Parole chiave del Giubileo: CONVERSIONE

 

Il verbo usato dall'Antico Testamento per indicare il "movimento" della conversione è ritornare: esprime l'idea di una strada sbagliata, di una meta scelta male rispetto a cui fare il cammino inverso, di una condizione negativa da cui uscire. In concreto, Israele conosce il ritorno dalla schiavitù dell'Egitto, dalla deportazione in Babilonia. Il cammino di ritorno comporta l'allontanarsi dagli idoli delle nazioni pagane e insieme dall'iniquità, da una condotta malvagia. Questo ci fa capire che il cammino esteriore, il percorso della conversione raggiunge la sua meta se avviene nel cuore del credente, nell'intimo della persona che cambia vita per tornare a Dio. Lo descrivono bene il Salmo 5 l (v.8): "tu vuoi la sincerità del cuore e nell'intimo mi insegni la sapienza" e i profeti: "Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore"; e ancora:" darò loro un cuore nuovo... toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne perché seguano i miei decreti...". La conversione che tocca il cuore, che parte dal cuore porta a cambiare la vita: un nuovo modo di individuare la meta e il senso dell'esistenza, il rapporto con Dio e con il prossimo, il modo di vedere il mondo, di stare nella storia. Il Nuovo Testamento esprime tutto questo col termine metànoia, cioè cambiamento di mentalità. E' quello che il Battista chiede a chi va a ricevere il battesimo di penitenza e che costituisce il primo annuncio di Gesù: "Il tempo è compito e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo" (Mc l , l 4). L'urgenza della conversione dipende dalla vicinanza del Regno: ormai nella storia, per la venuta del Messia, è arrivata ed è all'opera la salvezza e ognuno deve produrre frutti di conversione, di penitenza. E Gesù comincia a esprimere il cambiamento/conversione del Regno prendendosi cura dei piccoli, degli ammalati, dei poveri, cambiando la storia della loro vita: guarigioni, moltiplicazione dei pani, perdono dei peccati, accoglienza nella comunità. Per troppo tempo i cristiani hanno creduto che la conversione riguardasse gli altri (i pagani, gli atei...) che dovevano convertirsi alla "vera religione". Noi ci sentivamo già a posto, sicuri nel recinto delle pecorelle buone, tra le mura della casa da cui il fratello cattivo se n'era andato. Il Giubileo, anche attraverso la meta di un pellegrinaggio che ci conduce verso un santuario (e/o verso un luogo di sofferenza e di liberazione dal male) ci dice che il cammino della conversione/ritorno riguarda tutti: tornare al Padre perché spesso non viviamo da figli, perché dimentichiamo il suo amore, perché finiamo per non trattare gli altri come fratelli e sorelle. Tornare al vero Dio perché spesso ci facciamo un feticcio falso, a nostra immagine e somiglianza, a misura di una religiosità di piccolo cabotaggio o di una morale autogiustificatrice. Tornare nella casa del Padre in cui hanno da imparare da vivere entrambi i figli, il maggiore e il minore. Questo per apprezzare i beni, non dilapidarli, ricondurli all'amore del Padre/creatore che ce li ha donati per farne un uso che sia lode alla sua bontà: quello per stare nella casa in atteggiamento di accoglienza, imparare a fare festa per il fratello che ritorna, scoprire la tenerezza del Padre nel cui cuore c'è posto per entrambi i figli, per l'intera famiglia umana. Il sacramento della penitenza. che è atto giubilare "forte" di ritorno e conversione, sarà tanto più vero quanto più ci farà passare da un minuzioso elenco dei peccati da confessare alla percezione che quel gesto è una tappa del nostro personale ritorno a Dio, all'abbraccio della sua misericordia di Padre. E' la riscoperta della vita come dono, restaurazione di una bellezza deturpata dal peccato che avviene nel cuore, che torna a splendere sul volto di ogni figlio e figlia di Dio, diventa percorso di vita fedele, altruista, creativo.