in ogni spostamento, la minaccia di morte, le toglie la serenità.
Dopo anni di ossessivi pedinamenti, di diabolici inseguimenti e una prima aggressione, nella tarda serata di venerdì 15 marzo 1991, al ritorno da una riunione di catechesi, succede l'irreparabile. Al riparo della notte quel giovane l'aspetta sotto il portone di casa e la colpisce mortalmente, stroncando così la sua giovane esistenza vissuta all'insegna dell'impegno umano e della testimonianza cristiana.
Muore poche ore dopo all'ospedale Policlinico di Bari. Aveva 23 anni. Le sue ultime parole sono di perdono per il suo assassino.

Per saperne di più: Santa Scorese - L'ATTIRERÒ A ME Scritti spirituali di una Serva di Dio, a cura di Giuseppe Micunco
pagg. 320 pp. euro 20,00
Aprile 2006 (II edizione) Edizioni San Martino e Stilo Editrice - Bari


BERNARDO ANTONINI - Cimego (Trento) 1932 - Karaganda (Kazakhistan) 2002

Don Bernardo nacque a Cimego (Trento) il 20 ottobre 1932, ma quand'era ancora piccolo, la famiglia si trasferì a Raldon (Verona). Nel 1942 entrò nel seminario diocesano di Roverè Veronese e fu ordinato sacerdote il 26 giugno 1955. Dopo il primo ministero come vicario parrocchiale e per diversi anni come docente, appena la situazione politica russa postcomunista lo permise, riuscì a realizzare il suo sogno di recarsi a Mosca, dove svolse una instancabile missione, e Mosca divenne centro di una irradiazione apostolica in tutte le repubbliche ex-sovietiche; tra le sue opere ricordiamo il seminario Regina Apostolorum a San Pietroburgo, l'Istituto Teologico San Tommaso d'Aquino a Mosca, Radio Maria, e fu anche fondatore e direttore del giornale "Svet Evangelia": La sua ultima missione con lo sguardo alla Cina, dove sperava di arrivare, si svolse a Karaganda, nel Kazakhstan, dove morì il 27 marzo 2002. Oggi riposa nel cimitero di Raldon (Verona). In queste sua instancabile attività rimase sempre legato alla sua Diocesi e in obbedienza al Vescovo di Verona.
Tutti hanno parlato di don Bernardo come di un grande e instancabile apostolo, desideroso di arrivare a tutti. La sua vocazione "paolina" nell'Istituto Gesù Sacerdote, dal 1977, lo ha fatto più intimamente partecipe di quella stessa passione per Cristo e per le anime che hanno avuto san Paolo e il beato Giacomo Alberione, vivendo la centralità di Cristo e l'urgenza di portare il Vangelo a tutto il mondo di oggi e con i mezzi di oggi, con una tenerissima devozione per Maria, Regina degli Apostoli, che egli amò e pregò in tutta la sua vita.

L'11 febbraio 2009 ebbe inizio il processo diocesano per la beatificazione e la canonizzazione di Don Bernardo Antonini.

Chi fosse in possesso di lettere o documenti o, avendo conosciuto don Bernardo, potesse testimoniare della sua vita, o addirittura chi avesse ricevuto grazie per sua intercessione, è vivamente pregato di trasmetterne documentazione autografa al Postulatore, don Giuseppe Vantini, Via A. Oliosi, 2 - 37139 Verona.


GIUSEPPE LAZZATI (1909 - 1986)

Giuseppe Lazzati potrebbe essere ricordato per molte ragioni: per i suoi contributi di studioso del cristianesimo antico, per l'impegno in Azione Cattolica che lo porta ad anticipare di trent'anni quella che sarà poi chiamata la "scelta religiosa" dell'AC, per la stagione di partecipazione diretta alla politica come deputato alla Costituente e poi al Parlamento, per il ruolo svolto come Rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Pur non essendo un teologo, Lazzati ha elaborato una sorta di via laicale alla santità. Che muove dal riconoscimento del compito laicale di santificare le realtà temporali. "E' tutta la realtà che va consacrata a Dio - tutta! affinché, ricondotta a Cristo, attraverso Cristo canti il suo inno di gloria al Padre che l'ha creata". Tutta la realtà comprende "il cielo e la terra, gli spazi infiniti; vuol dire l'erba del campo, il grano, tutti gli animali, le cose animate e inanimate, tutto ciò che è stato creato da Dio; vuol dire tutti gli strumenti che l'uomo ha scoperto per dominare la terra secondo il comando divino, tutte le scienze, tutte le arti, tutte le tecniche; vuol dire tutte le attività umane dalla più umile alla più alta, da quella del manovale a quella speculativa; vuol dire tutte le attività attraverso le quali l'uomo realizza la comunità familiare, l'attività sindacale. Il laico, dunque, non si santifica nonostante il suo coinvolgimento nelle cose temporali, ma proprio attraverso di esso. Il fedele laico non è, per Lazzati, un semplice emissario, l'anello terminale di una catena clericale, ma colui che si assume, in piena responsabilità e autonomamente, la sua vocazione di essere sale e lievito, di stare nel mondo e in mezzo agli altri con atteggiamento accogliente e dialogante, senza orgogli di appartenenza e chiusure preconcette.
Per quanto la sua partecipazione alla vita politica attiva sia stata breve, Lazzati elabora nel corso degli anni un suo pensiero politico. Egli riflette sul rapporto tra fede e politica e afferma la laicità e l'autonomia della politica. La politica ha come scopo " la costruzione della città dell'uomo" ed è perciò "la più alta attività umana: quella che dovrebbe realizzare quel bene comune che è da intendere quale condizione per il massimo sviluppo possibile di ogni persona, questa è la politica in se stessa".
Per queste ragioni secondo Lazzati è indispensabile imparare a "pensare politicamente" e la pratica politica del cristiano non deve avvenire in quanto credente, ma perché credente. In altri termini, il cristiano non si impegna in politica da cristiano ma spinto dalla sua motivazione cristiana, dunque capace di concorrere al bene di tutti e di collaborare per questo fine con tutti. Come ogni sentinella che si rispetti, Lazzati ha avuto il coraggio di guardare nel buio e perciò di precorrere l'aurora e il suo modo di pensare politicamente e laicamente conserva tutta la sua valenza profetica perché non mira ad edificare una sorta di nuova cristianità ma prepara ad una convivenza pacificamente aperta e costruttiva, disegna un modello di società praticabile, non concorrenziale, non conflittuale, nel nostro attuale contesto multirazziale, multireligioso, multiculturale.
Papa Francesco in data 5 luglio 2013 lo ha dichiarato "Venerabile".


Fratel Ettore Boschini Camilliano
Belvedere di Roverbella, Mantova, 25 marzo 1928 - Milano, 20 agosto 2004

Un samaritano dei nostri tempi, che nella scia di s. Camillo de' Lellis, dedicò buona parte della sua vita a lenire le sofferenze dei bisognosi, soprattutto dei più diseredati e soli, andando perfino a cercarli per dare loro un punto di riferimento, in questa società indifferente. Ma già da quando aveva quattro anni, le condizioni economiche familiari di benestanti agricoltori cambiarono a causa di una grave carestia. La fanciullezza di Ettore trascorse così in ristrettezze economiche familiari e giunto all'adolescenza dovette lasciare la scuola, per andare a lavorare nei campi e nelle stalle, alle dipendenze di piccoli proprietari terrieri. Giunto ai 24 anni, la vocazione allo stato religioso che avvertiva in sé, si fece più insistente, per cui scelse di entrare nell'Ordine dei Camilliani, venendo accolto il 6 gennaio 1952 e pronunciando i voti temporanei come Fratello, il 2 ottobre del 1953. Fratel Ettore ebbe come destinazione la Casa camilliana degli Alberoni al Lido di Venezia, dove rimase come fratello operoso e benvoluto, per una ventina di anni. Nei primi anni Settanta fu destinato a Milano, alla clinica camilliana "San Pio X", dove mentre lavorava, riuscì a conseguire la licenza media e il diploma d'infermiere professionale. Nel capoluogo lombardo, scoprì le miserie che si nascondono nella vita metropolitana delle grandi città e iniziò ad aiutare i più bisognosi, appoggiandosi dapprima alla clinica "San Camillo", e poi dal 1979, con il permesso dei suoi Superiori, accogliendoli e dando loro un punto di riferimento in Via Sammartini. Desideroso di stare vicino ai più diseredati, barboni, extracomunitari, senza tetto, persone sole senza affetti, prese ad istituire dei "Rifugi", luoghi ospitali organizzati per soccorrerli al meglio, prima da solo, poi con l'aiuto di volontari, anime sensibili attratte dal suo carisma camilliano. Il primo "Rifugio" fu appunto quello di Via Sammartini a Milano, un androne sotto i ponti della Stazione Centrale, un luogo molto particolare, con il soffitto che tremava con il passare dei treni e con lo sferragliare dei vagoni che assordava gli ospiti; erano dei disperati che comunque poterono a migliaia trovare negli anni un calore umano, accolti con amore infinito da fratel Ettore Boschini, che li considerava come suoi fratelli con dignità pari a quella di qualsiasi uomo e donna. Il "Rifugio" di Milano, fu da lui dedicato agli "Amici del Cuore Immacolato di Maria"; nel tempo seguirono altri centri di accoglienza in Italia e l'ultimo a Bogotà in Colombia. Con la sua sdrucita veste talare nera, con la grossa croce rossa sul petto, percorreva in lungo e in largo Milano, alla ricerca dei bisognosi, specie quelli più vergognosi della loro misera condizione e con umiltà e tenerezza, porgeva la mano del suo aiuto concreto e spirituale, per sollevarli dall'isolamento; portava in tasca le corone del rosario di plastica bianca e ad ogni occasione le distribuiva, invitando ad elevare l'animo nella preghiera, recitando un Ave Maria alla Madonna, della quale era devotissimo. Superò infinite difficoltà, incomprensioni, maltrattamenti e, con il tempo, divenne il simbolo di una vera e difficile solidarietà dei nostri tormentati, consumistici, indifferenti tempi. Fratel Ettore Boschini, morì il 20 agosto 2004 a 76 anni, nella clinica camilliana "San Pio X" a Milano; in quel fine estate la città rimase scossa per la perdita di quel testimone 'scomodo' dell'amore di Dio; in effetti tutti lo conoscevano e qualcuno lo definiva un matto, ma la notizia arrecò ai milanesi un vuoto terribile; fratel Ettore era infatti un uomo, un religioso, difficile da capire in questi tempi di diffuso egoismo, ma necessario ed efficace a far risvegliare le coscienze di quanti lo conoscevano.


Card. Ersilio Tonini
(San Giorgio Piacentino, 20 luglio 1914 - Ravenna, 28 luglio 2013)

Entrò in seminario all'età di undici anni e il 18 aprile 1937 fu ordinato presbitero per la diocesi di Piacenza dal vescovo Ersilio Menzani. Fu vice-rettore del seminario, poi insegnante e assistente spirituale dei gruppi FUCI e dei Laureati cattolici, e direttore del settimanale diocesano "Il Nuovo Giornale". Dal 1953 al 1968 fu parroco della parrocchia di San Vitale a Salsomaggiore Terme. Il 28 aprile 1969 papa Paolo VI lo nominò vescovo di Macerata e Tolentino e amministratore apostolico di Recanati, Cingoli e Treia. In tale veste attuò una coraggiosa riforma agraria, cedendo ai contadini i terreni della diocesi. Ricevette la consacrazione episcopale il 2 giugno 1969 per l'imposizione delle mani dell'arcivescovo Umberto Malchiodi e dell'arcivescovo coconsacrante Agostino Casaroli e del vescovo Carlo Colombo. Il 22 novembre 1975 fu nominato arcivescovo di Ravenna e vescovo di Cervia, sedi episcopali unite aeque principaliter. Nel 1986, in seguito alla plena unione delle due sedi, fu arcivescovo di Ravenna-Cervia. Nel 1987 aderì alla campagna umanitaria per i brasiliani nativi del Roraima "Uma vaca para o Indio". Ne discusse con papa Giovanni Paolo II, che la approvò ed effettuò una donazione di decine di milioni di lire. Il papa gli affidò inoltre un messaggio scritto di suo pugno da portare alle popolazioni brasiliane. Si recò personalmente in Amazzonia e, col vescovo e i missionari locali, si presentò agli Indios e lesse, durante la Messa, il messaggio papale davanti a 500 giovani. Papa Giovanni Paolo II accolse le sue dimissioni da arcivescovo per raggiunti limiti di età, il 27 ottobre 1990. Nel 1991 fu tra i protagonisti della trasmissione televisiva giornalistica I dieci comandamenti all'italiana di Enzo Biagi, definita dalla Santa Sede "un esempio di moderna catechesi che si avvale del mezzo e del linguaggio televisivo". Fu la prima di una lunga serie di apparizioni televisive che ne fecero un commentatore apprezzato e ricercato.Nel concistoro del 26 novembre 1994 papa Giovanni Paolo II lo creò cardinale. Il 2012 è l'anno dell'uscita della sua autobiografia, scritta insieme a Paolo Gambi, dal titolo Il gusto della vita. Perché alla soglia dei cent'anni credo sempre nella meraviglia. Si è spento il 28 luglio 2013 presso l'Opera Santa Teresa di Ravenna.


Card. François Xavier Nguyên Van Thuân
(Viet Nam 17.4.1928 - Roma 16.9.2002)

Il Cardinale François Xavier Nguyên Van Thuân, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, discendeva da una famiglia che può annoverare numerosi martiri: nel 1885 tutti gli abitanti del villaggio di sua madre furono bruciati nella chiesa parrocchiale, eccetto suo nonno, che in quel tempo studiava in Malesia. I suoi antenati paterni sono stati vittime di molte persecuzioni, tra il 1698 al 1885.
Sua nonna, ogni sera, dopo le preghiere della famiglia, recitava ancora il rosario per i sacerdoti. Non sapeva né leggere né scrivere. Sua mamma Elisabeth lo ha educato cristianamente fin da quando era in fasce. Ogni sera gli insegnava le storie della Bibbia e gli raccontava le testimonianze dei martiri, specialmente dei suoi antenati. Quando il figlio venne arrestato, la mamma continuava a pregare perché lui restasse sempre fedele alla Chiesa, pronto a compiere la volontà di Dio, perdonando i suoi aguzzini.
È stato ordinato sacerdote l'11 giugno 1953. Ha compiuto gli studi a Roma, laureandosi in Diritto Canonico nel 1959. Dopo aver conseguito la laurea a Roma, è tornato in Viêt Nam come professore e poi rettore del seminario, vicario generale e Vescovo di Nha Trang dove Il suo impegno è stato molto intenso. I seminaristi maggiori sono passati da 42 a 147 in 8 anni. Quelli minori da 200 a 500. Inoltre si è dedicato a rafforzare la presenza dei laici, dei giovani, dei consigli pastorali. È stato poi nominato da Papa Paolo VI Arcivescovo titolare di Vadesi e Coadiutore di Saigon il 24 aprile 1975. Dopo pochi mesi, però, con l'avvento del regime comunista è stato arrestato e messo in carcere. Ha vissuto in prigione per tredici anni, fino al 21 novembre 1988, senza giudizio né sentenza, trascorrendo nove anni in isolamento. In catene è stato ricondotto nel territorio della sua prima Diocesi, a Nha Trang. Il carcere non era lontano dal vescovado e per lui è stata un'esperienza drammatica. Ha vissuto momenti durissimi come il viaggio su una nave con 1500 prigionieri affamati e disperati. Quindi nel campo di rieducazione di Vinh-Quang, sulle montagne, con altri 250 prigionieri.
La celebrazione dell'Eucaristia è stato il momento centrale delle sue giornate. Ha celebrato la Santa Messa sul palmo della sua mano, con tre gocce di vino ed una goccia d'acqua. In carcere è riuscito anche a creare delle piccole comunità cristiane che si ritrovavano per pregare insieme e soprattutto per la celebrazione dell'Eucaristia. La notte, quando è stato possibile, ha organizzato turni di adorazione davanti all'Eucaristia.
È stato liberato il 21 novembre 1988, Festa della Presentazione di Maria al Tempio. Una volta liberato, a Ginevra, nel 1992, è stato nominato membro della Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni. Il Cardinale François Xavier Nguyên Van Thuân è deceduto il 16 settembre 2002 dopo una lunga malattia.

Si è chiusa nei giorni scorsi (fine luglio 2013) a Roma la fase diocesana del processo di beatificazione.


Nicolò Rusca, sacerdote
Bedano, aprile 1563 - Thusis 4 settembre 1618

Il 19 dicembre 2011, Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto riguardante il martirio del Servo di Dio Nicola Rusca, sacerdote diocesano; nato a Bedano (Canton Ticino) nel mese di aprile 1563. La celebrazione per la beatificazione, in concomitanza con il 450° anniversario della nascita, si è svolta a Sondrio, il 21 aprile 2013

Dopo gli studi iniziali a Pavia e a Roma, Rusca frequentò per sette anni il Collegio Elvetico, fondato a Milano da Carlo Borromeo per la formazione di chierici provenienti dai Cantoni svizzeri. Venne ordinato prete il 23 maggio 1587. Il primo incarico, nel 1588, fu la cura della parrocchia di Sessa, nella pieve di Agno (attuale Canton Ticino), dove rimase per circa due anni. In seguito, venne nominato arciprete di Sondrio, territorio dipendente dalla diocesi di Como, ma politicamente soggetto alle Tre Leghe Grigie (in seguito Canton Grigioni), che avevano occupato la Valtellina, con Bormio e Chiavenna, da ormai ottant'anni, ben consapevoli della sua importanza strategica.
Nei quasi trent'anni di permanenza a Sondrio - dall'8 luglio 1591, quando prese possesso della parrocchia, al 1618 - Nicolò Rusca svolse esemplarmente il ministero: predicazione e scuole della dottrina cristiana, amministrazione dei sacramenti, istituzione di confraternite, in particolare quella del Santissimo Sacramento, rinnovamento dei luoghi sacri e delle suppellettili liturgiche, pietà unita a una condotta di vita che fosse "a edificazione de popoli", continuo studio.
Non di meno fervente fu la sua azione a difesa della dottrina cattolica, mediante scritti e dispute - se ne ricordano almeno tre, tra il 1592 e il 1597 -, mossa dal desiderio di preservare e ravvivare la fede delle popolazioni della valle. Qui si andava diffondendo, grazie anche ai dominatori grigioni, in maggioranza passati alla Riforma, la predicazione di ministri protestanti.
All'inizio del Seicento la situazione politico-religiosa condusse lo Stato retico a un periodo di forte disorientamento. In reazione a un patto sancito tra i Grigioni e la Spagna, nel 1617, si era prodotto il "sollevamento in armi" di alcuni Comuni filo-veneti. Tale iniziativa assunse anche un chiaro connotato confessionale, individuando indistintamente quali nemici dello Stato sia i sostenitori della Spagna, sia alcuni cattolici più eminenti. Gli insorti, confluiti nei pressi di Thusis, istituirono un tribunale per i sospettati di tradimento. Iniziarono così processi sommari e faziosi, influenzati da alcuni giovani pastori riformati di tendenza radicale, presenti come "supervisori" ecclesiastici.
Ne fu vittima, tra gli altri, l'arciprete di Sondrio, che già aveva subìto due processi, nel 1608-1609, da cui era uscito completamente scagionato. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1618 venne sequestrato da alcune decine di uomini armati, scesi a Sondrio attraverso la Valmalenco, sotto la guida del pastore protestante Marcantonio Alba.
Condotto nei Grigioni, prima a Coira, poi a Thusis, il primo settembre fu processato, affermando sempre di essere innocente. Posto sotto tortura, morì la sera del 4 settembre 1618.

 


ANNALENA TONELLI missionaria
Forlì, 2 aprile 1943 - Borama, Somaliland, 5 ottobre 2003

Annalena Tonelli è una nuova martire della carità cristiana, che ha già visto in questi ultimi decenni, centinaia di vittime, che a vari motivi, religiosi, politici, guerriglia, ignoranza, miseria, odio razziale, hanno perso la loro vita nel fare del bene e nel portare sollievo alle sofferenze e privazioni, di tanta gente. E in quest'ottica si inserisce la vicenda umana, eroica, silenziosa di Annalena Tonelli, che nell'anno e nel mese della canonizzazione di san Daniele Comboni, vescovo missionario e fondatore dei 'Missionari e Missionarie Comboniani' e della beatificazione di madre Teresa di Calcutta, notissima fondatrice delle 'Missionarie della Carità', perdeva, anzi donava la sua vita il 5 ottobre 2003 a Borama nel Nord della Somalia, colpita alla nuca da un colpo di arma da fuoco.
Annalena Tonelli fin da ragazzina si era sentita chiamata a donarsi per gli altri, crebbe, studiò e si formò in questa vocazione di laica impegnata per gli altri, compendiata in quello che lei disse nel dicembre 2001 nella Sala Nervi in Vaticano, durante un convegno al quale era stata invitata a partecipare: "Scelsi che ero una bambina di essere per gli altri, i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati, e così sono stata e confido di continuare fino alla fine della mia vita; volevo seguire solo Gesù Cristo, null'altro mi interessava così fortemente: Lui e i poveri per Lui".
Annalena si era laureata in Legge a Bologna, prendendo poi vari diplomi a Londra e in Spagna per la cura delle malattie tropicali e della lebbra; non era medico, ma visse lavorando per i malati; mise a punto una profilassi per la tubercolosi, utilizzata oggi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, in tutto il mondo.
Donna di poche parole, era impegnata più a fare che a parlare, tanto meno di sé stessa; molto nota in Africa e all'estero, in Italia invece era poco conosciuta, la sua morte è stata una sorpresa che ha fatto scoprire quanto si prodigasse per gli altri e il beneficio silenzioso della sua opera.
Se in Italia era poco conosciuta, ripetendo una frase di Franca Zambonini su 'Famiglia Cristiana', "le somale emigrate in Italia, i nomadi del Kenia, i tubercolotici di Manyatta, i malati di Aids di Borama e i rifugiati del Nord Somalia, cioè loro gli sconsolati della Terra, conoscevano bene Annalena Tonelli"; che una mano assassina e forse piena di odio per il bene che faceva, ha stroncato a 60 anni, dei quali 33 trascorsi in Africa e particolarmente in Somalia dove è stata sepolta, come desiderava.


Paolo VI sarà presto beatificato
Il 20 dicembre 2012 Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto riguardante le virtù eroiche del Servo di Dio Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano dal 1955 al 1963 e poi Papa Paolo VI.

I Papi del XX secolo sono tutti grandi. Fra questi Paolo VI risplende di una grandezza peculiare per la complessità dei 15 anni del suo pontificato, iniziato nel 1963 raccogliendo da Giovanni XXIII la difficile eredità del Concilio e concluso nel 1978, nel vortice degli "anni di piombo" segnati dall'assassinio di Moro.
Fu una stagione di sofferenza per colui che doveva guidare la Chiesa sulle strade del rinnovamento conciliare. Vi erano coloro che volevano correre, premendo l'acceleratore e bruciando le tappe col rischio, evidente e reale, non immaginario, di bruciare anche verità e valori irrinunciabili della tradizione cristiana. E vi erano altri che premevano sul freno, accusando la Chiesa di dissipare e tradire il "deposito della fede". Paolo VI, guardando con amore gli uni e gli altri, ha accettato incomprensioni e si è collocato con mitezza e serenità dentro la bufera, sotto la croce, tenendo sempre fisso lo sguardo a Cristo Signore, docile allo Spirito. Fu questa la sua forza, la fonte del suo coraggio, il sostegno nelle sue solitudini e la fonte del suo equilibrio anche verso offese e pressioni. L'amore a Cristo, alla Chiesa e all'umanità hanno sorretto la sua illuminata azione e il suo lucido Magistero, ancora fresco e attuale.
Ma la profonda spiritualità di papa Montini non è iniziata il giorno della elezione al soglio pontificio: veniva da lontano. Affondava le sue radici nella educazione ricevuta in terra bresciana, permeata di cattolicesimo vero e autentico: nella sua famiglia imparò l'abc del cristianesimo e vedendo l'operosità, frutto della fede, di tanti sacerdoti e laici della sua terra, capì fin da bambino il fascino del cristianesimo. La vita di Paolo VI è affascinante. E si scopre pure che tutta l'esistenza di papa Montini è segnata dalla cifra della santità. Una santità moderna, centrata su Cristo e fonte di un meraviglioso intrecciarsi di virtù umane e cristiane. L'amore a Cristo in Paolo VI si è tradotto in tante scelte umanissime, in una grande finezza e sensibilità verso l'uomo, in un amore smisurato alla Chiesa.
L'intera vita di Papa Montini dimostra che è la santità la più alta forma di missione e evangelizzazione, dimostra che "chiunque segue Cristo, uomo perfetto, diviene lui stesso, più uomo". E non va dimenticato, abbattendo un ingiusto luogo comune che vuole Papa Montini triste e afflitto, che il cristiano, il santo è un uomo di gioia. E Paolo VI sapeva gioire e comunicare gioia. É l'unico Papa della storia che ha dedicato un documento alla gioia.


Beata Maria Troncatti - Religiosa
Corteno Golgi, Brescia, 16 febbraio 1883 - Sucúa, Ecuador, 25 agosto 1969

A Corteno Golgi nasce il 16 febbraio 1883 Maria Troncatti. Nella numerosa famiglia cresce lieta e operosa fra i campi, gli alpeggi e la cura dei fratellini, in un clima caldo dell'affetto di esemplari genitori. Assidua alla catechesi parrocchiale e ai Sacramenti, l'adolescente Maria matura un profondo senso cristiano che la apre ai valori della vocazione religiosa. Per obbedienza al padre e al Parroco, però, attende di essere maggiorenne prima di chiedere l'ammissione all'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice ed emette la prima professione nel 1908 a Nizza Monferrato.
Durante la prima guerra mondiale (1915-18) Suor Maria segue a Varazze corsi di assistenza sanitaria e lavora come infermiera crocerossina nell'ospedale militare: una esperienza che le riuscirà quanto mai preziosa nel corso della sua lunga attività missionaria nella foresta amazzonica dell'Oriente equatoriano. Partita infatti per l'Equatore nel 1922, è mandata fra gli indigeni shuar dove con altre due consorelle inizia un difficile lavoro di evangelizzazione in mezzo a rischi di ogni genere, non esclusi quelli causati dagli animali della foresta e dalle insidie dei vorticosi fiumi da attraversare a guado o su fragili "ponti" di liane oppure sulle spalle degli indi. Macas, Sevilla don Bosco, Sucúa sono alcuni dei "miracoli" tuttora fiorenti dell'azione di suor Maria Troncatti: infermiera, chirurgo e ortopedico, dentista e anestesista... Ma soprattutto catechista ricca di meravigliose risorse di fede, di pazienza e di amore fraterno. La sua opera per la promozione della donna shuar fiorisce in centinaia di nuove famiglie cristiane, formate per la prima volta su libera scelta personale dei giovani sposi
Suor Maria muore in un tragico incidente aereo a Sucúa il 25 agosto 1969. La sua salma riposa a Macas.
Il giorno 8 novembre 2008 è stato pubblicato il Decreto sull'eroicità delle virtù di questa esemplare missionaria della pace e della vita. Il 24 novembre 2012 è dichiarata Beata a Macas in Ecuador.


Gabriele Maria Allegra Sac. francescano
Catania, 26 dicembre 1907 - Hong Kong, Cina, 26 gennaio 1976

Il missionario francescano padre Gabriele Maria Allegra, fu un uomo 'ecumenico', quando parlare di ecumenismo per i suoi tempi, faceva arricciare il naso, egli fu soprattutto un ricercatore di tutto ciò che poteva unire, e non di quello che poteva dividere, con i fratelli cristiani separati, presenti anch'essi nel contesto cinese in cui operò.
A 19 anni, nel settembre 1926 venne inviato all'Istituto 'Antonianum' di Roma, per frequentare il corso di teologia. Nel 1931 partì come missionario per la Cina e fra i suoi propositi c'era quello importante di tradurre la Bibbia in cinese; il 20 luglio 1931 arrivò a Heng Yang e per sette anni diede tutto sé stesso, come direttore del locale seminario.
Nel 1945 istituì a Pechino lo Studio Biblico; nel 1975 pubblicò il 'Dizionario Biblico' in cinese, inoltre nel 1963 aveva fondato a Singapore uno Studio Sociologico; gli fu dato il titolo di "Il s. Girolamo della Cina"; morì santamente a Hong Kong il 26 gennaio 1976.
Padre Gabriele Maria Allegra, fu uno dei più grandi attivisti, sia in campo culturale, sia in quello pastorale. La sua opera non fu soltanto quella di un uomo colto ed erudito, ma anche quella di un santo e grande missionario francescano; svolse un proficuo apostolato, predicando, confessando, assistendo gli ammalati ed i bisognosi di ogni genere, non escluso i lebbrosi, con i quali trascorreva le sue vacanze.
Ma la sua opera maggiore, fu la più silenziosa e nascosta, quella del contatto ecumenico con le altre religioni cristiane presenti nel territorio cinese; stimatissimo, tenne rapporti di fraterna amicizia con il vescovo anglicano di Hong Kong e con i numerosi ministri di culto della Chiesa Protestante.
La simpatia, la delicatezza, unita al fascino per la sua grande ed insieme umile cultura biblica, lo fecero diventare un sicuro punto di riferimento per tutti i cristiani della Cina, alla ricerca della verità e impegnati a testimoniarla con operosità.
Il 14 gennaio 1984 è stata introdotta a Hong Kong la causa per la sua beatificazione; il 15 dicembre 1994 vi è stato il decreto sull'eroicità delle virtù e il titolo di venerabile; è stato beatificato in data 29 settembre 2012.


PADRE ALFREDO CREMONESI (missionario PIME)
(15 maggio 1902 - 7 febbraio 1953)


Nell'ottobre del 1922, all'età di vent'anni, inizia a frequentare la terza teologia nel Seminario per le Missioni Estere di Milano. Sempre in movimento, precipitoso nel parlare e nell'azione, si lascia impressionare da ogni cosa e si entusiasma subito a tutto: gli piace scrivere romanzi e comporre poesie; numerose riviste cattoliche ospitano suoi articoli. Scrittore brillante, dunque, e poeta, tanto che, mentre porta a termine gli studi teologici, insegna lingua italiana agli studenti del ginnasio. Il 12 ottobre 1924 viene ordinato sacerdote ed esattamente un anno dopo parte per la Birmania. Ha solo ventitré anni quando salpa da Genova verso questo paese sconosciuto, eppure saluta coraggiosamente i suoi amici, i suoi sei fratelli minori e i suoi genitori, giurando a se stesso di non rientrare mai più in patria.
Arrivato il 10 novembre 1925 a Toungoo (Birmania), p. Alfredo si trova in un mondo completamente diverso dal suo e per un anno deve impegnarsi nello studio lingua e del nuovo stile di vita, dopodiché gli viene affidato l'incarico di seguire la procura della missione. Presto il suo sogno si realizza: il vescovo gli affida un distretto nuovo e Donoku, un villaggio sperduto tra i monti, diventa il punto di partenza per molte sue spedizioni. Inizia così la sua "vita di vagabondaggio tra villaggi pagani e cattolici", diventando uno dei viaggiatori più instancabili tra i suoi confratelli. E così continua le sue "peregrinazioni apostoliche", lasciandosi plasmare da Dio che agisce non solo fuori ma anche dentro di lui. Infatti, pur con le sue crisi interiori, riesce a essere sempre servizievole, sempre allegro: irradia intorno a sé gioia e serenità, tanto che la gente dei villaggi vicini lo chiama "il sorriso della missione". Nel 1941 la Seconda guerra mondiale si fa sentire sempre più vicina e p. Cremonesi ne vive ogni atrocità. Ai primi di gennaio del 1947 la Birmania è ormai libera dall'invasione giapponese e indipendente dall'Inghilterra e p. Alfredo può tornare a Donoku. Con nuovo entusiasmo si mette a ricostruire tutto quello che è stato devastato e a risistemare quanto è ormai abbandonato. La Birmania ha sì ottenuto l'indipendenza, ma il governo centrale incontra grossi ostacoli: le tribù formate da protestanti battisti, si ribellano al potere costituito e si danno alla guerra partigiana. I cattolici, rimasti fedeli al governo, sono malvisti dai ribelli, inoltre non godono di nessuna protezione da parte dell'esercito regolare Così p. Cremonesi, in seguito a un'irruzione di ribelli nel villaggio di Donoku, è costretto ad abbandonare il suo lavoro e a rifugiarsi a Toungoo. La guerra tra i due schieramenti è senza esclusione di colpi; soprattutto è furiosa la rabbia delle truppe regolari contro i villaggi sospettati ormai indistintamente di favorire i ribelli. E p. Alfredo, pur di assistere i suoi cristiani, ne condivide tutti i pericoli. Un giorno le truppe governative irrompono improvvisamente nel villaggio di Donoku, accusando p. Cremonesi e gli abitanti del villaggio di favoreggiamento nei confronti dei ribelli. A nulla servono le parole concilianti del padre: accecati dalla rabbia, i soldati rispondono immediatamente con raffiche di mitra. Colpiscono per primo il capo-villaggio, che si trova accanto al missionario, poi si rivoltano contro p. Cremonesi. Colpito in pieno petto, cade a terra. E' il 7 febbraio 1953.
E' in corso la sua causa di beatificazione, conclusa a livello diocesano nel settembre scorso ed ora a Roma.


DOMENICO ZAMBERLETTI
Sacro Monte di Varese, 24 agosto 1936 - 29 maggio 1950

 

Domenico Zamberletti nacque e morì all'ombra del Santuario dell'Assunta al Sacro Monte di Varese. E nell'Albergo del Sacro Monte, di cui i genitori erano proprietari e gestori, nacque il 24 agosto 1936, ultimo di tre fratelli. Famiglia agiata e ricca di sentimenti umani e cristiani che seppe trasmettere ai figli, specie al più piccolo Domenico, il quale già in tenera età era pieno di bontà per i poveri, al punto di disporre che in cucina si preparasse un piatto in più per il "Cristo affamato", infatti tutti i giorni si presentava qualche povero all'albergo, bisognoso di cibo.
Pur essendo il "padroncino", aiutava personalmente la servitù che trattava come fratelli. La preghiera lo attraeva notevolmente, al punto che un giorno una suora dovette scuoterlo dal suo raccoglimento per farlo andare via e lui: "È già ora di andare? Non mi accorgo del tempo che passa".
Amava la musica in modo particolare e ancora piccolo aveva iniziato a suonare esercitandosi sul pianoforte dell'Albergo del Sacro Monte, improvvisando delicate melodie.
A 9 anni divenne addirittura organista ufficiale del Santuario; seguendo il consiglio del padre, prese a suonare senza spartito durante la Consacrazione, lasciando spazio al cuore di suonare ciò che sentiva.
E una volta una signora, commossa dalla melodia inedita, ne chiese lo spartito e Domenico rispose: "Mah… non ce l'ho! La musica mi è sgorgata dal cuore, ma io non ricordo nemmeno una nota"; continuò a suonare liberamente melodie stupende, anche per i propri compagni e parenti.
Scelse di andare a scuola presso il Collegio Salesiano di Varese, per raggiungerlo prendeva ogni mattina la "cremagliera" del Monte e poi il tram.
Intelligente, sveglio, curioso, con la guida del suo confessore, con la preghiera, la mortificazione e il compiere gioiosamente i doveri, riuscì a raggiungere mete spirituali sconosciute a molti degli allievi.
Ogni mattino, prima della scuola, il "ragazzo del Sacro Monte" si recava nella cappella del collegio e qui davanti alle immagini della Madonna Ausiliatrice, di s. Giovanni Bosco e s. Domenico Savio, Domenichino, come veniva chiamato per distinguerlo dal santo, pregava e si confidava con i suoi celesti protettori. Ma il Signore voleva da lui ancora di più; ai primi di gennaio del 1949 si presentarono i primi sintomi con una pleurite, di una grave malattia che avrebbe stroncato tutti i suoi sogni e quelli degli altri che l'amavano: la leucemia.
Seguirono otto mesi d'intense sofferenze, offerte dal suo letto di dolore per il Papa, il clero, i malati, i fanciulli poveri e gli educatori; proferì varie frasi degne di un santo, anche se aveva poco più di 13 anni."So che non guarirò, il Paradiso è assicurato", "Non voglio essere incosciente quando muoio… è Domenico Savio che mi viene incontro".
E nell'anno in cui il suo grande amico e confidente Domenico Savio, veniva proclamato beato, Domenichino Zamberletti moriva il 29 maggio 1950, spirando con un grido gioioso: "Mamma mi viene incontro la Madonna!".
La sua tomba è nel cimitero del Sacro Monte di Varese.


ADELE BONOLIS
Milano 14 agosto 1909 - 11 agosto 1980

Adele Bonolis (zia del noto presentatore Paolo Bonolis) è l'ultima di quattro figli ed è stata battezzata nella Basilica di Sant'Ambrogio a Milano. La sua vita futura sembra "segnata" da un incontro: ancora bambina in compagnia del padre vede per la prima volta una prostituta e da adulta infatti si occuperà delle donne di strada per restituire loro dignità e offrire loro un occasione di riscatto. La formazione di Adele avviene in oratorio nelle fila della gioventù femminile di Azione cattolica. Tra gli anni trenta e quaranta cresce in Lei il desiderio di una consacrazione privata e di dedicarsi ad una vita di apostolato.
L'idea che l'accompagnerà tutta la vita è quella di " ristabilire l'amore" e di " trasformare il male in bene".
Nel 1932 conosce Giuseppina Achilli con la quale stringerà un rapporto di sincera amicizia e collaborazione; sarà Lei ad incoraggiare Adele a proseguire gli studi fino a ottenere il diploma magistrale, la maturità classica e infine a laurearsi in Lettere e Filosofia all'Università Cattolica nel novembre 1944 con una tesi intitolata " Il male Morale". Inizia il suo impegno al Centro diocesano con le donne di A.C. e poi nel CIF provinciale di Milano dove dedicherà molto tempo ed energie.
Nel 1943 un bombardamento distrugge l'abitazione della famiglia Bonolis e Adele si trasferisce con il padre malato a Tradate dove è parroco Don Pietro Restelli zio dell'amica Giuseppina. Inizia ad avvicinare le persone bisognose soprattutto le prostitute, da cui è sempre stata attratta e che vede particolarmente esposte. Ben presto anche Giovanna Negrini si unisce alle due amiche Adele e Giuseppina: nasce così il primo nucleo di una comunità di donne che negli anni successivi sarebbe molto cresciuta. Nel 1947 Adele accetta di dirigere una colonia estiva che accoglie anche ragazzi a rischio, l'esperienza è positiva e i genitori chiedono di non interrompere quell'iniziativa dalla forte valenza educativa: nasce così " la casa dei ragazzi" a Castello di Vezio, in provincia di Lecco per ospitare i minori. Tra 1950 e il 1962 nascono quindi quattro opere: la prima naturalmente sarà per le prostitute poi per persone detenute ed ex, per malati psichici.
Adele è accogliente, determinata, coraggiosa, possiede un grande dono: la capacità di ascolto, l'ascolto paziente e rispettoso; è anche prudente e avveduta, crede nelle persone, da fiducia e dedica loro ogni attenzione. Si dedica anche all'insegnamento della religione perché è alla "base di tutto", insegna al Liceo Berchet, dove è molto apprezzata e amata dai suoi alunni. Inoltre apre un ufficio di prima accoglienza nella sua casa Di Via Lanzone, 18 a Milano dove vive con Giuseppina Achilli.
Nel 1962 fonda l'associazione Amicizia oggi Fondazione per chi come Lei vive una profonda dimensione spirituale e vuole spendersi per il prossimo.
Morirà 11 agosto 1980. Ai funerali celebrati a Sant'Ambrogio l'abate mons. Libero Tresoldi dirà:" Avvicinando Adele Bonolis l'impressione era quella di chi trovava in Lei un punto di appoggio, un luogo di rifugio, una speranza per procedere nel cammino. Si era sempre preoccupata di comportarsi come la vela di una barca che cerca il soffio del vento e da esso si lascia condurre". E' in corso il suo processo di beatificazione.


Madre FERNANDA RIVA
(Monza 17 aprile 1920 - Bombay (India) 22 gennaio 1956)

Madre Fernanda Riva, ultima di quattro figli, nacque in una famiglia profondamente religiosa. A soli tre mesi perdette il padre, tuttavia crebbe con la sapiente guida materna e sentì ben presto l'attrattiva del Signore, imparò ad amarlo e a parlare con Lui nella preghiera. Nell'Azione Cattolica e all'oratorio presso le Madri Canossiane partecipò con impegno alle varie iniziative, formandosi ad un'intensa vita spirituale e maturando una viva sensibilità apostolica. Intelligente e volitiva, aveva superato brillantemente le classi ginnasiali, ma non proseguì gli studi per poter aiutare la famiglia. Si impiegò come commessa, pur continuando a studiare privatamente per superare l'esame di ammissione al Corso Superiore dell'Istituto Magistrale.
Nel 1939 entrò nel Noviziato Missionario di Vimercate. Dopo pochi mesi, sia per la serietà e l'impegno con cui aveva abbracciato la vita religiosa, sia per la sua preparazione spirituale e culturale, venne mandata in India ove a Belgaum proseguì il Noviziato. Si rivelò subito una novizia esemplare nello svolgimento dei suoi doveri, particolarmente nell'obbedienza, nell'impegno della comprensione di nuove culture e nell'apprendimento di nuove lingue. Il suo ardente anelito alla santità la spingeva ad un programma di vita spirituale molto esigente. Era "l'angelo delle piccole attenzioni", sempre ilare e cordiale.
Dopo la laurea ed in seguito ad ulteriori specializzazioni a Bombay, venne qualificata alla docenza universitaria. Nel 1951 fu nominata Preside del grande complesso scolastico canossiano di Mahim, un sobborgo di Bombay. Animatrice instancabile di una pluralità di iniziative, attenta anche alla nuova realtà dell'India, che era divenuta indipendente, sapeva realizzare un'autentica educazione integrale della persona con sapienza cristiana e secondo lo spirito del proprio Istituto, che la portava a privilegiare le alunne più deboli e bisognose. Nonostante una grave malattia, continuò a promuovere e ad essere l'anima di numerose iniziative per il bene delle alunne, punto sicuro di riferimento per loro e per le insegnanti, che tanto l'apprezzavano. Aveva scritto: "Sperando una dolce accoglienza da TE, Maestro, che gioia è il morire per me". Era ormai pronta per "il salto sulle ginocchia del Padre". Così lei aveva definito la morte che la colse poco prima dell'alba del 22 gennaio 1956.
Il 28 giugno 2012 Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle cause dei Santi a promulgare alcuni decreti. Tra questi, quello riguardante le virtù eroiche della Serva di Dio Fernanda Riva, Suora delle Figlie della Carità (Canossiane).


Cecilia Eusepi
(Monte Romano, 17 febbraio 1910 - Nepi, 1º ottobre 1928)

Ad un mese e mezzo dalla nascita rimase orfana del padre, che prima di morire l'affidò alle cure dello zio materno Filippo Mannucci. Nel 1915, insieme alla madre, Paolina, e allo zio si stabilì nella cittadina di Nepi, nella tenuta "La Massa". All'età di cinque anni, per la sua formazione scolastica, Cecilia venne affidata alle cure delle monache cistercensi, dove rimase fino al 1923. Nel 1922 si iscrisse all'Azione Cattolica e aderì al Terz'Ordine dei Servi di Maria. Ricevette lo scapolare nella chiesa di San Tolomeo ai Servi il 14 febbraio 1922, assumendo il nome (religioso) di Suor Maria Angela. Nel 1923 a Pistoia entrò come "probanda" fra le Suore Mantellate Serve di Maria dopo notevoli difficoltà a causa della giovane età. Vi rimase tre anni, nei quali le vennero affidate anche alcune classi di asilo col ruolo di educatrice. Tuttavia la sua permanenza a Pistoia durò poco a causa della salute, che iniziò a compromettersi nell'estate del '26 (le vennero diagnosticate una peritonite e un'infiammazione ai polmoni), al punto che l'11 ottobre dello stesso anno fu costretta a tornare in famiglia.
Gli ultimi due anni Cecilia li trascorse nell'isolamento de "La Massa", costretta ad una vita molto riservata e solitaria, sempre a causa della precaria stabilità delle condizioni di salute.
In quest'ultimo periodo della sua vita, incontrò Padre Gabriele M. Roschini, Servo di Maria, che, percependo l'inclinazione alla santità di Cecilia, ne fu affezionato e competente direttore spirituale. Proprio su ordine del Padre Roschini, il 29 maggio '27 Cecilia iniziò la scrittura del suo diario (terminata il 12 settembre '28) e dell'autobiografia, da lei intitolata Storia di un Pagliaccio, consegnata il 29 giugno '27.
Cecilia Eusepi morì la notte del 1º ottobre 1928, a causa di tubercolosi intestinale. Fu tumulata nella cappella della famiglia Gregori, nel cimitero di Nepi, nel loculo in alto a destra entrando. La sua tomba ricevette crescenti visite da parte di quanti la conobbero in vita e da quanti la iniziarono a venerare come Pia Donna.
Il 16 marzo 1944 le spoglie mortali di Cecilia Eusepi vennero trasferite nella chiesa di San Tolomeo dei Servi di Maria a Nepi; è stata dichiarata Venerabile il 1º giugno 1987 da Papa Giovanni Paolo II e Beata dal Cardinale Angelo Amato a Nepi il 17 giugno 2012.

Per saperne di più:
Ven. Cecilia Eusepi, Autobiografia e Diario, Postulazione OSM, Roma 1991.
Padre Gabriele M. Roschini, Storia di un Giglio, Ed. Vita e Pensiero, Milano 1931.
Suor Maria Guglielma Bottazzi, Cecilia eusepi. Una giovinetta che amò tanto la Madonna, Ist. Suore Mantellate, Pistoia 1948.
Padre Tito M. Sartori, Ven. Cecilia Eusepi. Vita - Spiritualità, Postulazione OSM, Roma 2001.


Rolando Maria Rivi
(San Valentino, 7 gennaio 1931 - Monchio, 13 aprile 1945)

Nato a San Valentino, frazione di Castellarano, secondo dei tre figli di Roberto Rivi e Albertina Canovi, entrò nel seminario di Marola nell'autunno del 1942 ma nel 1944, in seguito all'occupazione tedesca del paese, fu costretto a ritornare a casa. Non smise però di sentirsi seminarista né di indossare l'abito talare, nonostante il parere contrario dei genitori preoccupati per i gesti di odio antireligioso diffusi nella zona che avevano portato anche all'uccisione di alcuni sacerdoti.
Il 10 aprile 1945 fu preso da un gruppo di partigiani comunisti che costrinsero il ragazzo quattordicenne a seguirli nella boscaglia e, dopo tre giorni di percosse, umiliazioni e sevizie, lo uccisero a colpi di pistola in un bosco di Piane di Monchio, frazione di Palagano.
Seguendo le indicazioni di alcuni partigiani, comprese quelle dello stesso assassino, la sera del 14 aprile Roberto Rivi e don Alberto Camellini, curato di San Valentino, ne ritrovarono la salma che presentava il volto coperto di lividi, il corpo martoriato e le due ferite mortali, una alla tempia sinistra e l'altra all'altezza del cuore. L'indomani lo trasportarono a Monchio, dove ebbe esequie e sepoltura cristiane.
Dopo la Liberazione, il 29 maggio 1945 la salma fu traslata e tumulata nel cimitero di San Valentino, con l'omaggio di tutti i parrocchiani. Essendo divenuta la sua tomba meta di pellegrinaggi, il 26 giugno 1997, con una solenne cerimonia, gli venne data nuova sepoltura all'interno della chiesa di San Valentino, nel sacrario dei parroci della pieve.
Dopo una serie di guarigioni "miracolose" ottenute con la sua intercessione, il 7 gennaio 2006 è stata aperta dall'arcidiocesi di Modena la sua causa di canonizzazione. Nel maggio 2012, dopo un'attenta analisi degli atti del processo diocesano, delle testimonianze, dei documenti e di un'ampia relazione sul contesto storico del periodo, i teologi, con la loro decisione, hanno confermato che il seminarista innocente, a soli 14 anni, fu ucciso in odio a quella fede cristiana che proclamava con coraggio vestendo sempre l'abito talare.

Per conoscere ed approndire: Paolo Risso, "Rolando Rivi, un ragazzo per Gesù", Edizioni Del Noce, 2004


ANTONIETTA MEO "Nennolina"
Roma 15.12.1930 - Roma 3.7.1937

Nasce il 15 dicembre 1930 a Roma, quasi di fronte alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme. In famiglia aspettavano il maschietto e già lo chiamavano "il principino"; essendo una bimba, ultima di quattro fratellini di cui due morti prematuramente, divenne "la principessina". Le fu dato il nome di Antonietta; Nennolina nacque come vezzeggiativo. Era una bambina vivacissima, birichina, irrequieta, con un carattere forte, ma sempre serena e tranquilla. Sapeva imporsi alle compagne nel gioco con tanto garbo e disinvoltura che tutte le obbedivano e l'amavano. Anche dopo l'intervento con cui le venne amputata la gambina, volle sempre fare tutto quello che facevano gli altri bambini, senza invidia e senza far pesare a nessuno la sua invalidità. Era una bambina che incantava, sia con il suo aspetto fisico e il suo candore infantile, sia con la sua maturità e capacità di riflessione.
Nell'ottobre 1933 fu iscritta all'asilo delle suore di Monte Calvario, quindi passò all'asilo delle suore Zelatrici del Sacro Cuore. Frequentò la prima elementare dal 19 ottobre 1936 al 22 maggio 1937, quando si aggravò il male che la portò alla tomba. Quando era ancora all'asilo fu iscritta alla sezione "Piccolissime" dell'A. C. e ne fu felicissima. Nel gennaio del 1936 fu iscritta tra le "Beniamine", a Santa Croce in Gerusalemme; frequentava con assiduità le adunanze ed era un modello per tutti.
Tratti caratteristici della sua personalità: il senso dell'obbedienza, il senso del dovere, il sorriso, la gioia, il senso dell'umorismo. Era una bambina come tutte le altre; solo chi le era più vicino intuiva in lei qualcosa di straordinario, ma la straordinarietà si manifestò soprattutto nell'ultima fase della malattia. Se non avesse avuto dei doni particolari di grazia non avrebbe potuto mantenersi serena, senza lamentarsi mai, anzi aumentando spontaneamente le sue sofferenze per essere più vicina alle sofferenze di Gesù. Alla mamma dice: "Quando soffro, io penso subito a Gesù e allora non soffro più ! Per non soffrire, è tanto semplice: invece di pensare ai tuoi dolori, pensa a quelli di Gesù, che ha tanto sofferto per noi e vedrai che non sentirai più nulla".
Muore a Roma il 3 luglio 1937. Dopo essere stata sepolta nel cimitero del Verano, è ora in una cappella nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme.
E' stata proclamata venerabile da Benedetto XVI nel 2007. Se il processo di beatificazione si dovesse concludere con esito positivo, Nennolina diverrebbe la più giovane santa non martire mai proclamata dalla Chiesa cattolica.

Per saperne di più:
De Carolis, Antonietta Meo. La sapienza dei piccoli del vangelo, Paoline Editoriale Libri, 2004


Fra' Jean Thierry EBOGO
(Bamenda 4 febbraio 1982 - Legnano 5 gennaio 2006)

Fra' Jean Thierry EBOGO é nato nel Nord-Ovest del Cameroun, secondogenito di René BIKOULA e di Marie Thérèse ASSENGUE EDOA uniti in regolare matrimonio religioso. Fin dalla più tenera infanzia egli manifesta il desiderio di diventare prete. E' così che all'età di 13 anni entra nel seminario minore di Guider. Poi continuerà il secondo ciclo di studi al Liceo di Monatélé, fino ad ottenere la maturità scientifica nel 2002. Dopo una breve esperienza presso gli Oblati di Maria Immacolata (OMI) a Mokolo, egli entra nel Carmelo teresiano di Nkoabang il 28 luglio 2003. In questa nuova famiglia religiosa, Jean Thierry accoglie con gioia e determinazione il carisma teresiano che si incarna nella preghiera, nella vita fraterna, nell'apostolato e nel lavoro. Si dona con impegno nell'animazione dei movimenti di azione cattolica che gli é affidata nella Parrocchia dei Santi Gioacchino e Anna di Nkoabang tenuta dai Carmelitani Scalzi.
II 29 giugno 2004 é ammesso al noviziato e destinato a partire con due compagni in Burkina Faso. Ma qualche settimana più tardi un tumore che si manifesta improvvisamente compromette la sua partenza per il noviziato. Comincia allora la tappa finale e la più ricca della sua vita.
II 18 novembre 2004 subisce l'amputazione della gamba destra ch'egli offre al Signore perché abbondino le vocazioni religiose e sacerdotali in particolare al Carmelo, in Cameroun. In realtà il suo sacrificio andrà fino all'olocausto di tutta la sua vita in seguito a una diffusione del cancro in tutto l'organismo malgrado una evacuazione sanitaria in Italia in agosto 2005. In pieno corso degli assalti della malattia e della sofferenza che egli vive in attitudine teologale, Jean Thierry fa la sua professione solenne sul suo letto d'ospedale di Legnano (Milano) l'8 dicembre 2005. egli offre ripetutamente le sue sofferenze per la sua Provincia Religiosa, per le vocazioni e per la santificazione dei sacerdoti. Muore il 5 gennaio 2006 a Legnano, in Italia, vigilia dell'Epifania. E' in corso la sua causa di beatificazione.


Beato card. Andrea Carlo Ferrari
Lalatta di Palanzano (Parma) 13.8.1850 - Milano 1.2.1921

Andrea era il primo di quattro figli di una famiglia contadina profondamente religiosa. A sedici anni entrò nel seminario di Parma per gli studi liceali. Nel 1873 venne ordinato sacerdote e inviato, come pastore d'anime a Mariano e poi a Fornovo Taro. Richiamato a Parma nel suo seminario, a soli ventisette anni ne divenne rettore. A trentacinque anni, fu nominato pro-vicario generale e ricoprì questa carica fino al giugno 1890, quando fu consacrato vescovo. Resse dapprima la Chiesa di Guastalla, poi quella di Como: amato e stimato per la straordinaria attività, lo zelo e la pietà.
Nel febbraio 1894 fu chiamato alla sede di Milano. In questa vastissima diocesi, ricca di iniziative e di risorse, ma anche lacerata da numerose problematiche, Andrea Carlo Ferrari cercò di prendere contatto con tutti attraverso accurate visite pastorali: con la sua dolce ma ferma parola, conquistò la stima e l'affetto di tutti.
Ebbe molto a cuore la formazione del clero, e per i diversi problemi pastorali, legati ai nuovi fermenti sociali che agitavano il mondo del lavoro, istituì, presso il seminario diocesano, la cattedra di economia sociale. Particolare attenzione ebbe per i giovani, sostenendo con tutto il suo appoggio l'associazione "Unione giovani" che tanto bene fece non solo nella Chiesa ambrosiana, ma anche in tutto il Paese. Sotto la sua protezione, nel 1918, nacque la "Gioventù femminile di Azione Cattolica". Si deve anche ricordare la fondazione di quell'opera di assistenza sociale che la lui prese il nome, e la costituzione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
Le agitazioni sociali del 1898 e l'accusa di favorire il modernismo, furono motivi per il Cardinal Ferrari di gravi incomprensioni e di profondo dolore, ma dalle visite apostoliche emerse più che mai luminosa la integrità della sua fede e la sua rettitudine. Il suo episcopato fu segnato dalla prima guerra mondiale, che portò con sé gravi lutti e sofferenze. La sua inesauribile carità raggiunse orfani, vedove, soldati, prigionieri. Egli trasformò l'arcivescovado in quartiere generale del Comitato per l'assistenza religiosa ai cappellani e ai soldati al fronte; due dei tre seminari divennero ospedali militari; lo stesso fece con i collegi vescovili, istituti religiosi e chiese secondarie, che servirono come deposito di medicinali e indumenti per i poveri. Colpito da cancro, morì il 2 febbraio 1921. Il suo corpo riposa in Duomo, all'altare del Sacro Cuore di Gesù. Il beato Card. Schuster disse di lui che fu "colui che dopo san Carlo ha lasciato nella diocesi una più luminosa scia di santità nel governo pastorale, in tempi assai burrascosi e in un'atmosfera non sempre favorevole".

Per saperne di più:

IL CARD. FERRARI
Autore: Rossi Giovanni
Edizioni Cittadella 1987
Prezzo € 11,00


don ISIDORO MESCHI (don Lolo)
Merate (Lecco) 7 giugno 1945 - Busto Arsizio 14 febbraio 1991

Isidoro Meschi nasce il 7 giugno del 1945 a Merate, cittadina del lecchese. Il padre Guido è molto stimato tra i suoi concittadini per l'impegno come contabile dell'ospedale e della parrocchia, attività che presta gratuitamente, e come militante della Democrazia Cristiana. A Isidoro, fin da piccolo soprannominato Lolo, Gesù si manifesta a sei anni, durante la lezione di catechismo della maestra di scuola: il bimbo se ne innamora, tanto da maturare presto, "con un fulgore da non lasciare dubbio alcuno", il desiderio di servirlo come sacerdote. La messa del mattino prima di scuola e la recita del rosario diventano abitudini quotidiane per il piccolo Lolo, che a 14 anni entra nel seminario di Seveso. Poco dopo il suo ingresso in seminario, il padre Guido si ammala gravemente e nel giro di pochi mesi muore a soli 46 anni. La madre vorrebbe riportare Isidoro a casa con sé e con i due fratelli più piccoli, ma il ragazzo la convince a lasciarlo continuare gli studi. È così che nel 1969 Isidoro giunge all'ordinazione sacerdotale. Il suo primo incarico è nel seminario di Venegono Inferiore come vicerettore. Nel non facile clima di contestazione seguito al Sessantotto, con i ragazzi egli dimostra una rigorosa coerenza unita a una straordinaria capacità di comprensione e accoglienza. Dopo tre anni, Isidoro viene assegnato alla basilica di San Giovanni a Busto Arsizio, in provincia di Varese. La sua vita pastorale è piena di impegni: educatore in oratorio nei primi anni, insegnante di religione nel liceo classico cittadino, membro del consiglio presbiterale diocesano, direttore del settimanale diocesano "Luce" nell'edizione dell'Alto milanese. Isidoro è molto apprezzato per le sue fini qualità intellettuali, ma è soprattutto sull'altare e nel confessionale che esprime il suo valore: è una guida spirituale instancabile e illuminata, le sue omelie lasciano il segno e il suo rapimento durante la celebrazione eucaristica ne rivelano la fede granitica e feconda. Nonostante i suoi molteplici impegni, infatti, Lolo è sempre pronto a visitare gli ammalati e le persone sole e a prendersi a cuore gli sbandati. Tra loro c'è un ragazzo psicolabile, Maurizio, che don Isidoro cerca in tutti i modi di riabilitare facendolo anche assumere nella redazione del "Luce".
Negli anni Ottanta il dilagare dell'eroina tra i giovani non lo lascia indifferente: per loro apre un punto di ascolto e poi, confidando solo sulle forze proprie e di altri volontari, ristruttura una cascina per farne il centro di recupero "Marco Riva". Rubando il tempo al sonno, studia libri di psicologia ed elabora un metodo di riabilitazione condensato nel volume: "Dallo sballo all'empatia", ancora oggi alla base del lavoro della comunità.
La notte del 14 febbraio 1991 Maurizio, geloso delle attenzioni che il sacerdote riservava agli altri bisognosi, va a cercare Lolo alla "Marco Riva" armato di coltello. Il sacerdote viene messo in guardia dalla madre del ragazzo, ma lo affronta comunque da solo, per non mettere in pericolo gli altri. Una pugnalata al cuore gli è fatale: don Lolo muore a 46 anni, come aveva spesso profetizzato agli amici, pochi mesi dopo aver scritto il suo testamento spirituale.

Per conoscere ed approfondire l'insegnamento lasciato da don Lolo, è stato pubblicato il seguente volume:

Cristina Tessaro
DON ISIDORO MESCHI
Ed. Paoline 2011 - pagg. 248 - € 15,00


San Luigi Guanella sacerdote
Fraciscio di Campodolcino, 19 dicembre 1842 - Como, 24 ottobre 1915


A dodici anni ottenne un posto gratuito nel collegio Gallio di Como. Il corso teologico era povero di contenuto culturale, ma attento agli aspetti pastorali e pratici. Questa impostazione concreta pose il giovane seminarista e sacerdote assai vicino al popolo e a contatto con la vita che esso conduceva. In seminario entrò in familiarità col vescovo di Foggia, Bernardino Frascolla, rinchiuso nel carcere di Como. Questo vescovo ordinò don Guanella sacerdote il 26 maggio 1866. Entrò con entusiasmo nella vita pastorale in Valchiavenna e, dopo un triennio salesiano, fu di nuovo in parrocchia in Valtellina, per pochi mesi a Olmo e infine a Pianello Lario. Fin dagli inizi a Savogno rivelò i suoi interessi pastorali: l'istruzione dei ragazzi e degli adulti, l'elevazione religiosa, morale e sociale dei suoi parrocchiani; intanto approfondiva la conoscenza di don Bosco e dell'opera del Cottolengo; invitò don Bosco ad aprire un collegio in valle; ma, non potendo realizzare il progetto, don Guanella ottenne di andare per un certo periodo da don Bosco. Richiamato in diocesi dal Vescovo, aprì in Traona un collegio di tipo salesiano; ma anche qui venne ostacolato. Mandato a Pianello poté dedicarsi all'attività di assistenza ai poveri, rilevando l'Ospizio fondato dal predecessore don Carlo Coppini, con alcune orsoline che organizzò in congregazione religiosa (Figlie di S. Maria della Provvidenza) e con queste avviò la Casa della Divina Provvidenza in Como (1886), con la collaborazione di suor Marcellina Bosatta e della sorella Beata Chiara. La Casa ebbe subito un rapido sviluppo, allargando l'assistenza dal ramo femminile a quello maschile (congregazione dei Servi della Carità), benedetta e sostenuta dal Vescovo Beato Andrea Ferrari. L'opera si estese ben presto anche fuori città: nelle province di Milano (1891), Pavia, Sondrio, Rovigo, Roma (1903), a Cosenza e altrove, in Svizzera e negli Stati Uniti d'America (1912), sotto la protezione e l'amicizia di S. Pio X. Nell'opera maschile ebbe come collaboratori esimi don Aurelio Bacciarini, poi vescovo di Lugano, e don Leonardo Mazzucchi. Il carisma suo è l'annuncio biblico della paternità di Dio che per don Guanella costituisce un'esperienza personale profonda, di carattere mistico e profetico, e dà alla sua santità e missione una dimensione tipica e qualificata; esperienza che vuole partecipare specialmente ai più poveri e abbandonati: Dio è padre di tutti e non dimentica né emargina i suoi figli. Le sue case si organizzano coerentemente in strutture a misura d'uomo, con spirito di famiglia, affidate alla paternità di Dio. La guida e la conduzione di tutto sono affidate a lui: "è Dio che fa". Don Guanella è stato canonizzato a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. Il suo corpo è venerato nel Santuario del S. Cuore in Como.


Padre Fausto Tentorio - uomo del Vangelo e martire della giustizia
Il Pime piange un altro suo missionario: a Mindanao la mattina del 17 ottobre scorso nell'isola del Sud delle Filippine è stato ucciso padre Fausto Tentorio, 59 anni, originario del lecchese. Padre Fausto - si legge sul blog dei missionari del Pime delle Filippine - è stato assassinato davanti alla sua parrocchia di Arakan, North Cotabato, Mindanao. Verso le 8 del mattino stava salendo sulla sua auto per recarsi a Kidapawan, 60 km dalla missione, per un incontro diocesano, quando un killer con casco in motocicletta si e' avvicinato e gli ha sparato diversi colpi. Da oltre 32 anni padre Fausto lavorava a stretto contatto con gli indigeni del luogo, i Manobos, nella formazione e organizzazione delle loro piccole comunità montane. Cercava così di rispondere alle loro necessità e speranze quotidiane, lavoro e scuola, ma 'rispondere' voleva anche dire affrontare forze molto potenti interessate più ai beni materiali e interessi personali che a quelli di fratellanza locale e universale. Diversi anni fa era già stato oggetto di minaccia da parte di un gruppo armato appartenente al clan Bagani. In quella occasione fu protetto dagli stessi indigeni Manobos. Padre Fausto era nato il 7 gennaio 1952 a Santa Maria di Rovagnate e cresciuto in Santa Maria Hoè, Lecco. Ordinato nel 1977 era partito per le Filippine l'anno seguente. Prima della missione in Arakan aveva lavorato in quella di Columbio, Sultan Kudarat, abitata da cristiani, musulmani e indigeni B'lang. La morte di padre Tentorio è un nuovo capitolo in quel volto del martirio che da tanti anni ormai contraddistingue la presenza del Pime a Mindanao. Prima di lui qui hanno donato la loro vita per il Vangelo già altri due missionari del Pime: padre Tullio Favali, ucciso nel 1985, e padre Salvatore Carzedda, ucciso nel 1992. Altri due missionari del Pime, in anni ancora più recenti, hanno subito un rapimento: padre Luciano Benedetti nel 1998 e padre Giancarlo Bossi nel 2007. Padre Tentorio stesso era già sfuggito a un agguato nel 2003.
Sabato 22 ottobre2011 p. Fausto è stato ricordato nella veglia missionaria in duomo di Milano.


Mons. Francesco Paleari, nuovo beato dei poveri
Sabato 17 settembre2011 è stato beatificato un sacerdote del Cottolengo di origini ambrosiane

La Chiesa è in festa per la beatificazione, presso la Piccola Casa di Torino, di mons. Francesco Paleari, sacerdote del Cottolengo. Nacque a Pogliano Milanese il 22 ottobre 1863, dove crebbe sereno e gioioso, educato cristianamente ad una fede semplice e forte. Il parroco di Pogliano don Luigi Fumagalli ben presto scorse in lui i segni della vocazione sacerdotale. Tuttavia le difficoltà economiche della famiglia costituivano un ostacolo al suo ingresso in seminario. Pertanto lo stesso parroco scrisse al superiore della Piccola Casa della Divina Provvidenza a Torino, chiedendo che il suo ragazzo fosse accolto nel seminario dei "Tommasini", voluto fortemente da San Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842) per preparare sacerdoti per la Piccola Casa, per le missioni e per il clero diocesano. Francesco affrontò con impegno gli anni del seminario. Fu ordinato sacerdote il 18 settembre 1886 a soli 23 anni. Negli anni della formazione conobbe a fondo la realtà della Piccola Casa della Divina Provvidenza, dove amorevolmente venivano accuditi poveri, ammalati, disabili, bambini con difficoltà. In questo clima di fattiva carità il giovane Francesco si sentì chiamato a vivere il suo ministero sacerdotale nella Piccola Casa e scelse di essere sacerdote della "Congregazione dei Preti della Santissima Trinità".
Per la sua notevole preparazione culturale don Francesco fu incaricato di insegnare latino e filosofia nel seminario dei Tommasini, e poi anche in quello dei Missionari della Consolata. Pazienza, cordialità e capacità di persuasione furono le caratteristiche che restarono indelebili nel ricordo dei suoi allievi. Per più di 40 anni fu confessore e direttore spirituale del seminario diocesano, predicatore di esercizi spirituali al clero, ai religiosi e alle religiose della Piccola Casa e di altre congregazioni religiose, e ad ogni ceto di persone. C'era da stupirsi per la mole incredibile di lavoro che con una calma inalterabile riusciva a smaltire. Nel 1936 una malattia cardiaca lo costrinse, in pochi mesi, a una inattività quasi assoluta. Fu l'ultima grande prova, durata tre anni, vissuta con vero spirito di fede. Soleva ripetere: "Noi dobbiamo essere nelle mani di Dio, come una palla nelle mani di un bambino che gioca. Quanto più forte la palla viene buttata a terra, tanto più rimbalza in alto!". Morì il 7 maggio 1939, circondato da vasta fama di santità.
L'11 giugno 1947 si diede il via al processo di beatificazione. Fu dichiarato Venerabile dal Beato Giovanni Paolo II il 6 aprile 1998.


Padre Vismara, "patriarca della Birmania" per oltre 60 anni
"Uomo di fede e di preghiera. Non ha mai rifiutato nessuno"


"A voler bene al Signore non ci si perde", diceva spesso padre Clemente Vismara, il missionario del Pime che ha trascorso in Birmania oltre 60 anni della sua vita ed è stato proclamato beato lo scorso 26 giugno. Ma c'è un'altra espressione che i parrocchiani di Agrate Brianza, la sua comunità di origine, ha imparato a memoria e ripete spesso anche ai giovani: "La vita è bella solo se la si dona, se la si logora nel fare del bene; non è che tutto il resto sia insignificante, ma insomma non è il centro del nostro vivere, non appaga. Fare la volontà di Dio è cooperare al nostro bene quaggiù e lassù".
E' straordinario come padre Clemente ha gestito le diverse situazioni, ma colpisce soprattutto il suo atteggiamento di grande fiducia e speranza nella Provvidenza che l'ha aiutato nella sua vita. Era un uomo di fede e di preghiera. Non ha mai rifiutato nessuno, neanche durante la seconda guerra mondiale quando in quella zona non ricevevano più aiuti e alcuni missionari chiudevano la missione. Lui invece è rimasto al suo posto e si è prodigato accettando anche chi arrivava da altri orfanotrofi. Oggi si parla tanto di educazione di ragazzi e giovani, ma padre Clemente oltre a offrire la possibilità di uno studio di base, preparava un futuro: insegnava il lavoro, creando orti, coltivazione di fiori e allevamenti.
Dai ragazzi che lui ha aiutato sono nate anche tante vocazioni di sacerdoti e suore. È una figura simpatica e può piacere anche ai giovani, inoltre i suoi scritti sono molto attuali. Padre Clemente diceva: "In questa vocazione io ho vinto il terno al lotto". Era felice ed è rimasto fedele fino all'ultimo. A una certa età avrebbe potuto rientrare in Italia, ma diceva: "Io voglio morire qui". E così è stato


Un "novello curato d'Ars" nella parrocchia di Chiuso

Don Serafino Morazzone, ribattezzato dal cardinale Schuster "novello curato d'Ars" e vissuto tra il '700 e l'800 è stato proclamato beato a Milano lo scorso 26 giugno.

Per quasi mezzo secolo questo sacerdote ambrosiano si è dedicato alla sua piccola parrocchia di Chiuso (Lecco), che allora contava 185 fedeli. Ma oggi è ancora viva la devozione per don Serafino: si, nella chiesina dove è sepolto c'è sempre gente a pregare e in particolare il 13 aprile (anniversario della sua morte) data tradizionale anche per la festa di Chiuso.
Espressione di questa devozione anche il fatto che la parrocchia - oggi Comunità pastorale insieme a S. Andrea in Maggianico - abbia sostenuto la causa di beatificazione senza l'appoggio di ordini religiosi, ma solo della diocesi. Don Morazzone infatti non ha fondato congregazioni, collegi o altro, ma si è limitato a curare i suoi 200 fedeli. Abbiamo testimonianze che l'arcivescovo di Milano Carlo Gaetano Gaisruck sia venuto nel Lecchese per onorare questo sacerdote, morto poi nel 1822.
I tratti spirituali di don Serafino che più vengono proposti come modello ai parrocchiani e agli stessi giovani sono soprattutto lo spirito di servizio, l'umiltà, la povertà, la disponibilità verso gli altri. Poi don Morazzone è stato anche un grande confessore e uomo di preghiera. Un prete che non ha mai cercato onori: gli sono state offerte anche parrocchie più importanti, ma il suo spirito di servizio era qui.
È rimasto a Chiuso 49 anni e ha custodito i suoi fedeli. Non era mai stato in Seminario, ma ha realizzato una scuola per i bambini perché diceva: "Devono almeno imparare", e non insegnava solo il catechismo, ma anche a scrivere e a far di conto.


Suor Enrichetta Alfieri: la suora di San Vittore, santità al femminile

Si è aperta il 30 gennaio 1995 a Milano l'inchiesta diocesana per la beatificazione di suor Enrichetta Alfieri della Congregazione delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret la cui proclamazione è avvenuta lo scorso 26 giugno. Ma che cosa significa, per le suore della Carità, questo riconoscimento da parte della Chiesa? A rispondere è suor Wandamaria Clerici, perito storico della Causa. "Per noi vuol dire rimettersi in gioco nel cammino verso la santità - dice la religiosa -, perché siamo tutti chiamati alla santità, ma essere santi oggi non è così popolare. Quali i tratti spirituali che avete "ereditato" da lei o vorreste imitare?
Troviamo in suor Enrichetta gli aspetti tipici del carisma: l'esaltazione della carità, la devozione a Maria; il servizio ai poveri, la spiritualità della croce... Lei stessa diceva: "La vera religiosa davanti alla croce risponde sempre con un sorriso" e questa caratteristica le ha permesso di leggere tutto quello che capitava in un altro modo, anche i 4 anni di prova, di immobilità, di incomprensione... E rispetto alle sue caratteristiche umane che cosa può dire? Era una donna intelligente, molto creativa, colta e preparata, pedagoga ed evangelizzatrice. Aveva iniziato come insegnante, poi ha continuato a vivere una pedagogia fecondata dagli interventi del Signore nella sua vita. Non parlava molto del miracolo della sua guarigione, se non interpellata, era riservata e da Vercelli era stata inviata a Milano. Era una donna molto equilibrata, elegante e dal tratto raffinato, parlava in modo pacato e colpiva per la sua serenità in un luogo segnato dal rumore. Si dedicava a tutti senza distinzione...
Sì, teneva contatti con il direttore e gli avvocati fino all'ultimo arrivato in carcere, più povero o incancrenito nel male. Prima c'erano i detenuti ordinari, poi i politici, gli ex fascisti... ma per suor Enrichetta non c'era differenza. Responsabile della Sezione femminile, riuscì a essere molto autorevole, senza mai imporsi. Nel periodo della dominazione fascista e nazista interloquiva con un caporale famigerato che si intimoriva al suo apparire. Faceva di tutto, specie nella Sezione femminile dove era superiora, per difendere la dignità delle donne, delle madri, creando l'asilo nido, lo spazio dell'"aria" e migliori condizioni di vita. Penso anche al Patronato per la formazione e il lavoro per edificare le persone e portarle a redimersi attraverso la fatica ordinaria.


L'annuncio di Benedetto XVI: tre ambrosiani presto beati
Suor Enrichetta Alfieri, don Serafino Morazzone e padre Clemente Vismara.
La cerimonia il 26 giugno in Piazza Duomo a Milano


Ci sono anche tre religiosi ambrosiani tra i tredici decreti della Congregazione delle Cause dei Santi di cui Benedetto XVII ha autorizzato la promulgazione. Suor Enrichetta Alfieri, don Serafino Morazzone e don Clemente Vismara verranno eletti beati il prossimo 26 giugno, il Pontefice ha riconosciuto per ognuno dei tre un miracolo.
Suor Enrichetta Alfieri nasce in un piccolo paesino vicino a Vercelli il 23 febbraio del 1891 con il nome di Maria Angela Domenica Alfieri. A vent'anni, nel 1911, spinta da una fortissima voglia di servire il Signore, Maria entra tra le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, nel grande Monastero Santa Margherita di Vercelli. Qui diventa per tutti suor Enrichetta. Il 24 maggio 1923 è inviata nel carcere di San Vittore a Milano. In quel luogo segnato dal dolore e dall'espiazione dei peccati Suor Enrichetta riesce a dare un grandissimo aiuto spirituale alle detenute; tanto che le daranno il titolo di "Mamma e Angelo di San Vittore". Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, San Vittore divenne il luogo in cui i Tedeschi portavano gli Ebrei prima di deportarli nei campi di concentramento. Naturalmente Suor Enrichetta cercò in tutti i modi di dare un sostegno alle persone che incontrava. Rischiò molto per loro, venne addirittura arrestata e condannata a morte. Solo l'intervento del Cardinale di Milano, il beato Ildefonso Schuster, le salverà la vita. Ma morirà pochi anni dopo la fine della tremenda guerra, il 23 novembre 1951.
"Era pio in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue parole, in tutte le sue opere: l'amore fervente di Dio e degli uomini era il suo sentimento abituale; la sua cura continua di fare il suo dovere e la sua idea del dovere era tutto il bene possibile". Con queste parole Alessandro Manzoni descrive - ne "I promessi sposi" - la figura di don Serafino Morazzone, suo confessore. Sacerdote particolarmente importante perchè si dice che riuscì a guarire un bambino appena nato affetto da una grave malformazione. Nato a Milano nel 1747 da una famiglia povera don Serafino, il 9 maggio 1773 fu ordinato sacerdote nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro. Per moltissimi anni fu il parroco di Chiuso, un piccolo comune sopra Lecco che al tempo contava solo 185 abitanti.
Infine, tra i prossimi beati, c'è anche padre Clemente Vismara. Di origine brianzola, Clemente nel 1916 è chiamato alle armi. Dopo la fine della prima guerra mondiale decide di diventare sacerdote presso il Pime e di partire come missionario in Birmania. In questo paese, dilaniato dalla povertà, padre Clemente faceva il contadino, l'allevatore, il sarto, il barbiere, il dentista, il boscaiolo, annunciando il Vangelo a tutti i poveri nei luoghi più sperduti. Divenuto anziano si faceva trasportare in una lettiga per continuare la sua missione di evangelizzazione. Morirà nel 1988, a 91 anni, dopo aver dedicato tutta la sua esistenza a diffondere la parola del Signore anche con l'esempio della sua vita.
Presenteremo più ampiamente le tre figure dei nuovi beati sui prossimi numeri del Notiziario.


Giovanni Paolo II
Wadowice 18 maggio 1920 - Roma 2 aprile 2005

Karol Józef Wojtyla, divenuto Giovanni Paolo II con la sua elezione alla Sede Apostolica il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Kraków (Polonia), il 18 maggio 1920. Era l'ultimo dei tre figli di Karol Wojtyla e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell'esercito, nel 1941. La sorella, Olga, era morta prima che lui nascesse.
Fu battezzato il 20 giugno 1920 nella Chiesa parrocchiale di Wadowice dal sacerdote Franciszek Zak; a 9 anni ricevette la Prima Comunione e a 18 anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all'Università Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l'Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall'Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch'esso clandestino.
Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell'Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale avvenuta a Cracovia il 1° novembre 1946, per le mani dell'Arcivescovo Sapieha.
Successivamente fu inviato a Roma, dove , sotto la guida del domenicano francese P. Garrigou-Lagrange, conseguì nel 1948 il dottorato in teologia, con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce (Doctrina de fide apud Sanctum Ioannem a Cruce). In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.

Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowic, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all'Università cattolica di Lublino la tesi: "Valutazione della possibilità di fondare un'etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler". Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l'ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell'Arcivescovo Eugeniusz Baziak.
Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Papa Paolo VI, che lo creò e pubblicò Cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967, del Titolo di S. Cesareo in Palatio.
Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-1965) con un contributo importante nell'elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyla prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.
I Cardinali, riuniti in Conclave, lo elessero Papa il 16 ottobre 1978. Prese il nome di Giovanni Paolo II e il 22 ottobre iniziò solennemente il ministero Petrino, quale 263° successore dell'Apostolo. Il suo pontificato è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa ed è durato quasi 27 anni.

Giovanni Paolo II ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie sospinto dalla sollecitudine pastorale per tutte le Chiese e dalla carità aperta all'umanità intera. I suoi viaggi apostolici nel mondo sono stati 104. In Italia ha compiuto 146 visite pastorali. Come Vescovo di Roma, ha visitato 317 parrocchie (su un totale di 333).

Più di ogni Predecessore ha incontrato il Popolo di Dio e i Responsabili delle Nazioni: alle Udienze Generali del mercoledì (1166 nel corso del Pontificato) hanno partecipato più di 17 milioni e 600 mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose [più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell'anno 2000], nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo. Numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri.

Il suo amore per i giovani lo ha spinto ad iniziare, nel 1985, le Giornate Mondiali della Gioventù. Le 19 edizioni della GMG che si sono tenute nel corso del suo Pontificato hanno visto riuniti milioni di giovani in varie parti del mondo. Allo stesso modo la sua attenzione per la famiglia si è espressa con gli Incontri mondiali delle Famiglie da lui iniziati a partire dal 1994.

Giovanni Paolo II ha promosso con successo il dialogo con gli ebrei e con i rappresentati delle altre religioni, convocandoli in diversi Incontri di Preghiera per la Pace, specialmente in Assisi.

Sotto la sua guida la Chiesa si è avvicinata al terzo millennio e ha celebrato il Grande Giubileo del 2000, secondo le linee indicate con la Lettera apostolica Tertio millennio adveniente. Essa poi si è affacciata al nuovo evo, ricevendone indicazioni nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, nella quale si mostrava ai fedeli il cammino del tempo futuro.

Con l'Anno della Redenzione, l'Anno Mariano e l'Anno dell'Eucaristia, Giovanni Paolo II ha promosso il rinnovamento spirituale della Chiesa.

Ha dato un impulso straordinario alle canonizzazioni e beatificazioni, per mostrare innumerevoli esempi della santità di oggi, che fossero di incitamento agli uomini del nostro tempo: ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha proclamato Dottore della Chiesa santa Teresa di Gesù Bambino.

Ha notevolmente allargato il Collegio dei Cardinali, creandone 231 in 9 Concistori (più 1 in pectore, che però non è stato pubblicato prima della sua morte). Ha convocato anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio. Ha presieduto 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi.

Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Lettere encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche.

Ha promulgato il Catechismo della Chiesa cattolica, alla luce della Tradizione, autorevolmente interpretata dal Concilio Vaticano II. Ha riformato i Codici di diritto Canonico Occidentale e Orientale, ha creato nuove Istituzioni e riordinato la Curia Romana.

A Papa Giovanni Paolo II, come privato Dottore, si ascrivono anche 5 libri: "Varcare la soglia della speranza" (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); "Trittico romano", meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); "Alzatevi, andiamo!" (maggio 2004) e "Memoria e Identità" (febbraio 2005).

Giovanni Paolo II è morto in Vaticano il 2 aprile 2005, alle ore 21.37, mentre volgeva al termine il sabato e si era già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua e Domenica della Divina Misericordia.

Da quella sera e fino all'8 aprile, quando hanno avuto luogo le Esequie del defunto Pontefice, più di tre milioni di pellegrini sono confluiti a Roma per rendere omaggio alla salma del Papa, attendendo in fila anche fino a 24 ore per poter accedere alla Basilica di San Pietro.

Il 28 aprile successivo, il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso la dispensa dal tempo di cinque anni di attesa dopo la morte, per l'inizio della Causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II. La Causa è stata aperta ufficialmente il 28 giugno 2005 dal Cardinale Camillo Ruini, Vicario Generale per la diocesi di Roma.

Papa Benedetto XVI lo ha dichiarato "Venerabile" il 19 dicembre 2009 e lo proclamerà "Beato" il prossimo 1 maggio 2011.


Vittorio Bachelet Presidente di Azione Cattolica
Roma, 20 febbraio 1926 - 12 febbraio 1980

Vittorio Bachelet, grande uomo e magistrato che incarnò nella sua vita gli ideali cristiani, nacque a Roma il 20 febbraio 1926, ultimo di nove fratelli. Si laureò in giurisprudenza a pieni voti e divenne ordinario delle cattedre universitarie di Pavia, Trieste e Roma. Dopo il matrimonio venne nominato dal papa Giovanni XXIII vicepresidente e poi, da Paolo VI presidente generale dell'Azione Cattolica Italiana. Ricoprì questo incarico dal 1964 al 1973. Nel 1976 fu eletto consigliere comunale a Roma e vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Il 12 febbraio 1980 un commando delle Brigate Rosse lo sorprese all'uscita dall'Università "La Sapienza" di Roma e lo uccise. Ebbe una vita intensa ed impegnata nella scuola e nel sociale. Il 26 giugno 1951 si sposa con Maria Teresa De Januario. Il 13 aprile 1952 nasce la figlia Maria Grazia ed il 3 maggio 1955 nasce il figlio Giovanni.
Dal 1956 al 1959 insegna Istituzioni di diritto amministrativo presso l'Accademia e Scuola di applicazione della Guardia di Finanza. Nel 1957 consegue la libera docenza in Diritto amministrativo e in Istituzioni di diritto pubblico, e pubblica la sua prima opera monografica di contenuto giuridico: L'attività di coordinamento nell'amministrazione pubblica dell'economia. Dal 1958 al 1961 insegna Diritto amministrativo presso la facoltà di Giurisprudenza di Pavia.
Nel giugno 1959 viene nominato da Giovanni XXIII vicepresidente dell'Azione Cattolica Italiana. Dal 1961 insegna, prima Diritto pubblico e poi Diritto amministrativo, nella facoltà di Scienze politiche di Trieste; sarà ordinario dal 1965. Nel 1964 diviene presidente generale dell'Azione Cattolica.
Il 21 dicembre 1976 viene eletto vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura. Il 12 febbraio 1980 è ucciso dalle Brigate rosse al termine di una lezione universitaria.
(Fonte: www.azionecattolica.it)


Suor ALFONSA CLERICI
Lainate ( Milano) 14 febbraio 1860 - Vercelli, 14 gennaio 1930

Alfonsa era la prima di undici figli. I genitori, Angelo e Maria Romanò, originari di Rovellasca (Como), trasferitisi a Lainate dopo il matrimonio erano noti e stimati per la testimonianza di fede e carità che si esprimeva nella presenza attiva in parrocchia e nell'attenzione verso i più poveri.
Alfonsa fu battezzata nella Parrocchia del paese natio il 15 febbraio. In casa ed in Parrocchia ebbe un'educazione essenziale, basata su validi principi religiosi e morali. Ricevette la Comunione e la Cresima nel 1868 a Nerviano, dalle mani di Mons. Calabiana, Vescovo di Milano. Il santuario mariano di Rho frequentato da tutta la famiglia ebbe un ruolo determinante nella formazione religiosa di Alfonsa.
Nel progetto di Dio, ogni fatto e luogo, ogni persona e situazione non sono casuali, ma rivelatori all'amore del Padre: la famiglia, la sua gente, il santuario sono le coordinate umane entro le quali si costruisce la fanciullezza di Alfonsa.
Nel 1875, per interessamento della zia Giuseppina, Alfonsa entrò nel collegio delle suore del Preziosissimo Sangue a Monza per seguire gli studi, che completò con il diploma magistrale. Dal 1880 al 1883 insegnò alla scuola elementare di Lainate e, il 15 agosto 1883, obbedendo a una vocazione che aveva sentito fin dall'adolescenza, entrò nel noviziato delle Suore del Preziosissimo Sangue a Monza. Dopo la professione dei Voti insegnò al collegio di Monza di cui fu anche direttrice dal 1898 al 1907.
Poi le vennero affidati gli incarichi di Cancelliera e assistente generale della congregazione. Nel novembre 1911 venne chiamata a dirigere il collegio "Ritiro della provvidenza" di Vercelli, istituzione per l'accoglienza di ragazze orfane. A Vercelli sr. Alfonsa rimase 18 anni, in un crescendo di maturità umana e spirituale attestata da tutti, in special modo dalle sue alunne. Nelle piccole cose di ogni giorno sr. Alfonsa raggiunse la santità. La sua carità immensa, non si fermò solo alle alunne; molti poveri e tribolati venivano ogni giorno all'Istituto per avere un pezzo di pane, un vestito e soprattutto un' po' d'amore che sr. Alfonsa sapeva donare con gioia. Nessuno se ne andava deluso, tutti ricevevano qualcosa da Lei, di materiale o di spirituale. Questa costante attenzione agli altri è la verifica più evidente della sua unione con Dio. "Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio è presente in noi ed il suo amore è perfetto." (Giovanni 4,12). Il Padre la portò con sè in cielo il 14 gennaio 1930 mentre era in preghiera inginocchiata davanti al suo letto con la fronte per terra, segno abituale di quando pregava da sola. Ai suoi funerali tutti esclamarono: "Era una santa!".
Alfonsa è tumulata nella cappella del "Ritiro della Provvidenza" di via Montagnini, dove i numerosi devoti vanno a pregarla e a ringraziarla dell'intercessione presso il Padre. Lo scorso 23 ottobre, nel duomo di Vercelli, è avvenuta la sua proclamazione a beata da parte di mons. Angelo Amato, prefetto della congregazione delle Cause dei Santi.


ANNA MARIA ADORNI
Fivizzano 1805 - Parma 1893

Una visitatrice delle carceri ante litteram, una missionaria tra le detenute, le ex detenute e le ragazze finite sulla strada per le quali fu madre e sorella. È il profilo di Anna Maria Adorni, fondatrice dell'Istituto del Buon Pastore e delle Ancelle dell'Immacolata, che sarà proclamata beata domenica nella Cattedrale di Parma. Nata il 19 giugno 1805 a Fivizzano nella Lunigiana, Anna Maria aveva trascorso la vita e svolto la sua opera a Parma dove si era trasferita dopo la morte del padre.
Qui si era sposata con Antonio Domenico Botti ed aveva avuto sei figli, tutti morti in tenera età tranne uno che avrebbe abbracciato la vita monastica. Rimasta vedova a 39 anni, si dedicò all'assistenza delle donne emarginate, in particolare ragazze carcerate o dimesse dal carcere e vittime di violenza o sfruttamento. Per loro fondò l'Istituto del Buon Pastore, intorno al quale raccolse un primo gruppo di otto collaboratrici.
La nuova famiglia religiosa fu approvata canonicamente dal vescovo di Parma nel 1876 e le regole vennero confermate nel 1893. Nel 1947 ebbe il riconoscimento pontificio col nome di Ancelle dell'Immacolata. Anna Maria morì il 7 febbraio 1893 a Parma, quando il popolo la considerava già santa.
Il 27 marzo 2010 Benedetto XVI ha firmato il decreto di riconoscimento di un miracolo, avvenuto grazie all'intercessione di madre Adorni.
E' stata proclamata beata lo scorso ottobre 2010 nella Cattedrale di Parma.


CHIARA LUCE BADANO
Sassello 1971 - 1990

Chiara Badano nasce il 29 ottobre 1971 a Sassello (Savona). È bella, sportiva, gioiosa e volitiva. Si orienta agli studi di medicina per andare in Africa a curare i bambini. Ha una predilezione per gli altri giovani, per chi è alla ricerca, per chi è nel bisogno. Molti amici trovano in lei apertura e ascolto. Ma prova anche l'emarginazione di chi la chiama "suorina" per il suo impegno cristiano, nato dopo la partecipazione al Family Fest promossa dal Movimento dei Focolari. Si impegna tra i più giovani del Movimento. Scrive alla fondatrice Chiara Lubich: "Abbiamo cominciato subito la nostra avventura: fare la volontà di Dio nell'attimo presente. Col Vangelo sotto braccio faremo grandi cose". Diventerà l'incarnazione viva delle parole della fondatrice: "Non abbiate paura! Lasciate fare a Lui ricompensarvi di amore! Vi farà felici in questa vita e per l'eternità!". A sorpresa, a 17 anni, un dolore acuto mentre gioca a tennis. Le ricerche, poi la diagnosi: un tumore osseo tra i più dolorosi. Ben presto si dilegua ogni speranza di guarigione. Chiara perde l'uso delle gambe e a ogni nuova "sorpresa" della malattia dice: "Per Te, Gesù, se lo vuoi Tu lo voglio anch'io!". Subentra una grave emorragia. I medici si chiedono se lasciarla morire o procedere alla trasfusione tentando di salvarla, ma rimettendo così in moto anche le sofferenze. Decidono per la vita. Chiara vivrà ancora un anno, decisivo per lei. È l'anno di un'ardita scalata, in cordata con Chiara Lubich, con i suoi genitori, con gli altri giovani che condividono i suoi stessi ideali. Chi va a farle visita col desiderio di darle coraggio, ne esce sconvolto e cambiato: è Chiara che contagia con la sua serenità e pace. Chiara Luce è proiettata sino all'ultimo ad amare chi le sta accanto, a comunicare a più giovani possibile l'ideale che la anima, a dare Dio a chi è alla ricerca. La vigilia della sua "partenza" saluta tutti i presenti uno a uno, ma i giovani con un amore speciale. Lascia a loro una consegna: "I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi. Hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene". Poi scompiglia i capelli della mamma: "Ciao! Sii felice, perché io lo sono".
Chiara muore il 7 ottobre 1990. La solenne proclamazione della sua beatificazione è avvenuta a Roma lo scorso 25 settembre 2010.


Silvio Gallotti Sacerdote
Cannobio, Novara, 22 settembre 1881 - Novara, 2 maggio 1927

Sacerdote della Diocesi di Novara, illuminato direttore dei chierici novaresi e ardente apostolo della devozione a Maria, nella Pietà di Cannobio. Il 19 aprile 2004 il Santo Padre Giovanni Paolo II, nel riconoscere le virtù eroiche da lui esercitate, gli conferì il titolo di "venerabile".
Nacque a Cannobio (Lago Maggiore), in una famiglia modesta di agricoltori salariati, pure attivi come tessitori con telai a mano. Dodicenne, entra nel seminario ginnasiale di Gozzano; passa successivamente in quelli dell'Isola San Giulio, di San Carlo di Arona, di Novara per i corsi teologici (1900-04), raggiungendo il sacerdozio il 29 giu. 1904. Nel 1912, rivelandosi scriverà: "Il sacerdote deve somigliare alla candela, la quale arde e si consuma per illuminare".
Esercitò il suo ministero a Trarego, poi a Cambiasca, dove vive in stretta povertà e solitudine, tra gente indifferente, spesso avversato dalle incomprensioni, pur esercitando tra i ragazzi un fascino costruttivo. A Galliate svolge un intenso ministero, particolarmente tra la gioventù, gli ammalati e i poveri. Seppe avviare una pastorale dinamica, privilegiando la catechesi, le attività oratoriane, la partecipazione alla messa festiva e ai sacramenti, suscitando numerose vocazioni. Scopriva ai giovani i veri valori della vita. Lo zelo intelligente e la solidità formativa che comunicava, gli attirarono lo sguardo del vescovo, che lo nominò direttore spirituale del seminario di Arona, tra gli alunni del ginnasio superiore e del liceo. In quello specifico ministero, d. Silvio rivela la straordinaria ricchezza della sua vita interiore e l'alto ascetismo che viveva per sé, prima di insegnarlo ai discepoli.
Intanto la sua ascesi saliva, si infuocava; ed il 3 febb. 1921 scriveva al discepolo Francesco Fasola: "Il Calvario non ci ha da essere meno caro del Tabor, ci è anzi molto più necessario. Non è lassù che si muore per poi risorgere a vita nuova? Il Calvario è l'accademia dei veri amanti della Croce". Nel sett. del 1921 è nominato rettore del seminario di Arona.
Dio lo provò anche con sconcertanti angosce spirituali, in cui la sua anima soffrì le oscurità della fede, tipiche delle esperienze mistiche. Nell'ago, si reca, pellegrino a Roma per l'Anno Santo; ma ritorna affaticato, quasi esaurito. Annota: "Sento che se la Madonna non disporrà diversamente, il mio sacrificio si accosta alla fine". Nel dic. 1925 è minato da linfigranuloma, per cui, consigliato dal medico, si reca a Torino, nella Piccola Casa del Cottolengo, per un periodo di riposo (23 lug. 1925-13 febb. 1926); quindi ritorna al seminario di Arona. Durante l'estate trascorre una vacanza a Nervi, per godere i benefici del mare. Ma ritorna spossato, anche se nell'ago, accompagna, non senza suo grave disagio, i seminaristi in lunghe passeggiate.
Il 13 dic. 1926 è nominato direttore spirituale del Seminario Teologico di Novara, dove è accolto da molti con entusiasmo, da altri con diffidente freddezza. Il servo di Dio è giunto ormai alla fine. Il 2 dic. 1926 celebra l'ultima messa; poi rimane nel letto, nella solitudine di una camera fredda, in preda all'insonnia, a continue sofferenze, all'aridità interiore. Mormorerà spesso: "Sto abbandonato nelle mani della Madonna". Seguono le ultime tappe del suo calvario: in ospedale a Novara; a Cannerò, ospite di quel parroco amico; poi, aggravatosi, all'ospedale di Pallanza, sul lago natio, dove il suo spirito, staccato dal tempo, anelava all'eternità. Morì il 2 magg. 1927.
La venerazione per d. Silvio Gallotti andò crescendo e, in occasione del ventennio della morte, la sua salma fu esumata dal camposanto (3 sett. 1947) e trasferita nella cripta del santuario della SS. Pietà di Cannobio. La sua causa di beatificazione fu introdotta presso la S. Congregazione per le Cause dei Santi nel 1977.

 

Benedetta Bianchi Porro
Dovadola, Forlì, 8 agosto 1936 - 23 gennaio 1964

Appena nata s'ammala di poliomielite. Nell'ottobre del '53 si trasferisce a Milano per frequentare l'università: sceglie Medicina. È convinta che la sua vocazione sia quella di dedicarsi agli altri come medico, ma la malattia avanza inesorabilmente. Una lunga via crucis di interventi chirurgici, fino alla diagnosi che lei stessa formulerà per prima: neurofibromatosi diffusa o morbo di Recklinghausen. Un morbo rarissimo che la priva della vista e dell'udito, del gusto e dell'odorato immobilizzandola in un letto. La sua cameretta diventa un crocevia di vite e il suo letto un altare attorno al quale si crea uno straordinario cenacolo d'amore. Nel maggio del '62 Benedetta va a Lourdes col treno bianco dell'UNITALSI, un viaggio lungamente desiderato. "Attraverso un periodo di aridità, spero di passarlo con l'aiuto della S. Vergine che è la più dolce delle madri". Piena di fiducia nella Consolatrice degli afflitti, Benedetta ha un sogno: "Desidero guarire per farmi suora. Ho fatto voto". Ma altri erano i disegni di Dio su di lei. La seconda volta che ci va, l'anno seguente, il miracolo di Lourdes sarà la scoperta della sua vocazione: la croce. "Dalla città della Madonna - scrive a un'amica - si torna nuovamente capaci di lottare, con più dolcezza, pazienza e serenità. Ed io mi sono accorta, più che mai, della ricchezza del mio stato, e non desidero altro che conservarlo. È stato questo per me il miracolo di Lourdes, quest'anno". Giorno dopo giorno Benedetta si apre all'azione della grazia in un sofferto cammino di fede e di abbandono che la purifica e la rende una creatura che lentamente si spoglia di tutto per divenire dono per gli altri. Tanti le scrivono o vanno a trovarla, in quella stanza dove lei consuma la sua offerta trasformandosi come l'ostia sull'altare. Benedetta scrive molte lettere, risponde a tutti, da sola finché può farlo e con molta fatica. Benedetta si spegne a soli 27 anni, il 23 gennaio 1964. La Chiesa l'ha dichiarata Venerabile con Decreto del dicembre 1993.

Giuseppe Toniolo Sociologo
Treviso, 7 marzo 1845 - Pisa, 7 ottobre 1918

Professore di economia politica, fu uno dei maggiori ideologi della politica dei cattolici italiani e uno degli artefici del loro inserimento nella vita pubblica.
Giuseppe Toniolo nacque a Treviso il 7 marzo 1845; si laureò in giurisprudenza a Padova nel 1867, rimase nello stesso Ateneo in qualità di assistente, sino al 1872, trasferendosi successivamente prima a Venezia, dove insegnò Economia Politica, poi a Modena e infine a Pisa, quale docente universitario ordinario, incarico che occupò fino alla sua morte avvenuta nel 1918.
Nel 1889 venne costituita l'"Unione cattolica per gli studi sociali", il cui presidente e fondatore fu il professor Giuseppe Toniolo, il quale nel 1893, la dotò del periodico "Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie".
Ormai si era in un periodo pieno di fermenti politici, religiosi e culturali; il pensiero marxista spostava l'attenzione sulle condizioni delle masse proletarie. Giuseppe Toniolo, elaborò così una sua teoria, personale, sociologica, affermante il prevalere dell'etica e dello spirito cristiano sulle dure leggi dell'economia.
Nei suoi numerosi scritti, il Toniolo propose varie soluzioni: il riposo festivo, la limitazione delle ore lavorative, la difesa della piccola proprietà, la tutela del lavoro delle donne e dei ragazzi.
Dal punto di vista religioso, Giuseppe Toniolo fu fautore di un'azione più decisa dei cattolici in campo sociale, al fine di una loro determinante partecipazione all'evoluzione storica di quegli anni, da qui le sue tante fondazioni.
Fondandosi sui suoi studi di storia economica medioevale della Toscana, oppose ai marxisti l'importanza dei fattori etici e spirituali sullo sviluppo dell'economia e difese il valore economico-sociale della religione, conciliando così fede e scienza.
Nel 1908 pubblicò il "trattato di economia sociale", opera fondamentale per l'incidenza che ebbe sul nuovo movimento sociale cattolico italiano all'inizio del Novecento, che ben presto, sviluppò il sindacalismo cattolico; i cattolici parteciperanno poi in massa alle elezioni del 1913, ottenendo per la prima volta dopo l'Unità d'Italia, una ventina di deputati cattolici.
Oltre alla sua opera fondamentale già citata, Toniolo scrisse: "La democrazia cristiana" (1900); "Il socialismo nella storia della civiltà" (1902); "L'odierno problema sociologico" (1905); "L'unione popolare tra i cattolici d'Italia" (1908).
Degno sposo e padre di famiglia, professore emerito e apprezzato nell'Università, dirigente e fondatore di opere sociali, scrittore fecondo di economia e sociologia, cristiano tutto d'un pezzo e fedele alla Chiesa, stimato dai pontefici del suo tempo, amico e consigliere del Beato Bartolo Longo, nella fondazione del Santuario e opere annesse di Pompei; morì fra il cordoglio generale, il 7 ottobre 1918 a Pisa.
Il 7 gennaio 1951 fu introdotta la Causa per la sua beatificazione e il 14 giugno 1971 fu emesso il decreto sulle sue virtù con il titolo di 'venerabile'.

Don Lorenzo Milani
Firenze, 27 maggio 1923 - Firenze, 26 giugno 1967

Non è possibile capire appieno don Lorenzo e i motivi delle sue scelte se, quando ci si avvicina a lui, non si tiene sempre presente che era un prete e un prete che aveva deciso di servire Dio nel modo più completo, dopo che da adulto si era convertito al cristianesimo. Tutto il suo operato successivo va ricondotto a questa scelta.
La sua vita è stata breve ma intensa. A 20 anni abbandonò il mondo borghese raffinato e colto a cui apparteneva la sua famiglia ed entrò in Seminario per un'altra scelta di campo: servire il Vangelo, il Cristo, tentare cosi di salvarsi l'anima stando dalla parte giusta del poveri, cioè degli ultimi nella scala gerarchica, cercare di conoscerli da vicino, di viverci insieme, di imparare la loro lingua, insegnargliene un'altra, condividere le loro cause, difendere le loro ragioni.
Ordinato sacerdote a 24 anni fu mandato a San Donato a Calenzano come cappellano del vecchio proposto, don Daniele Pugi, dove arrivò pieno di entusiasmo come colui che ha trovato il senso della propria vita: finalmente poteva mettersi al servizio del suo prossimo e restituire quanto per 20 anni aveva ricevuto.
All'inizio cercò di avvicinare i giovani alla Chiesa col gioco del pallone, il ping pong e il circolo ricreativo come facevano gli altri preti. Presto però si rese conto non solo che avvicinava una sola parte di giovani ma soprattutto che proprio la mancanza di cultura era un ostacolo alla evangelizzazione e all'elevazione sociale e civile del suo popolo.
Così un giorno don Lorenzo organizzò una scuola serale per giovani operai e contadini.
Per lui prete la scuola era il mezzo per colmare quel fossato culturale che gli impediva di essere capito dal suo popolo quando predicava il Vangelo; lo strumento per dare la parola ai poveri perchè diventassero più liberi e più eguali.
Don Lorenzo divenne così il fondatore e l'animatore della famosa scuola di Sant'Andrea di Barbiana, il primo tentativo di scuola a tempo pieno espressamente rivolto alle classi popolari. I suoi progetti di riforma scolastica e la sua difesa della libertà di coscienza, anche nei confronti del servizio militare, compaiono nelle opere Esperienze pastorali, Lettera a una professoressa e L'obbedienza non è più una virtù (questi ultimi due testi scritti insieme con i suoi ragazzi di Barbiana), nonché una serie importantissima di lettere e articoli. A lungo frainteso e ostacolato dalle autorità scolastiche e anche da una parte di quelle religiose, don Milani è stato una delle personalità più significative del dibattito culturale del dopoguerra e la sua vita rappresenta ancora oggi una grande testimonianza di fedeltà nelle sua scelta di essere dalla parte degli ultimi. Le sue ultime parole furono: "Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza.......Un cammello che passa nella cruna di un ago".

Don Giuseppe Dossetti
Genova, 13 febbraio 1913 - Oliveto di Monteveglio (Bologna), 15 dicembre 1996

Giuseppe Dossetti nasce a Genova il 13 febbraio 1913 da una famiglia della buona borghesia di fine Ottocento. Dopo qualche anno, da Genova si trasferiscono a Cavriago, in provincia di Reggio Emilia.
Nel 1934 si laurea in Giurisprudenza presso l'Università di Bologna con una tesi in diritto canonico; dopo la laurea è chiamato da padre Gemelli all'Università Cattolica di Milano per gli studi nella stessa disciplina. Nel 1945 diviene vicesegretario nazionale della Democrazia Cristiana e capogruppo della DC all'Assemblea Costituente. Inizia in questo modo la stagione politica più visibile ed attiva. In occasione delle elezioni del 1948, nonostante la sua richiesta di non candidarsi, Pio XII gli chiede di presentarsi nelle liste elettorali; viene eletto alla Camera dei Deputati.
Dopo qualche anno, nel 1952, vista l'impraticabilità della sua politica, si dimette dal Parlamento e si ritira dalla vita politica attiva. Si trasferisce a Bologna, dove, grazie alla collaborazione del card. Lercaro, fonda un Centro Studi per la formazione teologica dei laici, l'attuale Istituto per le Scienze Religiose, con l'intento di favorire il rinnovamento della Chiesa. Sul finire del 1955 scrive la regola della Piccola Famiglia dell'Annunziata, la famiglia monastica che fonda a Monteveglio. Offre la propria obbedienza a Lercaro e fa i voti nelle sue mani. Il primo gesto del cardinale è però quello di chiedergli di candidarsi per le elezioni amministrative del 1956 a Bologna. Le elezioni vengono vinte dall'avversario, Giuseppe Dozza, ma Dossetti rimane nel consiglio comunale fino al 1958. Il 6 gennaio 1959 Lercaro lo libera dall'impegno politico e lo ordina prete.
Nel 1963 è nominato perito del Concilio Vaticano II affiancando il card. Lercaro e fino al 1968 sarà pro - vicario della Diocesi di Bologna quando poi si ritira definitivamente a vita monastica, dedicandosi alla guida delle sue comunità nelle diverse sedi in Italia, Palestina e Giordania.
Il 19 luglio 1988 viene invitato dal patriarca latino Michel Sabbah ad insediare i suoi monaci nella parrocchia di Ain Arik, nei Territori Palestinesi.
Muore il 15 dicembre 1996 e viene sepolto, per sua espressa volontà, nel cimitero che accoglie le vittime del nazifascismo nei pressi della comunità di Monteveglio.


Don Carlo Gnocchi: entusiasta di essere santo

Il 25 ottobre a Milano sarà proclamato Beato don Carlo Gnocchi (1902 - 1956), "il prete dei mutilatini". Dobbiamo prepararci intensamente a questo momento di grazia, cercando di conoscere un po' di più questo prete, per coglierne il cuore. Cercheremo di farlo con poche righe, sperando così di intuire il "segreto" che lo ha reso santo... e così poterlo imitare.
Ebbene, il "segreto" di don Carlo fu proprio questo: egli ha creduto fortemente di poter diventare santo e lo ha desiderato con tutte le sue forze. Già nel 1934 diceva ai giovani del suo Oratorio di S. Pietro in Sala a Milano: "Nulla è più santificante e salvifico della santità. Credetelo. La santità, come un corpo incandescente o radioattivo, ha un'irradiazione quanto misteriosa altrettanto potente, ben più efficace dei più industriosi mezzi umani. La santità irradia tacitamente fede e bontà. Gli amici di Contardo Ferrini, benché increduli, confessavano che, solo al guardarlo, sentivano una spinta interiore alla bontà. Un avvocato, interrogato che cosa avesse visto ad Ars, in quel povero curato di campagna, rispondeva: "Ho visto Dio in un uomo". Ben più e ben meglio delle discussioni e delle industrie umane, la santità ha il magico potere di convertire gli erranti. Credetelo! Se invece di cinquanta cooperatori freddi e mediocri vi fosse anche un solo giovane santo, non credete voi che le cose andrebbero assai diversamente? Io ne sono sicuro, e penso che tutti i cristiani dovrebbero sottoscrivere la frase di Leon Bloy: "Non vi è al mondo che una tristezza: quella di non essere santo"". Perché non provarci?


San Giovanni Maria Vianney, Sacerdote
Dardilly (Lione), 8 maggio 1786 - Ars-sur-Formans, 4 agosto 1859

Contro la sua volontà di farsi prete sembra congiurare l'universo intero: la famiglia povera, il padre ostile, la Rivoluzione che scristianizza la Francia; poi Napoleone lo chiama soldato e lui diserta per non dover servire l'uomo che ha imprigionato papa Pio VII (lo salva il fratello François, arruolandosi al posto suo). Diventa infine prete a 29 anni nell'agosto 1815, mentre gli inglesi portano Napoleone prigioniero a Sant'Elena.
Ma i suoi studi sono stati un disastro, e non solo per la Rivoluzione: è lui che non ce la fa col latino, non sa argomentare né predicare... Per farlo sacerdote c'è voluta la tenacia dell'abbé Charles Balley, parroco di Ecully, presso Lione: gli ha fatto scuola in canonica, l'ha avviato al seminario, lo ha riaccolto quando è stato sospeso dagli studi. Dopo un altro periodo di preparazione, l'ha poi fatto ordinare sacerdote a Grenoble.
E Giovanni Maria Vianney, appena prete, torna a Ecully come vicario dell'abbé Balley, che però muore nel 1817. Allora lo mandano vicino a Bourg-en-Bresse, ad Ars, un borgo con meno di trecento abitanti, che diventerà parrocchia soltanto nel 1821.
Poca gente, frastornata da 25 anni di sconquassi. E tra questa gente lui, con un suo rigorismo male accetto, con la sua impreparazione, tormentato dal sentirsi incapace. Aria di fallimento, angoscia, voglia di andarsene... Ma dopo alcuni anni ad Ars viene gente da ogni parte. Quasi dei pellegrinaggi. Vengono per lui, conosciuto in altre parrocchie dove va ad aiutare o a supplire parroci, specie nelle confessioni. Le confessioni: ecco perché vengono. Questo curato deriso da altri preti, e anche denunciato al vescovo per le "stranezze" e i "disordini", è costretto a stare in confessionale sempre più a lungo. E ormai ascolta anche il professionista di città, il funzionario, la gente autorevole, chiamata ad Ars dai suoi straordinari talenti nell'orientare e confortare, attirata dalle ragioni che sa offrire alla speranza, dai mutamenti che il suo parlare tutto minuscolo sa innescare.
E qui potremmo parlare di successo, di rivincita del curato d'Ars, e di una sua trionfale realizzazione. Invece continua a credersi indegno e incapace, tenta due volte la fuga e poi deve tornare ad Ars, perché lo aspettano in chiesa, venuti anche da lontano.
Sempre la messa, sempre le confessioni, fino alla caldissima estate 1859, quando non può più andare nella chiesa piena di gente perché sta morendo. Paga il medico dicendogli di non venire più: ormai le cure sono inutili. Annunciata la sua morte, "treni e vetture private non bastano più", scrive un testimone. Dopo le esequie il suo corpo rimane ancora esposto in chiesa per dieci giorni e dieci notti. Papa Pio XI lo proclamerà santo nel 1925.


Servo di Dio Salvo D'Acquisto
Napoli, 7 ottobre 1920 - Palidoro, Roma, 3 settembre 1943


Salvo D'Acquisto nacque a Napoli il 7 ottobre 1920. Nel 1939 si arruolò nell'Arma dei Carabinieri, segnalandosi per le sue qualità. Pur vivendo in un'epoca alquanto difficile era caratterizzato da ottimismo e gioia di vivere. Aspirava a formarsi una famiglia. Di lui si conservano ancora le bellissime lettere scritte alla sua fidanzata. Le sue doti di bontà ed il senso cristiano della vita risplendono nell'atto eroico di Palidoro (Roma), allorché, Vice-Comandante della locale stazione dell'Arma, si offrì come vittima innocente per salvare la vita a 22 ostaggi che stavano per essere fucilati.
Dopo l' 8 settembre del 1943, un reparto di SS si era installato in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza sita nella Torre di Palidoro, presso la località di Torrimpietra. In tale caserma, la sera del 22 settembre, alcuni soldati tedeschi, rovistando in una cassa, provocarono lo scoppio di una bomba a mano: uno dei militari rimase ucciso e altri due furono gravemente feriti. L'episodio, del tutto fortuito, fu attribuito dai tedeschi ad un attentato dei partigiani.
La mattina dopo, il comandante del reparto tedesco, recatosi nella Stazione di Torrimpietra per cercare il comandante della locale stazione dei Carabinieri, vi trovò il vice brigadiere D'Acquisto, al quale ordinò di individuare i responsabili dell'accaduto.
Il giovane sottufficiale tentò senza alcun risultato di convincerlo che si era trattato solo di un tragico incidente. L'ufficiale tedesco fu irremovibile e promise una rappresaglia esemplare. Poco dopo, Torrimpietra fu circondata e 22 cittadini innocenti furono rastrellati, caricati su un camion e trasportati presso la Torre di Palidoro. Il vice brigadiere Salvo D'Acquisto, resosi conto che stava per accadere l'irreparabile, affrontò una seconda volta il comandante delle SS, nel tentativo di ricondurlo ad una valutazione oggettiva dell'accaduto. La risposta fu: "Trovate i colpevoli"! Alle rimostranze del giovane sottufficiale, l'ufficiale nazista reagì in modo spietato. Gli ostaggi furono costretti a scavarsi una fossa comune, alcuni con le pale, altri a mani nude. Visto questo gesto Salvo D'Acquisto si autoaccusò come responsabile dell'attentato e chiese che gli ostaggi fossero liberati. Subito dopo la liberazione degli ostaggi, il vice brigadiere venne freddato da una scarica del plotone d'esecuzione nazista. Aveva ventitre anni.
Alla Memoria del vice brigadiere Salvo D'Acquisto il Luogotenente Generale del Regno, con Decreto Motu Proprio del 25 febbraio 1945, conferì la Medaglia d'Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: "Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, erano stati condotti dalle orde naziste 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, non esitava a dichiararsi unico responsabile d'un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così da solo, impavido, la morte imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell'Arma".
Il 4 novembre 1983, nella sede dell'Ordinariato Militare, è stato insediato il Tribunale ecclesiastico per la causa di beatificazione del vicebrigadiere dei Carabinieri Salvo D'Acquisto.


San Josemaria Escrivá de Balaguer Sacerdote, Fondatore dell'Opus Dei
Barbastro, Spagna, 9 gennaio 1902 - Roma, 26 giugno 1975

Josemaría Escrivá nacque a Barbastro (Spagna) il 9 gennaio 1902. Fra i 15 e i 16 anni cominciò ad avvertire i primi presentimenti di una chiamata divina, e decise di farsi sacerdote. Nel 1918 iniziò gli studi ecclesiastici nel Seminario di Logroño, e dal 1920 li proseguì nel Seminario S. Francesco di Paola, a Saragozza, dove dal 1922 svolse mansioni di "Superiore". Nel 1923 iniziò gli studi di Legge nell'Università di Saragozza, col permesso dell'Autorità ecclesiastica, senza che ciò ostacolasse gli studi teologici. Ricevette il diaconato il 20 dicembre 1924, e fu ordinato sacerdote il 28 marzo 1925.
Nella primavera del 1927, sempre col permesso dell'Arcivescovo, si trasferì a Madrid, dove si prodigò in un instancabile lavoro sacerdotale in tutti gli ambienti, dedicandosi anche ai poveri e ai malati delle borgate, specie agli incurabili e ai moribondi degli ospedali. Divenne cappellano del "Patronato per i malati", iniziativa assistenziale delle Dame Apostoliche del Sacro Cuore, e fu docente in un'Accademia universitaria. Frattanto continuava gli studi e i corsi di dottorato in Legge, che a quell'epoca si tenevano solo nell'Università di Madrid.
Il 2 ottobre del 1928 il Signore gli fece vedere con chiarezza l'Opus Dei. Da quel giorno il fondatore dell'Opus Dei si dedicò, con grande zelo apostolico per tutte le anime, a compiere la missione che Dio gli aveva affidato. Il 14 febbraio del 1930 iniziò l'apostolato dell'Opus Dei con le donne. Nel 1934 fu nominato Rettore del Patronato di Santa Elisabetta.
Il 14 febbraio 1943 fondò la Società sacerdotale della Santa Croce, inseparabilmente unita all'Opus Dei, che, oltre a permettere l'ordinazione sacerdotale di membri laici dell'Opus Dei e la loro incardinazione al servizio dell'Opera, avrebbe più tardi consentito pure ai sacerdoti incardinati nelle diocesi di condividere la spiritualità e l'ascetica dell'Opus Dei, cercando la santità nell'esercizio dei doveri ministeriali, pur restando alle esclusive dipendenze del rispettivo Ordinario diocesano.
Nel 1946 si trasferì a Roma, dove rimase fino alla fine della vita. Da Roma stimolò e guidò la diffusione dell'Opus Dei in tutto il mondo, prodigando tutte le sue energie nel dare agli uomini e alle donne dell'Opera una solida formazione dottrinale, ascetica e apostolica. Alla morte del fondatore l'Opus Dei contava più di 60.000 membri, di 80 nazionalità.
Monsignor Escrivá fu Consultore della Pontificia Commissione per l'interpretazione autentica del Codice di Diritto canonico e della Sacra Congregazione per i Seminari e le Università; Prelato onorario di Sua Santità e membro onorario della Pontificia Accademia teologica romana, è stato anche Gran Cancelliere delle Università di Navarra (Spagna) e Piura (Perù) .
San Josemaría Escrivá è morto il 26 giugno 1975. Da anni offriva la sua vita per la Chiesa e per il Papa. Fu sepolto nella Cripta della chiesa di S. Maria della Pace, a Roma.
La fama di santità che già ebbe in vita si è diffusa, dopo la sua morte, in tutti gli angoli della terra, come dimostrano le molte testimonianze di favori spirituali e materiali attribuiti all'intercessione del fondatore dell'Opus Dei; fra di essi si registrano anche guarigioni clinicamente inesplicabili. Numerosissime sono anche state le lettere provenienti dai cinque continenti, fra le quali si annoverano quelle di 69 cardinali e di circa 1.300 vescovi - più di un terzo dell'episcopato mondiale - che chiedevano al Papa l'apertura della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Josemaría Escrivá. La causa si è aperta nel febbraio del 1981. Conclusi tutti i necessari tramiti giuridici, la beatificazione del fondatore dell'Opus Dei è stata celebrata il 17 maggio 1992. Il 6 ottobre 2002 è stato canonizzato nel corso di una solenne cerimonia presieduta dal Santo Padre Giovanni Paolo II, in piazza San Pietro alla presenza di oltre 300 mila fedeli provenienti da tutto il mondo.

Per maggiori informazioni sulla vita e sul messaggio di san Josemaría: http://www.it.josemariaescriva.info/


Beato Alfredo Ildefonso Schuster Cardinale arcivescovo di Milano
Roma, 18 gennaio 1880 - Venegono, Varese, 30 agosto 1954

Nacque a Roma il 18 gennaio 1880, divenne monaco esemplare e, il 19 marzo 1904, venne ordinato sacerdote nella basilica di Nato a Roma il 18 gennaio 1880 da Giovanni, caposarto degli zuavi pontifici, e da Maria Anna Tutzer, fu battezzato il 20 gennaio. Rimasto all'età di undici anni orfano di padre, e viste le sue doti per studio e la sua pietà, fu fatto entrare dal barone Pfiffer d'Altishofen nello studentato di S. Paolo fuori le mura. Ebbe come maestri il Beato Placido Riccardi e don Bonifacio Oslander che l'educarono alla preghiera , all'ascesi e allo studio (si laureò in filosofia al Collegio Pontificio di Sant'Anselmo a Roma).
Fu monaco esemplare e il 19 marzo 1904 venne ordinato sacerdote in San Giovanni in Laterano. Gli furono affidati incarichi gravosi, che manifestavano però in se la stima e la fiducia nei suoi confronti. A soli 28 anni era maestro dei novizi, poi procuratore generale della Congregazione Cassinese, successivamente priore claustrale e infine abate ordinario di San Paolo fuori le mura (1918). L'amore per lo studio, che fanno di lui un vero figlio di San Benedetto, non verrà meno a causa dei suoi innumerevoli impegni che sempre più occuperanno il suo tempo e il suo ministero. Grande infatti fu la sua passione per l'archeologia, l'arte sacra, la storia monastica e liturgica.
Gli infiniti impegni lo porteranno dalla cattedra di insegnante alla visita, come Visitatore Apostolico, dei Seminari. Il 26 giugno 1929 fu nominato da papa Pio XI arcivescovo di Milano; il 15 luglio lo nomina cardinale e il 21 luglio lo consacra vescovo nella suggestiva cornice della Cappella Sistina. Ebbe inizio così il suo ministero di vescovo nella Chiesa Ambrosiana. Prese come modello il suo predecessore il Santo vescovo Carlo Borromeo e di lui imitò anzitutto lo zelo nel difendere la purezza della fede, nel promuovere la salvezza delle anime, incrementandone la pietà attraverso la vita sacramentale e la conoscenza della dottrine cristiana. A testimonianza di ciò sono le numerose lettere al clero e al popolo, le assidue visite pastorali, le minuziose e dettagliate prescrizioni specialmente in ordine al decoro del culto divino, i frequenti sinodi diocesani e i due congressi eucaristici. La sua presenza tra il popolo fu continua e costante. Per questo non mancò mai ai riti festivi in Duomo, moltiplicò le consacrazioni di chiese e altari, le traslazioni di sacre reliquie, eccetera. Allo stremo delle forze si era lasciato persuadere dai medici di trascorrere un periodo di riposo. Scelse come luogo il seminario di Venegono, da lui fatto costruire come un'abbazia in cima ad un colle, mistica cittadella di preghiera e studio.
Qui si spense il 30 agosto 1954 congedandosi dai suoi seminaristi con queste parole: " Voi desiderate un ricordo da me. Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un Santo autentico, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio. Ricordate le folle intorno alla bara di don Orione? Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi. ha paura, invece, della nostra santità".
Pochi giorni dopo, l'impressionante corteo che accompagnava la salma del cardinale Schuster da Venegono a Milano confermava che " quando passa un Santo, tutti accorrono al suo passaggio". Il processo di beatificazione ebbe inizio nel 1957 e si concluse nel 1995 con l'approvazione del miracolo ottenuto per sua intercessione: la guarigione di suor Maria Emilia Brusati, da glaucoma bilaterale. La proclamazione solenne di beatificazione è del 12 maggio 1996. La memoria liturgica è il 30 agosto.


Servo di Dio Antonio Bello (Don Tonino) Vescovo
Alessano, Lecce, 18 marzo 1935 - Molfetta, 20 aprile 1993


E' impossibile descrivere in poche righe ciò che Sua Eccellenza Mons. Antonio Bello, per tutti Don Tonino, ha rappresentato per la Chiesa e per tutti coloro che vivono ai margini di una società troppo spesso disattenta ai reali e penosi problemi della "gente comune".
Nato ad Alessano in provincia di Lecce nel 1935, fu ordinato sacerdote nel 1957 a soli 22 anni.
Nel 1982 divenne vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi.
Nonostante l'alto incarico ecclesiale, Don Tonino era affabile e disponibile con chiunque bussava alla sua porta per chiedere una parola di conforto, un aiuto materiale, un momento di ristoro per l'anima. Ogni singola situazione veniva presa a cuore, affrontata con determinazione.
A chi gli chiedeva che cosa lo affliggesse di più, Don Tonino rispondeva: "Mi fa soffrire molto l'impossibilità di giungere a dare una mano a tutti. Ho un'agenda sovraccarica di persone che chiedono una visita, un sostegno, un appuntamento, del denaro, una soluzione ai loro problemi... Si vorrebbe avere occhi e mani per ognuno, ma non si riesce, e questo è il rammarico più grande".
Una frase che risuonava spesso sulle labbra di Don Tonino era: "Coraggio, non temere".
In uno suo scritto intitolato "Le mie notti insonni", Don Tonino elenca una serie piuttosto lunga di paure che contaminano l'uomo moderno, minando anche il suo rapporto con Dio.
Paure frutto spesso di un progresso che, dopo gli entusiasmi iniziali, si ritorce sull'uomo che vive nell'illusione di mantenersi al passo con i tempi dimenticando che "E' dal cuore umano che nasce e si sviluppa la nube tossica delle paure contemporanee"
Ma esiste un antidoto contro le paure, il Vangelo dell'antipaura come amava definirlo Don Tonino: "Alzatevi…Levate il capo" (Lc 21, 25-28.34-36). E' il Vangelo che si legge la prima domenica di Avvento in cui Gesù esorta alla preghiera e alla fiducia nella liberazione definitiva da ogni timore, da ogni paura, da ogni negatività.
Forse anche per la sintonia con la spiritualità francescana (faceva parte dell'Ordine Francescano Secolare) Don Tonino amava lasciarsi guidare dal Vangelo "sine glossa", senza sconti sulla verità né diluizioni o prudenze carnali. Non a caso si definiva "Un buono a nulla. Ma capace di tutto, perché consapevole che, quanto più ci si abbandona a Dio, tanto più si riesce a migliorare la gente che ci sta attorno".
Don Tonino era anche un vero innamorato dell'Immacolata e, in molti suoi scritti, questo amore diventava una continua dichiarazione d'amore nei confronti della Mamma Celeste.
Dal 22 al 29 luglio 1991, predicò un Corso di Esercizi Spirituali in occasione del 40° Pellegrinaggio della Lega Sacerdotale Mariana a Lourdes da cui venne tratto lo stupendo volume "Cirenei della gioia". Condivise con i sacerdoti malati quel momento in cui il cuore umano si affida senza riserve alla grazia di Dio, chiedendo l'intercessione della Vergine Santa, offrendo al Signore la propria debolezza e precarietà terrena.
Don Tonino era abituato a prolungate soste davanti Tabernacolo, da cui traeva energia e ispirazione e molte delle lettere che spediva a coloro che, spesso addolorati e affranti si rivolgevano a lui, nascevano proprio nel cuore di una veglia notturna quando era a tu per tu con Dio.
Anche riguardo al tema della sofferenza, Don Tonino rimase sempre aderente allo spirito evangelico che ne sottende il senso. Aveva a che fare con i malati, i disabili, con coloro che nessuno considerava e che rimanevano silenziosi nel loro dolore; dolori diversi ma pur sempre urenti, che lacerano l'anima, che hanno la voce soffocata dall'indifferenza collettiva, che creano cicatrici evidenti nel cuore di chi li deve subire. Ma per Don Tonino, la sofferenza trova un senso vero solo se condivisa amorevolmente con Dio. Dice infatti: "C'è anche il caso, comunque, ed è molto frequente, che il dolore rafforzi l'intimità col Signore: il quale viene riscoperto non tanto come estremo rifugio di consolazione, ma come colui che "ben conosce il patire" e che sa solidarizzare fino in fondo con tutta la nostra esperienza".
Parole profetiche. Colpito da un male inguaribile mantenne sempre fede ai suoi impegni di pastore d'anime con entusiasmo ma, soprattutto, con un'umanità davvero straordinaria, nonostante le sofferenze che lo tormentavano. La malattia di Don Tonino era una di quelle che non perdona, che produce dolori tremendi, che sfianca il corpo e debilita lo spirito.
Eppure non cessò un solo attimo di affrontare anche sofferenze che non gli appartenevano direttamente, lasciando sempre spazio a chi chiedeva aiuto o desiderava una risposta convincente sull'assurdità del dolore. Consumò lentamente i suoi ultimi mesi di vita tra la sua gente, tra i suoi poveri, tra gli inascoltati gridi della "gente comune". La morte colse prematuramente Don Tonino il 20 aprile del 1993 a 58 anni.


Servo di Dio Giuseppe (Don Pino) Puglisi Martire
Brancaccio, Palermo, 15 settembre 1937 - Brancaccio, 15 settembre 1993

Don Giuseppe Puglisi nasce nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta, e viene ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno.

Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.

Nel 1963 è nominato cappellano presso l'istituto per orfani "Roosevelt" e vicario presso la parrocchia Maria SS. ma Assunta a Valdesi.
Sin da questi primi anni segue in particolare modo i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.

Segue con attenzione i lavori del Concilio Vaticano II e ne diffonde subito i documenti tra i fedeli con speciale riguardo al rinnovamento della liturgia, al ruolo dei laici, ai valori dell'ecumenismo e delle chiese locali.

Il suo desiderio fu sempre quello di incarnare l'annunzio di Gesù Cristo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.

Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo - segnato da una sanguinosa faida - dove rimane fino al 31 luglio 1978, riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono.
In questi anni segue anche le battaglie sociali di un'altra zona della periferia orientale della citt., lo "Scaricatore".

Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del seminario minore di Palermo e il 24 novembre dell'anno seguente direttore del Centro diocesano vocazioni.
Nel 1983 diventa responsabile del Centro regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale. Agli studenti e ai giovani del Centro diocesano vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di "campi scuola", un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano.

Don Giuseppe Puglisi è stato docente di matematica e poi di religione presso varie scuole. Ha insegnato al liceo classico Vittorio Emanuele II a Palermo dal '78 al '93.

A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui: Presenza del Vangelo, Azione cattolica, Fuci, Equipes Notre Dame. Dal marzo del 1990 svolge il suo ministero sacerdotale anche presso la "Casa Madonna dell'Accoglienza" dell'Opera pia Cardinale Ruffini in favore di giovani donne e ragazze-madri in difficoltà.

Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, e nel 1992 assume anche l'incarico di direttore spirituale presso il seminario arcivescovile di Palermo. Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il centro "Padre Nostro", che diventa il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere.

La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede.

Questa sua attività pastorale - come è stato ricostruito dalle inchieste giudiziarie - ha costituito il movente dell'omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati. Nel ricordo del suo impegno, innumerevoli sono le scuole, i centri sociali, le strutture sportive, le strada e le piazze a lui intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia.

A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l'apertura dell'anno pastorale della diocesi di Palermo.

Il 15 settembre 1999 il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio, che ha iniziato ad ascoltare i testimoni. Un archivio di scritti editi ed inediti, registrazioni, testimonianze e articoli si è costituito presso il "Centro ascolto giovani don Giuseppe Puglisi" in via Matteo Bonello a Palermo (091-334669).

La sua vita e la sua morte sono state testimonianze della sua fedeltà all'unico Signore e hanno disvelato la malvagità e l'assoluta incompatibilità della mafia con il messaggio evangelico.

"Il credente che abbia preso in seria considerazione la propria vocazione cristiana, per la quale il martirio è una possibilità annunciata già nella rivelazione non può escludere questa prospettiva dal proprio orizzonte di vita. I 2000 anni dalla nascita di Cristo sono segnati dalla persistente testimonianza dei martiri" (Giovanni Paolo II, Incarnationis Misterium, n.10).


Servo di Dio Giuseppe Lazzati - 1909 - 1986


Giuseppe Lazzati (1909-1986) potrebbe essere ricordato per molte ragioni: per i suoi contributi di studioso del cristianesimo antico, per l'impegno in Azione Cattolica che lo porta ad anticipare di trent'anni quella che sarà poi chiamata la "scelta religiosa" dell'AC, per la stagione di partecipazione diretta alla politica come deputato alla Costituente e poi al Parlamento, per il ruolo svolto come Rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

Il laicato

Pur non essendo un teologo, Lazzati ha elaborato una sorta di via laicale alla santità. Che muove dal riconoscimento del compito laicale di santificare le realtà temporali. "E' tutta la realtà che va consacrata a Dio - tutta! affinché, ricondotta a Cristo, attraverso Cristo canti il suo inno di gloria al Padre che l'ha creata". Tutta la realtà comprende "il cielo e la terra, gli spazi infiniti; vuol dire l'erba del campo, il grano, tutti gli animali, le cose animate e inanimate, tutto ciò che è stato creato da Dio; vuol dire tutti gli strumenti che l'uomo ha scoperto per dominare la terra secondo il comando divino, tutte le scienze, tutte le arti, tutte le tecniche; vuol dire tutte le attività umane dalla più umile alla più alta, da quella del manovale a quella speculativa; vuol dire tutte le attività attraverso le quali l'uomo realizza la comunità familiare, l'attività sindacale". Si trova qui molto bene espressa una teologia delle realtà penultime e della terrestrità, una vera e propria "teologia della materia".
Il laico, dunque, non si santifica nonostante il suo coinvolgimento nelle cose temporali, ma proprio attraverso di esso.
Il fedele laico non è, per Lazzati, un semplice emissario, l'anello terminale di una catena clericale, ma colui che si assume, in piena responsabilità e autonomamente, la sua vocazione di essere sale e lievito, di stare nel mondo e in mezzo agli altri con atteggiamento accogliente e dialogante, senza orgogli di appartenenza e chiusure preconcette. Già nel 1936, egli intende l'apostolato di AC come robustamente radicato nella realtà storica: si tratta di "portare Cristo alle masse", non bisogna chiudersi nel bacino d'utenza tradizionale, quello dei fedeli praticanti, ma aprirsi "agli uomini di campagna e di città, abitatori delle umili case e di grandi palazzi, lavoratori dei campi e operai, uomini di studio e di commercio, infelici per i quali non brillò la luce della verità, schiavi delle tenebre pagane"

Il pensiero politico

Per quanto la sua partecipazione alla vita politica attiva sia stata breve, Lazzati elabora nel corso degli anni un suo pensiero politico. Egli riflette sul rapporto tra fede e politica e afferma la laicità e l'autonomia della politica. La politica ha come scopo " la costruzione della città dell'uomo" ed è perciò "la più alta attività umana: quella che dovrebbe realizzare quel bene comune che è da intendere quale condizione per il massimo sviluppo possibile di ogni persona, questa è la politica in se stessa".
Per queste ragioni secondo Lazzati è indispensabile imparare a "pensare politicamente" e la pratica politica del cristiano non deve avvenire in quanto credente, ma perché credente. In altri termini, il cristiano non si impegna in politica da cristiano ma spinto dalla sua motivazione cristiana (fuori quindi da ogni integralismo politico-religioso, lontano da ogni orientamento teocratico), dunque capace di concorrere al bene di tutti e di collaborare per questo fine con tutti.
Alla formazione politica dei cristiani è dedicata l'Associazione "Città dell'Uomo" che Lazzati fonda nel 1985.
Nei momenti più difficili della storia civile e politica dell'Italia degli ultimi decenni, Lazzati non si lascia mai trascinare nelle contrapposizioni laici-cattolici, non abbraccia alcuna crociata. A proposito del referendum abrogativo del divorzio che era stato introdotto in Italia nel 1970 con la legge Fortuna-Baslini, Lazzati scrive a Paolo IV: " Non posso infatti nascondere, la mia viva preoccupazione che per la difesa di un principio e valore di tanta elevatezza e di tanta delicatezza ad un tempo quale è quello dell'indissolubilità del matrimonio, si scelgano modi che potrebbero, a mio modesto avviso e al di là delle intenzioni di chi sembra volerli, aggravare un male che solo modi suggeriti da superiore sapienza potranno contenere.
Alludo al referendum […]. La via, a mio modesto parere, è un'altra […]. Con il coraggio richiesto a chi sa irrinunciabile il rischio della libertà urge che tutti ci impegnamo in un'opera di evangelizzazione che, nella scia luminosa del Concilio, ci guidi nella profondità del mistero cristiano, là dove la fede risvegliata veda le ragioni profonde di ciò che richiede il vivere da cristiani e attinga la forza per farlo. Solo così si potranno aprire nuove strade per le quali la parola di Dio possa, libera, penetrare nel mondo".
Il 18 maggio del 1994, in occasione di una commemorazione di Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti, altro grande testimone del nostro tempo, intitolò la sua riflessione con le parole di Isaia: "Sentinella, quanto resta della notte?" (Is 21, 11).
Lazzati fu una sentinella, soprattutto nell'ultimo periodo della sua vita si rese lucidamente conto "di ciò che si stava preparando per la cristianità italiana. Chi ha potuto avvicinarlo allora, avvertiva che la sua coscienza esprimeva un giudizio duro, lucido, su ciò che stava maturando per il nostro Paese […]: non tanto lo sbandamento elettorale elettorale dei cattolici, ma le sue cause profonde, oltre gli scandali finanziari e oltre le collusioni tra mafia e potere politico, soprattutto l'incapacità di 'pensare politicamente', la mancanza di grandi punti di riferimento e l'esaurimento intrinseco di tutta una cultura politica e di un'etica conseguente" (G. Dossetti).
Come ogni sentinella che si rispetti, Lazzati ha avuto il coraggio di guardare nel buio e perciò di precorrere l'aurora e il suo modo di pensare politicamente e laicamente conserva tutta la sua valenza profetica perché non mira ad edificare una sorta di nuova cristianità ma prepara ad una convivenza pacificamente aperta e costruttiva, disegna un modello di società praticabile, non concorrenziale, non conflittuale, nel nostro attuale contesto multirazziale, multireligioso, multiculturale.