La lingua, le chiacchiere, il pettegolezzo sono armi che ogni giorno
insidiano la comunità umana, seminando invidia, gelosia e bramosia
del potere. Con esse si può arrivare a uccidere una persona. Perciò
parlare di pace significa anche pensare a quanto male è possibile
fare con la lingua. Il Papa ha preso spunto dal racconto del ritorno di
Gesù a Nazareth, così come proposto da Luca (4, 16-30) in
uno dei brani del Vangelo tra i più "drammatici", nel quale
"si può vedere com'è la nostra anima" e come il
vento può farla girare da una parte all'altra. A Nazareth, ha spiegato
il Papa, "tutti aspettavano Gesù. Volevano trovarlo. E lui è
andato a trovare la sua gente. Per la prima volta tornava nel suo Paese.
E loro lo aspettavano perché avevano sentito tutto ciò che
Gesù aveva fatto a Cafarnao, i miracoli. E quando inizia la cerimonia,
come d'abitudine, chiedono all'ospite di leggere il libro. Gesù fa
questo e legge il libro del profeta Isaia, che era un po' la profezia su
di lui e per questo conclude la lettura dicendo "Oggi si compie questa
scrittura che voi avete ascoltato"". La prima reazione, ha spiegato
il Pontefice, è stata bellissima, tutti lo hanno apprezzato. Poi
però nell'animo di qualcuno ha cominciato a insinuarsi il tarlo dell'invidia
e ha cominciato a dire: ""Ma dove ha studiato costui? Non è
costui il figlio di Giuseppe? E noi conosciamo tutta la parentela. Ma in
che università ha studiato?"". E hanno cominciato a pretendere
che egli facesse un miracolo: solo dopo avrebbero creduto. "Loro volevano
lo spettacolo: "Fai un miracolo e tutti noi crederemo in te".
Ma Gesù non è un artista".Gesù non fece miracoli
a Nazareth. Anzi sottolineò la poca fede di chi chiedeva lo "spettacolo".
Questi, ha notato Papa Francesco, "si sono arrabbiati tanto, si sono
alzati e spingevano Gesù fino al monte per buttarlo giù e
ucciderlo". Ciò che era iniziato in modo gioioso minacciava
di concludersi con un crimine, l'uccisione di Gesù "per la gelosia,
per l'invidia". Ma non si tratta solamente di un evento di duemila
anni fa, ha evidenziato il vescovo di Roma. "Questo succede ogni giorno
nel nostro cuore, nelle nostre comunità" ogni volta che si accoglie
qualcuno parlandone bene il primo giorno e poi sempre meno sino ad arrivare
al pettegolezzo così quasi da "spellarlo". Colui che, in
una comunità, chiacchiera contro un fratello finisce per "volerlo
uccidere", ha sottolineato il Pontefice. E il Papa ha subito aggiunto:
"noi siamo abituati alle chiacchiere, ai pettegolezzi" e spesso
trasformiamo le nostre comunità e anche la nostra famiglia in un
"inferno", dove si manifesta questa forma di criminalità
che porta a "uccidere il fratello e la sorella con la lingua"."La
Bibbia - ha proseguito il Papa - dice che il diavolo è entrato nel
mondo per invidia. Una comunità, una famiglia viene distrutta da
questa invidia che insegna il diavolo nel cuore e fa che uno parli male
dell'altro". E riferendosi a quanto accade in questi giorni, ha sottolineato
che bisogna pensare anche alle nostre armi quotidiane: "la lingua,
le chiacchiere, lo spettegolare".Come costruire dunque una comunità,
si è chiesto il Pontefice? Così "com'è il cielo"
ha risposto; così come annuncia la Parola di Dio: "Viene la
voce dell'arcangelo, il suono della tromba di Dio, il giorno della risurrezione.
E dopo questo dice: e così per sempre saremo con il Signore".
Dunque "perché sia pace in una comunità, in una famiglia,
in un Paese, nel mondo, dobbiamo cominciare a essere con il Signore. E dov'è
il Signore non c'è l'invidia, non c'è la criminalità,
non ci sono le gelosie. C'è fratellanza. Chiediamo questo al Signore:
mai uccidere il prossimo con la nostra lingua e essere con il Signore come
tutti noi saremo nel cielo".
In questa Eucaristia in cui celebriamo il nostro Padre Ignazio di Loyola, alla luce delle Letture che abbiamo ascoltato, vorrei proporre tre semplici pensieri guidati da tre espressioni: mettere al centro Cristo e la Chiesa; lasciarsi conquistare da Lui per servire; sentire la vergogna dei nostri limiti e peccati, per essere umili davanti a Lui e ai fratelli.
1. Lo stemma di noi Gesuiti è un monogramma, lacronimo di Iesus Hominum Salvator (IHS). Ciascuno di voi potrà dirmi: lo sappiamo molto bene! Ma questo stemma ci ricorda continuamente una realtà che non dobbiamo mai dimenticare: la centralità di Cristo per ciascuno di noi e per lintera Compagnia, che SantIgnazio volle proprio chiamare di Gesù per indicare il punto di riferimento. Del resto anche allinizio degli Esercizi Spirituali, ci pone di fronte a nostro Signore Gesù Cristo, al nostro Creatore e Salvatore (cfr EE, 6). E questo porta noi Gesuiti e tutta la Compagnia ad essere decentrati, ad avere davanti il Cristo sempre maggiore, il Deus semper maior, lintimior intimo meo, che ci porta continuamente fuori da noi stessi, ci porta ad una certa kenosis, ad uscire dal proprio amore, volere e interesse (EE, 189). Non è scontata la domanda per noi, per tutti noi: è Cristo il centro della mia vita? Metto veramente Cristo al centro della mia vita? Perché cè sempre la tentazione di pensare di essere noi al centro. E quando un Gesuita mette se stesso al centro e non Cristo, sbaglia. Nella prima Lettura, Mosè ripete con insistenza al popolo di amare il Signore, di camminare per le sue vie, perché è Lui la tua vita (cfr Dt 30, 16.20). Cristo è la nostra vita! Alla centralità di Cristo corrisponde anche la centralità della Chiesa: sono due fuochi che non si possono separare: io non posso seguire Cristo se non nella Chiesa e con la Chiesa. E anche in questo caso noi Gesuiti e lintera Compagnia non siamo al centro, siamo, per così dire, spostati, siamo al servizio di Cristo e della Chiesa, la Sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica (cfr EE, 353). Essere uomini radicati e fondati nella Chiesa: così ci vuole Gesù. Non ci possono essere cammini paralleli o isolati. Sì, cammini di ricerca, cammini creativi, sì, questo è importante: andare verso le periferie, le tante periferie. Per questo ci vuole creatività, ma sempre in comunità, nella Chiesa, con questa appartenenza che ci dà coraggio per andare avanti. Servire Cristo è amare questa Chiesa concreta, e servirla con generosità e spirito di obbedienza.
2. Qual è la strada per vivere questa duplice centralità? Guardiamo allesperienza di san Paolo, che è anche lesperienza di santIgnazio. LApostolo, nella Seconda Lettura che abbiamo ascoltato, scrive: mi sforzo di correre verso la perfezione di Cristo perché anchio sono stato conquistato da Gesù Cristo (Fil 3,12). Per Paolo è avvenuto sulla via di Damasco, per Ignazio nella sua casa di Loyola, ma il punto fondamentale è comune: lasciarsi conquistare da Cristo. Io cerco Gesù, io servo Gesù perché Lui mi ha cercato prima, perché sono stato conquistato da Lui: e questo è il cuore della nostra esperienza. Ma Lui è primo, sempre. In spagnolo cè una parola che è molto grafica, che lo spiega bene: Lui ci primerea, El nos primerea. E primo sempre. Quando noi arriviamo, Lui è arrivato e ci aspetta. E qui vorrei richiamare la meditazione sul Regno nella Seconda Settimana. Cristo nostro Signore, Re eterno, chiama ciascuno di noi dicendoci: chi vuol venire con me deve lavorare con me, perché seguendomi nella sofferenza, mi segua anche nella gloria (EE, 95): Essere conquistato da Cristo per offrire a questo Re tutta la nostra persona e tutta la nostra fatica (cfr EE, 96); dire al Signore di voler fare tutto per il suo maggior servizio e lode, imitarlo nel sopportare anche ingiurie, disprezzo, povertà (cfr EE, 98). Ma penso al nostro fratello in Siria in questo momento. Lasciarsi conquistare da Cristo significa essere sempre protesi verso ciò che mi sta di fronte, verso la meta di Cristo (cfr Fil 3,14) e chiedersi con verità e sincerità: Che cosa ho fatto per Cristo? Che cosa faccio per Cristo? Che cosa devo fare per Cristo? (cfr EE, 53).
3. E vengo allultimo punto. Nel Vangelo Gesù ci dice: Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà Chi si vergognerà di me (Lc 9, 23). E così via. La vergogna del Gesuita. Linvito che fa Gesù è di non vergognarsi mai di Lui, ma di seguirlo sempre con dedizione totale, fidandosi e affidandosi a Lui. Ma guardando a Gesù, come ci insegna santIgnazio nella Prima Settimana, soprattutto guardando il Cristo crocifisso, noi sentiamo quel sentimento tanto umano e tanto nobile che è la vergogna di non essere allaltezza; guardiamo alla sapienza di Cristo e alla nostra ignoranza, alla sua onnipotenza e alla nostra debolezza, alla sua giustizia e alla nostra iniquità, alla sua bontà e alla nostra cattiveria (cfr EE, 59). Chiedere la grazia della vergogna; vergogna che viene dal continuo colloquio di misericordia con Lui; vergogna che ci fa arrossire davanti a Gesù Cristo; vergogna che ci pone in sintonia col cuore di Cristo che si è fatto peccato per me; vergogna che mette in armonia il nostro cuore nelle lacrime e ci accompagna nella sequela quotidiana del mio Signore. E questo ci porta sempre, come singoli e come Compagnia, allumiltà, a vivere questa grande virtù. Umiltà che ci rende consapevoli ogni giorno che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, ma è sempre la grazia del Signore che agisce in noi; umiltà che ci spinge a mettere tutto noi stessi non a servizio nostro o delle nostre idee, ma a servizio di Cristo e della Chiesa, come vasi dargilla, fragili, inadeguati, insufficienti, ma nei quali cè un tesoro immenso che portiamo e che comunichiamo (2 Cor 4,7). A me è sempre piaciuto pensare al tramonto del gesuita, quando un gesuita finisce la sua vita, quando tramonta. E a me vengono sempre due icone di questo tramonto del gesuita: una classica, quella di san Francesco Saverio, guardando la Cina. Larte lo ha dipinto tante volte questo tramonto, questo finale di Saverio. Anche la letteratura, in quel bel pezzo di Pemán. Alla fine, senza niente, ma davanti al Signore; questo a me fa bene, pensare questo. Laltro tramonto, laltra icona che mi viene come esempio, è quella di Padre Arrupe nellultimo colloquio nel campo dei rifugiati, quando ci aveva detto cosa che lui stesso diceva questo lo dico come se fosse il mio canto del cigno: pregate. La preghiera, lunione con Gesù. E, dopo aver detto questo, ha preso laereo, è arrivato a Roma con lictus, che ha dato inizio a quel tramonto tanto lungo e tanto esemplare. Due tramonti, due icone che a tutti noi farà bene guardare, e tornare a queste due. E chiedere la grazia che il nostro tramonto sia come il loro.
Cari fratelli, rivolgiamoci a Nuestra Señora, Lei che ha portato
Cristo nel suo grembo e ha accompagnato i primi passi della Chiesa, ci aiuti
a mettere sempre al centro della nostra vita e del nostro ministero Cristo
e la sua Chiesa; Lei che è stata la prima e più perfetta discepola
del suo Figlio, ci aiuti a lasciarci conquistare da Cristo per seguirlo
e servirlo in ogni situazione; Lei che ha risposto con la più profonda
umiltà allannuncio dellAngelo: Ecco la serva del
Signore, avvenga per me secondo la tua parola (Lc 1,38), ci faccia
provare la vergogna per la nostra inadeguatezza di fronte al tesoro che
ci è stato affidato, per vivere lumiltà di fronte a
Dio. Accompagni il nostro cammino la paterna intercessione di santIgnazio
e di tutti i Santi Gesuiti, che continuano ad insegnarci a fare tutto, con
umiltà, ad maiorem Dei gloriam.
Anche in questa domenica continua la lettura del decimo capitolo dellevangelista Luca. Il brano di oggi è quello di Marta e Maria. Chi sono queste due donne? Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, sono parenti e fedeli discepole del Signore, che abitavano a Betania. San Luca le descrive in questo modo: Maria, ai piedi di Gesù, «ascoltava la sua parola», mentre Marta era impegnata in molti servizi (cfr Lc 10, 39-40). Entrambe offrono accoglienza al Signore di passaggio, ma lo fanno in modo diverso. Maria si pone ai piedi di Gesù, in ascolto, Marta invece si lascia assorbire dalle cose da preparare, ed è così occupata da rivolgersi a Gesù dicendo: «Signore, non timporta nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (v. 40). E Gesù le risponde rimproverandola con dolcezza: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una sola cè bisogno» (v. 41).
Che cosa vuole dire Gesù? Qual è questa cosa sola di cui abbiamo bisogno? Anzitutto è importante capire che non si tratta della contrapposizione tra due atteggiamenti: lascolto della parola del Signore, la contemplazione, e il servizio concreto al prossimo. Non sono due atteggiamenti contrapposti, ma, al contrario, sono due aspetti entrambi essenziali per la nostra vita cristiana; aspetti che non vanno mai separati, ma vissuti in profonda unità e armonia. Ma allora perché Marta riceve il rimprovero, anche se fatto con dolcezza? Perché ha ritenuto essenziale solo quello che stava facendo, era cioè troppo assorbita e preoccupata dalle cose da fare. In un cristiano, le opere di servizio e di carità non sono mai staccate dalla fonte principale di ogni nostra azione: cioè lascolto della Parola del Signore, lo stare - come Maria - ai piedi di Gesù, nellatteggiamento del discepolo. E per questo Marta viene rimproverata.
Anche nella nostra vita cristiana preghiera e azione siano sempre profondamente unite. Una preghiera che non porta allazione concreta verso il fratello povero, malato, bisognoso di aiuto, il fratello in difficoltà, è una preghiera sterile e incompleta. Ma, allo stesso modo, quando nel servizio ecclesiale si è attenti solo al fare, si dà più peso alle cose, alle funzioni, alle strutture, e ci si dimentica della centralità di Cristo, non si riserva tempo per il dialogo con Lui nella preghiera, si rischia di servire se stessi e non Dio presente nel fratello bisognoso. San Benedetto riassumeva lo stile di vita che indicava ai suoi monaci in due parole: ora et labora, prega e opera. E dalla contemplazione, da un forte rapporto di amicizia con il Signore che nasce in noi la capacità di vivere e di portare lamore di Dio, la sua misericordia, la sua tenerezza verso gli altri. E anche il nostro lavoro con il fratello bisognoso, il nostro lavoro di carità nelle opere di misericordia, ci porta al Signore, perché noi vediamo proprio il Signore nel fratello e nella sorella bisognosi.
Chiediamo alla Vergine Maria, Madre dellascolto e del servizio,
che ci insegni a meditare nel nostro cuore la Parola del suo Figlio, a pregare
con fedeltà, per essere sempre di più attenti concretamente
alle necessità dei fratelli.
Prima di tutto desidero condividere con voi la gioia di aver incontrato, ieri e oggi, un pellegrinaggio speciale dellAnno della fede: quello dei seminaristi, dei novizi e delle novizie. Vi chiedo di pregare per loro, perché lamore per Cristo maturi sempre più nella loro vita e diventino veri missionari del Regno di Dio.
Il Vangelo di questa domenica (Lc 10,1-12.17-20) ci parla proprio di questo: del fatto che Gesù non è un missionario isolato, non vuole compiere da solo la sua missione, ma coinvolge i suoi discepoli. E oggi vediamo che, oltre ai Dodici apostoli, chiama altri settantadue, e li manda nei villaggi, a due a due, ad annunciare che il Regno di Dio è vicino. Questo è molto bello! Gesù non vuole agire da solo, è venuto a portare nel mondo lamore di Dio e vuole diffonderlo con lo stile della comunione, con lo stile della fraternità. Per questo forma subito una comunità di discepoli, che è una comunità missionaria. Subito li allena alla missione, ad andare.
Ma attenzione: lo scopo non è socializzare, passare il tempo insieme, no, lo scopo è annunciare il Regno di Dio, e questo è urgente!, e anche oggi è urgente! Non cè tempo da perdere in chiacchiere, non bisogna aspettare il consenso di tutti, bisogna andare e annunciare. A tutti si porta la pace di Cristo, e se non la accolgono, si va avanti uguale. Ai malati si porta la guarigione, perché Dio vuole guarire luomo da ogni male. Quanti missionari fanno questo! Seminano vita, salute, conforto alle periferie del mondo. Che bello è questo! Non vivere per se stesso, non vivere per se stessa, ma vive per andare a fare il bene! Ci sono tanti giovani oggi in Piazza : pensate a questo, domandatevi: Gesù mi chiama a andare, a uscire da me per fare il bene? A voi, giovani, a voi ragazzi e ragazze vi domando: voi, siete coraggiosi per questo, avete il coraggio di sentir e la voce di Gesù? E bello essere missionari!... Ah, siete bravi! Mi piace questo!
Questi settantadue discepoli, che Gesù manda davanti a sé, chi sono? Chi rappresentano? Se i Dodici sono gli Apostoli, e quindi rappresentano anche i Vescovi, loro successori, questi settantadue possono rappresentare gli altri ministri ordinati, presbiteri e diaconi; ma in senso più largo possiamo pensare agli altri ministeri nella Chiesa, ai catechisti, ai fedeli laici che si impegnano nelle missioni parrocchiali, a chi lavora con gli ammalati, con le diverse forme di disagio e di emarginazione; ma sempre come missionari del Vangelo, con lurgenza del Regno che è vicino. Tutti devono essere missionari, tutti possono sentire quella chiamata di Gesù e andare avanti e annunciare il Regno!
Dice il Vangelo che quei settantadue tornarono dalla loro missione pieni di gioia, perché avevano sperimentato la potenza del Nome di Cristo contro il male. Gesù lo conferma: a questi discepoli Lui dà la forza di sconfiggere il maligno. Ma aggiunge: «Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20). Non dobbiamo vantarci come se fossimo noi i protagonisti: protagonista è uno solo, è il Signore! Protagonista è la grazia del Signore! Lui è lunico protagonista! E la nostra gioia è solo questa: essere suoi discepoli, suoi amici. Ci aiuti la Madonna ed essere buoni operai del Vangelo.
Cari amici, la gioia! Non abbiate paura di essere gioiosi! Non abbiate
paura della gioia! Quella gioia che ci dà il Signore quando lo lasciamo
entrare nella nostra vita, lasciamo che Lui entri nella nostra vita e ci
inviti ad andare fuori noi alle periferie della vita e annunciare il Vangelo.
Non abbiate paura della gioia. Gioia e coraggio!
Il Vangelo di questa domenica (Lc 9,51-62) mostra un passaggio molto importante nella vita di Cristo: il momento in cui come scrive san Luca «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (9,51). Gerusalemme è la meta finale, dove Gesù, nella sua ultima Pasqua, deve morire e risorgere, e così portare a compimento la sua missione di salvezza.
Da quel momento, dopo quella ferma decisione, Gesù punta dritto al traguardo, e anche alle persone che incontra e che gli chiedono di seguirlo, dice chiaramente quali sono le condizioni: non avere una dimora stabile; sapersi distaccare dagli affetti umani; non cedere alla nostalgia del passato.
Ma Gesù dice anche ai suoi discepoli, incaricati di precederlo sulla via verso Gerusalemme per annunciare il suo passaggio, di non imporre nulla: se non troveranno disponibilità ad accoglierlo, si proceda oltre, si vada avanti. Gesù non impone mai, Gesù è umile, Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. Lumiltà di Gesù è così: Lui invita sempre, non impone.
Tutto questo ci fa pensare. Ci dice, ad esempio, limportanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: lascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla. Gesù, nella sua esistenza terrena, non era, per così dire, telecomandato: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo, e a un certo punto ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per lultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui! Ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volontà. E per questo la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre. E nel Padre Gesù trovava la forza e la luce per il suo cammino. E Gesù era libero, in quella decisione era libero. Gesù vuole noi cristiani liberi come Lui, con quella libertà che viene da questo dialogo con il Padre, da questo dialogo con Dio. Gesù non vuole né cristiani egoisti, che seguono il proprio io, non parlano con Dio; né cristiani deboli, cristiani, che non hanno volontà, cristiani «telecomandati», incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi con la volontà di un altro e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza. Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza, non è libero, non è libero.
Per questo dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza. Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace... Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dellascolto della verità, del bene, dellascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele.
Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso. Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire.
La Madonna, con grande semplicità, ascoltava e meditava nellintimo
di se stessa la Parola di Dio e ciò che accadeva a Gesù. Seguì
il suo Figlio con intima convinzione, con ferma speranza. Ci aiuti Maria
a diventare sempre più uomini e donne di coscienza, liberi nella
coscienza, perché è nella coscienza che si dà dialogo
con Dio; uomini e donne, capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla
con decisione capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione.
Questa celebrazione ha un nome molto bello: il Vangelo della Vita. Con questa
Eucaristia, nellAnno della fede, vogliamo ringraziare il Signore per
il dono della vita, in tutte le sue manifestazioni; e nello stesso tempo
vogliamo annunciare il Vangelo della Vita.
Partendo dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato vorrei proporvi tre semplici spunti di meditazione per la nostra fede: anzitutto, la Bibbia ci rivela il Dio Vivente, il Dio che è Vita e fonte della vita; in secondo luogo, Gesù Cristo dona la vita, e lo Spirito Santo ci mantiene nella vita; terzo, seguire la via di Dio conduce alla vita, mentre seguire gli idoli conduce alla morte.
1. La prima Lettura, tratta dal Secondo Libro di Samuele, ci parla di vita e di morte. Il re Davide vuole nascondere ladulterio commesso con la moglie di Uria lHittita, un soldato del suo esercito, e per fare questo ordina di collocare Uria in prima linea perché sia ucciso in battaglia. La Bibbia ci mostra il dramma umano in tutta la sua realtà, il bene e il male, le passioni, il peccato e le sue conseguenze. Quando luomo vuole affermare se stesso, chiudendosi nel proprio egoismo e mettendosi al posto di Dio, finisce per seminare morte. Ladulterio del re Davide ne è un esempio. E legoismo porta alla menzogna, con cui si cerca di ingannare se stessi e il prossimo. Ma Dio non si può ingannare, e abbiamo ascoltato come il profeta dice a Davide: tu hai fatto ciò che è male agli occhi di Dio (cfr 2Sam 12,9). Il re viene messo di fronte alle sue opere di morte - davvero quello che ha fatto è un'opera di morte, non di vita! -, comprende e chiede perdono: «Ho peccato contro il Signore!» (v. 13), e il Dio misericordioso che vuole la vita e sempre ci perdona, lo perdona, gli ridona vita; il profeta gli dice: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai». Che immagine abbiamo di Dio? Forse ci appare come un giudice severo, come qualcuno che limita la nostra libertà di vivere. Ma tutta la Scrittura ci ricorda che Dio è il Vivente, colui che dona la vita e che indica la via della vita piena. Penso allinizio del Libro della Genesi: Dio plasma luomo con polvere del suolo, soffia nelle sue narici un alito di vita e luomo diviene un essere vivente (cfr 2,7). Dio è la fonte della vita; è grazie al suo soffio che luomo ha vita ed è il suo soffio che sostiene il cammino della sua esistenza terrena. Penso anche alla vocazione di Mosè, quando il Signore si presenta come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, come il Dio dei viventi; e inviando Mosè al faraone per liberare il suo popolo rivela il suo nome: Io sono colui che sono, il Dio che si rende presente nella storia, che libera dalla schiavitù, dalla morte, e porta vita al popolo perché è il Vivente. Penso anche al dono dei Dieci Comandamenti: una strada che Dio ci indica per un vita veramente libera, per una vita piena; non sono un inno al no - non devi fare questo, non devi fare questo, non devi fare questo... No! Sono un inno al sì a Dio, allAmore, alla vita. Cari amici, la nostra vita è piena solo in Dio, perché solo Lui è il Vivente!
2. Il brano del Vangelo di oggi ci fa fare un passo avanti. Gesù incontra una donna peccatrice durante un pranzo in casa di un fariseo, suscitando lo scandalo dei presenti: Gesù si lascia avvicinare da una peccatrice e addirittura le rimette i peccati, dicendo: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (Lc 7,47). Gesù è lincarnazione del Dio Vivente, Colui che porta la vita, di fronte a tante opere di morte, di fronte al peccato, allegoismo, alla chiusura in se stessi. Gesù accoglie, ama, solleva, incoraggia, perdona e dona nuovamente la forza di camminare, ridona vita. In tutto il Vangelo noi vediamo come Gesù con i gesti e le parole porta la vita di Dio che trasforma. E lesperienza della donna che unge con profumo i piedi del Signore: si sente compresa, amata, e risponde con un gesto di amore, si lascia toccare dalla misericordia di Dio e ottiene il perdono, inizia una nuova vita. Dio, il Vivente, è misericordioso. Siete daccordo? Diciamolo insieme: Dio, il Vivente, è misericordioso! Tutti: Dio, il Vivente, è misericordioso. Unaltra volta: Dio, il Vivente, è misericordioso!
E stata questa anche lesperienza dellapostolo Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura: «Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Qual è questa vita? E la vita stessa di Dio. E chi ci introduce in questa vita? E lo Spirito Santo, dono del Cristo Risorto. E Lui che ci introduce nella vita divina come veri figli di Dio, come figli nel Figlio Unigenito, Gesù Cristo. Siamo aperti noi allo Spirito Santo? Ci lasciamo guidare da Lui? Il cristiano è un uomo spirituale, e questo non significa che sia una persona che vive nelle nuvole, fuori della realtà, come se fosse un fantasma. No! Il cristiano è una persona che pensa e agisce nella vita quotidiana secondo Dio, una persona che lascia che la sua vita sia animata, nutrita dallo Spirito Santo perché sia piena, da veri figli. E questo significa realismo e fecondità. Chi si lascia condurre dallo Spirito Santo è realista, sa misurare e valutare la realtà, ed è anche fecondo: la sua vita genera vita attorno a sé.
3. Dio è il Vivente, è il Misericordioso. Gesù ci porta la vita di Dio, lo Spirito Santo ci introduce e ci mantiene nella relazione vitale di veri figli di Dio. Ma spesso - lo sappiamo per esperienza - luomo non sceglie la vita, non accoglie il Vangelo della vita, ma si lascia guidare da ideologie e logiche che mettono ostacoli alla vita, che non la rispettano, perché sono dettate dallegoismo, dallinteresse, dal profitto, dal potere, dal piacere e non sono dettate dallamore, dalla ricerca del bene dellaltro. E la costante illusione di voler costruire la città delluomo senza Dio, senza la vita e lamore di Dio - una nuova Torre di Babele; è il pensare che il rifiuto di Dio, del Messaggio di Cristo, del Vangelo della Vita, porti alla libertà, alla piena realizzazione delluomo. Il risultato è che al Dio Vivente vengono sostituiti idoli umani e passeggeri, che offrono lebbrezza di un momento di libertà, ma che alla fine sono portatori di nuove schiavitù e di morte. La saggezza del Salmista dice: «I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi» (Sal 19,9). Ricordiamolo sempre: il Signore è il Vivente, è misericordioso. Il Signore è il Vivente, è misericordioso.
Cari fratelli e sorelle, guardiamo a Dio come al Dio della vita, guardiamo
alla sua legge, al messaggio del Vangelo come a una via di libertà
e di vita. Il Dio Vivente ci fa liberi! Diciamo sì allamore
e no allegoismo, diciamo sì alla vita e no alla morte, diciamo
sì alla libertà e no alla schiavitù dei tanti idoli
del nostro tempo; in una parola diciamo sì a Dio, che è amore,
vita e libertà, e mai delude (cfr 1Gv 4,8; Gv 11,25; Gv 8,32), a
Dio che il Vivente e il Misericordioso. Solo la fede nel Dio Vivente ci
salva; nel Dio che in Gesù Cristo ci ha donato la sua vita con il
dono dello Spirito Santo e fa vivere da veri figli di Dio con la sua misericordia.
Questa fede ci rende liberi e felici. Chiediamo a Maria, Madre della Vita,
che ci aiuti ad accogliere e testimoniare sempre il Vangelo della
Vita. Così sia.
Oggi vorrei soffermarmi brevemente su un altro dei termini con cui il Concilio Vaticano II ha definito la Chiesa, quello di Popolo di Dio (cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 9; Catechismo della Chiesa Cattolica, 782). E lo faccio con alcune domande, sulle quali ognuno potrà riflettere.
1. Che cosa vuol dire essere Popolo di Dio? Anzitutto vuol dire che Dio non appartiene in modo proprio ad alcun popolo; perché è Lui che ci chiama, ci convoca, ci invita a fare parte del suo popolo, e questo invito è rivolto a tutti, senza distinzione, perché la misericordia di Dio «vuole la salvezza per tutti» (1Tm 2,4). Gesù non dice agli Apostoli e a noi di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di elite. Gesù dice: andate e fate discepoli tutti i popoli (cfr Mt 28,19). San Paolo afferma che nel popolo di Dio, nella Chiesa, «non cè più giudeo né greco poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Vorrei dire anche a chi si sente lontano da Dio e dalla Chiesa, a chi è timoroso o indifferente, a chi pensa di non poter più cambiare: il Signore chiama anche te a far parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore! Lui ci invita a far parte di questo popolo, popolo di Dio.
2. Come si diventa membri di questo popolo? Non è attraverso la nascita fisica, ma attraverso una nuova nascita. Nel Vangelo, Gesù dice a Nicodemo che bisogna nascere dallalto, dallacqua e dallo Spirito per entrare nel Regno di Dio (cfr Gv 3,3-5). E attraverso il Battesimo che noi siamo introdotti in questo popolo, attraverso la fede in Cristo, dono di Dio che deve essere alimentato e fatto crescere in tutta la nostra vita. Chiediamoci: come faccio crescere la fede che ho ricevuto nel mio Battesimo? Come faccio crescere questa fede che io ho ricevuto e che il popolo di Dio possiede?
3. Laltra domanda. Qual è la legge del Popolo di Dio? E la legge dellamore, amore a Dio e amore al prossimo secondo il comandamento nuovo che ci ha lasciato il Signore (cfr Gv 13,34). Un amore, però, che non è sterile sentimentalismo o qualcosa di vago, ma che è il riconoscere Dio come unico Signore della vita e, allo stesso tempo, laccogliere laltro come vero fratello, superando divisioni, rivalità, incomprensioni, egoismi; le due cose vanno insieme. Quanto cammino dobbiamo ancora fare per vivere in concreto questa nuova legge, quella dello Spirito Santo che agisce in noi, quella della carità, dellamore! Quando noi guardiamo sui giornali o alla televisione tante guerre fra cristiani, ma come può capitare questo? Dentro il popolo di Dio, quante guerre! Nei quartieri, nei posti di lavoro, quante guerre per invidia, gelosie! Anche nella stessa famiglia, quante guerre interne! Noi dobbiamo chiedere al Signore che ci faccia capire bene questa legge dell'amore. Quanto è bello amarci gli uni con gli altri come fratelli veri. Quanto è bello! Facciamo una cosa oggi. Forse tutti abbiamo simpatie e non simpatie; forse tanti di noi sono un po' arrabbiati con qualcuno; allora diciamo al Signore: Signore io sono arrabbiato con questo o con questa; io ti prego per lui e per lei. Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell'amore. Lo facciamo? Facciamolo oggi!
4. Che missione ha questo popolo? Quella di portare nel mondo la speranza e la salvezza di Dio: essere segno dellamore di Dio che chiama tutti allamicizia con Lui; essere lievito che fa fermentare tutta la pasta, sale che dà il sapore e che preserva dalla corruzione, essere una luce che illumina. Attorno a noi, basta aprire un giornale, - l'ho detto - vediamo che la presenza del male cè, il Diavolo agisce. Ma vorrei dire a voce alta: Dio è più forte! Voi credete questo: che Dio è più forte? Ma lo diciamo insieme, lo diciamo insieme tutti: Dio è più forte! E sapete perché è più forte? Perché Lui è il Signore, l'unico Signore. E vorrei aggiungere che la realtà a volte buia, segnata dal male, può cambiare, se noi per primi vi portiamo la luce del Vangelo soprattutto con la nostra vita. Se in uno stadio, pensiamo qui a Roma allOlimpico, o a quello di San Lorenzo a Buenos Aires, in una notte buia, una persona accende una luce, si intravvede appena, ma se gli oltre settantamila spettatori accendono ciascuno la propria luce, lo stadio si illumina. Facciamo che la nostra vita sia una luce di Cristo; insieme porteremo la luce del Vangelo allintera realtà.
5. Qual è il fine di questo popolo? Il fine è il Regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio stesso e che deve essere ampliato fino al compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr Lumen gentium, 9). Il fine allora è la comunione piena con il Signore, la familiarità con il Signore, entrare nella sua stessa vita divina, dove vivremo la gioia del suo amore senza misura, una gioia piena.
Cari fratelli e sorelle, essere Chiesa, essere Popolo di Dio, secondo
il grande disegno di amore del Padre, vuol dire essere il fermento di Dio
in questa nostra umanità, vuol dire annunciare e portare la salvezza
di Dio in questo nostro mondo, che spesso è smarrito, bisognoso di
avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore
nel cammino. La Chiesa sia luogo della misericordia e della speranza di
Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato, incoraggiato
a vivere secondo la vita buona del Vangelo. E per far sentire laltro
accolto, amato, perdonato, incoraggiato la Chiesa deve essere con le porte
aperte, perché tutti possano entrare. E noi dobbiamo uscire da quelle
porte e annunciare il Vangelo.
Il mese di giugno è tradizionalmente dedicato al Sacro Cuore di Gesù, massima espressione umana dellamore divino. Proprio venerdì scorso, infatti, abbiamo celebrato la solennità del Cuore di Cristo, e questa festa dà lintonazione a tutto il mese. La pietà popolare valorizza molto i simboli, e il Cuore di Gesù è il simbolo per eccellenza della misericordia di Dio; ma non è un simbolo immaginario, è un simbolo reale, che rappresenta il centro, la fonte da cui è sgorgata la salvezza per lumanità intera.
Nei Vangeli troviamo diversi riferimenti al Cuore di Gesù, ad esempio nel passo in cui Cristo stesso dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29). Fondamentale poi è il racconto della morte di Cristo secondo Giovanni. Questo evangelista infatti testimonia ciò che ha veduto sul Calvario, cioè che un soldato, quando Gesù era già morto, gli colpì il fianco con la lancia e da quella ferita uscirono sangue ed acqua (cfr Gv 19,33-34). Giovanni riconobbe in quel segno, apparentemente casuale, il compimento delle profezie: dal cuore di Gesù, Agnello immolato sulla croce, scaturisce per tutti gli uomini il perdono e la vita.
Ma la misericordia di Gesù non è solo un sentimento, è una forza che dà vita, che risuscita luomo! Ce lo dice anche il Vangelo di oggi, nellepisodio della vedova di Nain (Lc 7,11-17). Gesù, con i suoi discepoli, sta arrivando appunto a Nain, un villaggio della Galilea, proprio nel momento in cui si svolge un funerale: si porta alla sepoltura un ragazzo, figlio unico di una donna vedova. Lo sguardo di Gesù si fissa subito sulla madre in pianto. Dice levangelista Luca: «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei» (v. 13). Questa «compassione» è lamore di Dio per luomo, è la misericordia, cioè latteggiamento di Dio a contatto con la miseria umana, con la nostra indigenza, la nostra sofferenza, la nostra angoscia. Il termine biblico «compassione» richiama le viscere materne: la madre, infatti, prova una reazione tutta sua di fronte al dolore dei figli. Così ci ama Dio, dice la Scrittura.
E qual è il frutto di questo amore, di questa misericordia? E la vita! Gesù disse alla vedova di Nain: «Non piangere!», e poi chiamò il ragazzo morto e lo risvegliò come da un sonno (cfr vv. 13-15). Pensiamo questo, è bello: la misericordia di Dio dà vita alluomo, lo risuscita dalla morte. Il Signore ci guarda sempre con misericordia; non dimentichiamolo, ci guarda sempre con misericordia, ci attende con misericordia. Non abbiamo timore di avvicinarci a Lui! Ha un cuore misericordioso! Se gli mostriamo le nostre ferite interiori, i nostri peccati, Egli sempre ci perdona. E pura misericordia! Andiamo da Gesù!
Rivolgiamoci alla Vergine Maria: il suo cuore immacolato, cuore di madre,
ha condiviso al massimo la «compassione» di Dio, specialmente
nellora della passione e della morte di Gesù. Ci aiuti Maria
ad essere miti, umili e misericordiosi con i nostri fratelli.
Sono contento di unirmi a voi che partecipate, nelle principali Piazze d'Italia,
a questa rilettura dei Dieci Comandamenti. Un progetto denominato Quando
l'Amore dà senso alla Tua vita..., sull'arte di vivere attraverso
i Dieci Comandamenti dati da Dio non solo a Mosè, ma anche a noi,
agli uomini e alle donne di ogni tempo. Grazie ai responsabili del Rinnovamento
nello Spirito Santo - sono bravi questi del Rinnovamento nello Spirito Santo,
complimenti! - che hanno organizzato questa lodevole iniziativa in collaborazione
con il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione
e con la Conferenza Episcopale Italiana. Grazie a tutti coloro che con generosità
contribuiscono alla realizzazione di questo speciale progetto nell'Anno
della fede. Chiediamoci allora: Che senso hanno per noi queste Dieci Parole?
Che cosa dicono al nostro tempo agitato e confuso che sembra voler fare
a meno di Dio?
1. I Dieci Comandamenti sono un dono di Dio. La parola comandamento non è di moda; alluomo doggi richiama qualcosa di negativo, la volontà di qualcuno che impone limiti, che mette ostacoli alla vita. E purtroppo la storia, anche recente, è segnata da tirannie, da ideologie, da logiche che hanno imposto e oppresso, che non hanno cercato il bene delluomo, bensì il potere, il successo, il profitto. Ma i Dieci Comandamenti vengono da un Dio che ci ha creati per amore, da un Dio che ha stretto unalleanza con lumanità, un Dio che vuole solo il bene delluomo. Diamo fiducia a Dio! Fidiamoci di Lui! I Dieci Comandamenti ci indicano una strada da percorrere, e costituiscono anche una sorta di codice etico per la costruzione di società giuste, a misura delluomo. Quante diseguaglianze nel mondo! Quanta fame di cibo e di verità! Quante povertà morali e materiali derivano dal rifiuto di Dio e dal mettere al suo posto tanti idoli! Lasciamoci guidare da queste Dieci Parole che illuminano e orientano chi cerca pace, giustizia e dignità.
2. I Dieci Comandamenti indicano una strada di libertà, che trova pienezza nella legge dello Spirito scritta non su tavole di pietra, ma nel cuore (cfr 2Cor 3,3): sono scritti qui i Dieci Comandamenti! E fondamentale ricordare quando Dio dà al popolo di Israele, per mezzo di Mosè, i Dieci Comandamenti. Al Mar Rosso il popolo aveva sperimentato la grande liberazione; aveva toccato con mano la potenza e la fedeltà di Dio, del Dio che rende liberi. Ora Dio stesso, sul Monte Sinai, indica al suo popolo e a tutti noi il percorso per rimanere liberi, un percorso che è inciso nel cuore delluomo, come una Legge morale universale (cfr Es 20,1-17; Dt 5,1-22). Non dobbiamo vedere i Dieci Comandamenti come limitazioni alla libertà, no, non è questo, ma dobbiamo vederli come indicazioni per la libertà. Non sono limitazioni, ma indicazioni per la libertà! Essi ci insegnano ad evitare la schiavitù a cui ci riducono i tanti idoli che noi stessi ci costruiamo - labbiamo sperimentato tante volte nella storia e lo sperimentiamo anche oggi -; essi ci insegnano ad aprirci ad una dimensione più ampia di quella materiale, a vivere il rispetto per le persone, vincendo lavidità di potere, di possesso, di denaro, ad essere onesti e sinceri nei nostri rapporti, a custodire lintera creazione e a nutrire il nostro pianeta di ideali alti, nobili, spirituali. Seguire i Dieci Comandamenti significa essere fedeli a noi stessi, alla nostra natura più autentica e camminare verso la libertà autentica che Cristo ha insegnato nelle Beatitudini (cfr Mt 5,3-12.17; Lc 6,20-23).
3. I Dieci Comandamenti sono una legge di amore. Mosè è salito sul monte per ricevere da Dio le tavole della Legge. Gesù compie il percorso opposto: il Figlio di Dio si abbassa, scende nella nostra umanità per indicarci il senso profondo di queste Dieci Parole: Ama il Signore con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e il prossimo come te stesso (cfr Lc 10,27). Questo è il senso più profondo dei Dieci Comandamenti: il comandamento di Gesù che porta in se tutti i comandamenti, il Comandamento dellAmore. Per questo io dico che i Dieci Comandamenti sono Comandamenti dAmore. Qui sta il cuore dei Dieci Comandamenti: lAmore che viene da Dio e che dà senso alla vita, amore che ci fa vivere non da schiavi, ma da veri figli, amore che anima tutte le relazioni: con Dio, con noi stessi - spesso lo dimentichiamo - e con gli altri. La vera libertà non è seguire il nostro egoismo, le nostre cieche passioni, ma è quella di amare, di scegliere ciò che è bene in ogni situazione. I Dieci Comandamenti non sono un inno al no, sono sul sì. Un sì a Dio, il sì allAmore, e poiché io dico di sì allAmore, dico no al non Amore, ma il no è una conseguenza di quel sì che viene da Dio e ci fa amare.
Riscopriamo e viviamo le Dieci Parole di Dio! Diciamo sì
a queste dieci vie d'amore perfezionate da Cristo, per difendere
luomo e guidarlo alla vera libertà! La Vergine Maria ci accompagni
in questo cammino. Di cuore imparto la mia Benedizione su di voi, sui vostri
cari, sulle vostre città. Grazie a tutti!
Oggi vorrei soffermarmi sulla questione dellambiente, come ho avuto già modo di fare in diverse occasioni. Me lo suggerisce anche lodierna Giornata Mondiale dellAmbiente, promossa dalle Nazioni Unite, che lancia un forte richiamo alla necessità di eliminare gli sprechi e la distruzione di alimenti.
Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose luomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo coltivare mi richiama alla mente la cura che lagricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è unindicazione di Dio data non solo allinizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la custodiamo, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo latteggiamento dello stupore, della contemplazione, dellascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVI chiama il ritmo della storia di amore di Dio con luomo. Perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni.
Ma il coltivare e custodire non comprende solo il rapporto tra noi e lambiente, tra luomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata allecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nellambiente, ma soprattutto lo vediamo nelluomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco lurgenza dellecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di uneconomia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l'uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano. E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la cultura dello scarto. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale. Non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia. Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti.
Questa cultura dello scarto tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora come il nascituro , o non serve più come lanziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi.
Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e
custodire il creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la
cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà
e dellincontro. Grazie.
Vorrei meditare con voi questo mistero che mostra come Maria affronta
il cammino della sua vita, con grande realismo, umanità, concretezza.
Tre parole sintetizzano latteggiamento di Maria: ascolto, decisone,
azione; ascolto, decisone, azione. Parole che indicano una strada anche
per noi di fronte a ciò che ci chiede il Signore nella vita. Ascolto,
decisione, azione.
1. Ascolto. Da dove nasce il gesto di Maria di andare dalla parente Elisabetta?
Da una parola dellAngelo di Dio: «Elisabetta tua parente, nella
sua vecchiaia ha concepito anchessa un figlio
» (Lc 1,36).
Maria sa ascoltare Dio. Attenzione: non è un semplice udire,
un udire superficiale, ma è lascolto fatto di attenzione,
di accoglienza, di disponibilità verso Dio. Non è il modo
distratto con cui a volte noi ci mettiamo di fronte al Signore o agli altri:
udiamo le parole, ma non ascoltiamo veramente. Maria è attenta a
Dio, ascolta Dio.
Ma Maria ascolta anche i fatti, legge cioè gli eventi della sua vita,
è attenta alla realtà concreta e non si ferma alla superficie,
ma va nel profondo, per coglierne il significato. La parente Elisabetta,
che è già anziana, aspetta un figlio: questo è il fatto.
Ma Maria è attenta al significato, lo sa cogliere: «Nulla è
impossibile a Dio» (Lc 1,37).
Questo vale anche nella nostra vita: ascolto di Dio che ci parla, e ascolto
anche della realtà quotidiana, attenzione alle persone, ai fatti
perché il Signore è alla porta della nostra vita e bussa in
molti modi, pone segni nel nostro cammino; a noi dà la capacità
di vederli. Maria è la madre dellascolto, ascolto attento di
Dio e ascolto altrettanto attento degli avvenimenti della vita.
2. La seconda parola: decisione. Maria non vive di fretta,
con affanno, ma, come sottolinea san Luca, «meditava tutte queste
cose nel suo cuore» (cfr Lc 2,19.51). E anche nel momento decisivo
dellAnnunciazione dellAngelo, Ella chiede: «Come avverrà
questo?» (Lc 1,34). Ma non si ferma neppure al momento della riflessione;
fa un passo avanti: decide. Non vive di fretta, ma solo quando è
necessario va in fretta. Maria non si lascia trascinare dagli
eventi, non evita la fatica della decisione. E questo avviene sia nella
scelta fondamentale che cambierà la sua vita: «Eccomi sono
la serva del Signore
» (cfr Lc 1,38), sia nelle scelte più
quotidiane, ma ricche anchesse di significato. Mi viene in mente lepisodio
delle nozze di Cana (cfr Gv 2,1-11): anche qui si vede il realismo, lumanità,
la concretezza di Maria, che è attenta ai fatti, ai problemi; vede
e comprende la difficoltà di quei due giovani sposi ai quali viene
a mancare il vino della festa, riflette e sa che Gesù può
fare qualcosa, e decide di rivolgersi al Figlio perché intervenga:
«Non hanno più vino» (cfr v. 3). Decide.
Nella vita è difficile prendere decisioni, spesso tendiamo a rimandarle,
a lasciare che altri decidano al nostro posto, spesso preferiamo lasciarci
trascinare dagli eventi, seguire la moda del momento; a volte sappiamo quello
che dobbiamo fare, ma non ne abbiamo il coraggio o ci pare troppo difficile
perché vuol dire andare controcorrente. Maria nellAnnunciazione,
nella Visitazione, alle nozze di Cana va controcorrente, Maria va controcorrente;
si pone in ascolto di Dio, riflette e cerca di comprendere la realtà,
e decide di affidarsi totalmente a Dio, decide di visitare, pur essendo
incinta, lanziana parente, decide di affidarsi al Figlio con insistenza
per salvare la gioia delle nozze.
3. La terza parola: azione. Maria si mise in viaggio e «andò
in fretta
» (cfr Lc 1,39). Domenica scorsa sottolineavo questo
modo di fare di Maria: nonostante le difficoltà, le critiche che
avrà ricevuto per la sua decisione di partire, non si ferma davanti
a niente. E qui parte in fretta. Nella preghiera, davanti a
Dio che parla, nel riflettere e meditare sui fatti della sua vita, Maria
non ha fretta, non si lascia prendere dal momento, non si lascia trascinare
dagli eventi. Ma quando ha chiaro che cosa Dio le chiede, ciò che
deve fare, non indugia, non ritarda, ma va in fretta. SantAmbrogio
commenta: la grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze
(Expos. Evang. sec. Lucam, II, 19: PL 15,1560). Lagire di Maria è
una conseguenza della sua obbedienza alle parole dellAngelo, ma unita
alla carità: va da Elisabetta per rendersi utile; e in questo uscire
dalla sua casa, da se stessa, per amore, porta quanto ha di più prezioso:
Gesù; porta il Figlio.
A volte, anche noi ci fermiamo allascolto, alla riflessione su ciò
che dovremmo fare, forse abbiamo anche chiara la decisione che dobbiamo
prendere, ma non facciamo il passaggio allazione. E soprattutto non
mettiamo in gioco noi stessi muovendoci in fretta verso gli
altri per portare loro il nostro aiuto, la nostra comprensione, la nostra
carità; per portare anche noi, come Maria, ciò che abbiamo
di più prezioso e che abbiamo ricevuto, Gesù e il suo Vangelo,
con la parola e soprattutto con la testimonianza concreta del nostro agire.
Maria, la donna dellascolto, della decisione, dellazione.
Maria, donna dellascolto, rendi aperti i nostri orecchi; fa
che sappiamo ascoltare la Parola del tuo Figlio Gesù tra le mille
parole di questo mondo; fa che sappiamo ascoltare la realtà
in cui viviamo, ogni persona che incontriamo, specialmente quella che è
povera, bisognosa, in difficoltà.
Maria, donna della decisione, illumina la nostra mente e il nostro cuore,
perché sappiamo obbedire alla Parola del tuo Figlio Gesù,
senza tentennamenti; donaci il coraggio della decisione, di non lasciarci
trascinare perché altri orientino la nostra vita.
Maria, donna dellazione, fa che le nostre mani e i nostri piedi
si muovano in fretta verso gli altri, per portare la carità
e lamore del tuo Figlio Gesù, per portare, come te, nel mondo
la luce del Vangelo. Amen.
In questi mesi, più di una volta ho fatto riferimento alla parabola del figlio prodigo, o meglio del padre misericordioso (cfr Lc 15,11-32). Il figlio minore lascia la casa del padre, sperpera tutto e decide di tornare perché si rende conto di avere sbagliato, ma non si ritiene più degno di essere figlio e pensa di poter essere riaccolto come servo. Il padre invece gli corre incontro, lo abbraccia, gli restituisce la dignità di figlio e fa festa. Questa parabola, come altre nel Vangelo, indica bene il disegno di Dio sullumanità.
Qual è questo progetto di Dio? E fare di tutti noi ununica famiglia dei suoi figli, in cui ciascuno lo senta vicino e si senta amato da Lui, come nella parabola evangelica, senta il calore di essere famiglia di Dio. In questo grande disegno trova la sua radice la Chiesa, che non è unorganizzazione nata da un accordo di alcune persone, ma - come ci ha ricordato tante volte il Papa Benedetto XVI - è opera di Dio, nasce proprio da questo disegno di amore che si realizza progressivamente nella storia. La Chiesa nasce dal desiderio di Dio di chiamare tutti gli uomini alla comunione con Lui, alla sua amicizia, anzi a partecipare come suoi figli della sua stessa vita divina. La stessa parola Chiesa, dal greco ekklesia, significa convocazione: Dio ci convoca, ci spinge ad uscire dallindividualismo, dalla tendenza a chiudersi in se stessi e ci chiama a far parte della sua famiglia. E questa chiamata ha la sua origine nella stessa creazione. Dio ci ha creati perché viviamo in una relazione di profonda amicizia con Lui, e anche quando il peccato ha rotto questa relazione con Lui, con gli altri e con il creato, Dio non ci ha abbandonati. Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca luomo, gli offre il suo amore, lo accoglie. Ha chiamato Abramo ad essere padre di una moltitudine, ha scelto il popolo di Israele per stringere unalleanza che abbracci tutte le genti, e ha inviato, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio perché il suo disegno di amore e di salvezza si realizzi in una nuova ed eterna alleanza con lumanità intera. Quando leggiamo i Vangeli, vediamo che Gesù raduna intorno a sé una piccola comunità che accoglie la sua parola, lo segue, condivide il suo cammino, diventa la sua famiglia, e con questa comunità Egli prepara e costruisce la sua Chiesa.
Da dove nasce allora la Chiesa? Nasce dal gesto supremo di amore della Croce, dal costato aperto di Gesù da cui escono sangue ed acqua, simbolo dei Sacramenti dellEucaristia e del Battesimo. Nella famiglia di Dio, nella Chiesa, la linfa vitale è lamore di Dio che si concretizza nellamare Lui e gli altri, tutti, senza distinzioni e misura. La Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati.
Quando si manifesta la Chiesa? Labbiamo celebrato due domeniche fa; si manifesta quando il dono dello Spirito Santo riempie il cuore degli Apostoli e li spinge ad uscire e iniziare il cammino per annunciare il Vangelo, diffondere lamore di Dio.
Ancora oggi qualcuno dice: Cristo sì, la Chiesa no. Come quelli che dicono io credo in Dio ma non nei preti. Ma è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio; la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio. Certo ha anche aspetti umani; in coloro che la compongono, Pastori e fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati, anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia. Alcuni dicono che il peccato è unoffesa a Dio, ma anche unopportunità di umiliazione per accorgersi che cè unaltra cosa più bella: la misericordia di Dio. Pensiamo a questo.
Domandiamoci oggi: quanto amo io la Chiesa? Prego per lei? Mi sento parte della famiglia della Chiesa? Che cosa faccio perché sia una comunità in cui ognuno si senta accolto e compreso, senta la misericordia e lamore di Dio che rinnova la vita? La fede è un dono e un atto che ci riguarda personalmente, ma Dio ci chiama a vivere insieme la nostra fede, come famiglia, come Chiesa.
Chiediamo al Signore, in modo del tutto particolare in questAnno
della fede, che le nostre comunità, tutta la Chiesa, siano sempre
più vere famiglie che vivono e portano il calore di Dio.
Vorrei riflettere su tre parole legate allazione dello Spirito: novità, armonia, missione.
1. La novità ci fa sempre un po di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. E questo avviene anche con Dio. Spesso lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino ad un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo lanima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti. Ma, in tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela porta novità - Dio porta sempre novità -, trasforma e chiede di fidarsi totalmente di Lui: Noè costruisce unarca deriso da tutti e si salva; Abramo lascia la sua terra con in mano solo una promessa; Mosè affronta la potenza del faraone e guida il popolo verso la libertà; gli Apostoli, timorosi e chiusi nel cenacolo, escono con coraggio per annunciare il Vangelo. Non è la novità per la novità, la ricerca del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tempo. La novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene. Domandiamoci oggi: siamo aperti alle sorprese di Dio? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza? Ci farà bene farci queste domande durante tutta la giornata.
2. Un secondo pensiero: lo Spirito Santo, apparentemente, sembra creare disordine nella Chiesa, perché porta la diversità dei carismi, dei doni; ma tutto questo invece, sotto la sua azione, è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità, ma ricondurre il tutto allarmonia. Nella Chiesa larmonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei Padri della Chiesa ha unespressione che mi piace tanto: lo Spirito Santo ipse harmonia est. Lui è proprio larmonia. Solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare lunità. Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare lunità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare luniformità, lomologazione. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa. Il camminare insieme nella Chiesa, guidati dai Pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è segno dellazione dello Spirito Santo; lecclesialità è una caratteristica fondamentale per ogni cristiano, per ogni comunità, per ogni movimento. E la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi! Quando ci si avventura andando oltre (proagon) la dottrina e la Comunità ecclesiale - dice lApostolo Giovanni nella sua Seconda Lettera - e non si rimane in esse, non si è uniti al Dio di Gesù Cristo (cfr 2Gv v. 9). Chiediamoci allora: sono aperto allarmonia dello Spirito Santo, superando ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e con la Chiesa?
3. Lultimo punto. I teologi antichi dicevano: lanima è una specie di barca a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la sua spinta, senza la sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto; ci spinge ad aprire le porte per uscire, per annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo, per comunicare la gioia della fede, dellincontro con Cristo. Lo Spirito Santo è lanima della missione. Quanto avvenuto a Gerusalemme quasi duemila anni fa non è un fatto lontano da noi, è un fatto che ci raggiunge, che si fa esperienza viva in ciascuno di noi. La Pentecoste del cenacolo di Gerusalemme è linizio, un inizio che si prolunga. Lo Spirito Santo è il dono per eccellenza di Cristo risorto ai suoi Apostoli, ma Egli vuole che giunga a tutti. Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, dice: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). E lo Spirito Paràclito, il «Consolatore», che dà il coraggio di percorrere le strade del mondo portando il Vangelo! Lo Spirito Santo ci fa vedere lorizzonte e ci spinge fino alle periferie esistenziali per annunciare la vita di Gesù Cristo. Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione. Ricordiamo oggi queste tre parole: novità, armonia, missione.
La liturgia di oggi è una grande preghiera che la Chiesa con Gesù
eleva al Padre, perché rinnovi leffusione dello Spirito Santo.
Ciascuno di noi, ogni gruppo, ogni movimento, nellarmonia della Chiesa,
si rivolga al Padre per chiedere questo dono. Anche oggi, come al suo nascere,
insieme con Maria la Chiesa invoca: «Veni Sancte Spiritus! - Vieni,
Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco
del tuo amore!». Amen.
Viviamo in unepoca in cui si è piuttosto scettici nei confronti della verità. Benedetto XVI ha parlato molte volte di relativismo, della tendenza cioè a ritenere che non ci sia nulla di definitivo e a pensare che la verità venga data dal consenso o da quello che noi vogliamo. Sorge la domanda: esiste veramente la verità? Che cosè la verità? Possiamo conoscerla? Possiamo trovarla? Qui mi viene in mente la domanda del Procuratore romano Ponzio Pilato quando Gesù gli rivela il senso profondo della sua missione: «Che cosè la verità?» (Gv 18,37.38). Pilato non riesce a capire che la Verità è davanti a lui, non riesce a vedere in Gesù il volto della verità, che è il volto di Dio. Eppure, Gesù è proprio questo: la Verità, che, nella pienezza dei tempi, «si è fatta carne» (Gv 1,1.14), è venuta in mezzo a noi perché noi la conoscessimo. La verità non si afferra come una cosa, la verità si incontra. Non è un possesso, è un incontro con una Persona.
Ma chi ci fa riconoscere che Gesù è la Parola di verità, il Figlio unigenito di Dio Padre? San Paolo insegna che «nessuno può dire: Gesù è Signore! se non sotto lazione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3). E proprio lo Spirito Santo, il dono di Cristo Risorto, che ci fa riconoscere la Verità. Gesù lo definisce il Paraclito, cioè colui che ci viene in aiuto, che è al nostro fianco per sostenerci in questo cammino di conoscenza; e, durante lUltima Cena, Gesù assicura ai discepoli che lo Spirito Santo insegnerà ogni cosa, ricordando loro le sue parole (cfr Gv 14,26).
Qual è allora lazione dello Spirito Santo nella nostra vita e nella vita della Chiesa per guidarci alla verità? Anzitutto, ricorda e imprime nei cuori dei credenti le parole che Gesù ha detto, e, proprio attraverso tali parole, la legge di Dio come avevano annunciato i profeti dellAntico Testamento viene inscritta nel nostro cuore e diventa in noi principio di valutazione nelle scelte e di guida nelle azioni quotidiane, diventa principio di vita. Si realizza la grande profezia di Ezechiele: «vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme» (36,25-27). Infatti, è dallintimo di noi stessi che nascono le nostre azioni: è proprio il cuore che deve convertirsi a Dio, e lo Spirito Santo lo trasforma se noi ci apriamo a Lui.
Lo Spirito Santo, poi, come promette Gesù, ci guida «a tutta la verità» (Gv 16,13); ci guida non solo allincontro con Gesù, pienezza della Verità, ma ci guida anche dentro la Verità, ci fa entrare cioè in una comunione sempre più profonda con Gesù, donandoci lintelligenza delle cose di Dio. E questa non la possiamo raggiungere con le nostre forze. Se Dio non ci illumina interiormente, il nostro essere cristiani sarà superficiale. La Tradizione della Chiesa afferma che lo Spirito di verità agisce nel nostro cuore suscitando quel senso della fede (sensus fidei) attraverso il quale, come afferma il Concilio Vaticano II, il Popolo di Dio, sotto la guida del Magistero, aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa, la approfondisce con retto giudizio e la applica più pienamente nella vita (cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 12). Proviamo a chiederci: sono aperto allazione dello Spirito Santo, lo prego perché mi dia luce, mi renda più sensibile alle cose di Dio? Questa è una preghiera che dobbiamo fare tutti i giorni: «Spirito Santo fa che il mio cuore sia aperto alla Parola di Dio, che il mio cuore sia aperto al bene, che il mio cuore sia aperto alla bellezza di Dio tutti i giorni». Vorrei fare una domanda a tutti: quanti di voi pregano ogni giorno lo Spirito Santo? Saranno pochi, ma noi dobbiamo soddisfare questo desiderio di Gesù e pregare tutti i giorni lo Spirito Santo, perché ci apra il cuore verso Gesù.
Pensiamo a Maria che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.51). Laccoglienza delle parole e delle verità della fede perché diventino vita, si realizza e cresce sotto lazione dello Spirito Santo. In questo senso occorre imparare da Maria, rivivere il suo sì, la sua disponibilità totale a ricevere il Figlio di Dio nella sua vita, che da quel momento è trasformata. Attraverso lo Spirito Santo, il Padre e il Figlio prendono dimora presso di noi: noi viviamo in Dio e di Dio. Ma la nostra vita è veramente animata da Dio? Quante cose metto prima di Dio?
Cari fratelli e sorelle, abbiamo bisogno di lasciarci inondare dalla luce dello Spirito Santo, perché Egli ci introduca nella Verità di Dio, che è lunico Signore della nostra vita. In questAnno della fede chiediamoci se concretamente abbiamo fatto qualche passo per conoscere di più Cristo e le verità della fede, leggendo e meditando la Sacra Scrittura, studiando il Catechismo, accostandosi con costanza ai Sacramenti. Ma chiediamoci contemporaneamente quali passi stiamo facendo perché la fede orienti tutta la nostra esistenza. Non si è cristiani a tempo, soltanto in alcuni momenti, in alcune circostanze, in alcune scelte. Non si può essere cristiani così, si è cristiani in ogni momento! Totalmente! La verità di Cristo, che lo Spirito Santo ci insegna e ci dona, interessa per sempre e totalmente la nostra vita quotidiana. Invochiamolo più spesso, perché ci guidi sulla strada dei discepoli di Cristo. Invochiamolo tutti i giorni. Vi faccio questa proposta: invochiamo tutti i giorni lo Spirito Santo, così lo Spirito Santo ci avvicinerà a Gesù Cristo.
Udienza Generale, 8 maggio 2013
Chi è lo Spirito Santo? Nel Credo noi professiamo con fede: «Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita». La prima verità a cui aderiamo nel Credo è che lo Spirito Santo è Kýrios, Signore. Ciò significa che Egli è veramente Dio come lo sono il Padre e il Figlio, oggetto, da parte nostra, dello stesso atto di adorazione e di glorificazione che rivolgiamo al Padre e al Figlio. Lo Spirito Santo, infatti, è la terza Persona della Santissima Trinità; è il grande dono del Cristo Risorto che apre la nostra mente e il nostro cuore alla fede in Gesù come il Figlio inviato dal Padre e che ci guida allamicizia, alla comunione con Dio.
Ma vorrei soffermarmi soprattutto sul fatto che lo Spirito Santo è la sorgente inesauribile della vita di Dio in noi. Luomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi desidera una vita piena e bella, giusta e buona, una vita che non sia minacciata dalla morte, ma che possa maturare e crescere fino alla sua pienezza. Luomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di unacqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza e di pace. Tutti sentiamo questo desiderio! E Gesù ci dona questacqua viva: essa è lo Spirito Santo, che procede dal Padre e che Gesù riversa nei nostri cuori. «Io sono venuto perché abbiano la vita e labbiano in abbondanza», ci dice Gesù (Gv 10,10).
Gesù promette alla Samaritana di donare unacqua viva, con sovrabbondanza e per sempre, a tutti coloro che lo riconoscono come il Figlio inviato dal Padre per salvarci (cfr Gv 4, 5-26; 3,17). Gesù è venuto a donarci questacqua viva che è lo Spirito Santo, perché la nostra vita sia guidata da Dio, sia animata da Dio, sia nutrita da Dio. Quando noi diciamo che il cristiano è un uomo spirituale intendiamo proprio questo: il cristiano è una persona che pensa e agisce secondo Dio, secondo lo Spirito Santo. Ma mi faccio una domanda: e noi, pensiamo secondo Dio? Agiamo secondo Dio? O ci lasciamo guidare da tante altre cose che non sono propriamente Dio? Ciascuno di noi deve rispondere a questo nel profondo del suo cuore.
A questo punto possiamo chiederci: perché questacqua può
dissetarci sino in fondo? Noi sappiamo che lacqua è essenziale
per la vita; senzacqua si muore; essa disseta, lava, rende feconda
la terra. Nella Lettera ai Romani troviamo questa espressione: «Lamore
di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo che ci è stato dato» (5,5). Lacqua viva,
lo Spirito Santo, Dono del Risorto che prende dimora in noi, ci purifica,
ci illumina, ci rinnova, ci trasforma perché ci rende partecipi della
vita stessa di Dio che è Amore. Per questo, lApostolo Paolo
afferma che la vita del cristiano è animata dallo Spirito e dai suoi
frutti, che sono «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal
5,22-23). Lo Spirito Santo ci introduce nella vita divina come figli
nel Figlio Unigenito. In un altro passo della Lettera ai Romani, che
abbiamo ricordato più volte, san Paolo lo sintetizza con queste parole:
«Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli
di Dio. E voi
avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi,
per mezzo del quale gridiamo Abbà! Padre!. Lo Spirito
stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se
siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero
prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria»
(8,14-17). Questo è il dono prezioso che lo Spirito Santo porta nei
nostri cuori: la vita stessa di Dio, vita di veri figli, un rapporto di
confidenza, di libertà e di fiducia nellamore e nella misericordia
di Dio, che ha come effetto anche uno sguardo nuovo verso gli altri, vicini
e lontani, visti sempre come fratelli e sorelle in Gesù da rispettare
e da amare. Lo Spirito Santo ci insegna a guardare con gli occhi di Cristo,
a vivere la vita come lha vissuta Cristo, a comprendere la vita come
lha compresa Cristo. Ecco perché lacqua viva che è
lo Spirito Santo disseta la nostra vita, perché ci dice che siamo
amati da Dio come figli, che possiamo amare Dio come suoi figli e che con
la sua grazia possiamo vivere da figli di Dio, come Gesù. E noi,
ascoltiamo lo Spirito Santo? Cosa ci dice lo Spirito Santo? Dice: Dio ti
ama. Ci dice questo. Dio ti ama, Dio ti vuole bene. Noi amiamo veramente
Dio e gli altri, come Gesù? Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo,
lasciamo che Lui ci parli al cuore e ci dica questo: che Dio è amore,
che Dio ci aspetta, che Dio è il Padre, ci ama come vero Papà,
ci ama veramente e questo lo dice soltanto lo Spirito Santo al cuore. Sentiamo
lo Spirito Santo, ascoltiamo lo Spirito Santo e andiamo avanti per questa
strada dell'amore, della misericordia e del perdono.
Gesù Cristo, con la sua Passione, Morte e Risurrezione, ci porta la salvezza, ci dona la grazia e la gioia di essere figli di Dio, di chiamarlo in verità con il nome di Padre. Maria è madre, e una madre si preoccupa soprattutto della salute dei suoi figli, sa curarla sempre con grande e tenero amore. La Madonna custodisce la nostra salute. Che cosa vuol dire questo, che la Madonna custodisce la nostra salute? Penso soprattutto a tre aspetti: ci aiuta a crescere, ad affrontare la vita, ad essere liberi; ci aiuta a crescere, ci aiuta ad affrontare la vita, ci aiuta ad essere liberi.
1. Una mamma aiuta i figli a crescere e vuole che crescano bene; per questo li educa a non cedere alla pigrizia - che deriva anche da un certo benessere -, a non adagiarsi in una vita comoda che si accontenta di avere solo delle cose. La mamma ha cura dei figli perché crescano sempre di più, crescano forti, capaci di prendersi responsabilità, di impegnarsi nella vita, di tendere a grandi ideali. Il Vangelo di san Luca dice che, nella famiglia di Nazareth, Gesù «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (Lc 2,40). La Madonna fa proprio questo in noi, ci aiuta a crescere umanamente e nella fede, ad essere forti e non cedere alla tentazione dellessere uomini e cristiani in modo superficiale, ma a vivere con responsabilità, a tendere sempre più in alto.
2. Una mamma poi pensa alla salute dei figli educandoli anche ad affrontare le difficoltà della vita. Non si educa, non si cura la salute evitando i problemi, come se la vita fosse unautostrada senza ostacoli. La mamma aiuta i figli a guardare con realismo i problemi della vita e a non perdersi in essi, ma ad affrontarli con coraggio, a non essere deboli, e a saperli superare, in un sano equilibrio che una madre sente tra gli ambiti di sicurezza e le zone di rischio. E questo una mamma sa farlo! Non porta sempre il figlio sulla strada della sicurezza, perché in questa maniera il figlio non può crescere, ma anche non lo lascia soltanto sulla strada del rischio, perché è pericoloso. Una mamma sa bilanciare le cose. Una vita senza sfide non esiste, e un ragazzo o una ragazza che non sa affrontarle mettendosi in gioco, è un ragazzo e una ragazza senza spina dorsale! Ricordiamo la parabola del buon samaritano: Gesù non propone il comportamento del sacerdote e del levita, che evitano di soccorrere colui che era incappato nei briganti, ma il samaritano che vede la situazione di quelluomo e la affronta in maniera concreta, anche con rischi. Maria ha vissuto molti momenti non facili nella sua vita, dalla nascita di Gesù, quando «per loro non cera posto nellalloggio» (Lc 2,7), fino al Calvario (cfr Gv 19,25). E come una buona madre ci è vicina, perché non perdiamo mai il coraggio di fronte alle avversità della vita, di fronte alla nostra debolezza, di fronte ai nostri peccati: ci dà forza, ci indica il cammino di suo Figlio. Gesù dalla croce dice a Maria, indicando Giovanni: «Donna, ecco tuo figlio!» e a Giovanni: «Ecco tua madre!» (cfr Gv 19,26-27). In quel discepolo tutti noi siamo rappresentati: il Signore ci affida nelle mani piene di amore e di tenerezza della Madre, perché sentiamo il suo sostegno nellaffrontare e vincere le difficoltà del nostro cammino umano e cristiano; non avere paura delle difficoltà, affrontarle con laiuto della mamma.
3. Un ultimo aspetto: una buona mamma non solo accompagna i figli nella crescita, non evitando i problemi, le sfide della vita; una buona mamma aiuta anche a prendere le decisioni definitive con libertà. Questo non è facile, ma una mamma sa farlo. Ma che cosa significa libertà? Non è certo fare tutto ciò che si vuole, lasciarsi dominare dalle passioni, passare da unesperienza allaltra senza discernimento, seguire le mode del tempo; libertà non significa, per così dire, buttare tutto ciò che non piace dalla finestra. No, quella non è libertà! La libertà ci è donata perché sappiamo fare scelte buone nella vita! Maria da buona madre ci educa ad essere, come Lei, capaci di fare scelte definitive; scelte definitive, in questo momento in cui regna, per così dire, la filosofia del provvisorio. È tanto difficile impegnarsi nella vita definitivamente. E lei ci aiuta a fare scelte definitive con quella libertà piena con cui ha risposto sì al piano di Dio sulla sua vita (cfr Lc 1,38).
Cari fratelli e sorelle, quanto è difficile, nel nostro tempo, prendere decisioni definitive! A tutti ci seduce il provvisorio. Siamo vittime di una tendenza che ci spinge alla provvisorietà come se desiderassimo rimanere adolescenti. E un po il fascino del rimanere adolescenti, e questo per tutta la vita! Non abbiamo paura degli impegni definitivi, degli impegni che coinvolgono e interessano tutta la vita! In questo modo la vita sarà feconda! E questo è libertà: avere il coraggio di prendere queste decisioni con grandezza.
Tutta lesistenza di Maria è un inno alla vita, un inno di amore alla vita: ha generato Gesù nella carne ed ha accompagnato la nascita della Chiesa sul Calvario e nel Cenacolo. La Salus Populi Romani è la mamma che ci dona la salute nella crescita, ci dona la salute nellaffrontare e superare i problemi, ci dona la salute nel renderci liberi per le scelte definitive; la mamma che ci insegna ad essere fecondi, ad essere aperti alla vita e ad essere sempre fecondi di bene, fecondi di gioia, fecondi di speranza, a non perdere mai la speranza, a donare vita agli altri, vita fisica e spirituale.
Questo ti chiediamo questa sera, O Maria, Salus Populi Romani, per il
popolo di Roma, per tutti noi: donaci la salute che solo tu puoi donarci,
per essere sempre segni e strumenti di vita. Amen.
In queste tre Letture vedo che c'è qualcosa di comune: è
il movimento. Nella Prima Lettura il movimento nel cammino; nella Seconda
Lettura, il movimento nell'edificazione della Chiesa; nella terza, nel Vangelo,
il movimento nella confessione. Camminare, edificare, confessare.
Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa
non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore,
cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad
Abramo, nella sua promessa.
Edificare, edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare
che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita:
edificare.
Terzo, confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo
edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa
non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore.
Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa
succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno
dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza.
Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon
Bloy: "Chi non prega il Signore, prega il diavolo". Quando non
si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo,
la mondanità del demonio.
Camminare, edificare-costruire, confessare. Ma la cosa non è così
facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte
ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino:
sono movimenti che ci tirano indietro.
Questo Vangelo prosegue con una situazione speciale. Lo stesso Pietro che
ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del
Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c'entra. Ti
seguo con altre possibilità, senza la Croce. Quando camminiamo senza
la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo
senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi,
Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.
Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio,
proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce
del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è
versato sulla Croce; e di confessare l'unica gloria: Cristo Crocifisso.
E così la Chiesa andrà avanti.
Io auguro a tutti noi che lo Spirito Santo, per la preghiera della Madonna,
nostra Madre, ci conceda questa grazia: camminare, edificare, confessare
Gesù Cristo Crocifisso. Così sia
E' bello questo: prima, Gesù solo sul monte, pregando. Pregava
solo (cfr Gv 8,1). Poi, si recò di nuovo nel Tempio, e tutto il popolo
andava da lui (cfr v. 2). Gesù in mezzo al popolo. E poi, alla fine,
lo lasciarono solo con la donna (cfr v. 9). Quella solitudine di Gesù!
Ma una solitudine feconda: quella della preghiera con il Padre e quella,
tanto bella, che è proprio il messaggio di oggi della Chiesa, quella
della sua misericordia con questa donna.
Anche c'è una differenza tra il popolo: C'era tutto il popolo che
andava da lui; egli sedette e si mise ad insegnare loro: il popolo che voleva
sentire le parole di Gesù, il popolo di cuore aperto, bisognoso della
Parola di Dio. C'erano altri, che non sentivano niente, non potevano sentire;
e sono quelli che sono andati con quella donna: Senti, Maestro, questa è
una tale, è una quale
Dobbiamo fare quello che Mosè
ci ha comandato di fare con queste donne (cfr vv. 4-5).
Anche noi credo che siamo questo popolo che, da una parte vuole sentire
Gesù, ma dall'altra, a volte, ci piace bastonare gli altri, condannare
gli altri. E il messaggio di Gesù è quello: la misericordia.
Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore:
la misericordia. Ma Lui stesso l'ha detto: Io non sono venuto per i giusti;
i giusti si giustificano da soli. Va', benedetto Signore, se tu puoi farlo,
io non posso farlo! Ma loro credono di poterlo fare. Io sono venuto per
i peccatori.
Vai da Gesù: a Lui piace se gli racconti queste cose!". Lui
si dimentica, Lui ha una capacità di dimenticarsi, speciale. Si dimentica,
ti bacia, ti abbraccia e ti dice soltanto: "Neanch'io ti condanno;
va', e d'ora in poi non peccare più". Soltanto quel consiglio
ti da. Dopo un mese, siamo nelle stesse condizioni
Torniamo al Signore.
Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo
di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere
perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare. Chiediamo questa
grazia.
In questa quinta domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta l'episodio
della donna adultera, che Gesù salva dalla condanna a morte. Colpisce
l'atteggiamento di Gesù: non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo
parole di condanna, ma soltanto parole di amore, di misericordia, che invitano
alla conversione. "Neanche io ti condanno: va e d'ora in poi non peccare
più!". Eh!, fratelli e sorelle, il volto di Dio è quello
di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza. Avete pensato voi alla
pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Quella è
la sua misericordia. Sempre ha pazienza, pazienza con noi, ci comprende,
ci attende, non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il
cuore contrito. "Grande è la misericordia del Signore",
dice il Salmo.
Non dimentichiamo questa parola: Dio mai si stanca di perdonarci, mai! "Eh,
padre, qual è il problema?". Eh, il problema è che noi
ci stanchiamo, noi non vogliamo, ci stanchiamo di chiedere perdono. Lui
mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono.
Non ci stanchiamo mai, non ci stanchiamo mai! Lui è il Padre amoroso
che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi. E anche
noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti. Invochiamo l'intercessione
della Madonna che ha avuto tra le sue braccia la Misericordia di Dio fatta
uomo.
Non dimenticate questo: il Signore mai si stanca di perdonare! Siamo noi
che ci stanchiamo di chiedere il perdono.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo che "Giuseppe fece come gli aveva ordinato
l'Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa". In queste
parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe,
quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù;
ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato
il beato Giovanni Paolo II: "San Giuseppe, come ebbe amorevole cura
di Maria e si dedicò con gioioso impegno all'educazione di Gesù
Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa,
di cui la Vergine Santa è figura e modello" .
Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà,
nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale,
anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all'episodio di
Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura
e tutto l'amore ogni momento. E' accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni
e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento
e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della
fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella
quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato
il mestiere a Gesù.
Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù,
della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile
al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede
a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una
casa costruita dall'uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola,
al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre
vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è "custode", perché
sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio
per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono
affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò
che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari
amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità,
con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione
cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli
altri, per custodire il creato!
La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani,
ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda
tutti. E' il custodire l'intero creato, la bellezza del creato, come ci
viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d'Assisi:
è l'avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l'ambiente in cui
viviamo. E' il custodire la gente, l'aver cura di tutti, di ogni persona,
con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più
fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E' l'aver cura
l'uno dell'altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente,
poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli
diventano custodi dei genitori. E' il vivere con sincerità le amicizie,
che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene.
In fondo, tutto è affidato alla custodia dell'uomo, ed è una
responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!
Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità
in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di
buona volontà: siamo "custodi" della creazione, del disegno
di Dio iscritto nella natura, custodi dell'altro, dell'ambiente; non lasciamo
che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro
mondo! Ma per "custodire" dobbiamo anche avere cura di noi stessi!
Ricordiamo che l'odio, l'invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire
vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché
è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive:
quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura
della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un'ulteriore annotazione: il prendersi cura, il
custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei
Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore,
ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù
del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d'animo e capacità
di attenzione, di compassione, di vera apertura all'altro, capacità
di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!
Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l'inizio del ministero
del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere.
Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere
si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull'amore, segue
il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo
mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare
il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo
vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto,
ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire
tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l'intera umanità,
specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli
che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame,
sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46).
Solo chi serve con amore sa custodire!
Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza
e amore, è aprire l'orizzonte della speranza, è aprire uno
squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della
speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe,
la speranza che portiamo ha l'orizzonte di Dio che ci è stato aperto
in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio. Custodire Gesù
con Maria, custodire l'intera creazione, custodire ogni persona, specie
la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo
di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per
far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò
che Dio ci ha donato! Chiedo l'intercessione della Vergine Maria, di san
Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo
Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per
me! Amen.
Gesù entra in Gerusalemme. La folla dei discepoli lo accompagna
in festa, i mantelli sono stesi davanti a Lui, si parla di prodigi che ha
compiuto, un grido di lode si leva: "Benedetto colui che viene, il
re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei
cieli" (Lc 19,38). Folla, festa, lode, benedizione, pace: è
un clima di gioia quello che si respira. Gesù ha risvegliato nel
cuore tante speranze soprattutto tra la gente umile, semplice, povera, dimenticata,
quella che non conta agli occhi del mondo. Lui ha saputo comprendere le
miserie umane, ha mostrato il volto di misericordia di Dio e si è
chinato per guarire il corpo e l'anima.
Questo è Gesù. Questo è il suo cuore che guarda tutti
noi, che guarda le nostre malattie, i nostri peccati. E' grande l'amore
di Gesù. E così entra in Gerusalemme con questo amore, e guarda
tutti noi. E' una scena bella: piena di luce - la luce dell'amore di Gesù,
quello del suo cuore - di gioia, di festa. All'inizio della Messa l'abbiamo
ripetuta anche noi. Abbiamo agitato le nostre palme.
Anche noi abbiamo accolto Gesù; anche noi abbiamo espresso la gioia
di accompagnarlo, di saperlo vicino, presente in noi e in mezzo a noi, come
un amico, come un fratello, anche come re, cioè come faro luminoso
della nostra vita. Gesù è Dio, ma si è abbassato a
camminare con noi. E' il nostro amico, il nostro fratello. Qui ci illumina
nel cammino. E così oggi lo abbiamo accolto. E questa è la
prima parola che vorrei dirvi: gioia! Non siate mai uomini e donne tristi:
un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo
scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere
tante cose, ma nasce dall'aver incontrato una Persona: Gesù, che
è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli,
anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra
con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti!
E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo
tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo
Gesù! Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo
che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia,
la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore,
non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella
che ci dà Gesù.
Perché Gesù entra in Gerusalemme, o forse meglio: come entra Gesù in Gerusalemme? La folla lo acclama come Re. E Lui non si oppone, non la fa tacere (cfr Lc 19,39-40). Ma che tipo di Re è Gesù? Guardiamolo: cavalca un puledro, non ha una corte che lo segue, non è circondato da un esercito simbolo di forza. Chi lo accoglie è gente umile, semplice, che ha il senso di guardare in Gesù qualcosa di più; ha quel senso della fede, che dice: Questo è il Salvatore. Gesù non entra nella Città Santa per ricevere gli onori riservati ai re terreni, a chi ha potere, a chi domina; entra per essere flagellato, insultato e oltraggiato, come preannuncia Isaia nella Prima Lettura (cfr Is 50,6); entra per ricevere una corona di spine, un bastone, un mantello di porpora, la sua regalità sarà oggetto di derisione; entra per salire il Calvario carico di un legno. E allora ecco la seconda parola: Croce. Gesù entra a Gerusalemme per morire sulla Croce. Ed è proprio qui che splende il suo essere Re secondo Dio: il suo trono regale è il legno della Croce! Penso a quello che Benedetto XVI diceva ai Cardinali: Voi siete principi, ma di un Re crocifisso. Quello è il trono di Gesù. Gesù prende su di sé... Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l'amore di Dio. Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all'umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo. Mia nonna diceva a noi bambini: il sudario non ha tasche. Amore al denaro, potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E anche - ciascuno di noi lo sa e lo conosce - i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l'intera creazione. E Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell'amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un pochettino quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte.
Oggi in questa Piazza ci sono tanti giovani: da 28 anni la Domenica delle
Palme è la Giornata della Gioventù! Ecco la terza parola:
giovani! Cari giovani, vi ho visto nella processione, quando entravate;
vi immagino a fare festa intorno a Gesù, agitando i rami d'ulivo;
vi immagino mentre gridate il suo nome ed esprimete la vostra gioia di essere
con Lui! Voi avete una parte importante nella festa della fede! Voi ci portate
la gioia della fede e ci dite che dobbiamo vivere la fede con un cuore giovane,
sempre: un cuore giovane, anche a settanta, ottant'anni! Cuore giovane!
Con Cristo il cuore non invecchia mai! Però tutti noi lo sappiamo
e voi lo sapete bene che il Re che seguiamo e che ci accompagna è
molto speciale: è un Re che ama fino alla croce e che ci insegna
a servire, ad amare. E voi non avete vergogna della sua Croce! Anzi, la
abbracciate, perché avete capito che è nel dono di sé,
nel dono di sé, nell'uscire da se stessi, che si ha la vera gioia
e che con l'amore di Dio Lui ha vinto il male. Voi portate la Croce pellegrina
attraverso tutti i continenti, per le strade del mondo! La portate rispondendo
all'invito di Gesù "Andate e fate discepoli tutti i popoli"
(cfr Mt 28,19), che è il tema della Giornata della Gioventù
di quest'anno. La portate per dire a tutti che sulla croce Gesù ha
abbattuto il muro dell'inimicizia, che separa gli uomini e i popoli, e ha
portato la riconciliazione e la pace. Cari amici, anch'io mi metto in cammino
con voi, da oggi, sulle orme del beato Giovanni Paolo II e di Benedetto
XVI. Ormai siamo vicini alla prossima tappa di questo grande pellegrinaggio
della Croce. Guardo con gioia al prossimo luglio, a Rio de Janeiro! Vi do
appuntamento in quella grande città del Brasile! Preparatevi bene,
soprattutto spiritualmente nelle vostre comunità, perché quell'Incontro
sia un segno di fede per il mondo intero. I giovani devono dire al mondo:
è buono seguire Gesù; è buono andare con Gesù;
è buono il messaggio di Gesù; è buono uscire da se
stessi, alle periferie del mondo e dell'esistenza per portare Gesù!
Tre parole: gioia, croce, giovani.
Chiediamo l'intercessione della Vergine Maria. Lei ci insegna la gioia dell'incontro
con Cristo, l'amore con cui lo dobbiamo guardare sotto la croce, l'entusiasmo
del cuore giovane con cui lo dobbiamo seguire in questa Settimana Santa
e in tutta la nostra vita. Così sia.
Ma che cosa può voler dire vivere la Settimana Santa per noi? Che
cosa significa seguire Gesù nel suo cammino sul Calvario verso la
Croce e la Risurrezione? Nella sua missione terrena, Gesù ha percorso
le strade della Terra Santa; ha chiamato dodici persone semplici perché
rimanessero con Lui, condividessero il suo cammino e continuassero la sua
missione; le ha scelte tra il popolo pieno di fede nelle promesse di Dio.
Ha parlato a tutti, senza distinzione, ai grandi e agli umili, al giovane
ricco e alla povera vedova, ai potenti e ai deboli; ha portato la misericordia
e il perdono di Dio; ha guarito, consolato, compreso; ha dato speranza;
ha portato a tutti la presenza di Dio che si interessa di ogni uomo e ogni
donna, come fa un buon padre e una buona madre verso ciascuno dei suoi figli.
Dio non ha aspettato che andassimo da Lui, ma è Lui che si è
mosso verso di noi, senza calcoli, senza misure. Dio è così:
Lui fa sempre il primo passo, Lui si muove verso di noi. Gesù ha
vissuto le realtà quotidiane della gente più comune: si è
commosso davanti alla folla che sembrava un gregge senza pastore; ha pianto
davanti alla sofferenza di Marta e Maria per la morte del fratello Lazzaro;
ha chiamato un pubblicano come suo discepolo; ha subito anche il tradimento
di un amico. In Lui Dio ci ha dato la certezza che è con noi, in
mezzo a noi. "Le volpi - ha detto Lui, Gesù - le volpi hanno
le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo
non ha dove posare il capo" (Mt 8,20). Gesù non ha casa perché
la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire
a tutti le porte di Dio, essere la presenza di amore di Dio. Nella Settimana
Santa noi viviamo il vertice di questo cammino, di questo disegno di amore
che percorre tutta la storia dei rapporti tra Dio e l'umanità.
Che cosa significa tutto questo per noi? Significa che questa è anche
la mia, la tua, la nostra strada. Vivere la Settimana Santa seguendo Gesù
non solo con la commozione del cuore; vivere la Settimana Santa seguendo
Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi per andare incontro
agli altri, per andare verso le periferie dell'esistenza, muoverci noi per
primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più
lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno
di comprensione, di consolazione, di aiuto. C'è tanto bisogno di
portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore!
Vivere la Settimana Santa è entrare sempre più nella logica
di Dio, nella logica della Croce, che non è prima di tutto quella
del dolore e della morte, ma quella dell'amore e del dono di sé che
porta vita. E' entrare nella logica del Vangelo. Seguire, accompagnare Cristo,
rimanere con Lui esige un "uscire", uscire. Uscire da se stessi,
da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di
chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l'orizzonte dell'azione
creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a
noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la sua misericordia che
salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui,
non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore,
dobbiamo "uscire", cercare con Lui la pecorella smarrita, quella
più lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come
Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito
da se stesso per tutti noi.
Dio pensa sempre con misericordia: non dimenticate questo. Dio pensa sempre
con misericordia: è il Padre misericordioso! Dio pensa come il padre
che attende il ritorno del figlio e gli va incontro, lo vede venire quando
è ancora lontano
Questo che significa? Che tutti i giorni andava
a vedere se il figlio tornava a casa: questo è il nostro Padre misericordioso.
E' il segno che lo aspettava di cuore nella terrazza della sua casa. Dio
pensa come il samaritano che non passa vicino al malcapitato commiserandolo
o guardando dall'altra parte, ma soccorrendolo senza chiedere nulla in cambio;
senza chiedere se era ebreo, se era pagano, se era samaritano, se era ricco,
se era povero: non domanda niente. Non domanda queste cose, non chiede nulla.
Va in suo aiuto: così è Dio. Dio pensa come il pastore che
dona la sua vita per difendere e salvare le pecore.
La Settimana Santa è un tempo di grazia che il Signore ci dona per
aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie
- che pena tante parrocchie chiuse! - dei movimenti, delle associazioni,
ed "uscire" incontro agli altri, farci noi vicini per portare
la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre! E questo con amore
e con la tenerezza di Dio, nel rispetto e nella pazienza, sapendo che noi
mettiamo le nostre mani, i nostri piedi, il nostro cuore, ma poi è
Dio che li guida e rende feconda ogni nostra azione. Auguro a tutti di vivere
bene questi giorni seguendo il Signore con coraggio, portando in noi stessi
un raggio del suo amore a quanti incontriamo.
Il Servo di Javhè di Isaia, il re Davide e Gesù nostro Signore hanno in comune che l'unzione che ricevono è destinata a ungere il popolo fedele di Dio, di cui sono servitori; la loro unzione è per i poveri, per i prigionieri, per gli oppressi Un'immagine molto bella di questo "essere per" del santo crisma è quella del Salmo 133: "È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull'orlo della sua veste" (v. 2). L'immagine dell'olio che si sparge, che scende dalla barba di Aronne fino all'orlo delle sue vesti sacre, è immagine dell'unzione sacerdotale che per mezzo dell'Unto giunge fino ai confini dell'universo rappresentato nelle vesti.
Ciò significa che il sacerdote celebra caricandosi sulle spalle il popolo a lui affidato e portando i suoi nomi incisi nel cuore. Quando ci rivestiamo con la nostra umile casula può farci bene sentire sopra le spalle e nel cuore il peso e il volto del nostro popolo fedele, dei nostri santi e dei nostri martiri, che in questo tempo sono tanti!.
Dalla bellezza di quanto è liturgico, che non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio che risplende nel suo popolo vivo e confortato, passiamo adesso a guardare all'azione. L'olio prezioso che unge il capo di Aronne non si limita a profumare la sua persona, ma si sparge e raggiunge "le periferie". Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli. L'unzione, cari fratelli, non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un'ampolla, perché l'olio diventerebbe rancido e il cuore amaro.
Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa
è una prova chiara. Quando la nostra gente viene unta con olio di
gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi
ha ricevuto una buona notizia. La nostra gente gradisce il Vangelo predicato
con l'unzione, gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua
vita quotidiana, quando scende come l'olio di Aronne fino ai bordi della
realtà, quando illumina le situazioni limite, "le periferie"
dove il popolo fedele è più esposto all'invasione di quanti
vogliono saccheggiare la sua fede. La gente ci ringrazia perché sente
che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno,
le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze. E quando
sente che il profumo dell'Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è
incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: "preghi
per me, padre, perché ho questo problema", "mi benedica,
padre", "preghi per me", sono il segno che l'unzione è
arrivata all'orlo del mantello, perché viene trasformata in supplica,
supplica del Popolo di Dio. Quando siamo in questa relazione con Dio e con
il suo Popolo e la grazia passa attraverso di noi, allora siamo sacerdoti,
mediatori tra Dio e gli uomini. Ciò che intendo sottolineare è
che dobbiamo ravvivare sempre la grazia e intuire in ogni richiesta, a volte
inopportuna, a volte puramente materiale o addirittura banale - ma lo è
solo apparentemente - il desiderio della nostra gente di essere unta con
l'olio profumato, perché sa che noi lo abbiamo.
Così bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere
e la sua efficacia redentrice: nelle "periferie" dove c'è
sofferenza, c'è sangue versato, c'è cecità che desidera
vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni. Non è precisamente
nelle autoesperienze o nelle introspezioni reiterate che incontriamo il
Signore: i corsi di autoaiuto nella vita possono essere utili, però
vivere la nostra vita sacerdotale passando da un corso all'altro, di metodo
in metodo, porta a diventare pelagiani, a minimizzare il potere della grazia,
che si attiva e cresce nella misura in cui, con fede, usciamo a dare noi
stessi e a dare il Vangelo agli altri, a dare la poca unzione che abbiamo
a coloro che non hanno niente di niente.
Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico "niente" perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l'unzione - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l'intermediario e il gestore "hanno già la loro paga" e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l'insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con "l'odore delle pecore" - questo io vi chiedo: siate pastori con "l'odore delle pecore", che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l'unzione - e non la funzione -, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù.
Cari fedeli, siate vicini ai vostri sacerdoti con l'affetto e con la preghiera perché siano sempre Pastori secondo il cuore di Dio.
Cari sacerdoti, Dio Padre rinnovi in noi lo Spirito di Santità con cui siamo stati unti, lo rinnovi nel nostro cuore in modo tale che l'unzione giunga a tutti, anche alle "periferie", là dove il nostro popolo fedele più lo attende ed apprezza. La nostra gente ci senta discepoli del Signore, senta che siamo rivestiti dei loro nomi, che non cerchiamo altra identità; e possa ricevere attraverso le nostre parole e opere quest'olio di gioia che ci è venuto a portare Gesù, l'Unto. Amen
Questo è commovente. Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli.
Pietro non capiva nulla, rifiutava. Ma Gesù gli ha spiegato. Gesù
- Dio - ha fatto questo! E Lui stesso spiega ai discepoli: "Capite
quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e
dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro,
ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.
Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho
fatto io" (Gv 13,12-15). E' l'esempio del Signore: Lui è il
più importante e lava i piedi, perché fra noi quello che è
il più alto deve essere al servizio degli altri. E questo è
un simbolo, è un segno, no? Lavare i piedi è: "io sono
al tuo servizio". E anche noi, fra noi, non è che dobbiamo lavare
i piedi tutti i giorni l'uno all'altro, ma che cosa significa questo? Che
dobbiamo aiutarci, l'un l'altro. A volte mi sono arrabbiato con uno, con
un'altra
ma
lascia perdere, lascia perdere, e se ti chiede
un favore, fatelo. Aiutarci l'un l'altro: questo Gesù ci insegna
e questo è quello che io faccio, e lo faccio di cuore, perché
è mio dovere. Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio.
Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo
perché il Signore così mi ha insegnato. Ma anche voi, aiutateci:
aiutateci sempre. L'un l'altro. E così, aiutandoci, ci faremo del
bene. Adesso faremo questa cerimonia di lavarci i piedi e pensiamo, ciascuno
di noi pensi: "Io davvero sono disposta, sono disposto a servire, ad
aiutare l'altro?". Pensiamo questo, soltanto. E pensiamo che questo
segno è una carezza di Gesù, che fa Gesù, perché
Gesù è venuto proprio per questo: per servire, per aiutarci.
1. Nel Vangelo di questa Notte luminosa della Vigilia Pasquale incontriamo
per prime le donne che si recano al sepolcro di Gesù con gli aromi
per ungere il suo corpo (cfr Lc 24,1-3). Vanno per compiere un gesto di
compassione, di affetto, di amore, un gesto tradizionale verso una persona
cara defunta, come ne facciamo anche noi. Avevano seguito Gesù, l'avevano
ascoltato, si erano sentite comprese nella loro dignità e lo avevano
accompagnato fino alla fine, sul Calvario, e al momento della deposizione
dalla croce. Possiamo immaginare i loro sentimenti mentre vanno alla tomba:
una certa tristezza, il dolore perché Gesù le aveva lasciate,
era morto, la sua vicenda era terminata. Ora si ritornava alla vita di prima.
Però nelle donne continuava l'amore, ed è l'amore verso Gesù
che le aveva spinte a recarsi al sepolcro. Ma a questo punto avviene qualcosa
di totalmente inaspettato, di nuovo, che sconvolge il loro cuore e i loro
programmi e sconvolgerà la loro vita: vedono la pietra rimossa dal
sepolcro, si avvicinano, e non trovano il corpo del Signore. E' un fatto
che le lascia perplesse, dubbiose, piene di domande: "Che cosa succede?",
"Che senso ha tutto questo?" (cfr Lc 24,4). Non capita forse anche
a noi così quando qualcosa di veramente nuovo accade nel succedersi
quotidiano dei fatti? Ci fermiamo, non comprendiamo, non sappiamo come affrontarlo.
La novità spesso ci fa paura, anche la novità che Dio ci porta,
la novità che Dio ci chiede. Siamo come gli Apostoli del Vangelo:
spesso preferiamo tenere le nostre sicurezze, fermarci ad una tomba, al
pensiero verso un defunto, che alla fine vive solo nel ricordo della storia
come i grandi personaggi del passato. Abbiamo paura delle sorprese di Dio.
Cari fratelli e sorelle, nella nostra vita abbiamo paura delle sorprese
di Dio! Egli ci sorprende sempre! Il Signore è così.
Fratelli e sorelle, non chiudiamoci alla novità che Dio vuole portare
nella nostra vita! Siamo spesso stanchi, delusi, tristi, sentiamo il peso
dei nostri peccati, pensiamo di non farcela. Non chiudiamoci in noi stessi,
non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai: non ci sono situazioni che
Dio non possa cambiare, non c'è peccato che non possa perdonare se
ci apriamo a Lui.
2. Ma torniamo al Vangelo, alle donne e facciamo un passo avanti. Trovano
la tomba vuota, il corpo di Gesù non c'è, qualcosa di nuovo
è avvenuto, ma tutto questo ancora non dice nulla di chiaro: suscita
interrogativi, lascia perplessi, senza offrire una risposta. Ed ecco due
uomini in abito sfolgorante, che dicono: "Perché cercate tra
i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto"
(Lc 24, 5-6). Quello che era un semplice gesto, un fatto, compiuto certo
per amore - il recarsi al sepolcro - ora si trasforma in avvenimento, in
un evento che cambia veramente la vita. Nulla rimane più come prima,
non solo nella vita di quelle donne, ma anche nella nostra vita e nella
nostra storia dell'umanità. Gesù non è un morto, è
risorto, è il Vivente! Non è semplicemente tornato in vita,
ma è la vita stessa, perché è il Figlio di Dio, che
è il Vivente (cfr Nm 14,21-28; Dt 5,26; Gs 3,10). Gesù non
è più nel passato, ma vive nel presente ed è proiettato
verso il futuro, Gesù è l'"oggi" eterno di Dio.
Così la novità di Dio si presenta davanti agli occhi delle
donne, dei discepoli, di tutti noi: la vittoria sul peccato, sul male, sulla
morte, su tutto ciò che opprime la vita e le dà un volto meno
umano. E questo è un messaggio rivolto a me, a te, cara sorella,
a te caro fratello. Quante volte abbiamo bisogno che l'Amore ci dica: perché
cercate tra i morti colui che è vivo? I problemi, le preoccupazioni
di tutti i giorni tendono a farci chiudere in noi stessi, nella tristezza,
nell'amarezza
e lì sta la morte. Non cerchiamo lì Colui
che è vivo!
Accetta allora che Gesù Risorto entri nella tua vita, accoglilo come
amico, con fiducia: Lui è la vita! Se fino ad ora sei stato lontano
da Lui, fa' un piccolo passo: ti accoglierà a braccia aperte. Se
sei indifferente, accetta di rischiare: non sarai deluso. Se ti sembra difficile
seguirlo, non avere paura, affidati a Lui, stai sicuro che Lui ti è
vicino, è con te e ti darà la pace che cerchi e la forza per
vivere come Lui vuole.
3. C'è un ultimo semplice elemento che vorrei sottolineare nel Vangelo
di questa luminosa Veglia Pasquale. Le donne si incontrano con la novità
di Dio: Gesù è risorto, è il Vivente! Ma di fronte
alla tomba vuota e ai due uomini in abito sfolgorante, la loro prima reazione
è di timore: "tenevano il volto chinato a terra" - nota
san Luca -, non avevano il coraggio neppure di guardare. Ma quando ascoltano
l'annuncio della Risurrezione, l'accolgono con fede. E i due uomini in abito
sfolgorante introducono un verbo fondamentale: ricordate. "Ricordatevi
come vi parlò, quando era ancora in Galilea
Ed esse si ricordarono
delle sue parole" (Lc 24,6.8). Questo è l'invito a fare memoria
dell'incontro con Gesù, delle sue parole, dei suoi gesti, della sua
vita; ed è proprio questo ricordare con amore l'esperienza con il
Maestro che conduce le donne a superare ogni timore e a portare l'annuncio
della Risurrezione agli Apostoli e a tutti gli altri (cfr Lc 24,9). Fare
memoria di quello che Dio ha fatto e fa per me, per noi, fare memoria del
cammino percorso; e questo spalanca il cuore alla speranza per il futuro.
Impariamo a fare memoria di quello che Dio ha fatto nella nostra vita!
In questa Notte di luce, invocando l'intercessione della Vergine Maria,
che custodiva ogni avvenimento nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), chiediamo
che il Signore ci renda partecipi della sua Risurrezione: ci apra alla sua
novità che trasforma, alle sorprese di Dio, tanto belle; ci renda
uomini e donne capaci di fare memoria di ciò che Egli opera nella
nostra storia personale e in quella del mondo; ci renda capaci di sentirlo
come il Vivente, vivo ed operante in mezzo a noi; ci insegni, cari fratelli
e sorelle, ogni giorno a non cercare tra i morti Colui che è vivo.
Amen.
Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, buona Pasqua! Buona
Pasqua!
Che grande gioia per me potervi dare questo annuncio: Cristo è risorto!
Vorrei che giungesse in ogni casa, in ogni famiglia, specialmente dove c'è
più sofferenza, negli ospedali, nelle carceri
Soprattutto vorrei che giungesse a tutti i cuori, perché è
lì che Dio vuole seminare questa Buona Notizia: Gesù è
risorto, c'è la speranza per te, non sei più sotto il dominio
del peccato, del male! Ha vinto l'amore, ha vinto la misericordia! Sempre
vince la misericordia di Dio!
Anche noi, come le donne discepole di Gesù, che andarono al sepolcro
e lo trovarono vuoto, possiamo domandarci che senso abbia questo avvenimento
(cfr Lc 24,4). Che cosa significa che Gesù è risorto? Significa
che l'amore di Dio è più forte del male e della stessa morte;
significa che l'amore di Dio può trasformare la nostra vita, far
fiorire quelle zone di deserto che ci sono nel nostro cuore. E questo può
farlo l'amore di Dio!
Questo stesso amore per cui il Figlio di Dio si è fatto uomo ed è
andato fino in fondo nella via dell'umiltà e del dono di sé,
fino agli inferi, all'abisso della separazione da Dio, questo stesso amore
misericordioso ha inondato di luce il corpo morto di Gesù, lo ha
trasfigurato, lo ha fatto passare nella vita eterna. Gesù non è
tornato alla vita di prima, alla vita terrena, ma è entrato nella
vita gloriosa di Dio e ci è entrato con la nostra umanità,
ci ha aperto ad un futuro di speranza.
Ecco che cos'è la Pasqua: è l'esodo, il passaggio dell'uomo
dalla schiavitù del peccato, del male alla libertà dell'amore,
del bene. Perché Dio è vita, solo vita, e la sua gloria siamo
noi: l'uomo vivente (cfr Ireneo, Adversus haereses, 4,20,5-7).
Cari fratelli e sorelle, Cristo è morto e risorto una volta per sempre
e per tutti, ma la forza della Risurrezione, questo passaggio dalla schiavitù
del male alla libertà del bene, deve attuarsi in ogni tempo, negli
spazi concreti della nostra esistenza, nella nostra vita di ogni giorno.
Quanti deserti, anche oggi, l'essere umano deve attraversare! Soprattutto
il deserto che c'è dentro di lui, quando manca l'amore di Dio e per
il prossimo, quando manca la consapevolezza di essere custode di tutto ciò
che il Creatore ci ha donato e ci dona. Ma la misericordia di Dio può
far fiorire anche la terra più arida, può ridare vita alle
ossa inaridite (cfr Ez 37,1-14).
Allora, ecco l'invito che rivolgo a tutti: accogliamo la grazia della Risurrezione
di Cristo! Lasciamoci rinnovare dalla misericordia di Dio, lasciamoci amare
da Gesù, lasciamo che la potenza del suo amore trasformi anche la
nostra vita; e diventiamo strumenti di questa misericordia, canali attraverso
i quali Dio possa irrigare la terra, custodire tutto il creato e far fiorire
la giustizia e la pace.
E così domandiamo a Gesù risorto, che trasforma la morte in
vita, di mutare l'odio in amore, la vendetta in perdono, la guerra in pace.
Sì, Cristo è la nostra pace e attraverso di Lui imploriamo
pace per il mondo intero.
Pace per il Medio Oriente, in particolare tra Israeliani e Palestinesi,
che faticano a trovare la strada della concordia, affinché riprendano
con coraggio e disponibilità i negoziati per porre fine a un conflitto
che dura ormai da troppo tempo. Pace in Iraq, perché cessi definitivamente
ogni violenza, e, soprattutto, per l'amata Siria, per la sua popolazione
ferita dal conflitto e per i numerosi profughi, che attendono aiuto e consolazione.
Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere
ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla
crisi?
Pace per l'Africa, ancora teatro di sanguinosi conflitti. In Mali, affinché
ritrovi unità e stabilità; e in Nigeria, dove purtroppo non
cessano gli attentati, che minacciano gravemente la vita di tanti innocenti,
e dove non poche persone, anche bambini, sono tenuti in ostaggio da gruppi
terroristici. Pace nell'est della Repubblica Democratica del Congo e nella
Repubblica Centroafricana, dove in molti sono costretti a lasciare le proprie
case e vivono ancora nella paura.
Pace in Asia, soprattutto nella Penisola coreana, perché si superino
le divergenze e maturi un rinnovato spirito di riconciliazione.
Pace a tutto il mondo, ancora così diviso dall'avidità di
chi cerca facili guadagni, ferito dall'egoismo che minaccia la vita umana
e la famiglia, egoismo che continua la tratta di persone, la schiavitù
più estesa in questo ventunesimo secolo; la tratta delle persone
è proprio la schiavitù più estesa in questo ventunesimo
secolo! Pace a tutto il mondo, dilaniato dalla violenza legata al narcotraffico
e dallo sfruttamento iniquo delle risorse naturali! Pace a questa nostra
Terra! Gesù risorto porti conforto a chi è vittima delle calamità
naturali e ci renda custodi responsabili del creato.
Buona Pasqua a tutti voi! Vi ringrazio di essere venuti anche oggi numerosi,
per condividere la gioia della Pasqua, mistero centrale della nostra fede.
Che la forza della Risurrezione di Cristo possa raggiungere ogni persona
- specialmente chi soffre - e tutte le situazioni più bisognose di
fiducia e di speranza.
Cristo ha vinto il male in modo pieno e definitivo, ma spetta a noi, agli
uomini di ogni tempo, accogliere questa vittoria nella nostra vita e nelle
realtà concrete della storia e della società. Per questo mi
sembra importante sottolineare quello che oggi domandiamo a Dio nella liturgia:
"O Padre, che fai crescere la tua Chiesa donandole sempre nuovi figli,
concedi ai tuoi fedeli di esprimere nella vita il sacramento che hanno ricevuto
nella fede" (Oraz. Colletta del Lunedì dell'Ottava di Pasqua).
E' vero, il Battesimo che ci fa figli di Dio, l'Eucaristia che ci unisce
a Cristo, devono diventare vita, tradursi cioè in atteggiamenti,
comportamenti, gesti, scelte. La grazia contenuta nei Sacramenti pasquali
è un potenziale di rinnovamento enorme per l'esistenza personale,
per la vita delle famiglie, per le relazioni sociali. Ma tutto passa attraverso
il cuore umano: se io mi lascio raggiungere dalla grazia di Cristo risorto,
se le permetto di cambiarmi in quel mio aspetto che non è buono,
che può far male a me e agli altri, io permetto alla vittoria di
Cristo di affermarsi nella mia vita, di allargare la sua azione benefica.
Questo è il potere della grazia! Senza la grazia non possiamo nulla.
Senza la grazia non possiamo nulla! E con la grazia del Battesimo e della
Comunione eucaristica posso diventare strumento della misericordia di Dio,
di quella bella misericordia di Dio.
Esprimere nella vita il sacramento che abbiamo ricevuto: ecco, cari fratelli
e sorelle, il nostro impegno quotidiano, ma direi anche la nostra gioia
quotidiana! La gioia di sentirsi strumenti della grazia di Cristo, come
tralci della vite che è Lui stesso, animati dalla linfa del suo Spirito!
Preghiamo insieme, nel nome del Signore morto e risorto, e per intercessione
di Maria Santissima, perché il Mistero pasquale possa operare profondamente
in noi e in questo nostro tempo, perché l'odio lasci il posto all'amore,
la menzogna alla verità, la vendetta al perdono, la tristezza alla
gioia.
Gesù non abbandona il testardo Tommaso nella sua incredulità;
gli dona una settimana di tempo, non chiude la porta, attende. E Tommaso
riconosce la propria povertà, la poca fede. "Mio Signore e mio
Dio": con questa invocazione semplice ma piena di fede risponde alla
pazienza di Gesù. Si lascia avvolgere dalla misericordia divina,
la vede davanti a sé, nelle ferite delle mani e dei piedi, nel costato
aperto, e ritrova la fiducia: è un uomo nuovo, non più incredulo,
ma credente.
E ricordiamo anche Pietro: per tre volte rinnega Gesù proprio quando
doveva essergli più vicino; e quando tocca il fondo incontra lo sguardo
di Gesù che, con pazienza, senza parole gli dice: "Pietro, non
avere paura della tua debolezza, confida in me"; e Pietro comprende,
sente lo sguardo d'amore di Gesù e piange. Che bello è questo
sguardo di Gesù - quanta tenerezza! Fratelli e sorelle, non perdiamo
mai la fiducia nella misericordia paziente di Dio!
Pensiamo ai due discepoli di Emmaus: il volto triste, un camminare vuoto,
senza speranza. Ma Gesù non li abbandona: percorre insieme la strada,
e non solo! Con pazienza spiega le Scritture che si riferivano a Lui e si
ferma a condividere con loro il pasto. Questo è lo stile di Dio:
non è impaziente come noi, che spesso vogliamo tutto e subito, anche
con le persone. Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi
ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti,
sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta
sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano,
e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci.
A me fa sempre una grande impressione rileggere la parabola del Padre misericordioso,
mi fa impressione perché mi dà sempre una grande speranza.
Pensate a quel figlio minore che era nella casa del Padre, era amato; eppure
vuole la sua parte di eredità; se ne va via, spende tutto, arriva
al livello più basso, più lontano dal Padre; e quando ha toccato
il fondo, sente la nostalgia del calore della casa paterna e ritorna. E
il Padre? Aveva dimenticato il figlio? No, mai. É lì, lo vede
da lontano, lo stava aspettando ogni giorno, ogni momento: è sempre
stato nel suo cuore come figlio, anche se lo aveva lasciato, anche se aveva
sperperato tutto il patrimonio, cioè la sua libertà; il Padre
con pazienza e amore, con speranza e misericordia non aveva smesso un attimo
di pensare a lui, e appena lo vede ancora lontano gli corre incontro e lo
abbraccia con tenerezza, la tenerezza di Dio, senza una parola di rimprovero:
è tornato! E quella è la gioia del padre. In quell'abbraccio
al figlio c'è tutta questa gioia: è tornato! Dio sempre ci
aspetta, non si stanca. Gesù ci mostra questa pazienza misericordiosa
di Dio perché ritroviamo fiducia, speranza, sempre! Un grande teologo
tedesco, Romano Guardini, diceva che Dio risponde alla nostra debolezza
con la sua pazienza e questo è il motivo della nostra fiducia, della
nostra speranza (cfr Glaubenserkenntnis, Würzburg 1949, p. 28). E'
come un dialogo fra la nostra debolezza e la pazienza di Dio, è un
dialogo che se noi lo facciamo, ci dà speranza.
1. Nella Prima Lettura colpisce la forza di Pietro e degli altri Apostoli.
Al comando di tacere, di non insegnare più nel nome di Gesù,
di non annunciare più il suo Messaggio, essi rispondono con chiarezza:
"Bisogna obbedire a Dio, invece che agli uomini". E non li ferma
nemmeno l'essere flagellati, il subire oltraggi, il venire incarcerati.
Pietro e gli Apostoli annunciano con coraggio, con parresia, quello che
hanno ricevuto, il Vangelo di Gesù. E noi? Siamo capaci di portare
la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita? Sappiamo parlare di Cristo,
di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno
parte della nostra vita quotidiana? La fede nasce dall'ascolto, e si rafforza
nell'annuncio.
2. Ma facciamo un passo avanti: l'annuncio di Pietro e degli Apostoli non
è fatto solo di parole, ma la fedeltà a Cristo tocca la loro
vita, che viene cambiata, riceve una direzione nuova, ed è proprio
con la loro vita che essi rendono testimonianza alla fede e all'annuncio
di Cristo. Nel Vangelo, Gesù chiede a Pietro per tre volte di pascere
il suo gregge e di pascerlo con il suo amore, e gli profetizza: "Quando
sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà
dove tu non vuoi" (Gv 21,18). E' una parola rivolta anzitutto a noi
Pastori: non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di
essere portati dalla volontà di Dio anche dove non vorremmo, se non
si è disposti a testimoniare Cristo con il dono di noi stessi, senza
riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita. Ma questo
vale per tutti: il Vangelo va annunciato e testimoniato. Ciascuno dovrebbe
chiedersi: Come testimonio io Cristo con la mia fede? Ho il coraggio di
Pietro e degli altri Apostoli di pensare, scegliere e vivere da cristiano,
obbedendo a Dio? Certo la testimonianza della fede ha tante forme, come
in un grande affresco c'è la varietà dei colori e delle sfumature;
tutte però sono importanti, anche quelle che non emergono. Nel grande
disegno di Dio ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia
piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità
la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro,
di amicizia. Ci sono i santi di tutti i giorni, i santi "nascosti",
una sorta di "classe media della santità", come diceva
uno scrittore francese, quella "classe media della santità"
di cui tutti possiamo fare parte. Ma in varie parti del mondo c'è
anche chi soffre, come Pietro e gli Apostoli, a causa del Vangelo; c'è
chi dona la sua vita per rimanere fedele a Cristo con una testimonianza
segnata dal prezzo del sangue. Ricordiamolo bene tutti: non si può
annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della
vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò
che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio! Mi viene in mente
adesso un consiglio che san Francesco d'Assisi dava ai suoi fratelli: predicate
il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole. Predicare con la
vita: la testimonianza. L'incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello
che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la
credibilità della Chiesa.
3. Ma tutto questo è possibile soltanto se riconosciamo Gesù
Cristo, perché è Lui che ci ha chiamati, ci ha invitati a
percorrere la sua strada, ci ha scelti. Annunciare e testimoniare è
possibile solo se siamo vicini a Lui, proprio come Pietro, Giovanni e gli
altri discepoli nel brano del Vangelo di oggi sono attorno a Gesù
Risorto; c'è una vicinanza quotidiana con Lui, ed essi sanno bene
chi è, lo conoscono. L'Evangelista sottolinea che "nessuno osava
domandargli: "Chi sei?", perché sapevano bene che era il
Signore" (Gv 21,12). E questo è un punto importante per noi:
vivere un rapporto intenso con Gesù, un'intimità di dialogo
e di vita, così da riconoscerlo come "il Signore". Adorarlo!
Il brano dell'Apocalisse che abbiamo ascoltato ci parla dell'adorazione:
le miriadi di angeli, tutte le creature, gli esseri viventi, gli anziani,
si prostrano in adorazione davanti al Trono di Dio e all'Agnello immolato,
che è Cristo, a cui va la lode, l'onore e la gloria (cfr Ap 5,11-14).
Vorrei che ci ponessimo tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore?
Andiamo da Dio solo per chiedere, per ringraziare, o andiamo da Lui anche
per adorarlo? Che cosa vuol dire allora adorare Dio? Significa imparare
a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza
è la più vera, la più buona, la più importante
di tutte. Ognuno di noi, nella propria vita, in modo consapevole e forse
a volte senza rendersene conto, ha un ben preciso ordine delle cose ritenute
più o meno importanti. Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il
posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non
però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra
vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che
è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia.
Questo ha una conseguenza nella nostra vita: spogliarci dei tanti idoli
piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo
e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo
ben nascosti; possono essere l'ambizione, il carrierismo, il gusto del successo,
il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la
pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a
cui siamo legati, e molti altri. Questa sera vorrei che una domanda risuonasse
nel cuore di ciascuno di noi e che vi rispondessimo con sincerità:
ho pensato io a quale idolo nascosto ho nella mia vita, che mi impedisce
di adorare il Signore? Adorare è spogliarci dei nostri idoli anche
quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via
maestra della nostra vita.
Cari fratelli e sorelle, il Signore ci chiama ogni giorno a seguirlo con
coraggio e fedeltà; ci ha fatto il grande dono di sceglierci come
suoi discepoli; ci invita ad annunciarlo con gioia come il Risorto, ma ci
chiede di farlo con la parola e con la testimonianza della nostra vita,
nella quotidianità. Il Signore è l'unico, l'unico Dio della
nostra vita e ci invita a spogliarci dei tanti idoli e ad adorare Lui solo.
Annunciare, testimoniare, adorare. La Beata Vergine Maria e l'Apostolo Paolo
ci aiutino in questo cammino e intercedano per noi. Così sia.
Con l'Ascensione, il Figlio di Dio ha portato presso il Padre la nostra
umanità da Lui assunta e vuole attirare tutti a sé, chiamare
tutto il mondo ad essere accolto tra le braccia aperte di Dio, affinché,
alla fine della storia, l'intera realtà sia consegnata al Padre.
C'è, però, questo "tempo immediato" tra la prima
venuta di Cristo e l'ultima, che è proprio il tempo che stiamo vivendo.
In questo contesto del "tempo immediato" si colloca la parabola
delle dieci vergini (cfr Mt 25,1-13). Si tratta di dieci ragazze che aspettano
l'arrivo dello Sposo, ma questi tarda ed esse si addormentano. All'annuncio
improvviso che lo Sposo sta arrivando, tutte si preparano ad accoglierlo,
ma mentre cinque di esse, sagge, hanno olio per alimentare le proprie lampade,
le altre, stolte, restano con le lampade spente perché non ne hanno;
e mentre lo cercano giunge lo Sposo e le vergini stolte trovano chiusa la
porta che introduce alla festa nuziale. Bussano con insistenza, ma ormai
è troppo tardi, lo Sposo risponde: non vi conosco. Lo Sposo è
il Signore, e il tempo di attesa del suo arrivo è il tempo che Egli
ci dona, a tutti noi, con misericordia e pazienza, prima della sua venuta
finale; è un tempo di vigilanza; tempo in cui dobbiamo tenere accese
le lampade della fede, della speranza e della carità, in cui tenere
aperto il cuore al bene, alla bellezza e alla verità; tempo da vivere
secondo Dio, poiché non conosciamo né il giorno, né
l'ora del ritorno di Cristo. Quello che ci è chiesto è di
essere preparati all'incontro - preparati ad un incontro, ad un bell'incontro,
l'incontro con Gesù -, che significa saper vedere i segni della sua
presenza, tenere viva la nostra fede, con la preghiera, con i Sacramenti,
essere vigilanti per non addormentarci, per non dimenticarci di Dio. La
vita dei cristiani addormentati è una vita triste, non è una
vita felice. Il cristiano dev'essere felice, la gioia di Gesù. Non
addormentarci!
La parabola dei talenti, ci fa riflettere sul rapporto tra come impieghiamo i doni ricevuti da Dio e il suo ritorno, in cui ci chiederà come li abbiamo utilizzati (cfr Mt 25,14-30). Conosciamo bene la parabola: prima della partenza, il padrone consegna ad ogni servo alcuni talenti, affinché siano utilizzati bene durante la sua assenza. Al primo ne consegna cinque, al secondo due e al terzo uno. Nel periodo di assenza, i primi due servi moltiplicano i loro talenti - queste sono antiche monete -, mentre il terzo preferisce sotterrare il proprio e consegnarlo intatto al padrone. Al suo ritorno, il padrone giudica il loro operato: loda i primi due, mentre il terzo viene cacciato fuori nelle tenebre, perché ha tenuto nascosto per paura il talento, chiudendosi in se stesso. Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato è un cristiano non è cristiano! E' un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato! Questo ci dice che l'attesa del ritorno del Signore è il tempo dell'azione - noi siamo nel tempo dell'azione -, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo. E in particolare in questo tempo di crisi, oggi, è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all'altro. Nella piazza, ho visto che ci sono molti giovani: è vero, questo? Ci sono molti giovani? Dove sono? A voi, che siete all'inizio del cammino della vita, chiedo: Avete pensato ai talenti che Dio vi ha dato? Avete pensato a come potete metterli a servizio degli altri? Non sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi!
Infine, una parola sul brano del giudizio finale, in cui viene descritta
la seconda venuta del Signore, quando Egli giudicherà tutti gli esseri
umani, vivi e morti (cfr Mt 25,31-46). L'immagine utilizzata dall'evangelista
è quella del pastore che separa le pecore dalle capre. Alla destra
sono posti coloro che hanno agito secondo la volontà di Dio, soccorrendo
il prossimo affamato, assetato, straniero, nudo, malato, carcerato - ho
detto "straniero": penso a tanti stranieri che sono qui nella
diocesi di Roma: cosa facciamo per loro? - mentre alla sinistra vanno coloro
che non hanno soccorso il prossimo. Questo ci dice che noi saremo giudicati
da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli,
specialmente i più deboli e bisognosi. Certo, dobbiamo sempre tenere
ben presente che noi siamo giustificati, siamo salvati per grazia, per un
atto di amore gratuito di Dio che sempre ci precede; da soli non possiamo
fare nulla. La fede è anzitutto un dono che noi abbiamo ricevuto.
Ma per portare frutti, la grazia di Dio richiede sempre la nostra apertura
a Lui, la nostra risposta libera e concreta. Cristo viene a portarci la
misericordia di Dio che salva. A noi è chiesto di affidarci a Lui,
di corrispondere al dono del suo amore con una vita buona, fatta di azioni
animate dalla fede e dall'amore.
Cari fratelli e sorelle, guardare al giudizio finale non ci faccia mai paura;
ci spinga piuttosto a vivere meglio il presente. Dio ci offre con misericordia
e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo
nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella
preghiera e nell'amore. Il Signore, al termine della nostra esistenza e
della storia, possa riconoscerci come servi buoni e fedeli. Grazie.
La Quarta Domenica del Tempo di Pasqua è caratterizzata dal Vangelo
del Buon Pastore che si legge ogni anno. Il brano di oggi riporta queste
parole di Gesù: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le
conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute
in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che
me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può
strapparle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola"
(10,27-30). In questi quattro versetti c'è tutto il messaggio di
Gesù, c'è il nucleo centrale del suo Vangelo: Lui ci chiama
a partecipare alla sua relazione con il Padre, e questa è la vita
eterna.
Gesù vuole stabilire con i suoi amici una relazione che sia il riflesso
di quella che Lui stesso ha con il Padre: una relazione di reciproca appartenenza
nella fiducia piena, nell'intima comunione. Per esprimere questa intesa
profonda, questo rapporto di amicizia Gesù usa l'immagine del pastore
con le sue pecore: lui le chiama ed esse riconoscono la sua voce, rispondono
al suo richiamo e lo seguono. E' bellissima questa parabola! Il mistero
della voce è suggestivo: pensiamo che fin dal grembo di nostra madre
impariamo a riconoscere la sua voce e quella del papà; dal tono di
una voce percepiamo l'amore o il disprezzo, l'affetto o la freddezza. La
voce di Gesù è unica! Se impariamo a distinguerla, Egli ci
guida sulla via della vita, una via che oltrepassa anche l'abisso della
morte.
Ma Gesù a un certo punto disse, riferendosi alle sue pecore: "Il
Padre mio, che me le ha date
" (Gv 10,29). Questo è molto
importante, è un mistero profondo, non facile da comprendere: se
io mi sento attratto da Gesù, se la sua voce riscalda il mio cuore,
è grazie a Dio Padre, che ha messo dentro di me il desiderio dell'amore,
della verità, della vita, della bellezza
e Gesù è
tutto questo in pienezza! Questo ci aiuta a comprendere il mistero della
vocazione, specialmente delle chiamate ad una speciale consacrazione. A
volte Gesù ci chiama, ci invita a seguirlo, ma forse succede che
non ci rendiamo conto che è Lui, proprio come è capitato al
giovane Samuele. Ci sono molti giovani oggi, qui in Piazza. Siete tanti
voi, no? Si vede
Ecco! Siete tanti giovani oggi qui in Piazza. Vorrei
chiedervi: qualche volta avete sentito la voce del Signore che attraverso
un desiderio, un'inquietudine, vi invitava a seguirlo più da vicino?
L'avete sentito? Non sento? Ecco
Avete avuto voglia di essere apostoli
di Gesù? La giovinezza bisogna metterla in gioco per i grandi ideali.
Pensate questo voi? Siete d'accordo? Domanda a Gesù che cosa vuole
da te e sii coraggioso! Sii coraggiosa! Domandaglielo! Dietro e prima di
ogni vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata, c'è sempre la
preghiera forte e intensa di qualcuno: di una nonna, di un nonno, di una
madre, di un padre, di una comunità
Ecco perché Gesù
ha detto: "Pregate il signore della messe - cioè Dio Padre -
perché mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,38). Le vocazioni
nascono nella preghiera e dalla preghiera; e solo nella preghiera possono
perseverare e portare frutto. Mi piace sottolinearlo oggi, che è
la "Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni". Preghiamo
in particolare per i nuovi Sacerdoti della Diocesi di Roma che ho avuto
la gioia di ordinare stamani. E invochiamo l'intercessione di Maria. Oggi
c'erano 10 giovani che hanno detto "sì" a Gesù e
sono stati ordinati preti stamane
E' bello questo! Invochiamo l'intercessione
di Maria che è la Donna del "sì". Maria ha detto
"sì", tutta la vita! Lei ha imparato a riconoscere la voce
di Gesù fin da quando lo portava in grembo. Maria, nostra Madre,
ci aiuti a conoscere sempre meglio la voce di Gesù e a seguirla,
per camminare nella via della vita!
Vorrei proporvi tre semplici e brevi pensieri su cui riflettere.
1. Nella Seconda Lettura abbiamo ascoltato la bella visione di san Giovanni:
un cielo nuovo e una terra nuova, e poi la Città Santa che scende
da Dio. Tutto è nuovo, trasformato in bene, in bellezza, in verità;
non c'è più lamento, lutto
Questa è l'azione
dello Spirito Santo: ci porta la novità di Dio; viene a noi e fa
nuove tutte le cose, ci cambia. Lo Spirito ci cambia! E la visione di san
Giovanni ci ricorda che siamo tutti in cammino verso la Gerusalemme del
cielo, la novità definitiva per noi e per tutta la realtà,
il giorno felice in cui potremo vedere il volto del Signore - quel volto
meraviglioso, tanto bello del Signore Gesù - potremo essere con Lui
per sempre, nel suo amore.
Vedete, la novità di Dio non assomiglia alle novità mondane,
che sono tutte provvisorie, passano e se ne ricerca sempre di più.
La novità che Dio dona alla nostra vita è definitiva, e non
solo nel futuro, quando saremo con Lui, ma anche oggi: Dio sta facendo tutto
nuovo, lo Spirito Santo ci trasforma veramente e vuole trasformare, anche
attraverso di noi, il mondo in cui viviamo. Apriamo la porta allo Spirito,
facciamoci guidare da Lui, lasciamo che l'azione continua di Dio, ci renda
uomini e donne nuovi, animati dall'amore di Dio, che lo Spirito Santo ci
dona! Che bello se ognuno di voi, alla sera potesse dire: oggi a scuola,
a casa, al lavoro, guidato da Dio, ho compiuto un gesto di amore verso un
mio compagno, i miei genitori, un anziano! Che bello!
2. Un secondo pensiero: nella Prima Lettura Paolo e Barnaba affermano che
"dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni"
(At 14,22). Il cammino della Chiesa, anche il nostro cammino cristiano personale,
non sono sempre facili, incontrano difficoltà, tribolazione. Seguire
il Signore, lasciare che il suo Spirito trasformi le nostre zone d'ombra,
i nostri comportamenti che non sono secondo Dio e lavi i nostri peccati,
è un cammino che incontra tanti ostacoli, fuori di noi, nel mondo
e anche dentro di noi, nel cuore. Ma le difficoltà, le tribolazioni,
fanno parte della strada per giungere alla gloria di Dio, come per Gesù,
che è stato glorificato sulla Croce; le incontreremo sempre nella
vita! Non scoraggiarsi! Abbiamo la forza dello Spirito Santo per vincere
queste tribolazioni.
3. E qui vengo all'ultimo punto. E' un invito che rivolgo a voi cresimandi
e cresimande e a tutti: rimanete saldi nel cammino della fede con la ferma
speranza nel Signore. Qui sta il segreto del nostro cammino! Lui ci dà
il coraggio di andare controcorrente. Sentite bene, giovani: andare controcorrente;
questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente
e Lui ci dà questo coraggio! Non ci sono difficoltà, tribolazioni,
incomprensioni che ci devono far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci
sono uniti alla vite, se non perdiamo l'amicizia con Lui, se gli facciamo
sempre più spazio nella nostra vita. Questo anche e soprattutto se
ci sentiamo poveri, deboli, peccatori, perché Dio dona forza alla
nostra debolezza, ricchezza alla nostra povertà, conversione e perdono
al nostro peccato. E' tanto misericordioso il Signore: sempre, se andiamo
da Lui, ci perdona. Abbiamo fiducia nell'azione di Dio! Con Lui possiamo
fare cose grandi; ci farà sentire la gioia di essere suoi discepoli,
suoi testimoni. Scommettete sui grandi ideali, sulle cose grandi. Noi cristiani
non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là,
verso le cose grandi. Giocate la vita per grandi ideali, giovani!
Novità di Dio, tribolazione nella vita, saldi nel Signore. Cari amici,
spalanchiamo la porta della nostra vita alla novità di Dio che ci
dona lo Spirito Santo, perché ci trasformi, ci renda forti nelle
tribolazioni, rafforzi la nostra unione con il Signore, il nostro rimanere
saldi in Lui: questa è una vera gioia! Così sia.
Oggi, primo maggio, celebriamo san Giuseppe lavoratore e iniziamo il mese tradizionalmente dedicato alla Madonna. In questo nostro incontro, vorrei soffermarmi allora su queste due figure così importanti nella vita di Gesù, della Chiesa e nella nostra vita, con due brevi pensieri: il primo sul lavoro, il secondo sulla contemplazione di Gesù.
1. Nel Vangelo di san Matteo, in uno dei momenti in cui Gesù ritorna al suo paese, a Nazaret, e parla nella sinagoga, viene sottolineato lo stupore dei suoi paesani per la sua sapienza, e la domanda che si pongono: «Non è costui il figlio del falegname?» (13,55). Gesù entra nella nostra storia, viene in mezzo a noi, nascendo da Maria per opera di Dio, ma con la presenza di san Giuseppe, il padre legale che lo custodisce e gli insegna anche il suo lavoro. Gesù nasce e vive in una famiglia, nella santa Famiglia, imparando da san Giuseppe il mestiere del falegname, nella bottega di Nazaret, condividendo con lui limpegno, la fatica, la soddisfazione e anche le difficoltà di ogni giorno.
Questo ci richiama alla dignità e allimportanza del lavoro. Il libro della Genesi narra che Dio creò luomo e la donna affidando loro il compito di riempire la terra e soggiogarla, che non significa sfruttarla, ma coltivarla e custodirla, averne cura con la propria opera (cfr Gen 1,28; 2,15). Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo allopera della creazione! Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare unimmagine, ci unge di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre (cfr Gv 5,17); dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione. E qui penso alle difficoltà che, in vari Paesi, incontra oggi il mondo del lavoro e dellimpresa; penso a quanti, e non solo giovani, sono disoccupati, molte volte a causa di una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale.
Desidero rivolgere a tutti linvito alla solidarietà, e ai Responsabili della cosa pubblica lincoraggiamento a fare ogni sforzo per dare nuovo slancio alloccupazione; questo significa preoccuparsi per la dignità della persona; ma soprattutto vorrei dire di non perdere la speranza; anche san Giuseppe ha avuto momenti difficili, ma non ha mai perso la fiducia e ha saputo superarli, nella certezza che Dio non ci abbandona. E poi vorrei rivolgermi in particolare a voi ragazzi e ragazze a voi giovani: impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, nellaiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita. Non abbiate paura dellimpegno, del sacrificio e non guardate con paura al futuro; mantenete viva la speranza: cè sempre una luce allorizzonte.
Aggiungo una parola su unaltra particolare situazione di lavoro che mi preoccupa: mi riferisco a quello che potremmo definire come il lavoro schiavo, il lavoro che schiavizza. Quante persone, in tutto il mondo, sono vittime di questo tipo di schiavitù, in cui è la persona che serve il lavoro, mentre deve essere il lavoro ad offrire un servizio alle persone perché abbiano dignità. Chiedo ai fratelli e sorelle nella fede e a tutti gli uomini e donne di buona volontà una decisa scelta contro la tratta delle persone, allinterno della quale figura il lavoro schiavo.
2. Accenno al secondo pensiero: nel silenzio dellagire quotidiano, san Giuseppe, insieme a Maria, hanno un solo centro comune di attenzione: Gesù. Essi accompagnano e custodiscono, con impegno e tenerezza, la crescita del Figlio di Dio fatto uomo per noi, riflettendo su tutto ciò che accadeva. Nei Vangeli, san Luca sottolinea due volte latteggiamento di Maria, che è anche quello di san Giuseppe: «Custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (2,19.51). Per ascoltare il Signore, bisogna imparare a contemplarlo, a percepire la sua presenza costante nella nostra vita; bisogna fermarsi a dialogare con Lui, dargli spazio con la preghiera. Ognuno di noi, anche voi ragazzi, ragazze e giovani, così numerosi questa mattina, dovrebbe chiedersi: quale spazio do al Signore? Mi fermo a dialogare con Lui? Fin da quando eravamo piccoli, i nostri genitori ci hanno abituati ad iniziare e a terminare la giornata con una preghiera, per educarci a sentire che lamicizia e lamore di Dio ci accompagnano. Ricordiamoci di più del Signore nelle nostre giornate!
E in questo mese di maggio, vorrei richiamare allimportanza e alla bellezza della preghiera del santo Rosario. Recitando l'Ave Maria, noi siamo condotti a contemplare i misteri di Gesù, a riflettere cioè sui momenti centrali della sua vita, perché, come per Maria e per san Giuseppe, Egli sia il centro dei nostri pensieri, delle nostre attenzioni e delle nostre azioni. Sarebbe bello se, soprattutto in questo mese di maggio, si recitasse assieme in famiglia, con gli amici, in Parrocchia, il santo Rosario o qualche preghiera a Gesù e alla Vergine Maria! La preghiera fatta assieme è un momento prezioso per rendere ancora più salda la vita familiare, lamicizia! Impariamo a pregare di più in famiglia e come famiglia!
Cari fratelli e sorelle, chiediamo a san Giuseppe e alla Vergine Maria che ci insegnino ad essere fedeli ai nostri impegni quotidiani, a vivere la nostra fede nelle azioni di ogni giorno e a dare più spazio al Signore nella nostra vita, a fermarci per contemplare il suo volto. Grazie.