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Coronavirus, il Brasile supera 700 mila casi
In America Latina oltre un milione di contagiati e 67 mila morti

Il Brasile supera i 700 mila casi di Covid-19 dall'inizio della pandemia: sono 707.412 in totale, secondo i dati al 7 giugno, del ministero della Salute, mentre le vittime sono un totale di 37.134.
L'Oms ha rivolto un appello al governo brasiliano affinché mantenga la propria trasparenza in relazione alla pubblicazione dei casi di Covid-19, nella speranza che la "confusione" nella divulgazione dei numeri ufficiali venga risolta. "È molto importante che il messaggio di trasparenza sia coerente", ha affermato Michael Ryan, direttore delle operazioni dell'Oms. Secondo l'Oms, la regione latinoamericana non ha ancora raggiunto il picco dei contagi e la crisi qui è la "più complessa" mai registrata dall'inizio della pandemia.

AMERICA LATINA - La pandemia da coronavirus continua a far sentire i suoi effetti in America latina dove il numero dei morti è pari a un totale di 66.952, mentre i contagiati hanno raggiunto quota 1.353.910.
E' quanto emerge da una statistica dell'ANSA sulla base dei dati di 34 nazioni e territori latinoamericani. Guida la classifica il Brasile, mentre al secondo e terzo posto troviamo il Perù e il Cile.
Fra i paesi latinoamericani con più di 5.000 contagi vi sono poi Messico, Ecuador, Colombia, Repubblica Dominicana, Argentina, Panama, Bolivia, Guatemala e Honduras.

 

SALOMÉ RISCHIA OGNI GIORNO LA VITA

Minacciata perché difende la foresta dell'Amazzonia dalle mire delle imprese petrolifere.

“Questo attacco è la loro risposta alla mia lotta in difesa della vita e dei nostri territori dalla minaccia dello sfruttamento del petrolio“.

Salomé è una leader nativa del popolo Kichwa che lotta per difendere la foresta amazzonica e il diritto delle donne della sua comunità a vivere in un ambiente sano e libero dal pericolo della violenza sessuale. Salomé è la leader delle donne e delle famiglie nel comune di Moretecocha, nella provincia di Pastaza.

Ha denunciato pubblicamente, anche durante l’incontro delle donne amazzoniche con il presidente Moreno, il 22 marzo 2018, i possibili impatti ambientali delle operazioni petrolifere nel bacino del fiume Villano, nella provincia di Pastaza, oltre ai casi di abusi sessuali contro le donne indigene. A poche settimane da quell’incontro, il 13 maggio 2018, un gruppo di individui sconosciuti ha attaccato e minacciato Salomé e la sua famiglia lanciando pietre contro la loro abitazione. L’ufficio del procuratore provinciale di Pastaza non ha ancora identificato gli autori materiali e intellettuali dell’attacco e non ha compiuto progressi significativi nelle indagini, nonostante Salomé abbia presentato un reclamo formale.

Le autorità non hanno offerto misure di protezione per lei e la sua famiglia dal rischio di ulteriori attacchi.

 

PERU' - Coronavirus: migliaia di disperati abbandonano Lima per ritornare nei villaggi sulle Ande

“Stiamo assistendo ad un fenomeno impressionante: migliaia di persone disperate che non ce la fanno più a resistere e decidono di lasciare Lima per far ritorno ai propri villaggi sulle Ande o sulla costa nella speranza di poter trovare un aiuto o qualcosa di cui vivere”. A descrivere la drammaticità della situazione alla periferia di Lima è don Ivan Manzoni, missionario fidei donum della diocesi di Como, che da sette anni svolge il suo ministero nella diocesi di Carabayllo, alla periferia nord della megalopoli. “La parrocchia di Fatima dove sono parroco – racconta don Ivan – sorge proprio lungo la Panamericana, la grande arteria stradale che percorre il Continente da Nord a Sud. Ed è la stessa via che percorrono questi gruppi di uomini e donne per tornare ai loro paesi. I più poveri lo fanno a piedi portando con sé il poco che hanno. Alcuni arrivano in parrocchia e passano la notte qui. All’inizio erano davvero numerosi, ora sono meno frequenti, ma continuano ad arrivare. Per quanto possiamo cerchiamo di assisterli: alcuni volontari cucinano per loro e garantiamo pranzo e cena per chi passa. Fortunatamente stiamo ricevendo donazioni da parte della stessa gente della parrocchia che sta mostrando davvero grande generosità”. Parole, quelle del missionario, che mostrano la drammaticità di un contesto, quello peruviano, dove il coronavirus e la crisi economica legata al perdurare delle misure di quarantena stanno mettendo in ginocchio moltissime persone. Lo conferma anche un altro fidei donum italiano, don Roberto Seregni, dalla parrocchia di San Pedro de Carabayllo. “Siamo anche noi in periferia, in una delle zone più povere della città, ma siamo lontani dalla Panamericana e quindi non stiamo assistendo al transito di persone”, dice. “Ma anche qui le difficoltà non mancano: ci sono famiglie che vivono situazioni tragiche di povertà, senza risparmi, e che si guadagnano quel poco che basta per mangiare raccogliendo plastica o vendendo pollo fritto lungo le strade. La quarantena li ha privati di questa fonte di reddito e ora fanno davvero fatica. Con la parrocchia stiamo cercando di aiutarli: abbiamo organizzato una raccolta e distribuito 400 borse di viveri, ma non basta”. Il Perù è il secondo Paese dell’America Latina per numero di contagi – secondo solo al Brasile – con oltre 100mila casi registrati (dato della Johns Hopkins University) e oltre tremila morti.


Una notizia pubblicata sul Giornale di Merate e che vede fra i protagonisti don Lorenzo Redaelli, che fu parroco di Germignaga dal 1998 al 2006.
Anche da lontano, continua a offrirci una bella testimonianza di condivisione fra musulmani e cristiani.
Don Lorenzo Redaelli, nato ad Agrate il 30 maggio del 1948, è stato ordinato sacerdote nel 1975. Il suo primo incarico è stato come vice parroco a Bollate Cassina Nova, per poi diventare decano facente funzione nel decanato di Luino (anno 1998). Fino al 2006 è rimasto a Germignaga, in provincia di Varese per poi essere trasferito a Pessano con Bornago, parrocchia che ha lasciato nel 2014 con destinazione Lomagna.

C'è una storia triste e bella che arriva da un piccolo comune in provincia di Lecco, che si chiama Lomagna. Un paesino di 5000 abitanti in cui tutti si conoscono e i figli vanno tutti nelle stesse scuole. Sobrine Ounnass è una giovane mamma marocchina, vedova, che vive da molti anni a Lomagna. Vive con sua mamma e le sue due bambine di sette e nove anni rimaste senza papà. Si dà da fare per la comunità, lavora al
centro diurno Corte Busca dove si assistono gli anziani, fa la volontaria durante l’oratorio estivo. Un anno fa Sobrine si ammala. Le viene diagnosticata una malattia molto grave. Lotta per guarire e rimanere con le sue due bimbe già così sfortunate ma non ce la fa. Qualche settimana fa muore.
Le bambine subito dopo la morte della mamma partono per il Marocco per le commemorazioni. Quando tornano la comunità pensa di organizzare qualcosa in memoria di Sobrine e, soprattutto, per stringersi intorno alle due piccole rimaste orfane. E qui succede una cosa bella (raccontata solo dal settimanale Giornale di Merate e successivamente da merateonline). Musulmani e cristiani, adulti e bambini fanno una festa nel centro in cui lavorava Sobrine.
Don Lorenzo Redaelli e Mansur Cereda, membro del centro culturale islamico di Carnate, si abbracciano. I bambini preparano dei biscotti seguendo una ricetta di Sobrine, c'è the marocchino per tutti,
c'è una torta. E alla fine si fanno volare tanti palloncini in cielo.Roberta, la mamma di uno dei bambini in classe con una delle figlie di Sobrine mi dice: "E' stata una grande festa in cui ci siamo riuniti tutti come una vera comunità, dove ancora ci si preoccupa gli uni degli altri. Ci sono state lacrime e sorrisi ma soprattutto c'è stata unione. È ora che cominciamo anche noi a far sentire la nostra voce, a dire che non siamo d'accordo con questo razzismo mascherato da "prima gli italiani", a dire che crediamo in qualcosa di diverso. Lo dobbiamo a noi stessi ma lo dobbiamo anche ai nostri figli".


Bangladesh, denuncia molestie da parte del preside: studentessa bruciata viva a scuola

Il calvario di una studentessa 19enne dopo la decisione di denunciare le molestie del preside alla polizia. La famiglia di Nusrat Jahan Rafi è stata isolata e lei minacciata ma la giovane si è presentata comunque a scuola per svolgere gli esami finali. Qui è stata attirata in una trappola e uccisa col fuoco.

È stata molestata sessualmente dal preside a scuola ma quando ha deciso di denunciare tutto alla polizia, invece di essere difesa, è stata umiliata e derisa, infine, quando è tornata a scuola, è stata aggredita e bruciata viva dai suoi stessi compagni di classe.
È’ la terribile storia di violenza, abusi e oppressione della donna che arriva dal Bangladesh dove da settimane il Paese è diviso tra i sostenitori della giovane vittima di soli 19 anni e i suoi detrattori convinti che a sbagliare sia stata la ragazza abusata che avrebbe dovuto tacere. Il calvario di Nusrat Jahan Rafi era iniziato a fine marzo quando all'interno di una madrassa, una scuola coranica dove studiava, il preside l'ha chiamata nel suo ufficio e l'ha molestata palpandola. La diciannovenne era fuggita ma subito dopo aveva deciso di denunciare tutto alla polizia.
Proprio nella caserma di polizia è iniziato per lei però un vero incubo.
È stata derisa e umiliata da un agente che l'ha addirittura filmata mentre lei raccontava le molestie commentando che non si era trattato di "niente di grave", poi il video è stato pubblicato online e Nusrat da vittima si è trasformata in accusata divenendo bersaglio di una campagna di odio. Quando il preside è stato arrestato, infine, per lui si sono mobilitati in migliaia che sono scesi in piazza a Dacca e a Feni per chiederne il rilascio, accusando la giovane di menzogna. La famiglia della 19enne è stata isolata e lei minacciata ma Nusrat si è presentata comunque a scuola il 6 aprile per svolgere gli esami finali. Qui è stata attirata in una trappola, fatta salire sul tetto con la scusa di metterla al sicuro, e uccisa. I responsabili avrebbero tentato di farle ritrattare le accuse ma quando lei si è rifiutata, le hanno dato fuoco. I giovani infine hanno tentato di simulare un suicidio ma la ragazza prima di morire in ospedale con ustioni sull'80 per cento del corpo, è riuscita a raccontare tutto e a  registrare un audio sul cellulare del fratello. Dopo i fatti, la polizia ha rimosso dall'incarico l'agente che aveva girato il video mentre il ministro dell'Interno ha assicurato che "ogni persona coinvolta nell'omicidio sarà consegnata alla giustizia". Purtroppo però nel Paese il clima di ostilità contro la famiglia della giovane è aumentato ancora .

( https://www.fanpage.it/esteri/bangladesh-denuncia-molestie-da-parte-del-preside-studentessa-bruciata-viva-a-scuola/ ) 19 aprile 2019

LA DIGNITÀ E IL VALORE DELLA VITA

In Bangladesh una studentessa diciannovenne ha subito molestie da parte del preside della sua scuola. Quando ha denunciato il fatto alla polizia è stata derisa e umiliata da un agente, che riteneva la sua situazione poco grave. Il Paese si è diviso in due schieramenti: chi sostenendo la ragazza e chi facendola diventare bersaglio di una campagna d’odio. Nonostante ciò si è presentata agli esami, dove con un inganno è stata portata sul tetto della scuola e bruciata viva dai suoi compagni.
Perché a Nusrat Jahan Rafi non è stato dato l’aiuto di cui necessitava?
Perché un essere umano viene privato della sua dignità, dei suoi diritti e alla fine anche della sua vita?
La vita è un dono di Dio, nessuno si dovrebbe permettere di violarla e di toglierla, ma andrebbe difesa e protetta ad ogni costo.
Tutt’oggi, specialmente in alcune civiltà, non si riconosce ancora il valore della vita, non vengono prese in considerazione delle situazioni serie, ma si cerca di nascondere fatti che non dovrebbero accadere.
Per quale motivo tutto ciò?
Il sacrificio della sua vita cosa significava? Una punizione o una vendetta per avere avuto il coraggio di denunciare l’ingiusta esperienza subita.
Non dobbiamo pensare a questa notizia come qualcosa di lontano da noi, anche nella nostra società ci sono dei soprusi e persone che subiscono delle angherie, ma fortunatamente non si arriva a conclusioni così atroci. Noi come ci poniamo nella nostra quotidianità di fronte a ciò a cui assistiamo? Siamo passivi spettatori o attivi giocatori?